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INDAGINE SULLA RESURREZIONE: GESU' E' VERAMENTE RISORTO ?

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2022 19:12
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25/04/2011 10:34
 
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Ci confronteremo con uno di quei casi in cui, probabilmente, la comprensione sinora avuta di certe espressioni va mutata, aprendo nuove prospettive. E questo proprio nel cuore della fede, proprio al suo inizio stesso, il mattino di Pasqua.
La fede in Gesù come il Cristo atteso da Israele nasce infatti, per tutti, con le apparizioni del Risorto. Per tutti, tranne che per uno: per il discepolo prediletto, per colui che "il Maestro amava", per il giovane Giovanni. E costui stesso che, nel suo vangelo, ci racconta come, entrato con Pietro nel sepolcro "vuoto" (ma che, poi, evidentemente, vuoto del tutto non era, visto che vi era abbastanza da indurre alla fede), "vide e credette" (Gv 20,8): Eiden kaì episteusen, nell'originale greco. Un'espressione sintetica, lapidaria, che segna un momento solenne: è in quell'istante, in effetti, che nasce la fede, che nasce il cristianesimo stesso.
Ma perché Giovanni "credette", a differenza di Pietro che pure, prima di lui e poi accanto a lui, vide le stesse cose e restò perplesso, senza "ancora avere compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti", come aggiunge Giovanni stesso (20,9) e come conferma Luca, 24,12 ("(Pietro) tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto")? Perché a Giovanni basta ciò che ha scorto, appena entrato nel sepolcro, mentre a Simone, che pure è capo del collegio apostolico, occorre una speciale iniziativa del Risorto stesso, per stare a Luca nella finale del resoconto dei discepoli sulla via di Emmaus: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Lc, 24,34)?
E una domanda di straordinaria importanza perché, lo dicevamo, dalla sua risposta dipende il momento stesso della nascita della fede. Eppure, è sorprendente constatare come si sia sorvolato proprio su questo versetto decisivo.
Ci si accontenta, così, di spiegazioni che in realtà non spiegano nulla come (citiamo un solo esempio, tra i più recenti e diffusi) la nota che a quel "vide e credette" appone la traduzione ecumenica della Bibbia: "II discepolo vede nella tomba vuota e nelle bende piegate con cura il segno che lo conduce a riconoscere, nella fede, la risurrezione di Gesù".
Siamo ben lontani da una spiegazione soddisfacente: la "tomba vuota" è tutt'altro che un segno inequivocabile, tant'è vero che non è bastata a far intuire la verità alle donne, le quali, "entrate (nel sepolcro) non trovarono il corpo del Signore. Mentre erano incerte per questo..." (Le, 24,4). La sola scomparsa del cadavere autorizzava tutte le supposizioni, a cominciare dal furto, come pensa - piangendo, e per stare allo stesso Giovanni -Maria di Magdala (20,11 ss.).
Non è poi ammissibile l'altro elemento della presunta spiegazione: le "bende piegate con cura" come "segno" della Risurrezione, evidentemente sul presupposto, da parte dell'autore della nota, che un ladro avrebbe lasciato tutto in disordine e non avrebbe perso tempo a mettere ordine. Non è ammissibile, innanzitutto, perché proprio le "bende" (come dice, con scarsa precisione, la nota) erano, stando alla traduzione della Cei - che è il testo utilizzato per l'edizione italiana della traduzione ecumenica, di cui si sono riprodotti solo i commenti - quelle "bende", dunque, erano gettate "per terra", come Giovanni ripete per due volte (20,5-7). In apparente ordine ("piegato in un luogo a parte", Gv, 20,7, per dirla con la stessa traduzione) era semmai "il sudario che gli era stato posto sul capo" (ibid.).
Dunque, la tomba presentava un aspetto insieme ordinato e disordinato. Sia la sparizione del cadavere sia l'aspetto delle vesti funerarie sembravano lanciare un messaggio ambiguo, aperto a tutte le interpretazioni. Tale, comunque, da non giustificare affatto quel "vide e credette".
