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GIOVANNA D'ARCO

Ultimo Aggiornamento: 03/01/2018 18:37
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03/01/2018 17:59
 
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FEDE E CORAGGIO: GIOVANNA D'ARCO, LA SANTA GUERRIERA


29/05/2017  Fu spinta da voci interiori a impegnarsi per la liberazione della Francia. Distintasi per il valore sul campo di battaglia e per il suo modo intenso di vivere il messaggio cristiano, liberò Orléans. Poi fu catturata, processata per eresia, condannata e arsa viva sul rogo il 30 maggio 1431. La successiva riabilitazione: ora è patrona di Francia (ma anche della telegrafia e della radiofonia).


 




Tutti (o quasi) ne conoscono il nome. Pochi, pochissimi, la vera storia. Giovanna d’Arco nacque da una famiglia di contadini, a Domremy nel 1412. Durante la Guerra dei Cento anni (1337-1453) si sentì chiamata da Dio a soccorrere il re di Francia (le famosi voci interiori di cui parlò lei stessa più volte) e a cacciare gli Inglesi dal suolo francese. Nel 1429 raggiunse il Delfino Carlo, il futuro Carlo VII, nella città di Chinon, convincendolo ad affidarle il compito di tentare un’offensiva contro gli Inglesi. Riuscì a farsi accreditare presso la corte grazie a carismi straordinari che suscitavano ammirazione.Giovanna riformò l'organizzazione dell'esercito, rimotivandolo, trascinando con il suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di vita rigoroso, quasi monastico: fece allontanare le prostitute che seguivano i soldati, bandì ogni violenza o saccheggio, vietò che i militari bestemmiassero; impose loro di confessarsi e fece riunire intorno al suo stendardo l'esercito in preghiera due volte al giorno, al richiamo del suo confessore, Jean Pasquerel. Il primo effetto fu quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile ed i suoi difensori i quali, invece, avevano la pessima abitudine di tramutarsi da soldati in briganti quando non erano impegnati in azioni di guerra. Soldati e capitani, contagiati dal carisma della giovane, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si prepararono alla riscossa.


Liberata Orleans dall’assedio (8 maggio 1429), vittoria che le valse il titolo di “Pulzella di Orleans”, dopo qualche giorno (18 maggio 1429) ottenne una nuova vittoria: a Patay inflisse una dura sconfitta alle armate inglesi. Queste due vittorie permisero la conquista del territorio francese fino a Reims e quindi l’incoronazione solenne del Delfino con il nome di Carlo VII. Reims era infatti la città dove da secoli avvenivano le consacrazioni dei re di Francia. Ma, una volta incoronato re, Carlo VII fu preso dal desiderio di arrivare a un compromesso e decise di trattare con gli Inglesi. Giovanna non ci stette e volle, invece, continuare a combattere da sola, senza l’appoggio della Corona. Il 24 maggio del 1430 fu catturata dai Borgognoni, i quali erano dalla parte degli Inglesi, e a questi fu venduta per una cifra molto alta (10.000 tornesi) per raccogliere la quale furono alzate le imposte in Normandia, all'epoca sotto il dominio di Londra. Venne imprigionata nel Castello di Rouen e qui processata per eresia e stregoneria. In realtà, racontano gli storici che se ne occuparono in seguito, si trattava di un tribunale dell’Inquisizione inquinato da interessi politci, a favore degli Inglesi. I giudici spesso non rispettarono le procedure, non tennero conto delle affermazioni che potevano portare a scagionare l'imputata, e comunque il collegio giudicante era sovrastato dalla figura del cardinale di Winchester, Henry Beaufort (1374-1447), prozio e cancelliere di Enrico VI. Condannata, Giovanna d'Arco venne arsa viva - neppure ventenne - sulla piazza del Mercato Vecchio a Rouen il 30 maggio 1431.


Carlo VII non fece nulla per aiutarla; però, dopo la conquista di Rouen (1450), volle aprire un’inchiesta sul processo che portò alla completa riabilitazione di Giovanna d'Arco. Sancita al livello più alto, da papa Callisto III, nel 1456.. Giovanna d’Arco fu beatificata il 1909 da papa san Pio X e canonizzata nel 1920 da papa Benedetto XV. Una sua statua è stata posta nella cattedrale di Winchester, dinnanzi alla tomba del Cardinale Beaufort, colui che ebbe un ruolo decisivo nel tragico e infausto processo. Giovanna d'Arco è stata dichiarata patrona di Francia, della telegrafia e della radiofonia. È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica è celebrata il 30 maggio. Viene richiamata esplicitamente nel catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d'un animo aperto alla Grazia salvatrice. Oggi è la santa francese più venerata.





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03/01/2018 18:07
 
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Giovanna d’Arco (1412-1431) proviene da una famiglia di piccoli coltivatori di Domrémy, villaggio dei Vosgi rimasto fedele al delfino Carlo di Valois (1403-1461) in una zona interamente dominata dagli anglo-borgognoni. Fa la sua comparsa sulla scena nel gennaio del 1429, in una fase avanzata della guerra dei Cent’anni (1337-1453). In quel momento ha circa 17 anni, non sa leggere, né scrivere, in teoria non dovrebbe essere capace di cavalcare, e tantomeno di combattere. Invece, indossati gli abiti maschili, si reca alla presenza di Carlo di Valois, dopo un lungo viaggio a cavallo attraverso il territorio nemico. Le «voci» che ode con insistenza, da lei attribuite all’arcangelo Michele, a santa Margherita di Antiochia e a santa Caterina di Alessandria, la esortano infatti a recarsi presso di lui perché gli riferisca che lei è inviata da Dio a liberare la Francia dagli inglesi.


 

Finisce per condurre l’armata francese all’assedio di Orléans (maggio 1429). Al suo seguito l’armata francese è trascinata di vittoria in vittoria: Orléans, Jargeau (dove Giovanna d’Arco è ferita nell’assalto alle mura), Patay; l’esito trionfale di quest’ultima apre la strada di Reims a Carlo di Valois, consacrato re di Francia col nome di Carlo VII (17 luglio 1429).


Subito dopo ha inizio la parabola discendente, con le esitazioni e i tentennamenti del re – sempre più propenso a trattative con il duca di Borgogna Filippo il Buono – e il fallimento dell’assedio di Parigi (8 settembre 1429) da parte di Giovanna d’Arco.


 

Giovanna preme per continuare la guerra. Nel tentativo di forzare la mano al re, decide di muovere senza preavviso in aiuto di Compiègne, sotto l’assedio del duca di Borgogna, al comando di truppe mercenarie da lei assoldate. Ed è sotto le mura della città che viene catturata il 23 maggio del 1430 da Giovanni di Lussemburgo, che la vende agli inglesi per la notevole somma di 10.000 scudi d’oro.


Da quel momento tutti le voltano le spalle, a cominciare da quel re che le deve vittorie e corona: nessun tentativo di liberarla, nessuna trattativa, nessun riscatto.


Per gli inglesi è l’occasione di liberarsi di Carlo VII e distruggere, attraverso l’umiliazione e la caduta di Giovanna d’Arco, quell’aura di guerra santa che da tempo circonda lui e il suo esercito. Quella ragazza che pretende di essere in contatto con i santi e con Dio deve essere dichiarata strega; bisogna che le sue «voci» e le sue profezie risultino un’impostura; le sue credenze eretiche; la sua sbandierata purezza una messinscena blasfema. Se tutto questo potrà realizzarsi quel re, lungi dall’essere l’Unto del Signore, si rivelerà la creazione di un’eretica.
Gli inglesi quindi non hanno pietà e la consegnano al tribunale dell’Inquisizione, certi della condanna.

Il processo istruttorio inizia nel gennaio 1431. Gli interrogatori, di cui sono giunti i verbali, restano la fonte più importante per ricostruire la vicenda di Giovanna d’Arco.

Sola e in catene davanti a un tribunale ostile, composto da alti prelati che manifestano apertamente di non credere alle sue «voci» e insinuano anzi la loro natura diabolica, Giovanna d’Arco risponde a tono e quasi sempre in modo pertinente, pur essendo analfabeta. A domande formulate con malizia sottile, tese a farla cadere in trappola, oppone una semplicità e una risolutezza stupefacenti, e per più di tre mesi tiene testa ai suoi giudici. Contro di lei vengono stilati 72 capi di accusa. Alla fine viene riconosciuta colpevole di idolatria, scisma e apostasia.

Il suo unico momento di cedimento si verifica il 24 maggio (1431) nel cimitero di Saint-Ouen, davanti alla pira già innalzata, quando, ormai stremata, firma la sua abiura. Era ciò che si voleva da lei: che rinnegasse le «voci», la chiamata divina, il carattere sacro della missione. Tutto quello che aveva costruito diventava così una menzogna. In cambio ha salva la vita, perché agli eretici pentiti era riservata la reclusione perpetua invece del rogo.

