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IL PROGRAMMA SUBLIME O LA SELEZIONE NATURALE

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2021 14:50
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11/05/2021 14:47
 
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Sorge allora la domanda: se l’alleanza del caso e del tempo può solo congiurare negativamente al livello (primo) del genotipo; se la selezione naturale può solo agire sul fenotipo, che però in quanto prodotto finito (ultimo) della programmazione risulta inefficace a migliorare gli algoritmi degli acidi nucleici; quale necessità ha pianificato e ottimizzato la ridondanza, rendendola una garante basica dell’omeostasi ed una barriera logica contro due agenti (il caso ed il tempo) incessantemente al lavoro nel genoma per l’involuzione delle specie e la loro scomparsa?


La scalata alla vetta della (relativa) stabilità non esibisce l’evidenza di uno zig zag di sentieri evolutivi usciti da una procedura per tentativi ed errori sviluppatasi casualmente in un tempo lungo generoso, ma piuttosto quella di una corsa intelligente contro un tempo ostile resa possibile da una mappa matematica iscritta in una necessità (ancora) celata. Se la biologia non è una scienza naturale “autonoma”; se, dopo Galileo, la necessità nelle scienze naturali è data dalle leggi della fisica, la tabella ridondante di traslazione RNA → aminoacidi suscita in me la vertigine di un abisso infinito. Non vedo tra i 4 campi della fisica nessun meccanismo candidabile a far da sorgente.
Gli ideologi della biologia, che non hanno mai visto un business plan e la cui immaginazione narra di geni egoisti ed autoreferenziali, saranno forse sorpresi di apprendere che la ridondanza ottimizzata del codice genetico è utilizzata in industria e in finanza per risolvere problemi non computabili, che nulla hanno a che fare con la biologia. Abbiamo visto prima che la compressione è normalmente riduttiva d’informazione. Esiste però una compressione datalossless, che non riduce l’informazione veicolata. Anche questo tipo di zippaggio purtroppo, è ottenuto in industria con tecniche approssimative, solo parzialmente soddisfacenti, perché la scelta di un codice che azzeri le ridondanze è forse un problema di complessità non computabile. Ebbene, oggi la compressione datalossless che troviamo realizzata a livello ottimale nel DNA viene utilizzata per simulare la soluzione di problemi che ci risulterebbero altrimenti insolvibili. Così, si è scoperto che l’organizzazione assemblativa delle componenti del DNA è matematicamente ottimizzata non solo in termini di spazio, ma anche di compressione logica! L’osservazione del DNA è risultata più vantaggiosa del calcolo tradizionale approssimativo via computer, sia dal punto di vista dell’energia consumata che dello spazio utilizzato.

La circolarità simbolica del programma genetico

In informatica, la progettazione dell’algoritmo (che consiste nella successione dei passi logici elementari, risolutivi di una classe di problemi) è distinta dalla stesura delle istruzioni in un qualche linguaggio, la programmazione; e questa è distinta dalla scelta del metalinguaggio che interpreta quelle istruzioni, e dal meta-metalinguaggio eventuale che interpreta le istruzioni traslate…; infine, queste operazioni sono distinte dalle tabelle di crittazione e decrittazione associate a coppie di linguaggi concatenati e dal sistema operativo usato, fino alla cibernetica finale che nel nostro caso è la sintesi proteica. Nella divulgazione si confonde ingenuamente il genoma con il sistema dei geni, ma le cose sono più complesse. Come sa bene chi fa programmazione anche solo a livello di scuola media, la progettazione astratta (rappresentata nel diagramma di flusso) non sceglie i linguaggi informatici, per es. Pascal o Perl, dove formalizzarsi; e questi non scelgono i linguaggi interpreti, intermedi e di controllo dell’hardware, via via fino al linguaggio-macchina che compila finalmente la catena in istruzioni eseguibili fisicamente. Dato un diagramma di flusso, non c’è nulla di più gratuito, nel senso di appartenente al mondo umano della libertà e della volontà, d’ideare una catena di linguaggi informativi e di sistemi operativi (con le loro regole di traslazione reciproca) che esegua il diagramma. Questa gratuità si tocca con mano nella pletora anarchica di programmi e sistemi che competono nel mercato di applicazioni e device.

Prima ancora dell’ottimizzazione della ridondanza, le traslazioni DNA → RNA → aminoacidi pongono il problema della loro stessa esistenza simbolica. Alcuni milioni di robot per cellula (i ribosomi) leggono le molecole di mRNA (che sono la traduzione nel linguaggio dell’RNA delle sub-routine geniche del DNA) e le trascrivono in aminoacidi secondo le regole d’una (seconda) traduzione, quelle della tabella ridondante; gli aminoacidi, al ritmo di due al secondo, vengono agganciati nella costituenda proteina. Tutto perfetto, ma… i ribosomi necessari alla proteinogenesi sono macchine controllate, già bell’e pronte e ordinatamente disposte ad una catena di montaggio, ciascuna macchina essendo ingegnerizzata con una cinquantina di proteine, già bell’e pronte e ordinatamente disposte nel sotto-sistema dei singoli robot!

