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GIOVANNA D'ARCO

Ultimo Aggiornamento: 03/01/2018 18:37
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03/01/2018 18:36
 
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Prigionia e supplizio


La sera del 23 maggio 1430, mentre proteggeva la ritirata delle compagnie che stavano rientrando nella assediata Compiègne, Giovanna fu strattonata da cavallo e costretta ad arrendersi al Bastardo di Wamdonne, al servizio di Jean de Luxembourg, vassallo del Re d'Inghilterra.[70]


Il 6 dicembre dello stesso anno Giovanna venne venduta agli Inglesi, dopo quattro mesi di prigionia nel castello di Beaurevoir, per la somma di 10.000 franchi tornesi, in qualità di prigioniera di guerra. Dopo un processo per eresia iniziato il 9 gennaio, Giovanna fu arsa viva nella piazza del mercato vecchio di Rouen il 30 maggio 1431.[71]


Cattura


Giovanna non aveva voluto abbandonare quella che considerava una missione divina; e, di conseguenza, fu con pochi volontari che affrontò gli anglo-borgognoni. La scarsità numerica e l'ostilità che la circondava, tuttavia, la misero subito in una situazione difficile. Ferita e catturata durante la battaglia di Compiègne dalle forze borgognone, la Pulzella fu venduta per la somma di diecimila franchi tornesi agli alleati inglesi, i quali la processarono per eresiae stregoneria a Rouen, senza che Carlo VII muovesse in suo soccorso.


Secondo alcuni, invece, Carlo VII avrebbe incaricato segretamente prima La Hire, che venne catturato in un'azione militare, e poi il Bastardo d'Orléans di liberare la prigioniera, come proverebbero alcuni documenti che attestano due "imprese segrete" presso Rouen, tra cui uno datato 14 marzo 1431, in cui Jena de Dunois accusa ricevuta di 3.000 lire tornesi per una missione oltre la Senna.[72]


Processo a Jehanne d'Arc


Il processo a Giovanna ebbe inizio formale il 9 gennaio 1431, quando Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), conferì l'incarico di procuratore a Jean d'Estivet, uomo di sua fiducia e canonico della cattedrale di Beuavais, il quale convocò un collegio inquisitoriale composto da oltre cinquanta esperti in teologia e diritto canonico. Terminata una prima fase istruttoria, durata circa 40 giorni, nei quali furono ascoltati vari testimoni (tra questi la sedicente veggente Catherine de la Rochelle, che aveva avuto alcuni dissapori con l'accusata) e fu condotta un'inchiesta nella stessa Domrémy, Estivet convocò Giovanna d'Arco per la prima udienza processuale, che si tenne il 21 febbraio 1431. Altri tre interrogatori seguirono a brevissima distanza fino al 27 febbraio, quando iniziò la fase dibattimentale. Fino a quel momento nessuno era riuscito ad indurre Giovanna in contraddizione, né a fare in modo che si compromettesse con dichiarazioni inappropriate sulle "voci" che diceva di udire.


Chiesa trionfante e chiesa militante


A partire dal 1º marzo tutte le udienze del processo furono tenute a porte chiuse, e alla giovane imputata non fu consentito di incontrare nessuno che non fosse inquisitore o giudice. Con tale disposizione Cauchon ed Estivet volevano provocare un crollo nervoso da parte di Giovanna, che tuttavia non cedette. Durante il secondo di questi interrogatori, tenutosi in forma riservata il 15 marzo, gli inquisitori chiesero a Giovanna se sapeva distinguere tra la "Chiesa trionfante" e la "Chiesa militante"; comprendendo la capziosità della domanda, l'imputata si rifiutò di fornire una risposta precisa ("Visto che la Chiesa è opera di Dio non ci deve essere una grande differenza") ma accennò brevemente al fatto che considerava la Chiesa militante, ossia la "Chiesa dei preti", subordinata alla Chiesa trionfante, e spiegò comunque di essere sottomessa all'autorità di ambedue le chiese. Quando poi le fu chiesto se riteneva di trovarsi nella "Grazia di Dio", Giovanna, che intuiva l'ambiguità della domanda (se avesse risposto di no avrebbe distrutto i presupposti su cui fondava la sua difesa, se avesse risposto di sì avrebbe peccato di superbia), rispose: "Se non lo sono prego il Signore che mi ci metta, ma se lo sono lo prego perché mi ci mantenga, perché preferirei morire piuttosto che restarne esclusa".


Il 27 marzo fu convocata un'udienza pubblica del collegio inquisitoriale, durante la quale Jean d'Estivet diede sfogo a tutta la propria valenza oratoria, assumendo toni decisamente violenti nel formulare accuse teologiche e nel muovere rimproveri alla condotta morale della giovane imputata; tuttavia, l'accusa ricevette ancora delle risposte parzialmente insoddisfacenti e interlocutorie da parte di Giovanna d'Arco, che cominciò anche a dare segni di impazienza di fronte al tribunale ecclesiastico, probabilmente temendo che il suo destino fosse segnato e la sentenza già decisa ancora prima di essere messa per iscritto.


