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PROBLEMATICHE DI ESCATOLOGIA: SIGNIFICATO E SPIEGAZIONI

Ultimo Aggiornamento: 24/09/2021 16:06
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24/09/2021 16:03
 
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4 - La realtà della risurrezione nel contesto teologico attuale

4.1. Si comprende facilmente che, partendo da questa doppia linea dottrinale del Nuovo Testamento, tutta la tradizione cristiana, senza eccezioni di grande importanza, abbia concepito, quasi fino ai nostri giorni, l'oggetto della speranza escatologica come costituito da una duplice fase. Essa ritiene che, tra la morte dell'uomo e la fine del mondo, sussista un elemento cosciente dell'uomo, che chiama col nome di «anima» (psychê), usato pure dalla sacra Scrittura (cf. Sap 3,1; Mt 10,28) e che già in essa è soggetto di retribuzione. Nella parusia del Signore, che avverrà alla fine della storia, si spera la risurrezione beata di «quelli che sono di Cristo» (1Cor 15,23). Da allora comincia la glorificazione eterna di tutto l'uomo già risorto. La sopravvivenza dell'anima cosciente, previa alla risurrezione, salva la continuità e l'identità di sussistenza tra l'uomo che visse e l'uomo che risorgerà, in quanto grazie ad essa l'uomo concreto mai cessa totalmente di esistere.

4.2. Come eccezioni di fronte a questa tradizione, vanno ricordati alcuni cristiani del secondo secolo, i quali, sotto l'influsso degli gnostici, si opponevano alla «salvezza della carne», chiamando risurrezione la pura sopravvivenza dell'anima dotata di una certa corporeità. Altra eccezione è il «tnetopsichismo» di Taziano e di alcuni eretici arabi, i quali pensavano che l'uomo morisse totalmente in modo che neppure l'anima sopravvivrebbe. La risurrezione finale veniva concepita come una nuova creazione dal nulla dell'uomo morto. Dopo di essi, fino quasi ai nostri tempi non c'è stata praticamente nessuna eccezione su questo tema. Martin Lutero non costituisce un'eccezione, poiché ammette la duplice fase escatologica. Secondo lui la morte è «la separazione dell'anima dal corpo»; egli sostiene che le anime sopravvivono tra la morte e la risurrezione finale, sebbene abbia espresso dubbi sul modo di concepire lo stato in cui le anime si trovano tra la morte e la risurrezione: talvolta ammise che forse in cielo i santi pregano per noi, altre volte invece pensò che le anime si trovino in uno stato di sonno. Non negò mai, perciò, lo stato intermedio, solo che lo ha interpretato in modo diverso dalla fede cattolica. L'ortodossia luterana conservò la duplice fase, abbandonando l'idea del sonno delle anime.

4.3. La negazione della duplice fase cominciò a propagarsi per la prima volta nel secolo XX. La nuova tendenza apparve in alcuni teologi evangelici e, certamente, nella forma della morte totale (Ganztod, come l'antico «tnetopsichismo») e di una risurrezione alla fine dei tempi, spiegata come creazione dal nulla. Le ragioni, cui si richiamava, erano prevalentemente confessionali: l'uomo non potrebbe presentare nulla di proprio di fronte a Dio, non solo le opere ma neppure la stessa immortalità naturale dell'anima; la serietà della morte si manterrebbe solo se riguardasse tutto l'uomo e non solo il corpo; poiché la morte è la pena del peccato e tutto l'uomo è peccatore, tutto l'uomo dev'essere toccato dalla morte, senza che si ritenga venga liberata dalla morte l'anima, nella quale si trova la radice del peccato. A poco a poco, quasi in modo programmatico, cominciò a essere proposto un nuovo schema escatologico: solo la risurrezione al posto della immortalità e della risurrezione. Questa prima forma della tendenza presentava moltissime difficoltà: se tutto l'uomo scompare nella morte, Dio potrebbe creare un uomo completamente uguale a quello; ma se tra i due non c'è alcuna continuità esistenziale, il secondo uomo non può essere il medesimo del primo. Perciò si elaborarono nuove teorie che affermano la risurrezione nella morte, affinché non vi sia uno spazio vuoto tra la morte e la parusia. Bisogna confessare che in tal modo viene introdotto un tema sconosciuto al Nuovo Testamento, poiché nel Nuovo Testamento si parla sempre della risurrezione nella parusia e mai nella morte dell'uomo. Quando la nuova tendenza cominciò a passare ad alcuni teologi cattolici, la Santa Sede, con una lettera inviata a tutti i vescovi, la considerò dissonante dal legittimo pluralismo teologico.