Firmata l’abiura, Giovanna d’Arco riprende gli abiti femminili, ma quattro giorni dopo torna a quelli maschili.

Cosa sia successo in quell’intervallo di tempo non è chiaro: testimonianze e documenti non concordano e offrono testimonianze contrastanti.

Nuovamente interrogata, Giovanna d’Arco riferisce di aver udito ancora le voci che le rimproveravano la debolezza dell’abiura e la paura della morte.

Giovanna d’Arco è consapevole che questo significa la sua condanna a morte in quanto relapsa («ricaduta»), termine che designava gli eretici tornati all’errore dopo l’abiura.

Mercoledì 30 maggio 1431, Giovanna d’Arco viene portata sulla piazza del mercato di Rouen. Il frate domenicano Martin Ladvenu l’aveva confessata e il vescovo Cauchonaveva permesso che si comunicasse. Desidera il conforto d’un crocefisso: pietosamente, un soldato inglese le confeziona una piccola croce legando insieme due pezzetti di legno rotti dalla punta d’un bastone. Frate Isembard de la Pierre corre alla vicina chiesa di Saint-Laurent: si fa consegnare una grande croce astile e gliel’avvicina al volto, dal basso, quanto più possibile, affinché dall’alto del rogo possa averla vicina e fissare fino ai suoi ultimi istanti il suo Signore crocifisso. Avvolta dalle fiamme, grida più volte ad altissima voce il nome di Gesù.

Nel 1455 viene stabilita la riapertura del processo, che si conclude con una sentenza di completa riabilitazione.
Il 18 aprile 1909 Giovannna d’Arco viene beatificata da papa Pio X. L’evento suscita grande scandalo e polemiche in quanti ricordano che era stata proprio la Chiesa a metterla sul rogo.

Nel 1920 Giovanna ottiene contemporaneamente la canonizzazione e la proclamazione di una festa nazionale in suo onore.


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03/01/2018 18:17
 
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Analfabeta, cosa comune al tempo e quasi scontata per le donne, Giovanna, che ammise di aver vidimato molti documenti con una croce, imparò ad apporre la firma 

Giovanna d'Arco (in francese Jeanne d'Arc, in medio-francese Jehanne Darc; Domrémy, 6 gennaio 1412 – Rouen, 30 maggio 1431) è un'eroina nazionale francese, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, oggi conosciuta anche come la Pulzella d'Orléans.
Riunì al proprio Paese parte del territorio caduto in mano inglese, contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi.
Catturata dai Borgognoni davanti a Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero a un processo per eresia (nel cui contesto ebbe gran peso il fatto che fosse solita indossare "abiti maschili") al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo .
Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo.
Beatificata nel 1909 da Pio X e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna fu proclamata patrona di Francia (Poco o nulla sappiamo dell'aspetto fisico di Giovanna d'Arco (se non per un vago accenno da parte di Jean d'Aulon, che la definì "alta, bella e ben formata = vedi Régine Pernoud, La spiritualità di Giovanna d'Arco, Milano, Jaca Book, 1998. ISBN 88-16-40480-9).

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Il processo a Giovanna [l'opera cui si fa qui riferimento, a mio avviso la più completa in assoluto sul tema è quella a cura di Teresa Cremisi, Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE, 2000. ISBN 88-7710-482-1] ebbe inizio formalmente il 3 gennaio 1431, con atto scritto; il 9 gennaio 1431 Cauchon, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), iniziò la procedura ridefinendo il processo stesso, iniziato in un primo tempo "per stregoneria", in uno "per eresia"; conferì infine l'incarico di "procuratore", sorta di pubblico accusatore, a Jean d'Estivet, canonico di Beauveais che lo aveva seguito a Rouen.
La prima udienza si tenne pubblicamente il 21 febbraio 1431 nella cappella del Castello di Rouen.
La carcerazione non aveva fiaccato lo spirito di Giovanna; sin dal principio delle udienze, richiesta di giurare su qualsiasi domanda, ella pretese - ed ottenne - di limitare il proprio impegno a quanto concernesse la fede.
Inoltre, alla domanda di Cauchon di recitare il Padre Nostro rispose che lo avrebbe certamente fatto ma solo in confessione, modo sottile per ricordargli la sua veste di ecclesiastico.
L'interrogatorio di Giovanna si svolse in maniera convulsa, sia perché l'imputata era interrotta continuamente, sia perché alcuni segretari inglesi ne trascrivevano le parole omettendo tutto ciò che fosse a lei favorevole, cosa di cui il notaio Guillame Manchon si lamentò minacciando di astenersi dal presenziare ulteriormente; dal giorno seguente Giovanna fu così sentita in una sala del castello sorvegliata da due guardie inglesi.
Durante la seconda udienza, Giovanna fu interrogata per sommi capi sulla sua vita religiosa, sulle apparizioni, sulle voci, sugli accadimenti occorsi a Vaucouleurs, sull'assalto a Parigi in un giorno in cui cadeva una solennità religiosa; a questo la Pulzella rispose che l'assalto avvenne per iniziativa dei capitani di guerra, mentre le voci le avevano consigliato di non spingersi oltre Saint-Denis.
Questione non trascurabile posta quel giorno, sebbene in un primo momento passata quasi inosservata, il motivo per cui la ragazza indossasse abiti maschili; alla risposta suggeritale da quelli stessi che la stavano interrogando (ossia se fosse stato un consiglio di Robert de Baudricourt, capitano di Vaucouleurs), Giovanna, intuendo la gravità di un'asserzione simile, rispose: "Non farò ricadere su altri una responsabilità così pesante!" In quest'occasione Cauchon, forse toccato dalla richiesta di essere udita in confessione, fatta dalla prigioniera il giorno precedente, non la interrogò personalmente, limitandosi a chiederle, ancora una volta, di prestare giuramento.
Durante la terza udienza pubblica, Giovanna rispose con una vivacità inattesa in una prigioniera, arrivando ad ammonire il suo giudice, Cauchon, per la salvezza della sua anima.
La trascrizione dei verbali rivela anche una vena umoristica inaspettata che la ragazza possedeva nonostante il processo; alla domanda se avesse avuto rivelazione che sarebbe riuscita ad evadere dalla prigione, rispose: "E io dovrei venire a dirvelo?" L'interrogatorio successivo, sull'infanzia di Giovanna, i suoi giochi di bambina, l'Albero delle Fate, intorno al quale i bambini giocavano, danzavano ed intrecciavano ghirlande, non portò nulla di rilevante per gli esiti processuali, né fece cadere Giovanna in affermazioni che potessero renderla sospetta di stregoneria, come forse era negli intenti dei suoi accusatori.
Di notevole rilevanza, invece, la presenza, tra gli assessori della giuria, di Nicolas Loiseleur, un prete che si era finto prigioniero ed aveva ascoltato Giovanna in confessione, mentre, come riferito sotto giuramento da Guillame Manchon, diversi testimoni ascoltavano nascostamente la conversazione, in aperta violazione delle norme ecclesiastiche.

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Nelle tre udienze pubbliche successive si accentuò il divario di prospettiva tra i giudici e Giovanna; mentre i primi si accanivano con sempre maggiore tenacia sul motivo per cui Giovanna portasse abiti maschili, la ragazza sembrava a suo agio parlando delle sue voci, che indicò provenire dall'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita, differenza evidente nella risposta data circa la luminosità della sala in cui aveva incontrato per la prima volta il Delfino: "cinquanta torce, senza contare la luce spirituale!" Ed ancora, nonostante la prigionia e la pressione del processo, la ragazza non rinunciava a risposte ironiche; ad un giudice che le aveva domandato se l'Arcangelo Michele avesse i capelli, Giovanna rispose: "Per quale ragione avrebbero dovuto tagliarglieli?" Il 27 e il 28 marzo furono letti all'imputata i settanta articoli che componevano l'atto di accusa formulato da Jean d'Estivet.
Molti articoli erano palesemente falsi o quantomeno non suffragati da alcuna testimonianza, meno che mai dalle risposte dell'imputata; tra essi si legge che Giovanna avrebbe bestemmiato, portato con sé una mandragora, stregato stendardo, spada e anello conferendo ad essi virtù magiche; frequentato le fate, venerato spiriti maligni, tenuto commercio con due "consiglieri della sorgente", fatto venerare la propria armatura, formulato divinazioni.
Altri, come il sessantaduesimo articolo, sarebbero potuti risultare più insidiosi, in quanto ravvisavano in Giovanna la volontà di entrare in contatto direttamente con il divino, senza la mediazione della Chiesa, eppure passarono quasi inosservati.
Paradossalmente, risultò di sempre maggior rilevanza l'uso di Giovanna di portare abiti da uomo.
(Cremisi, cit., pp. 124–144 Atti d'accusa).

