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PROBLEMATICHE DI ESCATOLOGIA: SIGNIFICATO E SPIEGAZIONI

Ultimo Aggiornamento: 24/09/2021 16:06
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24/09/2021 16:01
 
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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE



PROBLEMI ATTUALI DI ESCATOLOGIA

(1990)



INTRODUZIONE



La perplessità oggi frequente di fronte alla morte e all'esistenza dopo la morte

1. Senza l'affermazione della risurrezione di Cristo la fede cristiana è vana (cf. 1Cor 15,14). Ma poiché c'è una connessione intima tra il fatto della risurrezione di Cristo e la speranza della nostra futura risurrezione (cf. 1Cor 15,12), Cristo risorto costituisce anche il fondamento della nostra speranza, che si apre al di là dei confini di questa nostra vita terrena. Infatti, «se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19). Senza tale speranza sarebbe impossibile condurre una vita cristiana. Questa connessione tra la ferma speranza della vita futura e la possibilità di rispondere alle esigenze della vita cristiana era percepita con chiarezza già nella Chiesa primitiva. Allora si ricordava infatti che gli apostoli avevano raggiunto la gloria attraverso le sofferenze; e così pure coloro che erano condotti al martirio trovavano forza nella speranza d'incontrare Cristo attraverso la morte e nella speranza della propria risurrezione futura. I santi fino ai nostri tempi, mossi da questa speranza o fondati in essa, diedero la vita con il martirio o la impegnarono al servizio di Cristo e dei fratelli. Essi offrono una testimonianza, guardando alla quale gli altri cristiani, nel loro cammino verso Cristo, diventano più forti. Questa speranza eleva il cuore dei cristiani alle cose celesti, senza distoglierli dal compiere pure gli obblighi che hanno in questo mondo, perché «l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente».

Tuttavia il mondo contemporaneo pone molteplici insidie alla speranza cristiana. Esso infatti è fortemente segnato dal secolarismo, «che consiste in una visione autonomistica dell'uomo e del mondo, la quale prescinde dalla dimensione del mistero, anzi la trascura e la nega. Questo immanentismo è una riduzione della visione integrale dell'uomo». Il secolarismo costituisce quasi un'atmosfera, all'interno della quale vivono moltissimi cristiani del nostro tempo. Soltanto con grande difficoltà essi possono liberarsi del suo influsso. Perciò non c'è da meravigliarsi se anche tra alcuni cristiani sorgono perplessità circa la speranza escatologica. Frequentemente guardano con ansia alla morte futura; sono afflitti non solo «al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, e anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre». In tutti i tempi della storia i cristiani sono stati esposti alle tentazioni del dubbio. Ma, ai nostri tempi, le ansie di molti cristiani sembrano indicare una debolezza della speranza. Siccome «la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1), sarà opportuno tenere presenti con maggiore costanza le verità della fede cattolica che riguardano il proprio destino futuro. Cercheremo di riunirle in una sintesi, mettendone in evidenza soprattutto quegli aspetti che possono dare direttamente una risposta alle ansie contemporanee. La fede così sosterrà la speranza. Prima però d'intraprendere tale compito, è necessario delineare i fondamenti principali dai quali pare provengano le odierne ansie. Bisogna riconoscere che, ai nostri giorni, la fede dei cristiani viene scossa non solo da influssi che devono essere considerati esterni alla Chiesa: oggi si può scoprire l'esistenza di una certa «penombra teologica».