4.4. Tutte queste teorie dovrebbero essere vagliate con un esame sereno della testimonianza biblica e della storia della tradizione, sia per quanto riguarda la stessa escatologia sia per i suoi presupposti antropologici. Infatti ci si può domandare ragionevolmente se una teoria può facilmente spogliarsi di tutti i motivi che le dettero origine. Di ciò bisogna tenere particolarmente conto, quando di fatto un determinato indirizzo teologico è sorto da princìpi confessionali non cattolici. Inoltre andrebbero tenuti presenti gli inconvenienti per il dialogo ecumenico, che sorgerebbero dalla nuova concezione. Sebbene la tendenza sia nata tra alcuni teologi evangelici, non corrisponde alla grande tradizione dell'ortodossia luterana, che ancora adesso è prevalente tra i fedeli di tale confessione. Tra i cristiani orientali separati è ancora più forte la persuasione circa un'escatologia delle anime, previa alla risurrezione dei morti. Tutti questi cristiani ritengono che sia necessaria l'escatologia delle anime, perché considerano la risurrezione dei morti in connessione con la parusia di Cristo. Più ancora, se guardiamo fuori dall'ambito delle confessioni cristiane, occorre considerare che l'escatologia delle anime è un bene molto comune alle religioni non cristiane. Nel pensiero cristiano tradizionale, l'escatologia delle anime è uno stato nel quale, lungo la storia, i fratelli in Cristo si riuniscono successivamente con lui e in lui. Il pensiero dell'unione familiare delle anime nella morte, il quale non è completamente estraneo a non poche religioni africane, offre un'opportunità per un dialogo interreligioso con esse. Bisogna aggiungere inoltre che nel cristianesimo tale riunione giunge al suo culmine alla fine della storia, quando gli uomini sono condotti con la risurrezione alla loro piena realtà esistenziale, anche corporea.

4.5. Nella storia di questo problema si propose più tardi un altro modo di argomentare a favore della fase unica. Si obietta che lo schema della duplice fase sarebbe sorto da una contaminazione prodotta dall'ellenismo. L'unica idea biblica sarebbe quella della risurrezione; all'opposto l'immortalità dell'anima deriverebbe dalla filosofia greca. Di conseguenza si propone di purificare l'escatologia cristiana da ogni aggiunta dell'ellenismo. Occorre riconoscere che l'idea di risurrezione è piuttosto recente nella sacra Scrittura (Dn 12,1-3 è il primo testo indiscusso in merito). La più antica concezione degli ebrei affermava piuttosto la persistenza delle ombre degli uomini che erano vissuti (refaim) in un luogo comune dei morti (sheol), diverso dai sepolcri. Questo modo di pensare è abbastanza simile al modo in cui Omero parlava delle anime (psychai) nell'averno (hadeìs). Tale parallelismo tra la cultura ebraica e quella greca, che esiste pure in altre epoche, fa dubitare della loro supposta opposizione. Nell'antichità, lungo tutte le rive del mare Mediterraneo, le somiglianze culturali e gli influssi reciproci furono molto maggiori di quello che frequentemente si pensa, senza che costituiscano un fenomeno posteriore alla sacra Scrittura e contaminatorio del suo messaggio. D'altro canto, non si può supporre che solo le categorie ebraiche siano state strumento della rivelazione divina. Dio ha parlato «molte volte e in diversi modi» (Eb 1,1). Non si può pensare che i libri della sacra Scrittura, nei quali l'ispirazione si esprime con parole e concetti culturali greci, abbiano, perciò, un'autorità minore di quelli scritti in ebraico o aramaico. Infine non è possibile parlare di mentalità ebraica e greca come se si trattasse di unità semplici. Le concezioni escatologiche imperfette dei patriarchi sono state via via perfezionate dalla rivelazione posteriore. Da parte sua, la filosofia greca non si riduce al platonismo o al neoplatonismo. Non lo si può dimenticare, poiché esistono già molti contatti dei padri non solo con il platonismo medio, ma anche con lo stoicismo. Per questa ragione si dovrebbero esporre tenendo conto di molte sfumature sia la storia della rivelazione e della tradizione, sia le relazioni tra la cultura ebraica e quella greca.