**********
Il 24 maggio 1431 Giovanna fu tradotta dalla sua prigione nel cimitero dalla chiesa di Saint-Ouen, sul margine orientale della città, ove erano già state preparate una piattaforma per lei, in modo che la popolazione potesse vederla e udirla distintamente, e tribune per i giudici e gli assessori.
Più in basso, il carnefice attendeva sul suo carro.
Presente Henri de Beaufort, vescovo di Winchester e cardinale, la ragazza fu ammonita da Guillame Erard, teologo, che, dopo un lungo sermone, domandò a Giovanna, ancora una volta, di abiurare i crimini contenuti nei dodici articoli dell'accusa.
Giovanna rispose: "Mi rimetto a Dio e al Nostro Santo Padre il Papa", risposta che doveva esserle stata suggerita da Jean de La Fontaine, il quale, pur nella sua veste di assessore, evidentemente aveva ritenuto corretto informare l'imputata dei suoi diritti (fatto che gli sarebbe costato l'esclusione dal processo e l'allontanamento da Rouen); inoltre, presso la ragazza si trovavano i domenicani Isambart de la Pierre e Martin Ladvenu, esperti delle procedure inquisitoriali.
Com'era prassi del tempo, l'appello al Pontefice avrebbe dovuto interrompere la procedura inquisitoriale e portare alla traduzione dell'imputata innanzi al Papa, tuttavia, nonostante la presenza di un cardinale, Erard liquidò la questione sostenendo che il Pontefice era troppo lontano, continuando ad ammonire Giovanna per tre volte; infine, Cauchon prese la parola ed iniziò a leggere la sentenza quando fu interrotto da un grido di Giovanna: "Accetto tutto quello che i giudici e la Chiesa vorranno sentenziare!".
A Giovanna fu quindi consegnato una dichiarazione per mano dell'usciere, Jean Massieu; nonostante lo stesso Massieu l'avvertisse del pericolo in cui incorreva firmandola, la ragazza siglò il documento con una croce.
In realtà Giovanna, seppure analfabeta, aveva imparato a firmare con il suo nome, "Jehanne", così come appare nelle lettere che ci sono pervenute ed anzi la Pulzella aveva dichiarato durante il processo che era solita apporre una croce su una lettera inviata a un capitano di guerra quando voleva significare ch'egli non doveva fare ciò che ella gli aveva scritto; è probabile che tale segno avesse, nella mente di Giovanna, lo stesso significato, tanto più che la ragazza lo tracciò accompagnandolo con un riso enigmatico.
L'abiura che Giovanna aveva firmato non era più lunga di otto righe, nelle quali s'impegnava a non riprendere le armi, né portare abito d'uomo, né capelli corti, mentre agli atti venne messo un documento di abiura di quarantaquattro righe in latino.
La sentenza emessa era comunque durissima: Giovanna era condannata alla carcerazione a vita nelle prigioni ecclesiastiche, a "pane di dolore" ed "acqua di tristezza".
Nondimeno, la ragazza sarebbe stata sorvegliata da donne, non più costretta da ferri giorno e notte, libera dal tormento dei continui interrogatori; quale dovette essere la sua sorpresa quando udì le parole di Cauchon che ordinava: "Conducetela là dove l'avete presa".
Questa violazione delle norme ecclesiastiche fu con ogni probabilità voluta dallo stesso Cauchon per un fine preciso, indurre Giovanna ad indossare nuovamente l'abito da uomo per difendersi dai soprusi dei soldati.
Infatti solamente i relapsi, ossia coloro che, avendo già abiurato, ricadevano in errore, erano destinati al rogo
.
Gli inglesi, tuttavia, persuasi che ormai Giovanna fosse sfuggita loro di mano, poco avvezzi alle procedure dell'Inquisizione, esplosero in un tumulto e in un lancio di sassi contro lo stesso Cauchon.
Nuovamente in carcere, Giovanna divenne oggetto di una collera ancora maggiore da parte dei suoi carcerieri; il domenicano Martin Ladvenu riporta che Giovanna gli riferì di un tentativo di violentarla da parte di un inglese, che, non riuscendovi, la percosse con ferocia.
La mattina di domenica 27 maggio, Giovanna chiese di alzarsi ed un soldato inglese le sottrasse gli abiti da donna e gettò nella sua cella quelli maschili; nonostante le proteste della Pulzella, non gliene furono concessi altri.
A mezzogiorno, Giovanna fu costretta a cedere.
Cauchon ed il viceinquisitore Lemaistre, insieme ad alcuni assessori, si recarono il giorno seguente alla prigione.
Giovanna affermò coraggiosamente di aver ripreso l'abito maschile di propria iniziativa, poiché si trovava tra uomini e non, come suo diritto, in una prigione ecclesiastica, sorvegliata da donne, ove poter sentir messa.
Interrogata ancora, ribadì di credere fermamente che le voci che le apparivano erano quelle di Santa Caterina e di Santa Margherita, di essere inviata da Dio, di non aver capito una sola parola dell'atto di abiura, ed aggiunse "Dio mi ha mandato a dire per bocca di santa Caterina e santa Margherita quale miserabile tradimento ho commesso accettando di ritrattare tutto per paura della morte; mi ha fatto capire che, volendo salvarmi, stavo per dannarmi l'anima!" ed ancora: "Preferisco fare penitenza in una sola volta e morire piuttosto che sopportare più a lungo la sofferenza di questa prigione".
Il 29 maggio Cauchon riunì per l'ultima volta il tribunale per decidere la sorte di Giovanna.
Su quarantadue assessori, trentanove dichiararono che fosse necessario leggerle nuovamente l'abiura formale e proporle la "Parola di Dio".
Il loro potere, però, era solo consultivo.
Pietro Cauchon e Jean Lemaistre condannarono Giovanna al rogo.

*************
L'esecuzione: il rogo = Il 30 maggio 1431 entrarono nella cella di Giovanna due frati domenicani, Jean Toutmouillé e Martin Ladvenu; quest'ultimo la ascoltò in confessione e le comunicò quale sorte era stata decretata per lei quel giorno; nella sua ultima lamentazione, la Pulzella, vedendo entrare il vescovo Cauchon esclamò: "Vescovo, muoio per causa vostra".
In seguito, quando questi si fu allontanato, Giovanna chiese di ricevere l'eucaristia.
Fra Martin Ladvenu non seppe che cosa risponderle, poiché non era possibile ad un eretico comunicarsi e chiese allo stesso Cauchon come dovesse comportarsi; sorprendentemente, ed in violazione, ancora una volta, di ogni norma ecclesiastica, questi rispose di somministrarle il sacramento.
Giovanna fu condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen e fu data lettura della sentenza ecclesiastica.
Successivamente, senza che il balivo o il suo luogotenente prendessero in custodia la prigioniera, fu abbandonata nelle mani del boia, Geoffroy Thérage, e condotta dove il legno era già pronto, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione.
Vestita di un lungo abito bianco e scortata da circa duecento soldati, salì sino al palo dove fu incatenata, sopra una gran quantità di legna.
In tal modo, non c'era possibilità per il boia di abbreviare il supplizio della condannata, facendole perdere i sensi per l'impossibilità di respirare e facendo poi bruciare il corpo già morto.
Sarebbe dovuta ardere viva.
Giovanna, caduta in ginocchio, invocava Dio, la Vergine, l'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita; domandava ed offriva perdono a tutti.
Chiese una croce ed un soldato inglese, impietosito, prese due rami secchi e li legò a formarne una, che la ragazza strinse al petto; Isambart de La Pierre corse a prendere la croce astile della chiesa e gliela pose dinanzi; infine, i soldati strattonarono il boia e gli ordinarono: "fa' ciò che devi".
Il fuoco salì veloce e Giovanna chiese dapprima dell'acqua benedetta, poi, investita dalle fiamme, nel dolore atroce, gridò a gran voce: "Gesù!" Così morì Giovanna la Pulzella, a soli diciannove anni.
[fonte ripresa con modifiche da "Wikipedia, l'Enciclopedia libera on line"].

[Modificato da Credente 03/01/2018 18:23]
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03/01/2018 18:32
 
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                       Fuga dalle devastazioni provocate dai borgognoni nel 1428 


Nell'estate del 1428 la sua famiglia fuggì dalle devastazioni provocate dalle truppe di Giovanni di Lussemburgo ed Antonio di Vergy, capitano borgognone, nella valle del fiume Mosa. Era da poco iniziato l'anno 1429 quando gli inglesi erano ormai prossimi ad occupare completamente Orléans, cinta d'assedio sin dall'ottobre del 1428[9]: la città, sul lato settentrionale della Loira, aveva, per la posizione geografica e il ruolo economico, un valore strategico quale via d'accesso a tutte le regioni meridionali; per Giovanna, che sarebbe diventata una figura emblematica della storia di Francia, fu quello il momento (sollecitata dalle voci), per correre in aiuto di Carlo, Delfino di Francia e futuro re, estromesso dalla successione al trono a beneficio della dinastia inglese nella guerra che l'opponeva agli Inglesi ed ai loro alleati Borgognoni[10].