Non mancano infatti alcune nuove interpretazioni dei dogmi, che i fedeli percepiscono come se in esse fossero messe in dubbio la stessa divinità di Cristo e la realtà della sua risurrezione. Da tali opinioni i fedeli non ricevono alcun sostegno alla propria fede, anzi piuttosto hanno motivo di porre in dubbio molte altre verità di fede. L'immagine di Cristo che traggono da tali reinterpretazioni non può proteggere la loro speranza. Nel campo direttamente escatologico vanno ricordate le «controversie teologiche largamente divulgate nell'opinione pubblica, delle quali la maggior parte dei fedeli non è in condizione di distinguere né l'oggetto né la portata. Si sente discutere sull'esistenza dell'anima, sul significato della sopravvivenza; così pure ci s'interroga su quale relazione ci sia tra la morte del cristiano e la risurrezione universale. Tutto ciò disorienta il popolo cristiano, che non riconosce né il proprio lessico, né le nozioni familiari». Tali dubbi teologici esercitano frequentemente un influsso non lieve sulla catechesi e sulla predicazione, poiché, quando si insegna la dottrina, o vengono manifestati di nuovo o inducono al silenzio circa le verità escatologiche. Al fenomeno del secolarismo è immediatamente unita la persuasione ampiamente diffusa, e certamente non senza l'intervento dei mezzi di comunicazione di massa, che l'uomo, come tutte le altre cose che esistono nello spazio e nel tempo, non è altro che materia e che con la morte svanirebbe totalmente. Inoltre la cultura attuale, che si sviluppa in questo contesto storico, si sforza con tutti i mezzi di far dimenticare la morte e le domande che inevitabilmente sono unite ad essa. D'altra parte, la speranza viene scossa dal pessimismo circa la stessa bontà della natura umana, nel quale ha origine l'aumento di angosce e afflizioni.

Dopo l'immensa crudeltà mostrata dagli uomini del nostro secolo nella seconda guerra mondiale, vi era in genere la diffusa speranza che essi, ammaestrati dalla dura esperienza, avrebbero instaurato un ordine migliore, di libertà e di giustizia. Ciò nonostante, in un breve spazio di tempo, sopraggiunse un'amara delusione: «Crescono infatti oggi ovunque nel mondo la fame, l'oppressione, l'ingiustizia e la guerra, le sofferenze, il terrorismo e altre forme di violenza di ogni genere». Nelle nazioni ricche moltissimi sono attratti «dalla idolatria dei beni materiali (il cosiddetto consumismo)» e non si curano del prossimo. È facile pensare che l'uomo contemporaneo, schiavo, in tale grado, degli istinti e delle concupiscenze e assetato esclusivamente dei beni terreni, non sia per nulla destinato a un fine superiore. In tal modo molti uomini dubitano se la morte li porti al nulla o a una vita nuova. Fra coloro i quali ritengono che esista una vita dopo la morte, molti la immaginano di nuovo sulla terra attraverso la reincarnazione, in modo che il corso della nostra vita terrena non sarebbe unico. L'indifferentismo religioso dubita del fondamento della speranza di una vita eterna, cioè se esso sia fondato sulla promessa di Dio attraverso Gesù Cristo o se si debba fondarlo su un altro salvatore che bisogna attendere. La «penombra teologica» favorisce ulteriormente questo indifferentismo, in quanto suscita dubbi intorno alla vera immagine di Cristo, i quali rendono difficile a molti cristiani lo sperare in lui.

2. Oggi l'escatologia viene passata sotto silenzio anche per altri motivi, dei quali ne indichiamo almeno uno: la rinascita della tendenza ad affermare un'escatologia intramondana. Si tratta di una tendenza ben conosciuta nella storia della teologia e che dopo il medioevo costituisce quella che si è soliti chiamare «la posterità spirituale di Gioacchino da Fiore». Questa tendenza è coltivata da alcuni teologi della liberazione, i quali insistono in modo tale sull'importanza di costruire il regno di Dio già dentro la nostra storia, che la salvezza trascendente la storia sembra passare in secondo piano. Certo questi teologi non negano in alcun modo la verità delle realtà posteriori alla vita umana e alla storia. Ma, siccome il regno di Dio viene collocato in una società senza classi, la «terza età», nella quale verranno realizzati il «Vangelo eterno» (Ap 14,6-7) e il regno dello Spirito, è introdotta in una forma nuova, attraverso una sua versione secolarizzata. In tal modo si trasferisce all'interno del tempo storico un certo eschaton, anche se esso è presentato non come ultimo in modo assoluto, ma in modo relativo. Ciò nonostante la prassi cristiana viene orientata a realizzarlo in modo così esclusivo che ne deriva una lettura riduttiva del Vangelo, nella quale quello che concerne le realtà assolutamente ultime in gran parte passa sotto silenzio. In tal senso, in quel sistema teologico, l'uomo «si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del regno di Dio e del suo assorbimento nell'immanenza della storia umana». La speranza teologale perde la sua piena forza quando viene sostituita da un dinamismo politico. Ciò si verifica allorché la dimensione politica diventa «la dimensione principale ed esclusiva, che conduce a una lettura riduttiva della Scrittura».