Verdetto di colpevolezza


Il 12 aprile nel palazzo arcivescovile di Rouen si riunì il collegio giudicante, formato da teologi e giuristi, provenienti in gran parte dalla Sorbona e presieduto dal "magister" Ermengardo. Nonostante le prove raccolte contro Giovanna d'Arco fossero oggettivamente assai deboli, venne emesso un verdetto di colpevolezza per una lunga lista di imputazioni, le più gravi delle quali erano la blasfemia, l'idolatria e la superstizione.


Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veridicità delle voci che continuava ad udire.


Il 18 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Nel frattempo gli inglesi facevano pressione su Pierre Cauchon perché accelerasse l'esecuzione della sentenza, ma il vescovo di Bauvais, forse non del tutto convinto della regolarità formale del processo, né della effettiva colpevolezza della ragazza, continuò a prendere tempo. Del resto, Cauchon era sottoposto alle pressioni contrapposte da Giovanni Lancaster, duca di Bedford, da un lato, che auspicava una rapida messa a morte della condannata, e da Filippo III di Borgogna dall'altro, che, pur avendone richiesto la condanna, non voleva la morte di Giovanna, forse perché ne aveva pietà ma soprattutto perché temeva di farne una martire.


Abiura


Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni. Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio (fatto che molti studiosi hanno ritenuto insolito, perché la donna, pur priva di qualsiasi istruzione formale, sapeva scrivere il proprio nome, cosa che fece praticamente in tutte le occasioni in cui le fu richiesto, tracciando a fatica la firma "Jehanne"). Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa cattolica di Roma e condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri inglesi.


In realtà l'abiura, se da un lato favorì la commutazione della pena di morte in quella dell'ergastolo, dall'altro ebbe però l'effetto di legittimare sotto ogni profilo il processo. Infatti, se non avesse abiurato, Giovanna d'Arco avrebbe potuto appellarsi direttamente alla Santa Sede, chiedendo che il processo fosse dichiarato illegittimo, e nel frattempo gli effetti della sentenza sarebbero rimasti sospesi. Ammettendo, invece, la propria colpevolezza, Giovanna si precluse ogni possibilità di appello, ed il processo celebrato a suo carico vide sanato ogni suo eventuale vizio.


Tra le condizioni dell'atto di abiura di Giovanna vi era anche quella di non indossare più vestiti di foggia maschile. La mattina del 27 maggio, però, i carcerieri inglesi che sorvegliavano la sua cella dichiararono di aver trovato Giovanna con indosso abiti maschili. Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la veridicità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.


Il processo non fu esente da irregolarità, come ad esempio la detenzione di Giovanna in un carcere laico con guardiani maschi che la trattarono da prigioniera di guerra, oppure la mancanza di un difensore, di un curator, vista anche la giovane età dell'imputata, come anche, infine il legame che saldava i guidici con la causa anglo-borgognona.


Supplizio


Il 30 maggio 1431, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione, Giovanna d'Arco fu condotta al rogo che era stato allestito sulla piazza del mercato di Rouen. Contrariamente alla prassi dell'epoca, che prevedeva che il condannato fosse scomunicato prima di essere arso, e che gli fossero negati i conforti religiosi, Giovanna d'Arco poté confessarsi e ricevere la comunione, fu quindi incatenata a un pilastro di pietra, posto al di sopra di un cumulo di legna e fascine alto circa tre metri, perché fosse ben visibile anche da una certa distanza. Le testimonianze raccolte durante la revisione del processo affermano che la giovane, dopo che era stato appiccato il fuoco alla pira, abbia urlato ancora una volta che le voci che continuava ad udire erano vere e non se le era inventate, cosa che di fatto secondo lei era vera, ma per i suoi detrattori non corrispondeva a verità. Nel momento in cui il fuoco cominciò a bruciarle il corpo la ragazza urlò fortissimo Gesù, tante volte per cercare di non pensare all'orrore e al male che stava subendo in maniera puramente efferata. Una volta che le fiamme l'ebbero completamente avvolta, prima di morire vide apparire davanti ai suoi occhi una croce astile, come conforto per il suo martirio, dal Papa che molto teneva a lei, e che era stato costretto a condannare ad una pena così atroce perché pressato dagli stessi inglesi che desideravano una condanna molto più crudele dell'ergastolo per "Pulzella". Gettarono le ceneri nel fiume Senna per evitare che i venditori di reliquie potessero alimentare il culto della Pulzella, salvatrice della Francia condannata dai nemici ad un supplizio raccapricciante.


Verginità della Pulzella Giovanna d'Arco


Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna accreditava l'idea di essere un'inviata da Dio e non una strega: la sua verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un punto di vista fisico quanto da quello delle intenzioni religiose e politiche. Di conseguenza, verificarne la veridicità era questione di fondamentale importanza: così, per ben due volte venne constatata dalle matrone, a Poitiers nel marzo 1429, ed a Rouen il 13 gennaio 1431, su ordine dello stesso Cauchon.


