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PROBLEMATICHE DI ESCATOLOGIA: SIGNIFICATO E SPIEGAZIONI

Ultimo Aggiornamento: 24/09/2021 16:06
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24/09/2021 16:02
 
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LA SPERANZA CRISTIANA DELLA RISURREZIONE

1 - La risurrezione di Cristo e la nostra

1.1. L'apostolo Paolo scriveva ai corinzi: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4). Ebbene Cristo non solo risuscitò di fatto, ma egli è «la risurrezione e la vita» (Gv 11,25) ed è anche la speranza della nostra risurrezione. Perciò i cristiani di oggi, come quelli dei tempi passati, nel Credo niceno-costantinopolitano, nella stessa formula «dell'immortale tradizione della santa Chiesa di Dio», nella quale professano la fede in Gesù Cristo, che «risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture», aggiungono: «Aspettiamo la risurrezione dei morti». In questa professione di fede riecheggiano le testimonianze del Nuovo Testamento: «Risusciteranno i morti in Cristo» (1Ts 4,16). «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20). Questo modo di parlare implica che il fatto della risurrezione di Cristo non è un qualcosa di chiuso in se stesso, ma si estenderà un giorno a quelli che sono di Cristo. Poiché la nostra risurrezione futura è «l'estensione della medesima risurrezione di Cristo agli uomini», s'intende bene che la risurrezione del Signore è modello della nostra risurrezione. La risurrezione di Cristo è pure la causa della nostra risurrezione futura, «poiché, se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti» (1Cor 15,21).

Attraverso la nascita battesimale della Chiesa e dello Spirito Santo risuscitiamo sacramentalmente in Cristo risorto (cf. Col 2,12). La risurrezione di quelli che sono di Cristo si deve considerare come il culmine del mistero già iniziato nel battesimo. Per questa ragione essa si presenta come la comunione suprema con Cristo e con i fratelli e anche come l'oggetto più alto della speranza: «E così saremo sempre con il Signore» (1Ts 4,17; «saremo» al plurale!). Quindi la risurrezione finale gloriosa sarà la comunione perfettissima, anche corporale, tra quelli che sono di Cristo, già risorti, e il Signore glorioso. Da tutto ciò appare che la risurrezione del Signore è come lo spazio della nostra futura risurrezione gloriosa e che la nostra stessa futura risurrezione va interpretata come un avvenimento ecclesiale. A causa di questa fede, come Paolo nell'Areopago, anche i cristiani del nostro tempo, quando attestano la risurrezione dei morti, sono oggetto di derisione (cf. At 17,32). La situazione attuale su questo punto non è diversa da quella che Origene descriveva al suo tempo: «Inoltre, il mistero della risurrezione, poiché non è compreso, è fatto oggetto di commenti canzonatori da parte degli infedeli».

Quegli attacchi e quelle canzonature non riuscirono a far sì che i cristiani dei primi secoli desistessero dal professare la loro fede nella risurrezione o che i teologi di quella prima età ne abbandonassero l'esposizione. Tutti i simboli della fede - come quello già citato - culminano con questo articolo sulla risurrezione. La risurrezione dei morti è «il tema monografico più frequente della teologia precostantiniana; a stento si trova un'opera della teologia cristiana primitiva che non parli della risurrezione». Neppure l'opposizione attuale deve intimorirci. La professione della risurrezione fin dal tempo patristico viene formulata in modo completamente realistico. Pare che la formula «risurrezione della carne» sia entrata nel Simbolo romano antico, e dopo di esso in molti altri, per evitare un'interpretazione spiritualistica della risurrezione, la quale per influsso gnostico attraeva alcuni cristiani. Nel concilio di Toledo XI (675) viene esposta la dottrina in modo riflesso: si respinge l'opinione che la risurrezione avvenga «in una carne aerea o in un'altra qualsiasi»; la fede si riferisce alla risurrezione «in questa [carne] in cui viviamo, sussistiamo e ci muoviamo»; questa confessione tiene presente il «modello offertoci in Cristo nostro capo », cioè alla luce della risurrezione di Cristo.

Quest'ultima allusione a Cristo risorto mostra che il realismo va mantenuto in modo che non escluda la trasformazione dei corpi che vivono sulla terra in corpi gloriosi. Ma un corpo etereo, che sarebbe una creazione nuova, non corrisponderebbe alla realtà della risurrezione di Cristo e introdurrebbe con ciò un elemento mitico. I padri di questo concilio presuppongono quella concezione della risurrezione di Cristo che è l'unica coerente con le affermazioni bibliche sul sepolcro vuoto e sulle apparizioni di Gesù risorto (si ricordi l'uso del verbo ôphthê per esprimere le apparizioni del Signore risorto e, fra i racconti di apparizioni, quelle chiamate «scene di riconoscimento»). Ciò nonostante, questa risurrezione conserva la tensione tra la continuità reale del corpo (il corpo che fu inchiodato sulla croce è lo stesso corpo che è risorto e si manifesta ai discepoli) e la trasformazione gloriosa di questo stesso corpo. Gesù risorto non solo invitò i discepoli a toccarlo, perché «un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho», ma mostrò loro le mani e i piedi perché verificassero «che sono proprio io» (Lc 24,39: oti egô eimi autos). Tuttavia nella sua risurrezione non riprese lo stato di vita terrena e mortale. Così, pur mantenendo il realismo riguardo alla futura risurrezione dei morti, non dimentichiamo in nessun modo che la nostra vera carne nella risurrezione sarà conforme al corpo glorioso di Cristo (cf. Fil 3,21). Il corpo che ora è conformato dall'anima (psychê), nella risurrezione gloriosa sarà conformato dallo spirito (pneûma) (cf. 1Cor 15,44).

