È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

ALBERT EINSTEIN ERA CREDENTE?

Ultimo Aggiornamento: 15/06/2023 19:06
Autore
Stampa | Notifica email    
27/07/2018 10:42
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

TERZA FASE: RISCOPERTA DEI VALORI BIBLICI ED EVANGELICI (1933-1955)


Pochi studiosi di Einstein hanno parlato della sua rivalutazione dei valori ebraico-cristiani nella fase più matura della vita. Per gran parte del mondo si tratta infatti di una cosa inedita. Il filosofo della scienza Paolo Musso, docente presso l’Università dell’Insubria di Varese, ha descritto il «progressivo spostamento del baricentro della spiritualità einsteniana verso le grandi religioni storiche e in particolare verso la tradizione ebraico-cristiana» che giunge, «in alcuni momenti, addirittura a suggerire la necessità di una qualche sorta di rivelazione per fondare i valori morali e religiosi». Tuttavia, ciò, convive con «l’originaria tendenza panteista» (P. Musso, La scienza e l’idea di ragione. Scienza, filosofia e religione da Galileo ai buchi neri e oltre, Mimesis 2001, p. 471, 472).


Il cambiamento filosofico del celebre fisico è causato dall’ascesa del comunismo e del Nazismo antiebraico e anticristiano («Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto è l’avvento del cristianesimo», afferma Adolf Hitler l’11/07/1941, in Conversazioni a tavola di Hitler, Goriziana 2010, p. 45). Einstein si convince gradualmente che l’idea biblica di Dio e dell’uomo ha fondato un’antropologia che va riscoperta, poiché «l’indebolimento del pensiero e del sentimento morale» odierno, causa «dell’imbarbarimento dei modi della politica del tempo nostro», è connesso all’indebolimento del «sentimento religioso dei popoli nei tempi moderni» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 22).


Einstein matura la convinzione che l’uguaglianza tra gli uomini e la dottrina di una legge morale universale necessitano di un fondamento e capisce, meglio di molti altri, che il nazionalsocialismo è una guerra morale al messaggio evangelico ed una minaccia all’umanità in quanto ha preferito Machiavelli a Mosè: «Chi può dubitare che Mosè fu una guida migliore dell’umanità di Machiavelli?» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 16). Come riporta Francesco Agnoli, «non è facile capire quanto queste convinzioni e queste analisi diventino o meno fede personale», in Einstein, «ma certo esse ci sono, e vengono espresse sempre più frequentemente nel corso degli anni, insieme al riferimento commosso ai “nostri antenati ebrei, i profeti e i vecchi saggi cristiani”» (F. Agnoli, Filosofia, religione e politica in Albert Einstein, ESD 2015, p. 74).



Nel 1935, in una commemorazione di Mosè Maimonide, il pensatore ebreo che in età medievale aveva argomentato a favore dell’accordo tra razionalità ed insegnamenti biblici, e che Spinoza in età moderna eleggerà a proprio principale avversario ideale –, Einstein scrive: «Una volta che i barbari teutonici ebbero distrutto l’antica cultura d’Europa, una nuova e più raffinata cultura (quella medievale, ndr) cominciò lentamente a fluire da due fonti che in qualche modo erano riuscite a non lasciarsi seppellire del tutto nella devastazione generale: la Bibbia ebraica e la filosofia e l’arte greca. L’unione di queste due fonti così differenti l’una dall’altra contrassegna l’inizio della nostra epoca culturale e da quell’unione, direttamente o indirettamente, è scaturito tutto ciò che informa i veri valori della vita dei nostri giorni. La nostra lotta per preservare tali tesori contro le attuali forze della tenebra e della barbarie non potrà allora che dirsi vincente… Noi ebrei dovremmo essere e rimanere portatori e difensori dei valori spirituali…» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 227).



