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RICOSTRUZIONE CRONOLOGICA DELLA PASSIONE (Giuseppe Ricciotti)

Ultimo Aggiornamento: 06/06/2018 12:13
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13/04/2018 12:03
 
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Denunzia del traditore

§ 541. Che in quella cena pasquale di Gesù sia avvenuto qualcosa di straordinario, Giovanni lo esprime con quella sua maniera singolare fatta di velate allusioni, che però era capita benissimo dagli esperti uditori della sua catechesi: Sapendo Gesu' che venne l'ora di lui affinché passasse da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi, quelli (ch'erano) nel mondo, (sino) in fine (Giov., 13, 1). Queste parole possono considerarsi come un nuovo piccolo prologo che Giovanni premette al racconto della passione: Gesù, che ha sempre amato i suoi, adesso dimostra il suo amore (si­no) in fine, non solo cronologicamente sino alla fine della sua vita, ma molto più intensivamente sino al fine raggiungibile, sino all'estre­mo limite possibile dell'amore stesso. Accennando all'amore (sino) in fine vuole forse l'evangelista spirituale alludere all'istituzione del­l'Eucaristia che egli solo non narra? E’ possibilissimo (§ 545). D'altra parte anche l'evangelista discepolo di Paolo accenna a que­sto amore, quando narra che a principio della cena Gesù, vedendosi circondato dai suoi discepoli, esclamò verso di essi: Di (gran) de­siderio desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima che io pa­tisca. Vi dico infatti che piu' non la mangerò fino a che (essa) sia compiuta nel regno d'iddio (Luca, 22, 15-16). Torna qui l'idea che la passione è per il Messia la condizione necessaria per il suo ingresso alla gloria: questa gloria, poi, sarà il trionfo del regno di Dio simboleggiato in un banchetto eterno.

Nell'ultima cena fu certamente seguito il solito rito della cena pa­squale - che descrivemmo altrove (§ 75) - con le quattro coppe ri­tuali di vino, con il pane azimo, le erhe agresti e l'agnello arrostito, sebbene non tutte queste cose siano ricordate dagli evangelisti. Gesù in quella comitiva fungeva da padre di famiglia; perciò benedisse egli la prima coppa, ed aggiunse: Prendete ciò e dividete(lo) fra voi; vi dico, infatti, non berrò da adesso del prodotto della vite fino a che il regno d'iddio sia venuto (ivi, 17-18). In relazione al precedente simbolo del banchetto eterno, il regno di Dio è qui simboleggiato in un simposio eterno. La cena era pertanto cominciata, ma non tutti i convitati erano pienamente soddisfatti: non sarebbero stati uomini della loro nazione e del loro tempo, se parecchi di loro non si fossero mostrati scontenti del posto che occupavano a tavola desiderandone uno più onorifico (§ 457). Quella brava gente aveva tutta una grande stima di sé, e avvenne anche una gara fra loro, riguardo a chi di essi appaia es­ser maggiore (ivi, 24); la disputa non era nuova, ma un vago accen­no di Giovanni (13, 2-5) potrebbe far sospettare che questa volta la disputa fosse provocata da pretensioni di Giuda Iscariota: appunto il traditore avrebbe suscitato la gelosia degli altri Apostoli preten­dendo uno dei posti più onorifici, e ciò conforme a un fenomeno frequente nei traditori che, spinti dalla dissimulazione, pretendono preferenze e particolari riguardi. A quella umiliante scenata Gesù dovette rispondere a parole come più o meno già aveva risposto alle altre contese di preminenza av­venute nel passato fra gli Apostoli (§ § 408, 496), ma questa volta volle aggiungere anche una risposta con i fatti (Giovanni, 13, 4 segg.).
Vedendo che nonostante le sue esortazioni all'umiltà i brontolii rin­ghiosi di quei materialoni non cessavano, egli si leva dal suo divano, depone le vesti, si cinge al grembo d'un pannolino, e preso un cati­no con acqua comincia a lavare i piedi ai commensali: i più umili schiavi erano incaricati di questo ufficio, e potevano compierlo agevolmente perché i commensali erano distesi sui divani col busto verso la tavola e i piedi sporgenti dall'altra parte all'infuori (§ 341). Al vedere il maestro abbassatosi a quel servigio, gli Apostoli rima­sero interdetti e accettarono passivamente la lavanda come un'umi­liazione: neppure Giuda osò protestare. Solo Pietro, che probabilmente fu il primo a cui si rivolse Gesù, protestò dicendo: Signore, tu mi lavi i piedi? -
E Gesù a lui: Ciò che io faccio, tu adesso non sai; lo saprai in seguito. - Ma Pietro non cede: Non mi laverai i piedi in eterno! - Gesù replica: Se non t'avrò lavato, non avrai parte con me. - A questa risposta l'irruen­te Pietro salta all'altro eccesso: Signore, lavami non solo i piedi, ma anche le mani e il capo! - Gesù allora conclude: Chi si è lavato non ha bisogno di lavarsi (se non i piedi), ma è mondo interamente; e voi siete mondi, ma non tutti. Trasalì Giuda a quest'allusione? Forse no; il traditore dovette con­tentarsi all'udire che il suo delitto restava ancora occulto ai suoi colleghi. Ma la cosa non fini li.