Oltretutto, dal contesto sembra chiaro che quel "credette" non risale al fatto che la tomba fosse vuota, ma piuttosto al fatto che c'era là dentro - in quell'alba della prima domenica della storia - "qualcosa" che indusse di colpo Giovanni a credere. Divenendo, se così possiamo dire, il primo cristiano. Che cos'era quel "qualcosa"? E possibile, scrutando i testi, riuscire a intravedere quali siano stati quei "segni" tanto inconfutabili?
Occorre riconoscere (come già abbiamo fatto e faremo) che l'annuncio primitivo del cristianesimo, quale ci appare dal Nuovo Testamento, sembra quasi dimenticare la tomba. Il fatto che sia restata vuota non entra nel Credo e tutta la prima predicazione insiste, come prova di verità, unicamente sulle apparizioni.
Solo nel vangelo di Luca vi è l'episodio narrato anche da Giovanni, ma vi si cita soltanto Pietro: "Pietro corse al sepolcro e, chinatosi, vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto" (Le, 24,12).
La tradizione cui Luca ispira il suo vangelo è quella che ha raccolto da Paolo: in essa, evidentemente, l'episodio era raccontato in modo abbreviato, non citando Giovanni (probabilmente perché ancora troppo giovane al momento dei fatti e, dunque, non abbastanza autorevole), ma confermando quanto nel quarto vangelo è detto, a proposito degli effetti di perplessità e non di fede procurati su Pietro dalla visita al sepolcro.
Si noti, tra l'altro, nel brano di Luca appena citato, quel "chinatosi", che è esattamente il "chinatosi" di Giovanni, che lo riferisce a se stesso, ma che ha lo stesso valore: quello, cioè, di una sorta di "frammento" di ricordo diretto, restato nel racconto fatto dagli stessi protagonisti. E un altro dei tanti segnali, sparsi per tutto il vangelo, che rinviano - all'improvviso e senza alcun sospetto di premeditazione - a una testimonianza diretta e oculare, a un elemento cronachistico.
Ma è tra i segnali di verità, anche perché rispecchia una realtà che l'archeologia ha confermato: come tutte quelle dei notabili d'Israele, anche la tomba di Giuseppe d'Arimatea era scavata nella roccia e la sua apertura era più bassa della statura di un uomo. Così che, per entrarvi o anche solo per guardarvi dentro, occorreva "chinarsi": proprio come dicono il vangelo di Luca e quello di Giovanni.
Tra l'altro, tra le tracce e gli indizi di nascosto accordo tra i vangeli, c'è un "segnale" nello stesso capitolo 24 di Luca dove, al versetto 12, per brevità o per il motivo che dicevamo (l'età di Giovanni, in un mondo dove aveva valore solo la testimonianza di uomini maturi) non si parla che di Pietro accorso al sepolcro. Ma ecco che, poco sotto, i due discepoli che se ne vanno verso Emmaus e parlano con lo Sconosciuto, dicono: "Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato le cose proprio come le donne avevano detto, ma lui non l'hanno trovato!" (Le, 24,24). I verbi al plurale ("alcuni dei nostri" è il soggetto) non possono spiegarsi con il solo Pietro di cui lo stesso evangelista aveva parlato e sembrano confermare che accanto a lui c'era qualcun altro, visto che non vi è cenno di altre visite al sepolcro da parte di uomini (delle donne gli evangelisti parlano sempre a parte, e distinguendo con chiarezza).



Comunque sia, soltanto quando Giovanni - dopo che i Sinottici avevano già scritto, secondo il parere comune degli studiosi -redasse il suo vangelo, dell'episodio fu data la versione "completa"; e fu data dall'evangelista-apostolo stesso, che dice di avervi partecipato in prima persona.
La riportiamo qui, quella versione giovannea, come al solito nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana.
C'è, innanzitutto, l'antefatto, che non è possibile trascurare e che quindi richiamiamo al lettore, anche se la nostra analisi si eserciterà su quanto segue: "Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e ando da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!"" (Gv, 20,1 ss.).