Come Giovanna stessa dichiarerà sotto interrogatorio, in un primo tempo mantenne il più stretto riserbo su queste apparizioni sovrannaturali, che all'inizio le parlavano della sua vita privata e che solo successivamente l'avrebbero spinta a lasciare la propria casa per guidare l'esercito francese. Tuttavia, i suoi genitori dovettero intuire qualcosa del cambiamento che stava avvenendo nella ragazza, forse anche allertati da qualche confidenza che Giovanna stessa si era lasciata sfuggire, come avrebbe ricordato, molti anni dopo, un suo amico di Domrémy[11], ed avevano deciso di darla in sposa ad un giovane di Toul. Giovanna rifiutò di accettare la proposta di matrimonio e il suo fidanzato la citò in giudizio dinanzi al tribunale episcopale; ascoltate entrambe le parti, il tribunale diede ragione a Giovanna, dal momento che il fidanzamento era avvenuto senza il suo assenso[12].


Vinta anche la resistenza dei genitori, la ragazza ebbe di nuovo le mani libere e poté dedicarsi alla sua missione. La prima tappa del suo viaggio la portò sino a Vaucouleurs, ove, con l'appoggio dello zio Durand Laxart, riuscì ad incontrare il capitano della piazzaforte, Robert de Baudricourt, il quale, al primo incontro, avvenuto il 13 maggio 1428[13], la schernì rimandandola a casa come una povera folle. Per nulla demoralizzata da quell'insuccesso, Giovanna si recherà altre due volte presso il capitano di Vaucouleurs e questi, forse spinto dal consenso che Giovanna sapeva raccogliere tanto tra il popolo quanto tra i suoi uomini, mutò parere sul suo conto, sino a convincersi (non prima di averla sottoposta a esorcismo da parte del curato Jean Fournier) della sua buona fede e ad affidarle una scorta che l'accompagnasse al cospetto del sovrano, come la ragazza domandava. Proprio in questa occasione Giovanna indossò abiti maschili, forse perché più adatti al viaggio o forse per emulare Santa Margherita d'Antiochia o per evidenziare alla rinuncia di una vita familiare e sessuale consueta.[14]


Gesta belliche


Il tragitto di Giovanna da Vaucouleurs verso Chinon per incontrarsi col gentile Delfino, per usare le sue stesse parole, suscitò di per sé non poco interesse. Viaggiando tra i confini sempre incerti e sfumati tra villaggi francesi ed anglo-borgognoni, recando con sé la promessa di un aiuto sovrannaturale che sarebbe stato in grado di rovesciare le sorti della guerra, che ormai sembravano segnate, l'esiguo drappello rappresentava l'ultima speranza per il partito che ancora sosteneva il "re di Bourges", come veniva sprezzantemente chiamato Carlo VII dai suoi detrattori. Il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans) inviò due suoi fidi a Gien, ove la Pulzella era passata, per raccogliere informazioni, e l'intero paese ne attendeva le gesta, che effettivamente vi furono, anche se pagate ad alto prezzo.[15][16]


Incontro con Charle Valois, Delfino di Francia






Ritratto originale di Giovanna d'Arco, dal registro del Parlamento di Parigi (1429) tenuto da Clément de Fauquembergue.[17]



Senza neppure avvisare i suoi genitori, Giovanna partì da Vaucouleurs il 22 febbraio 1429, accompagnata da un manipolo composto da Jean de Metz, Bertrand de Poulengy, uomini di fiducia di Robert de Baudricourt, da Richard Larcher, da servitori, e guidata da un corriere reale, Colet de Vienne, diretti a Chinon. Il piccolo drappello percorse una non facile via fra territori contesi sino al castello di Chinon all'inizio del mese di marzo. Il fatto di essere scortata dagli uomini di un capitano fedele al Delfino probabilmente giocò non poco a favore dell'incontro con quest'ultimo.[18]


Presentandosi al Delfino Carlo, dopo due giorni di attesa, nella grande sala del castello di Chinon, Giovanna sostenne di essere stata inviata da Dio per portare soccorso a lui e al suo reame[19].


Tuttavia, il Delfino, non fidandosi ancora completamente di lei, la sottopose ad un lungo esame in materia di fede, protrattosi per circa tre settimane, facendola interrogare da un gruppo di teologi[20] della appena fondata Università di Poitiers, nata nel 1422[21], sotto la guida di François Garivel, consigliere reale in materia di giurisprudenza. Solo quando la giovane ebbe superato questa prova Carlo, convintosi, decise di affidarle un intendente, Jean d'Aulon, nonché l'incarico di "accompagnare" una spedizione militare (pur non ricoprendo alcun incarico ufficiale) in soccorso della città di Orléans assediata e difesa da Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans), mettendo così nelle sue mani, di fatto, le sorti della Francia.[22]


Giovanna iniziò pertanto la riforma dell'armata trascinando con il suo esempio le truppe francesi e imponendo uno stile di vita rigoroso e quasi monastico: fece allontanare le prostitute che seguivano l'esercito, bandì ogni violenza o saccheggio, vietò che i soldati bestemmiassero; impose loro di confessarsi e fece riunire due volte al giorno, intorno al suo stendardo, l'esercito in preghiera, al richiamo del suo confessore, Jean Pasquerel. Il primo effetto fu quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile ed i suoi difensori i quali, invece, avevano l'inveterata abitudine di tramutarsi da soldati in briganti quando non erano impegnati in azioni di guerra[23][24] Soldati e capitani, contagiati dal carisma della giovane, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si prepararono alla riscossa.


Assedio d'Orléans






Giovanna d'Arco con lo stendardo bianco-gigliato



Sebbene non le fosse stata affidata formalmente nessuna carica militare, Giovanna divenne presto la figura ispiratrice delle armate francesi: in armatura, impugnando spada e la bandiera bianca della Francia con raffigurato Dio benedicente il giglio araldico francese e ai lati gli Arcangeli Michele e Gabriele, chiamata da tutti come Jeanne la Pucelle (Giovanna la Pulzella, come le voci l'avevano chiamata), Giovanna raccolse 4.000 volontari francesi da tutto il regno che guidò infervorati nelle battaglie contro gli anglo-borgognoni, che erano ad un passo dalla vittoria definitiva, dato che erano giunti a porre l'assedio a Orléans, chiave di volta della valle della Loira nella Francia centrale. Cadendo, l'intera Loira meridionale sarebbe stata presa; la stessa Chinon, corte del futuro re Carlo VII, era minacciata da vicino .


Orléans, era accerchiata dalle degli inglesi (principalmente arcieri) e dai borgognoni (cavalleria e fanteria pesante corazzata), che avevano costruito otto fortezze intorno alla città, per rinforzare l'assedio (bastioni di Tourelles, Augustins, Saint-Jean-le-Blanc, Saint-Laurent, Saint-Loup, e tre fortezze poste a sud della Loira, dette "Londre", "Rouen" e "Paris" e infine la fortezza dell'isola di Charlemagne). L'assedio inglese stava per chiudere ogni via d'accesso alla città, che poteva capitolare per fame[25].


I francesi erano tuttavia riusciti a mantenere aperta la porta di Bourgogne e Giovanna, il 29 aprile giunse sulla riva meridionale, di fronte al borgo di Chécy, in sella ad un destriero bianco e preceduta da un lungo corteo di preti intonanti il Veni Creator. Li trovò ad attenderla Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans), che la pregò di entrare in città per quella via mentre i suoi uomini compivano manovre diversive. L'esercito ed i rifornimenti, necessari per sfamare la popolazione allo stremo, avrebbero atteso di poter essere traghettati attraverso il fiume con il vento favorevole.[26]


Incontro con Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans)


L'incontro tra il giovane comandante e Giovanna d'Arco fu burrascoso, dinanzi alla decisione di attendere che il vento girasse in modo da consentire l'ingresso dei rifornimenti e dei rinforzi, Giovanna rimproverò aspramente l'uomo di guerra, sostenendo che suo compito sarebbe stato quello di condurre Lei e l'esercito direttamente in battaglia. Il Bastardo d'Orléans non ebbe neppure tempo di replicare poiché pressoché subito il vento mutò direzione e divenne favorevole al transito sulla Loira, consentendo l'ingresso dei rifornimenti e dei rinforzi, (4000 uomini), che accompagnavano Giovanna[27].


Nel frattempo, sulla via per Orléans, Giovanna venne raggiunta da due dei suoi fratelli: Giovanni e Pietro, che si erano uniti ai soldati. Dopo alcuni giorni, durante i quali venne conquistata la fortezza di Saint-Loup, Giovanna ordinò l'attacco ai bastioni più fortificati a sud del fiume (Saint-Jean-le-Blanc e Augustins), conquistandoli il 6 maggio dopo una giornata di combattimenti. Il 7 maggio 1429, riuscì a rompere l'accerchiamento, guidando le truppe (pur ferita ad una spalla da una freccia alla scapola), conquistando il bastione di Tourelles, senza smettere di combattere e senza farsi curare sino al termine delle ostilità[28], per poi rientrare nella città attraverso il ponte[29].