L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili aveva probabilmente il fine di impedire ai malintenzionati di violentarla. Secondo Jean Massieu riprese a vestire abiti femminili, ma le guardie inglesi le avrebbero tolto le stesse gettandole in cella il sacco nel quale vi era l'abito da uomo[73].


Riabilitazione (1456)


Quando ormai le truppe inglesi avevano perso la propria influenza, nel 1456, la Chiesa, sotto papa Callisto III riaprì l'inchiesta, autorizzando un nuovo processo: il precedente tribunale fu riconosciuto come illegittimo, il processo annullato e Giovanna fu, a posteriori, riabilitata e riconosciuta innocente. Il grande accusatore della Pulzella, il vescovo Pierre Cauchon, subì la scomunica postuma come eretico.


Nel 1869 il vescovo d'Orléans diede avvio ad una petizione per la canonizzazione della fanciulla. Papa Leone XIII diede inizio al suo processo di beatificazione, che costituì anche un segnale per migliorare i rapporti della Santa Sede con il governo francese instauratosi nel 1893, fortemente anticlericale.


Proclamata Santa (1920)


Giovanna venne beatificata il 18 aprile 1909 da papa Pio X e proclamata santa da papa Benedetto XV il 16 maggio 1920, dopo che le era stato riconosciuto il potere intercessorio per i miracoli prescritti (guarigione di due suore da ulcere incurabili e di una suora da una osteo-periostite cronica tubercolare, per quanto concerne la beatificazione, e la guarigione "istantanea e perfetta" di altre due donne, l'una affetta da una malattia perforante la pianta del piede, l'altra da "tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell’orifizio mitralico", per quanto concerne la canonizzazione[74]).


Il governo francese, lo stesso anno, riallacciò i rapporti con la Santa Sede (che erano sospesi dal 1895) e dichiarò festa nazionale l'otto maggio, giorno della battaglia di Orléans. Santa Giovanna d'Arco venne dichiarata patrona di Francia; della telegrafia e della radiofonia.


È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica viene celebrata il 30 maggio.


Santa Giovanna d'Arco viene richiamata esplicitamente nel Catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d'un animo aperto alla Grazia salvatrice[75].


L'incredibile e breve vita, la passione e la drammatica morte di Giovanna d'Arco sono state raccontate innumerevoli volte in saggi, romanzi, biografie, drammi per il teatro; anche il cinema e l'opera lirica si sono occupati di questa figura. Tra le opere più significative riguardanti Giovanna sono da annoverare quelle dello storico Jules Michelet e del drammaturgo Johann Schiller.


Oggi è la Santa francese più venerata.


Reliquie


Giovanna d'Arco fu arsa viva sul rogo il 30 maggio 1431, l'esecuzione procedette con modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca e consistette in una sorta di "tripla cremazione". Giovanna non fu infatti uccisa direttamente dalle fiamme ma dall'inalazione dei fumi incandescenti prodotti dalla combustione della paglia, morte atroce ma molto rapida (per soffocamento dovuto ad edema della laringe). Si sa con certezza che, pochi minuti dopo che le fiamme avevano completamente avvolto la pira, i boia le fecero abbassare, consentendo ad alcuni spettatori di avvicinarsi, per mostrare loro che il cadavere era di una donna, e che si trattava di Giovanna d'Arco (dunque era riconoscibile), successivamente il fuoco fu riattizzato, in modo che il cadavere potesse essere completamente distrutto dal calore. A questa seconda cremazione, ne seguì una terza, perché i carnefici si erano resi conto che il corpo, seppure carbonizzato, non bruciava completamente.


I resti del rogo furono quindi caricati su un carro e gettati nella Senna. La dispersione delle ceneri era una sorta di pena accessoria e postuma, ma aveva anche uno scopo immediato e pratico: impedire che venissero prelevate reliquie di Giovanna d'Arco, perché a meno di due anni dalle grandi imprese militari della "Pulzella", la sua fama era ancora enorme e il coraggio con cui aveva affrontato il processo e la condanna potevano rafforzarla ulteriormente; la presenza di eventuali reliquie poteva quindi costituire la base di un culto pericoloso, perché rivolto a una nemica implacabile di inglesi e borgognoni.


Nonostante la meticolosità dei carnefici, e le rigide disposizioni delle autorità borgognone e inglesi avessero reso molto improbabile questa eventualità, nel 1867 furono rinvenute alcune presunte reliquie di Giovanna d'Arco. Le recenti analisi condotte da Philippe Charlier hanno però dimostrato che le reliquie attribuite alla santa sono in realtà databili tra il VI e il III secolo a.C. e sono frammenti di una mummia egiziana (i presunti segni di combustione sono in realtà, secondo Charlier, il prodotto di un processo di imbalsamazione).[76] [77]


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