Perché Giovanni - l'apostolo e l'evangelista - fu il primo che credette nella risurrezione di Gesù? Che cosa "vide" per avere "creduto" (come dichiara al versetto 8 del capitolo 20 del suo vangelo), dopo essere entrato nel sepolcro, al seguito di Pietro, in quell'ottavo giorno" che divenne la prima domenica della storia?
Abbiamo impostato il problema nel precedente capitolo. Adesso, affrontiamo subito il testo di Giovanni nella traduzione datane dalla Bibbia della Gei, affiancandovi la versione e la relativa interpretazione di Antonio Persili, il sacerdote che ha dedicato gli studi di una intera vita a cercare di decifrare il perché di quella fede subitanea.
Giovanni, 20,5, traduzione della Conferenza Episcopale Italiana: "Chinatesi, (Giovanni) vide le bende per terra, ma non entrò".
Traduzione di Antonio Persili: "Chinatesi, (Giovanni) scorge le fasce distese, ma non entrò".
Come si vede, l'edizione ufficiale cattolica ha "le bende per terra"; quella del nostro studioso traduce "le fasce distese". Il punto è decisivo per lo stesso evangelista, che in ciascuno degli altri due versetti che seguono (il 6 e il 7) parla di quelle che per la Cei sarebbero "bende per terra", mentre per Persili sono sempre e solo "fasce distese". Che cosa ha voluto comunicarci Giovanni, ripetendo tré volte in tré versetti successivi quel suo kei-mena tà othónia, quel linteamina posita come traduce la Vulgata latina?
Per capire dobbiamo rifarci, come sappiamo, alla "tecnica" di sepoltura messa in atto per Gesù, secondo le leggi e i costumi ebraici, da Giuseppe d'Arimatea, dal suo pietoso aiutante, Nico-demo e, certamente, dai loro servi. Come ricordavamo nel capitolo precedente, Persili coordina (con un'abilità nella quale non sembra però di scorgere forzature) Ì cenni che al proposito ci danno i Sinottici con quelli di Giovanni, mettendo in rilievo che il corpo del Crocifìsso deve essere stato interamente avvolto in una grande tela - la sindón - non solo per evitare il contatto dei vivi con un cadavere di per sé impuro, ma anche per obbedire al precetto di non disperdere il sangue di chi fosse morto con ferite sul corpo.
Dallo stesso rotolo di tela da cui fu ricavata quella "sindone", l'Arimateo - o qualche suo servo - tagliarono tà othónia: che non sarebbero "bende", ma "fasce". "Bende", in effetti, erano quelle che legavano il cadavere di Lazzaro e per indicare le quali lo stesso Giovanni usa un diverso sostantivo (11,44). Le othónia - le quali, lo ripetiamo, tornano qui in tré versetti - erano più alte: delle grosse "fasce", con le quali fu avvolto tutto il corpo di Gesù, escludendo solo la testa. Su quest'ultima, alla "sindone", che già la copriva, fu sovrapposto il "sudario".
Come giunge Persili a questa ricostruzione? Innanzitutto, facendo osservare come sia scritto che Giovanni, "chinatesi vide le fasce": se vide solo esse e non il lenzuolo, è evidentemente perché quest'ultimo era tutto coperto dalla fasciatura (ad esclusione del capo; ma l'Apostolo, stando al di fuori, vedeva la parte dov'erano stati i piedi).
Ma, poi, non va dimenticato che poco prima lo stesso evangelista aveva parlato di quelle stesse othónia: "Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, come è usanza seppellire per i Giudei" (Gv, 19,40). Gli "oli aromatici" sono la "mistura di mirra e di aloè di circa cento libbre" portata da Nicodemo. Erano ben 32 chili e 700 grammi, in forma liquida, di cui una parte fu versata sulla pietra sepolcrale sino a preparare un "letto" di profumi, un'altra parte servì per ungere le pareti interne della tomba (ecco perché una slmile quantità, che è sembrata inverosimile a tanti critici) e il rimanente fu versato sulla sindone.