Liberazione di Orléans


L'8 maggio 1429, l'esercito inglese demolì i propri bastioni, abbandonando i prigionieri, e si dispose a dare battaglia in campo aperto. Giovanna, Jean de Dunois e gli altri capitani schierarono le loro forze e per un'ora i due eserciti si fronteggiarono; alla fine, gli Inglesi si ritirarono e Giovanna d'Arco impose ai francesi di non inseguirli, perché era domenica. La città di Orléans era finalmente libera.


Giovanna d'Arco e l'esercito, prima di rientrare, unitamente al popolo, assistettero ad una messa all'aperto, ancora in vista del nemico in fuga[30].


Il successo fu fondamentale per le sorti della guerra, poiché esso impedì che gli anglo-borgognoni potessero occupare l'intera parte sud del paese, rimasta fedele a re Carlo, e inoltre diede inizio a un'avanzata nella valle della Loira che sarebbe culminata nel trionfo francese della battaglia di Patay.


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Campagna della Loira


Dopo soltanto tre giorni dalla liberazione di Orléans, Giovanna e Jean de Dunois si misero in viaggio per incontrare il Delfino a Tours, seguendo l'armata reale sino a Loches. In effetti, sebbene l'entusiasmo popolare si fosse acceso istantaneamente, così come l'interesse dei governanti (incluso l'imperatore Sigismondo), esisteva il rischio che si spegnesse con uguale facilità, lasciando solo il ricordo delle gesta alle poesie di Christine de Pisan o di Carlo d'Orléans (all'epoca prigioniero)[31]. La corte era divisa e molti nobili tentati di trarre profitti personali dall'inaspettata vittoria, temporeggiando o suggerendo obiettivi bellici d'interesse strategico secondario rispetto al cammino tracciato da Giovanna, lungo la Valle della Loira, sino a Reims. Jean de Dunois, forte della propria esperienza militare, dovette esercitare tutta la sua influenza sul Delfino prima che questi si decidesse ad organizzare l'attacco su Reims.[32]


Inizio della campagna per la conquista di Reims


Il 9 giugno 1429, nei pressi di Orléans, il comando dell'armata reale venne affidato al duca Giovanni II d'Alençon, assieme alle compagnie del Bastardo d’Orléans e di Florent d’Illiers di Châteaudun. L’esercito raggiunse Jargeau l’11 giugno. Al loro arrivo i comandanti francesi volevano accamparsi nei sobborghi della città ma furono quasi travolti dalla controffensiva inglese. Giovanna d'Arco guidò al contrattacco la propria compagnia e l'esercito poté acquartierarsi.


Il 10 giugno Giovanna risolse un consiglio di guerra con irruenza, esortando ad attaccare senza esitazioni. Grazie ad un diversivo improvvisato Jean de Dunois, le mura di Reims, sguarnite, vennero conquistate, e così la stessa città. Durante l'attacco, Giovanna fu colpita al capo da una roccia. Tuttavia, la Pulzella, caduta al suolo, fu subito in piedi.


Il 13 e 14 giugno l'esercito, di ritorno ad Orléans, ripartì immediatamente per un'offensiva su Meung-sur-Loire.Con un attacco fulmineo il 15 giugno venne preso il ponte sulla Loira, e, posta una guarnigione sullo stesso, l’esercito passò oltre per accamparsi davanti a Beaugency. Gli inglesi attendevano il corpo d'armata di rinforzo comandato da Sir John Falstof, famoso capitano, che si era liberato del peso dei rifornimenti e ora procedeva a marce forzate[33],[34].


Arrivo dei bretoni del Conestabile Arturo III di Bretagna (Richemont)


Pressoché contemporaneamente, tuttavia, anche l'esercito francese acquisiva un nuovo e scomodo alleato, il Conestabile Arturo di Richemont, comandante dei Bretoni, su cui pesava il bando dalle terre del Delfino per antiche dispute. All'interno dell'esercito si nutriva ostilità per il Richemont; il duca Giovanni II D'Alençon rifiutò di cedere il comando dell'armata reale al Conestabile di Francia, che ne aveva il diritto, senza nemmeno avvisare il Delfino ma senza neppure consultarsi con gli altri capitani o con Jean de Dunois, cugino del sovrano.


Giovanna, attenta ai bisogni dell’esercito e nel suo candore, incurante delle lotte intestine che dividevano la nobiltà, chiese al Conestabile se fosse pronto ad aiutarli onestamente; in altre parole, chiese a Richemont di offrire la propria parola e la propria spada al Valois. Ricevuta dal conestabile Richemont piena assicurazione di fedeltà, Giovanna non esitò ad ammetterlo nel regio esercito. In effetti, d’ora innanzi il Conestabile darà prova della propria lealtà a Carlo VII di Francia; tuttavia, l’accettazione nei ranghi dell’esercito di quell’uomo in disgrazia compromise non poco la fiducia a Giovanna. Qualcuno glielo fece notare, ma con semplicità Lei rispose che aveva bisogno di rinforzi.


Questo era senz’altro vero. Il castello di Beaugency, vista arrivare la compagnia di Bretoni, si decise infine a capitolare. Gli Inglesi negoziarono la resa contro un salvacondotto che permise loro di lasciare la città il 17 giugno.


Con la spensieratezza e la volontà di riappacificazione che le erano proprie e con l'impeto della giovinezza Giovanna si era esposta a favore di un uomo in disgrazia, a rischio della fiducia stessa di cui ella godeva presso la corte.[35]


L'armata francese si rimise in cammino; all'avanguardia, le compagnie del Jean de Dunois e di Jean Poton de Xaintrailles, seguite dal corpo d'armata principale, comandato da La Hire (capitano di ventura che già aveva partecipato all'assedio d'Orléans, sostenitore entusiasta della Pulzella); alla retroguardia, il signore di Graville e la stessa Giovanna.


La sera del 17 giugno l'esercito si vide sbarrare la strada da quello inglese, schierato in assetto da battaglia in campo aperto. Due araldi inglesi furono inviati a lanciare la sfida all'armata reale, posizionata in cima ad una bassa collina. Tuttavia, memore delle passate sconfitte, il Duca D'Alençon esitava ad accettare il confronto. Fu Giovanna che, giungendo dalle retrovie, diede risposta al nemico, invitandolo a ritirarsi nei propri alloggiamenti, vista l'ora tarda, e rimandando la battaglia al giorno successivo[36].


Quella notte, mentre un incerto Giovanni II d'Alençon chiedeva conforto a Giovanna, che lo rassicurava della prossima e facile vittoria. Nottetempo, l'esercito inglese, agli ordini del Conte John Talbot, si riposizionò per poter dispiegare le proprie forze attorno a una strettoia, per poter sorprendere i nemici francesi in un punto obbligato di passaggio. Tuttavia, le cose andarono diversamente.[37]


Grandiosa vittoria nella battaglia di Patay


Il 18 giugno 1429 un cervo attraversò il campo inglese a Patay, ed i soldati inglesi, lanciato un alto grido, si misero al suo inseguimento; furono visti da esploratori francesi che riferirono con rapidità e precisione la posizione del nemico ai loro capitani, che non si lasciarono sfuggire l'occasione. L'avanguardia dell'esercito, con le compagnie di La Hire e di Giovanna d'Arco, attaccò improvvisamente il campo inglese, prima che gli inglesi avessero modo di erigere la consueta barriera difensiva di spuntoni, che impediva alla cavalleria pesante di travolgerli e dava modo agli arcieri (armati di arco lungo) di compiere stragi tra le fila del nemico. Senza questa protezione, in campo aperto, l'avanguardia inglese fu schiacciata dai cavalieri corazzati francesi.[38]


Dopo questo caso fortuito, una catena di malintesi e tattiche errate lasciò l'esercito inglese nella più totale confusione. Alcuni contingenti tentarono di ricongiungersi in tutta fretta al corpo d'armata principale, guidati dal Conte Talbot, ma questo fece credere al capitano dell'avanguardia che fossero stati sconfitti, al che egli stesso, accompagnato dal portastendardo, si diede ad una fuga disordinata che presto si trasformò in rotta, coinvolgendo le compagnie poste a protezione del corpo d'armata principale e lasciando la massa degli arcieri inglesi esposti agli attacchi francesi senza più alcuna protezione della cavalleria pesante borgognona.