5 - L'uomo chiamato alla risurrezione

5.1. Il concilio Vaticano II insegna: «Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. [...] L'uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo: a questa profonda interiorità egli torna, quando si volge al cuore, là dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio decide del suo destino. Perciò riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da fallaci finzioni che fluiscono unicamente dalle condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondità la verità stessa delle cose». Con queste parole il concilio riconosce il valore dell'esperienza spontanea ed elementare, attraverso la quale l'uomo percepisce se stesso come superiore a tutte le altre creature terrene e, certamente, perché è capace di possedere Dio con la conoscenza e con l'amore.

La differenza fondamentale tra gli uomini e queste altre creature si manifesta nella tendenza innata alla felicità, la quale fa sì che l'uomo aborrisca e respinga l'idea di un totale annientamento della sua persona; l'anima, cioè «il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte». Poiché quest'anima immortale è spirituale, la Chiesa sostiene che Dio è il suo Creatore in ogni uomo. Quest'antropologia rende possibile l'escatologia, già citata, della duplice fase. Poiché quest'antropologia cristiana include una dualità di elementi (lo schema «corpo-anima»), che si possono separare in modo che uno di essi («l'anima spirituale e immortale») sussista e sopravviva separato, è stata talora accusata di dualismo platonico. La parola «dualismo» si può intendere in molti modi. Perciò, quando si parla dell'antropologia cristiana, è meglio usare il termine «dualità». D'altronde, poiché nella tradizione cristiana lo stato di sopravvivenza dell'anima dopo la morte non è definitivo né ontologicamente supremo, bensì «intermedio» e transitorio, e ordinato, alla fine, alla risurrezione, l'antropologia cristiana ha caratteristiche del tutto proprie ed è diversa dalla nota antropologia dei platonici.

5.2. Inoltre non si può confondere l'antropologia cristiana con il dualismo platonico, poiché in essa l'uomo non è solamente l'anima, in modo che il corpo sia un carcere detestabile. Il cristiano non si vergogna del corpo come fa Plotino. La speranza della risurrezione sembrerebbe assurda ai platonici, poiché non si può porre la speranza in un ritorno al carcere. Ciò nonostante, questa speranza della risurrezione è centrale nel Nuovo Testamento. Di conseguenza, con tale speranza la teologia cristiana primitiva considerava l'anima separata un «mezzo uomo» e da ciò deduceva che era conveniente che poi seguisse la risurrezione: «Sarebbe indegno di Dio condurre alla salvezza un mezzo uomo». Sant'Agostino esprime bene il pensiero comune dei padri, quando scrive circa l'anima separata: «È inerente nell'anima una specie di brama naturale di governare il corpo: [...] fino a quando non sarà riunita al corpo, in modo che quella sua brama rimanga soddisfatta nel governare il corpo».

5.3. L'antropologia di dualità si trova in Mt 10,28: «E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna». Questo logion, inteso alla luce dell'antropologia e dell'escatologia di quel tempo, ci insegna che è un fatto voluto da Dio che l'anima sopravviva dopo la morte terrena finché nella risurrezione si unisca, di nuovo, al corpo. Non c'è da meravigliarsi che il Signore abbia pronunciato queste parole in occasione di un insegnamento sul martirio. La storia biblica mostra che il martirio, per la verità, costituisce pure il momento privilegiato nel quale si illuminano con la luce della fede tanto la creazione fatta da Dio, quanto la futura risurrezione escatologica e la promessa della vita eterna (cf. 2Mac 7,9.11.14.22-23.28 e 36). Anche nel Libro della Sapienza la rivelazione dell'escatologia delle anime si trova in un contesto nel quale si parla di quelli che «agli occhi degli uomini subiscono castighi» (Sap 3,4); sebbene «agli occhi degli stolti parve che morissero; e la loro fine fu ritenuta una sciagura» (Sap 3,2), «le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio» (Sap 3,1). Questa escatologia delle anime è unita nello stesso libro con la chiara affermazione del potere di Dio di attuare la risurrezione degli uomini (cf. Sap 16,13-14).