Le "fasce" messe tutto attorno al corpo di Gesù, sino a coprire interamente il lenzuolo, avevano anche la funzione di impedire quella troppo rapida evaporazione del liquido aromatico che si sarebbe verificata se la sindone fosse stata a contatto con l'aria. Si noti che questa sembra essere stata la funzione anche del sudario sul capo. Se c'era già la sindone che lo avvolgeva, perché quel pezzo ulteriore di tela? Una ragione precisa l'aveva: proteggere la soluzione di mirra e di aloè da una evaporazione eccessivamente veloce.
"Fasce", dunque, non "bende": una copertura completa sino al collo. E, soprattutto, non "per terra" (Cei) bensì "distese" (Per-sili). Il testo greco, in effetti, dice che le othónia erano keimena. C'è qui, dunque, il parricipio del verbo keÌmai, che corrisponde al latino jacere, giacere. Come spiega un vocabolario classico di greco, quello del Bonazzi, keìmai "significa giacere, essere disteso, seduto, steso, orizzontale; si dice di una cosa bassa in opposizione ad una elevata, eretta, come per esempio il mare calmo rispetto al mare agitato".
Ne deriva, dunque, Persili: "II significato che Giovanni vuoi dare a questo verbo è far risaltare che prima le fasce erano rialzate ("come un mare agitato"), perché all'interno c'era il corpo; dopo la Risurrezione, invece, le fasce erano abbassate, distese ("come un mare calmo"), giacendo nel medesimo posto in cui si trovavano quando contenevano il cadavere di Gesù. E arbitrario farle giacere per terra, come vuole la versione ufficiale. La Vulgata traduce con il participio posita, che rende bene l'idea delle fasce distese e vuote, perché il verbo ponere significa appunto "mettere giù". Perciò le due parole keimena tà othónia si devono tradurre come "le fasce distese", ma intatte, non manomesse, non disciolte (...) Esse costituiscono la prima traccia della Risurrezione: era infatti assolutamente impossibile che il corpo di Gesù fosse uscito dalle fasce, semplicemente rianimato, o che fosse stato asportato, sia da amici che da nemici, senza svolgere quelle fasce o, comunque, senza manometterle in qualche maniera".
Continua il nostro autore: "Questa traccia sarebbe stata sufficiente per credere nella Risurrezione, ma nel sepolcro v'era una traccia ancora più straordinaria, che Pietro ebbe la ventura di vedere per primo: la posizione del sudario. Se è importante, per capire la fede immediata di Giovanni, la posizione delle fasce, lo è ancora di più la posizione del sudario, quello che stava al contatto del corpo. E una posizione così sorprendente che all'evangelista è necessario un intero versetto di venti parole per descriverlo".
Prima di quel versetto, il settimo, c'è ovviamente il sesto che, nella versione Cei, dice: "Giunse intanto Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra". Qui la sola mutazione da apportare, come sappiamo, sarebbe "le fasce distese" al posto di "le bende per terra".
Ma ci sarebbe da aggiungere che sia la Vulgata latina che l'attuale versione cattolica italiana traducono sempre con "vedere" i tré diversi verbi greci impiegati in questi versetti da Giovanni. Si perde così una sfumatura importante, con la quale l'evangelista sembra avere voluto indicare una progressione: dal primo constatare con perplessità, al contemplare successivo e poi al vedere pienamente, così da comprendere e da credere.
Non è una osservazione marginale, perché anche in questa scelta attenta di verbi solo apparentemente sinonimi Giovanni conferma quale attenzione richieda al lettore perché colga il significato preciso di ogni parola. Che nulla nei vangeli sia "casuale" è possibile scoprirlo anche in queste "finezze" che stanno dietro al testo originale e che spesso non è possibile apprezzare nelle traduzioni, che hanno reso i tré verbi usati da Giovanni in questi versetti (blépei, theórei, eiden) tutti con un "vide".
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