Per gli inglesi si trattò di una sconfitta completa e inattesa. Nella battaglia di Patay lasciarono sul campo oltre duemila uomini, mentre i francesi contavano soltanto tre morti e alcuni feriti. Gli echi della battaglia giunsero sino a Parigi, con la popolazione convinta che la liberazione della città fosse imminente. In campo inglese la fama di Giovanna la Pulzella crebbe enormemente, almeno quanto la sua importanza nelle fila francesi[39].


La battaglia di Patay fu anche un modo per Giovanna di confrontarsi con la realtà della guerra, se usualmente pregava per i soldati caduti da entrambe le schiere, se aveva pianto ad Orléans nel vedere tanta violenza, a Patay, dopo la vittoria in campo aperto, vedeva i suoi soldati (peraltro non più guidati da Jean de Dunois, ma affidati al comando del Giovanni II d'Alençon) abbandonarsi ad ogni brutalità. Dinanzi ad un prigioniero inglese colpito con tale violenza da stramazzare al suolo Giovanna scese da cavallo e lo tenne tra le braccia, consolandolo ed aiutandolo a confessarsi, sino a che la morte non sopraggiunse[40].


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Fredda accoglienza da parte del Delfino Charle Valois


Dopo la battaglia di Patay, molte città e piazzeforti minori, a partire da Janville, si arresero volontariamente all'esercito francese. Mentre l'armata reale rientrava, vittoriosa, ad Orléans, il sovrano indugiava, invece, a Sully-sur-Loire, probabilmente per evitare un incontro imbarazzante con Arturo III di Bretagna (Richemont)[41].


Giovanna e il Duca D'Alençon cavalcarono velocemente verso il Delfino, ottenendo, nonostante il recente ed eclatante successo, una fredda accoglienza. Il contrasto tra i colori della città in festa, che l'aveva già vista trionfante ed ora l'acclamava, e l'umore cupo, vitreo, della corte, dovettero creare un'aspra dissonanza nell'animo di Giovanna che, tuttavia, instancabile, non cessò di rassicurare ed esortare il gentile Delfino affinché si recasse a Reims[42].


Nei giorni seguenti, la Pulzella cavalcò a fianco del sovrano sino a Châteauneuf-sur-Loire, dove il 22 giugno si sarebbe tenuto consiglio su come proseguire la campagna militare. Qui ebbe luogo, nuovamente, il confronto tra coloro che consigliavano prudenza e attesa o al massimo, il consolidamento della posizione raggiunta. La maggioranza dei capitani, meno influenti presso la corte, ma che avevano sperimentato sul campo il formidabile potenziale di cui disponevano, premeva per la continuazione dell'offensiva. L'esercito non era solo forte di 12.000 armati, ma anche del loro entusiasmo e della loro lealtà, e, per la prima volta da lungo tempo, poteva contare anche sull'appoggio popolare, tanto che ogni giorno nuovi volontari venivano ad aggiungersi. Infine, le insistenze della Pulzella, impaziente e dominata dal pensiero ricorrente della Consacrazione, affinché l'esercito marciasse risolutamente su Reims, vennero accolte[43],[44].


Il 29 giugno 1429, presso Gien, l'esercito "della Consacrazione", comandato, almeno nominalmente, dal Delfino in persona, si mise in marcia in pieno territorio borgognone.[45]


Conquista di Troyes


Preceduto da una lettera di Giovanna, l'esercito giunse dinanzi a Troyes, dove il Delfino Charle VII Valois era stato estromesso dalla successione al trono. La guarnigione di inglesi e borgognoni di Troyes rifiutò di arrendersi e si dispose alla battaglia, inoltre viveri e rifornimenti scarseggiavano in campo francese.


Il consiglio dei capitani di guerra, riunitisi dinanzi al Delfino, sembrava propenso a interrompere la spedizione o, al limite, a raggiungere Reims lasciandosi alle spalle Troyes ancora in mano anglo-borgognona. Giovanna, al limite della pazienza, bussò alle porte del consiglio. Venne ricevuta con scetticismo. Dinanzi alle difficoltà che le furono prospettate, obiettò che la città sarebbe stata senz'alcun dubbio presa e chiedendo che le venissero concessi tre giorni di assedio, i capitani furono d'accordo. Senza porre tempo in mezzo, la Pulzella schierò l'esercito in assetto da battaglia, e portò la possente artiglieria francese a distanza di tiro delle mura, agitando il bianco stendardo gigliato al vento.


I cittadini di Troyes furono presi dal panico, come anche la guarnigione. Lo spiegamento di forze che Giovanna stava preparando era impressionante. In breve, vennero inviati messaggeri al campo francese. Troyes si arrendeva e riconosceva Carlo come proprio sovrano. Le truppe inglesi e borgognone ottennero un salvacondotto per poter lasciare la città con quanto avevano, persino con prigionieri francesi. Giovanna si oppose, chiese la loro liberazione, e re Carlo pagò il riscatto. Il 10 luglio Giovanna la Pulzella entrava a Troyes con la propria compagnia e, di lì a poche ore, Charle VII Valois faceva il suo ingresso trionfale nella città. Senza colpo ferire, l'ostacolo più grande che si frapponeva tra l'esercito e Reims era caduto[46].


Il 14 luglio l'esercito "della Consacrazione" riprese velocemente la strada per Reims. Si diresse dapprima verso Châlons-sur-Marne, ove gli venne incontro il Vescovo della città, accompagnato da una delegazione di cittadini, che fece atto di piena obbedienza a Carlo VII di Francia. Proseguirono verso Sept-Saulx, ove gli abitanti avevano costretto la guarnigione anglo-borgognona ad abbandonare la città[47].


Lungo la via, Giovanna ebbe la gioia d'incontrare alcuni abitanti del suo paese natale, Domrémy, che avevano affrontato un difficile viaggio per presenziare alla solenne Consacrazione del Re, così come una moltitudine di persone dalle più diverse parti di Francia, e di riabbracciare suo padre e sua madre, riconciliandosi con loro per quella partenza segreta verso Vaucouleurs di soli pochi mesi prima.


Reims si arrende senza combattere


Frattanto, il 16 luglio, il Delfino riceveva nel castello di Sept-Saulx una delegazione di borghesi di Reims che offrivano la totale obbedienza della città. Il giorno stesso l'esercito vi fece il suo ingresso e vennero iniziati i preparativi per la cerimonia della Consacrazione del Re a Reims[48].


Il 17 luglio 1429, dopo aver trascorso la notte in veglia di preghiera, Carlo VII fece il suo ingresso nella cattedrale, tra la folla festante, insieme agli "ostaggi" della Santa Ampolla, quattro cavalieri incaricati di scortare la reliquia che dai tempi di Clodoveo era utilizzata per consacrare ed incoronare il Re di Francia, pronunciò i giuramenti prescritti dinanzi all'officiante, l'arcivescovo Regnault de Chartres; da un lato, presenziavano sei "pari ecclesiastici", dall'altro, sei "pari laici", esponenti della nobiltà, tra i quali, in rappresentanza del fratellastro prigioniero, il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans)[49].


Dinanzi a tutti gli altri stendardi, a un passo dall'altare, era stato posizionato quello bianco-gigliato della Pulzella, e la stessa Giovanna assisteva alla cerimonia vicinissima al Re; infine, il sovrano, unto con il crisma, venne rivestito dei paramenti rituali e ricevette la corona, assumendo il nome di Carlo VII.[50]


Mentre i "pari laici" annunciavano al popolo la consacrazione e la festa s'iniziava per le vie della città, Giovanna si gettò dinanzi a Re Carlo VII, abbracciandogli le ginocchia, piangente, ed esclamò: «O gentile Re, ora è compiuto il volere di Dio, che voleva che vi conducessi a Reims per ricevere la Consacrazione, dimostrando che siete il vero re, e colui al quale il Regno di Francia deve appartenere»[51]


Eredità ideale di Giovanna d'Arco


Dopo quella giornata, che aveva rappresentato l'apice delle imprese e dei progetti di cui Giovanna si sentiva investita, la ragazza si sentì avvolgere da un'aura di sconforto che non l'abbandonerà più, sino al giorno della sua cattura. Dopo la gioia di aver visto consacrare il suo re, di aver incontrato molti suoi compaesani che l'avevano vista partire come una folle visionaria e che, dopo aver affrontato il lungo viaggio sino a Reims, la ritrovavano a reggere il proprio stendardo nella cattedrale dinanzi a quello di tutti gli altri nobili e capitani, dopo essersi riconciliata coi genitori che sempre si erano opposti alla sua partenza ed ora la guardavano meravigliati e commossi[52], Giovanna avvertiva che ormai il suo compito era terminato.


