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IL PROGRAMMA SUBLIME O LA SELEZIONE NATURALE

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2021 14:50
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11/05/2021 14:45
 
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Il programma sublime
di Giorgio Masiero

 

Nella “Critica del giudizio” (1790), Immanuel Kant esamina i problemi dell’ordine e del fine in Natura, distinguendo nel giudizio estetico il bello dal sublime. Noi percepiamo il bello quando uno spettacolo della Natura ci si presenta in armonia con la nostra sete di libertà: allora ci compiacciamo in un sentimento che esprime l’incontro felice del sensibile col razionale. Esistono però alcuni fenomeni (la violenza d’un uragano, l’immensità del deserto o dell’oceano o del cielo, la profondità d’un abisso, l’energia d’una grande cascata, ecc.) davanti ai quali sentiamo l’impossibilità dell’intelletto ad adeguarsi alle cose. Siamo allora in presenza del sublime, dal latino sub limine, oltre la soglia (del portabile umano). Mentre nella contemplazione serena del bello il piacere è connesso alla qualità dell’oggetto ammirato, nella vertigine estatica del sublime il sentimento ci proviene dalla sua quantità illimitata. Davanti al sublime, la nostra ragione si sente impotente a cogliere il significato profondo della Natura e si apre all’infinito e all’assoluto. Questa apertura è un’emozione estetica, non un predicato razionale, ma ci dà l’intuizione di trovarci possibilmente di fronte all’indecidibile. Nel sublime anche, dopo la percezione della nostra piccolezza con sensi di smarrimento e frustrazione, in un sussulto di razionalità ci riconosciamo comunque superiori al resto della Natura, stante il nostro essere umani, cioè le uniche creature dotate di autocoscienza e capaci così di trascendere la Natura ed ogni sua potenza.

Da giorni medito sul genoma con “giudizi riflettenti” (direbbe ancora Kant), ovvero non puramente razionali, ma tendenti a stabilire un accordo tra il razionale ed il sensibile. Ti confesso, lettore, che più mi addentro in questo fenomeno della Natura vivente, che interseca la biologia con la chimica e la cibernetica, più provo nelle viscere la consapevolezza di stare in presenza del sublime, per la complessità terrificante dell’oggetto che sembra annullarmi come essere razionale.

La necessità razionale dell’esistenza del programma genetico

Cominciamo con chiederci: esiste davvero un programma informatico contenuto da qualche parte negli organismi (vegetali, animali e umani), simile ad un programma lineare digitale della cibernetica, dove esso controlla l’azione di macchine? Pongo la domanda perché da qualche tempo, forse per lo sforzo persistentemente vano a trovare un modello dell’abiogenesi, si alzano voci dubitative o almeno riduttive nel composito campo darwinista. Ebbene, se non si crede che il pero nasce dal seme della pera per caso, e così il gattino dall’ovulo fecondato della gatta e il bambino dalla donna, essendo solo una fortunata serie di eventi ciechi a selezionare di seguito per settimane i 10 ^24÷10^25 atomi che compongono la struttura ordinata dell’individuo biologico; se non si può razionalmente credere ciò, si deve ritenere necessario razionalmente, prima ancora che da ricercare scientificamente, che nel seme o nell’ovulo fecondato d’una specie esistono già le istruzioni e il macchinario iniziale per il montaggio d’un individuo della stessa specie, a partire da un’estrazione selettiva programmata dall’ambiente della materia e dell’energia necessarie.

Questa intuizione appartiene alla filosofia classica. Tommaso d’Aquino usa il termine “seminalis ratio”, che è l’antica idea stoica del “logos spermatikos”, e ricorda che fu Agostino ad introdurre per primo il concetto nel pensiero cristiano: “È evidente che i principi attivi e passivi della generazione delle cose viventi sono i semi da cui si generano le cose viventi. Perciò Agostino opportunamente ha dato il nome di ‘cause seminali’ (seminales rationes) a tutti i principi attivi e passivi che presiedono alla generazione naturale e allo sviluppo [degli organismi viventi]” (Summa Theologiae, I, q. 115).

Non che il dottore angelico conoscesse il DNA, ovviamente: non c’erano allora gli strumenti tecnici d’indagine. Ma egli sapeva dell’esistenza d’una successione prestabilita e ordinata di forze che partendo da Dio, creatore degli enti e permanente garante della loro non ricaduta nel nulla, si esprime nella generazione di ogni vivente. Alla catena causale partecipa la Natura, tramite forze successive di cui Dio Si serve per lo sviluppo progredente nel tempo del Suo progetto mondano. Tommaso non dice quali siano le cause naturali, ma dice che ci sono e le ordina: “Le cause possono essere considerate a diversi livelli. Al primo livello […] sono principalmente e originariamente nella parola di Dio, come ‘idee prototipali’. Al secondo, esse sono in Natura, dove sono state tutte insieme create all’inizio, come ‘cause universali’. Al terzo, esse agiscono come ‘cause particolari’ in quelle cose che nel tempo sono prodotte dalle cause universali, per esempio in questa pianta e in quell’animale. Al quarto livello, sono nei semi prodotti da animali e piante. E come le cause primordiali universali produssero i primi effetti, così i semi producono gli effetti particolari attuali” (ibid.). Se il primo livello appartiene alla teologia, alla scienza naturale appartengono i livelli successivi di causazione. Per la fisica, le “cause universali” sono il campo elettromagnetico, la gravità, le forze nucleari debole e forte: dal Big Bang, sono a monte dell’embriogenesi chimica delle diverse specie di ogni tempo. Ai livelli “terzo” e “quarto”, dove regolano lo sviluppo e prima ancora generano le unità viventi, Tommaso intendeva letteralmente 8 secoli fa quello che noi oggi chiamiamo “programma genetico”.
L’esistenza d’un programma genetico è dunque una necessità di ragione compresa fin dagli albori del pensiero occidentale.