Dinnanzi alla Jewish Accademy of Sciences, nel 1936, citando l’episodio biblico della danza idolatrica attorno al vitello d’oro, Einstein afferma: «Dobbiamo tenerci saldi a quell’atteggiamento spirituale nei confronti della vita», fuggendo «quell’adesione totale alle mete materiali ed egoistiche che oggigiorno minaccia il giudaismo» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 30). Nell’aprile 1938, a circa 60 anni, il fisico tedesco scrive: «Essere ebreo significa anzitutto accettare e seguire nella pratica quei fondamenti di umanità proposti nella Bibbia, fondamenti senza i quali nessuna sana e felice comunità di uomini può esistere» (A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri 1995, p. 243). Un anno dopo, il 19 maggio 1939, ammonisce «un ritorno a una nazione nel senso politico del termine equivarrebbe all’allontanamento della nostra comunità dalla spiritualizzazione di cui siamo debitori al genio dei nostri profeti» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 223).



Sempre in tale anno, annota: «I più alti principi su cui si fondano le nostre aspirazioni e i nostri giudizi ci vengono dalla tradizione religiosa giudaico-cristiana. Non c’è spazio in tutto ciò per la divinizzazione di una nazione, di una classe, e meno che mai di un individuo. Non siamo tutti figli di uno stesso Padre, come si dice in linguaggio religioso? In effetti nemmeno la divinizzazione dell’umanità, come totalità astratta, rientrerebbe nello spirito di tale ideale. È solo all’individuo che viene data un’anima. E l’alto destino dell’individuo è servire piuttosto che dominare o imporsi in qualsiasi altro modo» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26).



In questi anni, dunque, si moltiplicano nei discorsi pubblici di Einstein i riferimenti biblici ed evangelici. Il 22 marzo 1939, in coincidenza allo scoppio con la seconda guerra, il padre della Relatività afferma: «In passato eravamo perseguitati malgrado fossimo il popolo della Bibbia; oggi, invece, siamo perseguitati proprio perché siamo il popolo del Libro. Lo scopo non è solo sterminare noi, ma insieme a noi distruggere anche quello spirito, espresso nella Bibbia e nel Cristianesimo, che rese possibile l’avvento della civiltà nell’Europa centrale e settentrionale. Se questo obiettivo verrà conseguito, l’Europa diverrà terra desolata. Perché la vita della società umana non può durare a lungo se si fonda sulla forza bruta, sulla violenza, sul terrore e sull’odio» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26). E’ evidente, dunque, che «l’Einstein maturo critica apertamente, benché implicitamente, il darwinismo sociale, l’idea secondo cui la vita morale dell’uomo si risolve, come nelle bestie, nell’obbedire all’istinto di sopravvivenza e nel partecipare alla lotta per la sopravvivenza del più forte; rinnega del tutto il determinismo tipico dell’evoluzionismo di stampo materialista e panteista ed afferma la libertà, contro il “fato crudele”, contro l’idea dell’uomo figlio dei suoi geni e della sua biologia, dell’inconscio, del determinismo materialistico, e di tutte le moderne riproposizioni del Fato e della Necessità antichi» (F. Agnoli, Filosofia, religione e politica in Albert Einstein, ESD 2015, p. 119).


Per il celebre scienziato è un momento di messa in discussione delle sue visioni. Già dopo il 1933 cambierà infatti idea sul pacifismo, da cui se ne distaccherà: di fronte all’avanzare dell’esercito del male (il nazismo) non si può stare fermi, ci può invece essere spazio per una guerra “giusta”, quella di difesa, e se necessario di offesa, contro chi vuole schiavizzare l’umanità. Così, si spende per scongiurare il rischio che l’invenzione della bomba atomica possa generare una catastrofe mondiale ma, come già detto, senza lasciarsi «coinvolgere nei movimenti che si dichiarano pacifisti, ma che agiscono, in verità, sotto l’ombrello sovietico, e che dietro la parola “pace” nascondono altri scopi» (F. Agnoli, Filosofia, religione e politica in Albert Einstein, ESD 2015, p. 100).