Giovanna confidò a Jean de Dunois, al suo fianco, che avrebbe lasciato volentieri le armi per tornare nella casa paterna[53], e che se avesse dovuto scegliere un luogo ove morire sarebbe stato tra i contadini che l'avevano seguita, semplici ed entusiasti, e che si sentiva schiacciata dal peso della missione di cui si era fatta carico e che le appariva oramai compiuta.[54]


In realtà, Giovanna lasciava un'eredità ideale e spirituale non da poco. In un mondo di violenze estreme e sopraffazioni assolute, aveva seguito i convincimenti Cattolici, e aveva dimostrato che era possibile riportare la pietà e la giustizia in un ambiente che le aveva dimenticate. Sia al suo arrivo ad Orléans, sia alla formazione dell'esercito "della Consacrazione", Giovanna aveva imposto ai combattenti di astenersi dal saccheggiare e taglieggiare le popolazioni, aveva proibito la consueta abitudine brutale di uccidere i nemici e i poveri prigionieri dai quali non si sarebbe potuto trarre riscatto, aveva cercato una "buona pace stabile" con i nemici sia inglesi sia borgognoni, senza stancarsi d'inviare loro lettere in cui li invitava a deporre le armi, implorandoli sulla base del semplice amore cristiano, aveva galvanizzato il popolo, unendo idealmente i più umili contadini ai nobili feudatari che ora si sentivano parte integrante di una sola nazione.[55]


L'eredità di Santa Giovanna d'Arco non andrà perduta con il suo supplizio. Ciò che in Giovanna era frutto della fede, del dialogo con le sue voci, continuerà a vivere negli ideali di un popolo: rese centrale l'idea di identità nazionale francese sino ai giorni nostri; il suo slancio verso una forma di guerra che, pur nella violenza, risparmiasse i civili e non fosse condotta da capitani di ventura, che spesso si tramutavano in briganti, ma da gentiluomini ufficiali della corona, porteranno sia alla formazione di un esercito nazionale professionale e permanente, oltre ai primi rudimenti del diritto di guerra nel mondo.


Questo avverrà soprattutto con la promulgazione da parte di Carlo VII dell'«Ordinanza d'Orléans» del 1439[56]), in cui si sanciva il diritto delle genti, uguale per tutti, d'essere rispettati nella propria vita e nei propri beni, il divieto di servirsi di bande di mercenari senza che questi non rispondessero direttamente alla corona, la responsabilità dei capitani per ogni danno arrecato alla popolazione civile. Con la stessa Ordinanza, emanata sotto la spinta di Jean de Dunois, uomo ammirato e temuto ma circondato da fama di originalità e fedeltà, sia per la sua devozione alla causa di Giovanna anche dopo la morte sul rogo, sia perché era tra i pochi capitani di guerra che riuscivano a limitare la violenza nel campo di battaglia, era finalmente istituito un unico regio esercito francese[57].


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Altre campagne militari


Dopo la Consacrazione, Carlo VII soggiornò per tre giorni a Reims, attorniato dall'entusiasmo popolare; infine, accompagnato dall'esercito, riprese il cammino, quando ormai gli echi di quell'impresa apparentemente impossibile si erano già sparsi per il paese. Entrò così a Soissons ed a Château-Thierry, mentre Laon, Provins, Compiègne ed altre città facevano atto di obbedienza al Re. L'armata reale trovava la strada spianata dinanzi a sé[58].


Giovanna cavalcava insieme al Jean de Dunois e a La Hire, assegnata ad uno dei "corpi di battaglia" dell'esercito regio. Mentre il successo arrideva al progetto di Giovanna, le invidie e gelosie di corte riaffioravano. Il giorno stesso della Consacrazione, tra le assenze, spiccava quella del conestable Arturo III di Bretagna, che avrebbe dovuto reggere simbolicamente la spada durante la cerimonia ma, essendo in disgrazia, aveva dovuto cedere l'incarico al Sire d'Albret. Inoltre, era sempre più profonda la spaccatura tra i nobili che appoggiavano Giovanna ed avrebbero voluto dirigersi verso Seine-Saint-Denis per riconquistare Parigi[59].


Battaglia di Montépilloy


Nel frattempo, il regio esercito francese, partito da Crépy-en-Valois, il 15 agosto 1429, si trovò dinanzi l'armata inglese, rinforzata, schierata in formazione da battaglia, presso Montépilloy; questa volta, gli inglesi avevano preparato con cura la siepe di pioli di legno che avrebbe impedito ogni carica di cavalleria frontale ed attendevano i francesi al varco; questi ultimi non riuscivano a far spostare il nemico dalle sue posizioni, nonostante gli sforzi della compagnia di La Hire che tentò invano di impegnarli in battaglia per dare modo agli altri reparti di intervenire. Dopo una giornata spossante, tra il vento e la polvere, gli inglesi si ritirarono verso Parigi. L'armata francese rientrò a Crépy-en-Valois, quindi raggiunse prima Compiègne e, da lì, Seine-Saint-Denis, luogo delle sepolture reali[60].


Qui, per ordine di re Carlo VII, iniziò lo scioglimento dell'"esercito della Consacrazione", in attesa delle trattative con la Borgogna che a parte di ottenere una tregua di quindici giorni, non approdarono mai a quella "buona pace stabile" che Giovanna si augurava. Il Jean de Dunois (Bastardo d'Orléans) e la sua compagnia vennero licenziati e fatti ripiegare su Blois, ad ispezionare inutilmente i territori del Ducato d'Orléans[61].


Indubbiamente, l'atteggiamento della corte verso la Pulzella era mutato; a Seine-Saint-Denis, Giovanna dovette evidentemente avvertire la differenza, le sue Voci la consigliarono, in quelle circostanze, di non procedere oltre. Questa volta, però, le sue parole furono accolte come quelle di uno dei tanti capitani di guerra al servizio della corona; l'aura d'entusiasmo che l'attorniava stava diminuendo, almeno presso la nobiltà. Affianco a Giovanna, per il momento, rimanevano il duca Giovanni II di Alençon D'Alençon e La Hire.[62]


Il Re e la corte, infatti, anziché approfittare del momento propizio per marciare su Parigi, avevano iniziato una serie di trattative con Filippo il Buono, Duca di Borgogna, al quale era stata affidata dagli inglesi la custodia della capitale, rinunciando ad adoperare le risorse militari di cui disponevano. Il 21 agosto, a Compiègne, città difesa da Guglielmo di Flavy, iniziarono a prendere forma le linee di una tregua più lunga. Effettivamente, gli inglesi semplicemente non avevano più risorse finanziarie per sostenere la guerra[63].


Nonostante questo, la tregua con la potenza anglo-borgognona sembrava non tenere conto della debolezza della controparte e venne condotta da parte francese in modo scellerato, assicurando una pausa nelle ostilità senza ottenere alcun vantaggio in cambio.


Assedio di Parigi


Nel frattempo Giovanna e gli altri capitani si attestarono presso le mura di Parigi; il Duca D'Alençon mantenne i contatti con la corte, all'oscuro delle trattative in corso, convincendo infine Carlo VII a raggiungere Seine-Saint-Denis.


L'otto settembre 1429 i capitani francesi decisero di prendere d'assalto Parigi. Giovanna acconsentì all'offensiva, stanca di continui rinvii. Lasciato l'accampamento de La Chapelle, a metà strada fra Seine-Saint-Denis e Parigi, l'esercito francese prese d'assalto la porta "Saint Honoré" a colpi d'artiglieria, sino a che i difensori del camminamento che la sovrastava non si ritirarono all'interno; mentre D'Alençon comandava le truppe a difesa dell'artiglieria, Giovanna si recò con la sua compagnia fin sotto le mura della città, circondate da un primo ed un secondo fossato; il secondo era allagato e qui la Pulzella dovette fermarsi, ordinando di gettare fascine e altro materiale per riempirlo. D'improvviso, venne ferita da una freccia che le attraversò la coscia. Ciononostante, non volle lasciare la posizione; si ritirò al riparo del primo fossato fino a sera, quando fu suonata la ritirata. Giovanni II d'Alençon la raggiunse e la fece trascinare via a forza mentre, sconfitto, l'esercito francese si ritirava nuovamente al campo[64].


Giovanna depone l'armatura sull'altare


Il giorno seguente, nonostante la ferita, Giovanna si preparava ad un nuovo assalto, quando lei ed il Duca D'Alençon furono raggiunti da due emissari, il Duca di Bar ed il Conte di Clermont, che le intimarono, per ordine del Re, di interrompere l'offensiva e tornare a Seine-Saint-Denis. Giovanna ubbidì. Probabilmente rimproverata per quell'insuccesso dovuto ad un'iniziativa neppure sua (ma decisa dai capitani che agivano in nome del Re) Giovanna ritornò alle rive del fiume Loira, dopo aver solennemente deposto sull'altare della chiesa di Saint-Denis la sua armatura[65].


Il 21 settembre 1429, a Gien, venne disciolto definitivamente dal Re l'esercito "della Consacrazione". Giovanna, separata dalle truppe e dalla guida del Duca d'Alençon, fu ridotta all'inazione; affidata al Sire d'Albret fu condotta a Bourges, ospitata da Margherita di Tourolde, moglie di un consigliere del sovrano, ove rimase tre settimane.