Che cosa significa programma genetico

Stava alla scienza sperimentale individuare la base fisico-chimica del programma, e ciò è avvenuto 60 anni fa per merito di Francis Crick e James Watson con la scoperta della funzione del DNA, come ho ricordato in un altro articolo. In fondo, l’esistenza d’un programma genetico è un segno distintivo della vita rispetto alla materia inanimata. Ad una conferenza internazionale svoltasi a Modena nel 2000 sui fondamentali della vita, per prima cosa fu richiesto ai partecipanti (tutti docenti universitari) di proporre la loro personale definizione di “vita”. Anche se nessuna definizione risultò uguale ad un’altra, si poterono suddividere le risposte in due classi. Una classe risultò composta delle definizioni più disparate, come: il possesso di una certa stabilità genetica, ma allo stesso tempo di una sufficiente mutabilità, così da permettere evoluzione e adattabilità; oppure una reattività efficace agli stimoli ambientali, così da supportare la sopravvivenza e la riproduzione; ancora, la capacità di catturare, trasformare ed immagazzinare l’energia per il proprio utilizzo; ecc., ecc. L’altra classe comprendeva invece definizioni aventi un elemento comune: la presenza d’un programma informativo. L’evidenza che nel mondo inanimato non sia mai stata osservata una sequenza di reazioni chimiche e trasformazioni fisiche, guidata da un programma d’istruzioni crittate in un codice, era già stata fatta da Ernst Mayr (uno dei padri della Sintesi Moderna) nel 1988, portandolo a definire come criterio di separazione tra organismi viventi e materia inanimata l’esistenza o l’assenza d’un codice genetico. La proposta di Mayr sanciva il riconoscimento in tutta la biologia del cosiddetto Dogma della biologia molecolare, “DNA → RNA → proteine”, che non era stato un’invenzione di creazionisti, ma l’assioma fondante della genetica moderna, così come concepita da Crick, Monod, Dobzhansky, ecc.

Trovare un modello di come un tale programma possa essersi generato per cause naturali (ovvero, risolvere l’abiogenesi) è un compito immane, forse gödelianamente indecidibile dalla ragione umana: c’è infatti una discontinuità tra la chimica di un pianeta privo di vita qual era la Terra 4 miliardi di anni fa, dopo l’LHB (l’intenso bombardamento tardivo, meteoritico), e la biochimica di appena 200 milioni di anni dopo, con la comparsa combinata

1) di un metabolismo cellulare fondato sulla chimica del carbonio;

2) d’un programma per realizzarlo istanziato in un polimero, l’enzima RNA polimerasi per la produzione di mRNA, destinato ad esser traslato in proteine;

3) di un sotto-linguaggio algoritmico, istanziato in un altro polimero, il DNA, contenente le sequenze di basi chimiche che forniscono le istruzioni iniziali all’RNA;

4) di un sistema cibernetico (le reti degli organelli della struttura cellulare), capace di eseguire le traslazioni di programma e la proteinogenesi finale.

Anche se la nostra comprensione del genoma è lungi dall’essere completa, a cominciare dall’individuazione di tutte le sub-routine (con i geni e le loro reti), lo stato dell’arte ci permette di sapere che il programma genetico è costituito di algoritmi digitali lineari, uguali a quelli che si studiano in scienza dell’informazione.

L’informazione del DNA

Il DNA umano (tutto, compreso ciò che la nostra ignoranza attuale chiama “spazzatura”) è un polimero costituito di k = 4 nucleotidi, ripetuti N = 3,2 miliardi di volte. Il numero di disposizioni con ripetizioni di N elementi su k dati è k^N, che in questo caso diviene k^N = 4^3.200.000.000 = 2^6.400.000.000. Dunque l’informazione sintattica d’un intero genoma è pari a 6,4 miliardi di bit, equivalenti a 800 MB. Davanti ai calcoli, ho cominciato a sentire un formicolio nello stomaco: era il giudizio riflettente estetico che mi stava penetrando ed avrebbe finito per soverchiarmi…

Certo, il primo moto è stato di stupore che tanta informazione risultasse concentrata in una molecola. I dispositivi convenzionali di memoria di massa hanno oggi capacità di qualche TB (1 TB ~ 10^6 MB) distribuita in ~100 cm3. Gli 800 MB del DNA sono concentrati in ~10^(-11) cm3. Il rapporto delle densità d’informazione è quindi 10^10 a favore dell’hardware al carbonio del DNA, rispetto a quello al vetro o alla ceramica dei nostri gingilli high-tech, con un gap strutturalmente incolmabile. Nessuna meraviglia che, all’insaputa degli ideologi della biologia che non hanno mai messo piede in un laboratorio e la cui fantasia narra i miti del cattivo lavoro e degli scherzi del caso, il DNA (batterico) sia studiato per essere impiegato come una scheda di memoria riscrivibile; e sia copiato nelle nanotecnologie per le sue proprietà di riconoscimento molecolare che lo rendono capace di auto-assemblarsi in strutture bidimensionali o poliedriche di complessità inarrivabile. Tali assemblati sono utilizzati con funzioni essenzialmente strutturali, per l’informazione organizzata in modo ottimale che contengono, e non come vettori d’informazione biologica. Per la sua compattezza, il DNA serve da modello anche in crittografia, nella costituzione e nell’utilizzo efficiente di cifrari sicuri.


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