1.2. Nella storia di questo dogma costituisce una novità (almeno dopo che è stata superata quella tendenza che apparve nel II secolo per influsso degli gnostici) il fatto che nel nostro tempo alcuni teologi sottopongano a critica questo realismo. La rappresentazione tradizionale della risurrezione pare loro troppo grezza. Specialmente suscitano difficoltà le descrizioni troppo fisiche del fatto della risurrezione. Perciò si cerca rifugio, talora, in qualche spiegazione spiritualistica di essa e per tale motivo si chiede una nuova interpretazione delle affermazioni tradizionali sulla risurrezione. L'ermeneutica teologica delle affermazioni escatologiche dev'essere corretta. Esse non possono essere trattate come affermazioni che si riferiscono meramente al futuro (che, in quanto tali, hanno uno statuto logico differente dalle affermazioni riguardanti realtà passate e presenti, le quali possono essere descritte come oggetti che si possono provare), perché, sebbene rispetto a noi non ancora si siano realizzate - e in tal senso sono future -, in Cristo invece si sono già realizzate. Per evitare le esagerazioni tanto con una descrizione eccessivamente fisica, quanto con una spiritualizzazione degli avvenimenti, si possono indicare alcune linee fondamentali.

1.2.1. Spetta a un'ermeneutica propriamente teologica la piena accettazione delle verità rivelate. Dio possiede la scienza del futuro, che può pure rivelare all'uomo come verità degna di fede.

1.2.2. Ciò si è manifestato nella risurrezione di Cristo, alla quale fa riferimento tutta la letteratura patristica, quando parla della risurrezione dei morti. Quello che nel popolo eletto cresceva nella speranza, è diventato realtà nella risurrezione di Cristo. Accettata per fede, la risurrezione di Cristo significa qualcosa di definitivo anche per la risurrezione dei morti.

1.2.3. Bisogna avere una concezione dell'uomo e del mondo fondata sulla Scrittura e sulla ragione, che sia idonea a riconoscere l'alta vocazione dell'uomo e del mondo, in quanto creati. Ma bisogna sottolineare ancor più che «Dio è il "novissimo" della creatura. In quanto raggiunto è cielo; in quanto perso, inferno; in quanto discerne, giudizio; in quanto purifica, purgatorio. Egli è colui nel quale il finito muore, e per il quale a lui e in lui risuscita. Egli è così come si volge al mondo, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo, che è la manifestazione di Dio e anche la somma dei "novissimi"». La cura necessaria per conservare il realismo nella dottrina sul corpo risorto non deve far dimenticare la primarietà di tale aspetto di comunione e di associazione con Dio in Cristo (questa nostra comunione in Cristo risorto sarà completa quando anche noi saremo risorti corporalmente), le quali sono il fine ultimo dell'uomo, della Chiesa e del mondo.

1.2.4. Anche il rifiuto del «docetismo» escatologico esige che non s'intenda la comunione con Dio nell'ultimo stadio escatologico come qualcosa di meramente spirituale. Dio, che nella sua rivelazione ci invita a una comunione ultima, è simultaneamente il Dio della creazione di questo mondo. Anche questa «opera prima» sarà alla fine assunta nella glorificazione. In tal senso il concilio Vaticano II afferma che, «restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo».

1.2.5. Infine bisogna notare che nei Simboli esistono formule dogmatiche piene di realismo circa il corpo della risurrezione. La risurrezione avverrà «in questa carne, nella quale ora viviamo». Perciò è lo stesso corpo quello che ora vive e quello che risorgerà. Questa fede appare chiaramente nella teologia cristiana primitiva. Così sant'Ireneo ammette la «trasfigurazione» della carne, perché, «essendo mortale e corruttibile, diventa immortale e incorruttibile» nella risurrezione finale. Ma tale risurrezione si compirà «negli stessi [corpi] che erano morti; perché se non fosse negli stessi, neppure risusciterebbero coloro che erano morti». I padri ritengono, quindi, che senza identità corporale non si possa difendere l'identità della persona. La Chiesa non ha mai insegnato che sia necessaria la medesima materia perché si possa dire che il corpo sia lo stesso. Ma il culto delle reliquie, attraverso il quale i cristiani professano che i corpi dei santi «che un tempo erano membra vive del Cristo stesso e tempio dello Spirito Santo [...] saranno da lui risuscitati per la vita eterna e glorificati», mostra che la risurrezione non si può spiegare indipendentemente dal corpo che visse.
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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