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SINDONE : una sfida per la scienza

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2024 17:30
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09/09/2020 21:54
 
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«La Sindone esisteva già prima del 1300», un altro storico lo riconosce






Nel giorno del Venerdì santo i cristiani fanno memoria della passione di Cristo, in attesa della resurrezione pasquale. La possibilità di avere una testimonianza storico-archeologica di questi due eventi è qualcosa di incredibile e questo spiega la potenziale importanza della Santa Sindone.

Nessun obbligo a credervi ma, a nostro avviso, le prove a favore della sua autenticità ci sembrano attualmente più determinanti di quelle contrarie. In ambito scientifico, in Italia, gli studi più interessanti sono stati svolti dai fisici dell’Enea che, proprio sul nostro sito web, hanno voluto pubblicare un’anteprima della conclusione a cui sono giunti: non si è in grado di replicare l’immagine sindonica con le più moderne tecnologie (né con i mezzi disponibili nel passato, come dimostra il fallimento del tentativo del dott. Luigi Garlaschelli e del Cicap), soltanto attraverso l’irraggiamento di un tessuto di lino tramite impulsi laser eccimero è stato possibile ottenere un risultato similsindonico.


E’ dal punto di vista storico, invece, che le obiezioni all’autenticità sono più efficaci. Certamente un enorme peso è quello del  responso medioevale emerso dalla datazione al radiocarbonio, realizzata nel 1988 su un campione purtroppo altamente contaminato. Ma che sia un risultato controverso è ormai ammesso da chiunque, basti pensare che durante il Simposio internazionale di Roma, nel giugno 1993, lo statistico Philippe Bourcier de Carbon dell’Institut national d’études démographiques, elencò ben quindici punti di gravi anomalie avvenute durante le operazioni, tra cui l’assenza di verbali e archivio video; contraddizioni nei rapporti ufficiali sul taglio e peso dei campioni; mancato rispetto dei protocolli previsti per l’operazione di datazione; rifiuto della procedura usuale del test a doppio cieco; l’esclusione degli scienziati che meglio conoscevano la Sindone (quelli dello STURP, ad esempio); la comunicazione ai laboratori, prima del test, delle date dei campioni di controllo; l’intercomunicazione dei risultati tra i tre laboratori nel corso dei lavori; la divulgazione ai media dei primi risultati prima della consegna delle conclusioni ecc. Bourcier de Carbon ha concluso: «Una tale constatazione di carenze rimane completamente inusitata nel quadro di un dibattito autenticamente scientifico e non si può che deplorare questa deroga alla deontologia usuale».


In ambito storico, inoltre, esistono chiare tracce della Sindone ben prima del 1300 d.C. e in passato ne abbiamo parlato in modo più approfondito.




A chiarire le cose oggi è uscito un libro interessante firmato da Emanuela Marinelli, autorità indiscussa sull’argomento, e dallo storico Livio Zerbini, docente di Storia romana e storia antica all’Università degli studi di Ferrara, dove è anche direttore del Laboratorio di antichità e comunicazione (LAC), e docente presso la scuola di dottorato dell’Università di Bologna. Il titolo è La Sindone. Storia e misteri  (Odoya 2017). L’autorevole contributo del prof. Zerbini si è proprio concentrato sul contesto storico del processo e della crocifissione di Gesù e della ricostruzione del percorso storico compiuto dalla Sindone.



La Sindone «di puro lino» viene effettivamente citata dagli antichi liturgisti orientali e latini, come appare nei testi di San Giovanni IV Nesteutes, patriarca di Costantinopoli e San Germano, vescovo di Parigi (VI secolo), San Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza (IX secolo), Remigio d’Auxerre (IX-X secolo), Onorio di Autun (XII secolo) e così via. Arculfo, vescovo della Gallia del VII secolo, riferì anche di aver visto il sudarium che era stato sul capo di Gesù durante il suo viaggio in Palestina, assieme ad un linteamen più grande, sul quale compariva l’immagine dello stesso Signore. La presenza a Gerusalemme di un sudarium di Cristo nella Basilica del Santo Sepolcro è testimoniata anche dal “Commemoratorium de casis Dei vel monasteriis” (808 d.C.) redatto per l’imperatore Carlo Magno.


La prima presenza certa della Sindone risale comunque al 1356-1370, riprodotta in un Medaglione votivo ritrovato nel 1855 su cui appare uno stemma legato a Geoffroy I de Charny. Quest’ultimo, cavaliere crociato, ebbe certamente possesso della Sindone. Come arrivò nelle sue mani? Esistono varie ipotesi, le più certificate sono concordi nel seguire per l’appunto la pista dei Crociati o dei Templari, nati per difendere i luoghi santi e i pellegrini che li visitavano. D’altra parte su un coperchio di cassa ritrovato nel 1944 a Templecombe, nel sito che fu una precettoria templare dal 1185 sino all’inizio del XIV secolo, è venuta alla luce l’immagine di un uomo barbuto simile al Volto della Sindone: con la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata sono emersi ben centoventicinque punti di congruenza tra le due immagini.


A questo proposito, è davvero interessante l’approfondimento di Marinelli e Zerbini sulla somiglianza «tra il volto sindonico e la maggior parte delle raffigurazioni di Cristo conosciute nell’arte, sia orientale sia occidentale». «E’ evidente», scrivono «e non può essere attribuita a un puro caso; deve essere il risultato di una dipendenza, mediata o immediata, di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune». A chi ipotizza che è stato il presunto autore della Sindone a copiare l’immagine classica nella raffigurazione di Gesù nell’arte, rispondono che «è una tesi non sostenibile, perché le ricerche e le analisi eseguite sulla reliquia hanno escluso, con certezza assoluta, ogni ipotesi di una fabbricazione con mezzi artistici» dell’immagine sindonica. Sia le immagini classiche di Cristo, sia l’Uomo della Sindone, presentano «parecchi elementi non regolari, difficilmente attribuibili alla fantasia degli artisti, che permettono di dedurre come le antiche raffigurazioni del volto di Gesù possano dipendere dalla venerata reliquia» (p. 155).


L’ispirazione sindonica «è evidente, ad esempio, nei segni esistenti tra le sopracciglia, sulla fronte e sulla guancia destra del volto di Cristo delle catacombe di Ponziano a Roma (VIII secolo). Il volto di Cristo di Hosios Loukas nella Focide, databile attorno all’anno Mille, e quello della chiesa di Santa Sofia a Kiev, della prima metà dell’XI secolo, mostrano realmente la stessa persona» (p. 156). Occorre anche considerare che la Sacra Scrittura non tramanda alcuna descrizione della persona fisica del Salvatore e nei primi tempi del Cristianesimo furono usati soltanto simboli (come l’agnello, il pane, il pesce ecc.). Altre prove di una matrice comune sono nel volto di Cristo nella cappella di San Lorenzo in Palatio a Roma (V-VI secolo), il mosaico della Cappella di San Venanzio presso il Battistero di San Giovanni in Laterano (VII secolo), il Cristo della Cattedrale di Tarquinia (XII secolo), il Salvatore della Cattedrale di Sutri (XIII secolo) e il mosaico (XIII secolo) dell’abside della Basilica di San Giovanni in Laterano. Ancora più evidente è la coincidenza tra il volto sindonico e quello che appare sul vaso d’argento del VI secolo trovato a Homs (in Siria). Qui sotto alcuni esempi.





 


La seconda parte del libro affronta l’argomento dal punto di vista scientifico, ripercorrendo tutti gli studi e le evidenze emerse, così come una descrizione di quanto avvenuto durante il prelievo per la datazione tramite radiocarbonio.








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