Occorre notare che non si può ammettere un modo di proporre l'escatologia che introduca una lettura riduttiva del Vangelo, anche se non viene assunto nessun elemento del sistema marxista, che difficilmente potrebbe conciliarsi con il cristianesimo. È noto che il marxismo classico considera la religione come «l'oppio» del popolo, perché essa, «elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura e fallace, lo distoglie dall'edificazione della città terrena». Una tale accusa è priva di fondamento oggettivo. Anzi è il materialismo che priva l'uomo di veri motivi per edificare il mondo. Perché bisogna lottare, se non c'è nulla da sperare dopo la vita terrena? «Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo» (Is 22,13). Al contrario, invece, è certo che «la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi». Non possiamo tuttavia escludere che ci siano stati non pochi cristiani, i quali, pensando molto al mondo futuro, hanno scelto una via pietistica, abbandonando i doveri sociali. Un tale modo di procedere va respinto. All'opposto, neanche è lecito, con un oblio del mondo futuro, realizzare una versione meramente «temporalistica» del cristianesimo nella vita personale o nell'esercizio pastorale. La nozione di liberazione «integrale», proposta dal magistero della Chiesa, conserva, allo stesso tempo, l'equilibrio e la ricchezza dei diversi elementi del messaggio evangelico. Per questo, tale nozione ci insegna il vero atteggiamento del cristianesimo e il modo corretto dell'azione pastorale, in quanto indica che bisogna mettere da parte e superare le false e inutili opposizioni tra la missione spirituale e la diaconia per il mondo. Infine questa nozione è la vera espressione della carità verso i fratelli, poiché cerca di liberarli in modo assoluto da ogni schiavitù e, in primo luogo, dalla schiavitù del cuore. Se il cristiano si preoccupa di liberare in modo integrale gli altri, in nessun modo si chiuderà dentro se stesso.

3. La risposta cristiana alla perplessità dell'uomo contemporaneo, come pure di quello di ogni tempo, ha Cristo risorto come fondamento ed è contenuta nella speranza della gloriosa risurrezione futura di tutti coloro che sono di Cristo. Sarà una risurrezione a immagine di quella di Cristo stesso: «E come abbiamo portato l'immagine [dell'Adamo] di terra, così porteremo l'immagine [dell'Adamo] celeste» (1Cor 15,49), cioè dello stesso Cristo risorto. La nostra risurrezione costituirà un avvenimento ecclesiale in connessione con la parusia del Signore, quando sarà completo il numero dei fratelli (cf. Ap 6,11). Nel frattempo, immediatamente dopo la morte, si realizza una comunione dei beati con Cristo risorto, la quale, se fosse necessario, presuppone una purificazione escatologica. La comunione con Cristo risorto, previa alla nostra risurrezione finale, implica una determinata concezione antropologica e una visione della morte tipicamente cristiane. In Cristo che è risorto e per mezzo di lui si comprende la «comunione dei beni», che esiste fra tutti i membri della Chiesa, di cui il Signore risorto è il capo. Cristo è il fine e la meta della nostra esistenza; verso di lui dobbiamo incamminarci con l'aiuto della sua grazia in questa nostra breve vita terrena. La seria responsabilità di questo cammino può essere compresa attraverso l'infinita grandezza di colui verso il quale ci dirigiamo. Noi attendiamo Cristo, non un'altra esistenza terrena simile alla presente, ed egli sarà il supremo adempimento di tutti i nostri desideri.

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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