5.4. Accettando fedelmente le parole del Signore in Mt 10,28, «la Chiesa afferma la continuità e la sopravvivenza, dopo la morte, di un elemento spirituale dotato di coscienza e di volontà, in modo che sussista il medesimo "io" umano, mancante intanto del complemento del suo corpo». Quest'affermazione si fonda sulla dualità caratteristica dell'antropologia cristiana. Ciò nonostante, a quest'affermazione vengono opposte talvolta alcune parole di san Tommaso, il quale sostiene che «la mia anima non è l'io"». Ma il contesto di quest'affermazione è costituito dalle parole immediatamente precedenti, nelle quali si sottolinea che l'anima è una parte dell'uomo. Tale dottrina è costante nella Summa theologiae di san Tommaso: quando si obietta che «l'anima separata è una sostanza individua di natura razionale, ma non è una persona», egli risponde: «L'anima è soltanto una parte dell'uomo: e come tale, anche separata, ritiene la capacità di riunirsi [al corpo], e non può essere detta una sostanza individua come l'ipostasi o la sostanza prima; e così è della mano, e di qualsiasi altra parte dell'uomo. Perciò non le conviene né la definizione né il nome di persona». In questo senso, in quanto l'anima umana non è tutto l'uomo, si può dire che essa non è l'«io». Più ancora, questo va mantenuto perché continui la linea tradizionale dell'antropologia cristiana. Perciò da qui san Tommaso deduce che nell'anima separata esiste una tendenza verso il corpo, cioè alla risurrezione. Questa posizione di san Tommaso manifesta il senso tradizionale dell'antropologia cristiana, come già la esprimeva sant'Agostino.

Tuttavia, in un altro senso, si può e si deve dire che nell'anima separata sussiste «il medesimo "io" umano», poiché, essendo l'elemento cosciente e sussistente dell'uomo, possiamo sostenere, grazie ad essa, una vera continuità tra l'uomo che visse sulla terra e l'uomo che risorgerà. Senza tale continuità di un elemento umano sussistente, l'uomo che visse sulla terra e quello che risorgerà non sarebbero il medesimo «io». A causa di essa rimangono dopo la morte gli atti d'intelligenza e di volontà compiuti sulla terra. Essa, anche in quanto separata, compie atti personali d'intelligenza e di volontà. Inoltre la sussistenza dell'anima separata è chiara per la prassi della Chiesa, la quale rivolge preghiere alle anime dei beati. Da queste considerazioni appare che, da una parte, l'anima separata è una realtà ontologicamente incompleta e, dall'altra, è cosciente; più ancora, secondo la definizione di Benedetto XII, le anime dei santi, pienamente purificate «immediatamente dopo la morte» e, certamente, già in quanto separate («prima della risurrezione dei propri corpi»), possiedono la felicità piena della visione intuitiva di Dio. Tale felicità in sé è perfetta e non può darsi nulla che sia specificamente superiore. La stessa trasformazione gloriosa del corpo nella risurrezione è effetto di questa visione riguardo al corpo; in tal senso Paolo parla di un corpo spirituale (cf. 1Cor 15,44), cioè conformato dall'influsso dello «spirito», e non già solamente dell'anima («corpo psichico»). La risurrezione finale, se la si paragona con la felicità dell'anima individuale, implica anche l'aspetto ecclesiale, in quanto allora tutti i fratelli che sono di Cristo, arriveranno alla pienezza (cf. Ap 6,11). Allora tutta la creazione sarà sottomessa a Cristo (cf. 1Cor 15,27-28) e così pure «sarà liberata dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,21).

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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