Alla conquista dell’abiogenesi sono stati concepiti svariati modelli, basati sull’autocatalisi di molecole organiche a sofisticazione crescente, fino alla formazione spontanea di composti capaci di riproduzione ed ereditarietà. Ma nessuno di questi modelli affronta, a mio giudizio, il nocciolo del problema, che è formale prima che chimico: poiché non esiste un nesso fisico unidirezionale (nel senso di rapporto tra causa efficiente al tempo t ed effetto misurabile al tempo t’ > t) tra la sequenza nucleotidica (programmata) e la sequenza aminoacida (funzionale), come si possono scientificamente spiegare il simbolismo e la circolarità della catena chiusa (DNA → RNA → proteine → DNA) di corrispondenze e trascrizioni? Le cause materiali ed efficienti, cui si auto-disciplina il metodo scientifico, non hanno la capacità dei programmatori umani di concettualizzare un sistema chiuso, che impiega diversi livelli collegati di rappresentazione simbolica, perché il simbolo appartiene solo all’umano. Le triplette codoniche acquisiscono un significato funzionale nella cibernetica dell’organismo vivente solo quando gli aminoacidi che esse prescrivono sono collegati in un certo ordine, che usa due linguaggi diversi.

Ma come può auto-organizzarsi un sistema olistico operativo e traslativo? I 4 campi della fisica non hanno nulla da dire sul fenomeno della traslazione linguistica. Il rompicapo logico dell’uovo e della gallina resta lì, in piedi, suscitando le vertigini dell’inconoscibile.

La computer science applicata ha molto da imparare dalla chimica degli acidi nucleici. Tratti del DNA sono dispositivi computazionali, in quanto processano input chimici che generano output come risultanti da una sequenza di operatori logici. La chimica lascia trasparire una concettualizzazione informatica, che il successo della vita dimostra essere infinitamente più avanzata della nostra grezza, basata sulla fisica dei semiconduttori. Tutti gli operatori logici (OR, AND, ecc.) e le loro composizioni, che in elettronica simuliamo con circuiti appositi, sono risultati replicabili all’interno di reazioni e fenomeni chimici. E, a un certo livello d’integrazione, la chimica perviene al processo computazionale della programmazione vera e propria. Questi polimeri logici allora, si prestano a riconfigurazioni convenienti, con applicazioni brillanti in medicina, dove la loro dimensione molecolare è un vantaggio competitivo rispetto alle controparti convenzionali a semiconduttore. Così, la logica molecolare è utilizzata nella rilevazione chimica (in particolare intracellulare) di piccoli composti e nella diagnostica “intelligente”.

Conclusioni

Senza tirare in ballo l’alterità psichica dell’Io e il mind-body problem, che sono i problemi (scientifici?) in cima all’albero della vita, già a partire dall’origine di un batterio alcuni scienziati parlano d’indecidibilità, considerandone irriducibile la complessità dell’organizzazione. Niels Bohr giudicava “la vita consistente con la fisica e la chimica, ma da esse indecidibile” e che “l’esistenza della vita deve essere considerata come un fatto elementare (un assioma) che non può essere spiegato, ma che può solo essere preso come un punto di partenza in biologia” (“Light and Life”, Nature, 1933). Dello stesso parere Jacques Monod (in “Caso e necessità”, 1970) ed Ernst Mayr (in “Is Biology an Autonomous Science?”, 1988). Francis Crick, disperato, preferì buttarsi sulla panspermia.

Anche Stuart Kauffman, che alla ricerca dei meccanismi della vita ha dedicato il suo genio, riconosce nell’ora del ritiro che i suoi modelli fondati su complessità e confini del caos sono solo in minima parte esplicativi, e forse esclusivamente metaforici:

L’evoluzione della biosfera supera tutte le leggi fondate sulle simmetrie [le leggi della fisica, NdR]e costruisce uno ‘spazio delle fasi’ o delle possibilità che non possiamo pre-determinare” (“The Re-Enchantment of Humanity”, 2011).

Se la fisica può studiare la materia inanimata in spazi di fase predeterminati (come, dopo la classica, fa anche la meccanica quantistica), questo non si può fare secondo Kauffman per la vita. Perché la biosfera costruisce oltre le leggi della fisica “oltre lo stesso Darwin, ed oltre anche ogni principio di ragion sufficiente, in ogni tempo la nicchia adiacente in cui evolverà. Come l’economia, la cultura e la storia umane. Noi siamo oltre Newton, Einstein, Darwin e anche Schrödinger, poiché il divenire della biosfera è fatto solo parzialmente di mutazioni quantistiche a-causali, e tuttavia non è casuale. […] Il mondo è nuovo e […] noi viviamo in un magico incanto” (ibid., grassetto mio).

Una conclusione tanto poetica quanto amara da parte di chi aveva puntato tutto sul rigore matematico per superare le narrazioni ad hoc darwiniane. Di queste aveva detto un tempo:

L’evoluzione è piena di queste just-so story, o plausibili scenari senza alcuna evidenza empirica, storielle che amiamo raccontarci, ma su cui non dovremmo riporre alcun affidamento razionale” (S. Kauffman, At Home in the Universe, 1995)

Ed ora si ritrova ad aver raccontato altre storie, solo in un diverso stilema…


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