In una lettera del 1945, Einstein definisce le costanti di natura «numeri genuini che Dio ha dovuto scegliere arbitrariamente, per così dire, quando si degnò di creare questo mondo» (I. e G. Bogdanov, I cacciatori di numeri, Piemme 2012, p. 40). Sempre, però, si tratta di un Dio non personale, che rifiuterà per tutta la sua vita. Come scrisse all’amico Guy Raner, nel 1949: «Ho ripetutamente detto che a mio parere l’idea di un Dio personale è puerile. Potete definirmi un agnostico, ma non condivido lo spirito di crociata dell’ateo di professione il cui fervore è in gran parte dovuto a un doloroso atto di liberazione dalle catene dell’indottrinamento religioso ricevuto in gioventù. Preferisco un’attitudine di umiltà corrispondente alla debolezza della nostra comprensione intellettuale della natura e del nostro stesso essere».



In una famosa lettera del 1952 a un amico, Einstein esprime la sua totale lontananza da una visione atea dell’esistenza, seppur chiarisce allo stesso tempo l’impossibilità di conoscere tale “dio”, rimanendo  dunque distante anche dalla visione cristiana: «Caro Solovine […]. Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo o un eterno mistero. Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il “miracolo” che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo di Dio, ma anche dei miracoli. Il fatto curioso è che noi dobbiamo accontentarci di riconoscere “il miracolo” senza che ci sia una via legittima per andare oltre. Dico questo perché Lei non creda che io – fiaccato dall’età – sia ormai facile preda dei preti» (A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri 1988, pp. 740-741). Concetto ribadito in un’altra riflessione: «Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell’essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare interamente la forza misteriosa che muove le costellazioni» (D. Brian, Einstein a life, 1996, p. 127; M. Jammer, Einstein and Religion: Physics and Theology, Princeton University press 1999, p. 48).




Da diverso tempo Einstein ama recarsi in Italia, fermandosi nella zona di Fiesole (Toscana) al convento di San Francesco, dove approfondisce l’amicizia con alcuni francescani, tra cui il frate portinaio Clementino e padre Odorico Caramelli, musicista. Con quest’ultimo, in particolare, il fisico manterrà un rapporto epistolare anche negli ultimi anni di vita. L’amicizia di Einstein con i francescani di Fiesole coinvolge altri familiari dello scienziati, sopratutto Margot Einstein, la figliastra prediletta, che gli resterà a fianco sino alla fine dei suoi giorni. Margot è una scultrice, e nel 1955, anno della morte del padre Albert, invia al convento di Fiesole una statua della Madonna (foto a destra), da lei scolpita. Allegati i saluti di Albert al padre Caramelli: «Auguri di ogni bene per il 1955».


Il 18 ottobre 1960, padre Caramelli ha così ricordato la sua amicizia con Einstein durante un’intervista con il giornalista Alberto Maria Fortuna: «Einstein? L’ho conosciuto qui, tanti anni fa. Candido. Come un bambino. Umilissimo, di una umiltà naturale e spontanea. E se pure non era cattolico, andava volentieri in chiesa perché gli piaceva stare con Dio, in cui credeva. È venuto spesso a San Francesco. Prima mi ascoltava suonare, poi si decise e portò un violino e, strimpellando come sapeva fare lui, si faceva accompagnare da me all’organo. Di notte scendeva nel bosco del convento, e, seduto sul muricciolo della cisterna etrusca, suonava alla luna. Una volta, dopo che lo ebbi accompagnato in una Sonata di Bach, si commosse tanto che mi buttò le braccia al collo, quasi in pianto» (Due frati francescani da ricordare. Padre Caramelli, Fra Clementino, Fiesole 1972, pp. 43-44).


Cinque anni prima di morire, Einstein scrive qualcosa di inedito: si riferisce a Dio chiamandolo “Lui”, dandogli perciò una precisa fisionomia e contraddicendo sia la visione di Spinoza che il suo costante rifiuto ad un Dio antropomorfico. In una lettera datata 15 aprile 1950, destinata al suo vecchio amico italiano Michele Besso, il celebre fisico affronta diverse tematiche, tra cui quella religiosa. E così scrive Einstein: «C’è una cosa che ho imparato nel corso della lunga vita: è diabolicamente difficile avvicinarsi a “Lui”, se non si vuole rimanere in superficie».


 


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:33. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com