§ 542. Terminata la lavanda dei piedi, Gesù indossò nuovamente le sue vesti e riprese posto a tavola sul suo divano. Egli occupava cer­tamente il posto più onorifico, e la contesa testé sorta fra gli Apostoli era stata motivata del desiderio di occupare i divani piu vicini a lui. Poiché la tavola era a semicerchio e i divani erano disposti radial­mente all'esterno del semicerchio, si può ragionevolmente conget­turare che Gesù occupasse il divano centrale al vertice del semicer­chio; ma da quanto accennano gli evangelisti risulta che i divani più vicini a Gesù erano occupati da Pietro, Giovanni e Giuda Iscariota. Immaginandosi pertanto i commensali sdraiati sui divani e appog­giati col gomito sinistro verso la tavola, Gesù ch'era al centro doveva avere alle sue spalle Pietro, che così occupava il secondo posto nel grado onorifico; dall'altro lato, cioè davanti al petto di Gesù, dove­va stare sdraiato Giovanni, che così poteva appoggiare il capo sul petto del maestro; Giuda Iscariota sta subito appresso a Giovanni, di modo che Gesù stendendo il braccio poteva senza difficoltà giun­gere a dargli un boccone di cibo. Schematicamente, dunque, la po­sizione dei commensali attorno alla tavola doveva presentarsi come nella figura della pagina di fronte. Ripresa la cena, non c'era tuttavia serenità fra i commensali: gli Apostoli erano rimasti turbati dall'affermazione di Gesù che essi non tutti erano mondi, e desideravano qualche schiarimento in proposito. Anche Gesù dal canto suo desiderava tornar sopra quell'argomento, non tanto per la giusta curiosità di coloro ch'erano mondi, quanto per la non richiesta purificazione di colui ch'era l'unico immondo: con quell'infelice bisognava ancora fare un tentativo, offrirgli un ul­timo salvataggio. Perciò, quando si riprese a mangiare, Gesù par­lando ancora genericamente citò un passo del Salmo (41, 10 ebr.): Chi mangia il pane mio alzò contro di me il suo calcagno (Giov., 13, 18; cfr. Marco, 14, 18).
E, detto ciò, egli fu turbato nello spirito, aggiungendo senza nominare alcuno: In verità, in verità vi dico, che uno di voi mi tradirà. Fu uno sgomento generale. Proprio in quella serata cosi solenne e così affettuosa, si poteva parlare di tradimento? Proprio fra quei dodici uomini che si erano dati anima e corpo al maestro, si pote­va dissimulare un traditore? Tutti allora con veemenza impetuosa, non senza una punta di sincero risentimento, domandarono a ga­ra al maestro: Sono forse io, Signore? Gesù confermò nuovamen­te senza dir nomi, ma facendo risaltare la qualità particolarissima del traditore: Uno dei dodici! Chi intinge con me nel vassoio! (Marco, 14, 20). Tutti i commensali infatti, stendendosi dal loro divano, in tingevano il pane e le erbe amare in vassoi comuni che contenevano la salsa pasquale (§ 75), e ciascuno poteva servire a cir­ca tre persone: probabilmente quello in cui intingeva Gesù serviva pure a Giovanni e a Giuda. Ma anche quest'ultima indicazione fu interpretata in senso vago dagli Apostoli, quasicché equivalesse alla precedente espressione uno dei dodici e designasse in genere chi in­tingeva in un vassoio qualsiasi della tavola comune: invece, proba­bilmente, Gesù aveva alluso al vassoio suo proprio. Ad ogni modo fra i commensali c'era colui che aveva ben capito, e appunto riferen­dosi a lui Gesù aggiunse parole che vollero essere l'ultimo spasima­to grido di esortazione, l'estrema segnalazione dell'abisso: Poiché il figlio dell'uomo se ne va, conforme e' scritto circa lui: guai però a quell'uomo da cui il figlio dell'uomo e' tradito! Buona cosa (sarebbe) per lui, se non fosse nato quell'uomo!
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