Re Carlo VII, infine, ordinò a Giovanna di accompagnare una spedizione contro Perrinet Gressart, comandante anglo-borgognone; il corpo di spedizione, formalmente comandato dal Sire d'Albret, pose l'assedio a Saint-Pierre-le-Moûtier, il 4 novembre la città fu presa d'assalto, ma l'esercito francese più volte respinto e fu costretto alla ritirata. Giovanna rimase invece sotto le mura con pochi soldati, quando il suo attendente, Jean D'Aulon, le chiese perché non tornasse indietro insieme agli altri, rispose che aveva intorno a sé cinquantamila uomini, mentre in realtà aveva soltanto cinque combattenti. Ripreso coraggio, l'esercito si volse nuovamente all'attacco, attraversò il fossato e di slancio prese la città[66].


Catastrofico assedio di Charité-sur-Loire


L'esercito francese allora mosse verso La Charité-sur-Loire ed iniziò a fine novembre uno spossante assedio che si protrasse per circa quattro settimane, al termine delle quali dovette ritirarsi, perdendo sul campo anche i migliori pezzi d'artiglieria[67].


Giovanna ritornò a corte, presso il Re, trascorrendo il tempo principalmente a Sully-sur-Loire dopo aver passato il Natale a Jargeau. Stanca dell'inattività forzata, fra marzo ed i primi di aprile Giovanna si rimise in marcia, alla testa di un gruppuscolo di circa duecento soldati comandati da Bartolomeo Baretta e, passando per il borgo di Melun, giunse infine, il 6 maggio 1430, a Compiègne, difesa da Guglielmo di Flavy; la città, assediata dalle truppe anglo-borgognone, resisteva ostinatamente[68].


Giovanna d'Arco catturata a Compiègne


A Montargis, Jean de Dunois venne raggiunto dalla notizia della nuova offensiva borgognona contro Compiègne e si mise in viaggio per ottenere dal Re il comando di un corpo d'armata. Lo ottenne troppo tardi, tuttavia, per soccorrere Giovanna che, il 23 maggio 1430, fu catturata durante una sortita insieme al suo intendente, Jean D'Aulon, sotto le mura di Compiègne[69].


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Prigionia e supplizio


La sera del 23 maggio 1430, mentre proteggeva la ritirata delle compagnie che stavano rientrando nella assediata Compiègne, Giovanna fu strattonata da cavallo e costretta ad arrendersi al Bastardo di Wamdonne, al servizio di Jean de Luxembourg, vassallo del Re d'Inghilterra.[70]


Il 6 dicembre dello stesso anno Giovanna venne venduta agli Inglesi, dopo quattro mesi di prigionia nel castello di Beaurevoir, per la somma di 10.000 franchi tornesi, in qualità di prigioniera di guerra. Dopo un processo per eresia iniziato il 9 gennaio, Giovanna fu arsa viva nella piazza del mercato vecchio di Rouen il 30 maggio 1431.[71]


Cattura


Giovanna non aveva voluto abbandonare quella che considerava una missione divina; e, di conseguenza, fu con pochi volontari che affrontò gli anglo-borgognoni. La scarsità numerica e l'ostilità che la circondava, tuttavia, la misero subito in una situazione difficile. Ferita e catturata durante la battaglia di Compiègne dalle forze borgognone, la Pulzella fu venduta per la somma di diecimila franchi tornesi agli alleati inglesi, i quali la processarono per eresiae stregoneria a Rouen, senza che Carlo VII muovesse in suo soccorso.


Secondo alcuni, invece, Carlo VII avrebbe incaricato segretamente prima La Hire, che venne catturato in un'azione militare, e poi il Bastardo d'Orléans di liberare la prigioniera, come proverebbero alcuni documenti che attestano due "imprese segrete" presso Rouen, tra cui uno datato 14 marzo 1431, in cui Jena de Dunois accusa ricevuta di 3.000 lire tornesi per una missione oltre la Senna.[72]


Processo a Jehanne d'Arc


Il processo a Giovanna ebbe inizio formale il 9 gennaio 1431, quando Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), conferì l'incarico di procuratore a Jean d'Estivet, uomo di sua fiducia e canonico della cattedrale di Beuavais, il quale convocò un collegio inquisitoriale composto da oltre cinquanta esperti in teologia e diritto canonico. Terminata una prima fase istruttoria, durata circa 40 giorni, nei quali furono ascoltati vari testimoni (tra questi la sedicente veggente Catherine de la Rochelle, che aveva avuto alcuni dissapori con l'accusata) e fu condotta un'inchiesta nella stessa Domrémy, Estivet convocò Giovanna d'Arco per la prima udienza processuale, che si tenne il 21 febbraio 1431. Altri tre interrogatori seguirono a brevissima distanza fino al 27 febbraio, quando iniziò la fase dibattimentale. Fino a quel momento nessuno era riuscito ad indurre Giovanna in contraddizione, né a fare in modo che si compromettesse con dichiarazioni inappropriate sulle "voci" che diceva di udire.


Chiesa trionfante e chiesa militante


A partire dal 1º marzo tutte le udienze del processo furono tenute a porte chiuse, e alla giovane imputata non fu consentito di incontrare nessuno che non fosse inquisitore o giudice. Con tale disposizione Cauchon ed Estivet volevano provocare un crollo nervoso da parte di Giovanna, che tuttavia non cedette. Durante il secondo di questi interrogatori, tenutosi in forma riservata il 15 marzo, gli inquisitori chiesero a Giovanna se sapeva distinguere tra la "Chiesa trionfante" e la "Chiesa militante"; comprendendo la capziosità della domanda, l'imputata si rifiutò di fornire una risposta precisa ("Visto che la Chiesa è opera di Dio non ci deve essere una grande differenza") ma accennò brevemente al fatto che considerava la Chiesa militante, ossia la "Chiesa dei preti", subordinata alla Chiesa trionfante, e spiegò comunque di essere sottomessa all'autorità di ambedue le chiese. Quando poi le fu chiesto se riteneva di trovarsi nella "Grazia di Dio", Giovanna, che intuiva l'ambiguità della domanda (se avesse risposto di no avrebbe distrutto i presupposti su cui fondava la sua difesa, se avesse risposto di sì avrebbe peccato di superbia), rispose: "Se non lo sono prego il Signore che mi ci metta, ma se lo sono lo prego perché mi ci mantenga, perché preferirei morire piuttosto che restarne esclusa".


Il 27 marzo fu convocata un'udienza pubblica del collegio inquisitoriale, durante la quale Jean d'Estivet diede sfogo a tutta la propria valenza oratoria, assumendo toni decisamente violenti nel formulare accuse teologiche e nel muovere rimproveri alla condotta morale della giovane imputata; tuttavia, l'accusa ricevette ancora delle risposte parzialmente insoddisfacenti e interlocutorie da parte di Giovanna d'Arco, che cominciò anche a dare segni di impazienza di fronte al tribunale ecclesiastico, probabilmente temendo che il suo destino fosse segnato e la sentenza già decisa ancora prima di essere messa per iscritto.


Verdetto di colpevolezza


Il 12 aprile nel palazzo arcivescovile di Rouen si riunì il collegio giudicante, formato da teologi e giuristi, provenienti in gran parte dalla Sorbona e presieduto dal "magister" Ermengardo. Nonostante le prove raccolte contro Giovanna d'Arco fossero oggettivamente assai deboli, venne emesso un verdetto di colpevolezza per una lunga lista di imputazioni, le più gravi delle quali erano la blasfemia, l'idolatria e la superstizione.


Seppure stremata nel morale e nel fisico, Giovanna d'Arco continuò a professarsi innocente anche nelle settimane successive, e ad affermare la veridicità delle voci che continuava ad udire.


Il 18 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da un violento stato febbrile, che fece temere per la sua vita, ma si riprese nel giro di pochi giorni. Nel frattempo gli inglesi facevano pressione su Pierre Cauchon perché accelerasse l'esecuzione della sentenza, ma il vescovo di Bauvais, forse non del tutto convinto della regolarità formale del processo, né della effettiva colpevolezza della ragazza, continuò a prendere tempo. Del resto, Cauchon era sottoposto alle pressioni contrapposte da Giovanni Lancaster, duca di Bedford, da un lato, che auspicava una rapida messa a morte della condannata, e da Filippo III di Borgogna dall'altro, che, pur avendone richiesto la condanna, non voleva la morte di Giovanna, forse perché ne aveva pietà ma soprattutto perché temeva di farne una martire.


Abiura


Il 23 maggio 1431 fu data lettura pubblica della sentenza di condanna nel cimitero di Rouen, e Giovanna d'Arco, fisicamente stremata e terrorizzata dalla prospettiva di morire bruciata, non reagì, né controbatté alla lunga e infamante lista di imputazioni. Sulla promessa di aver salva la vita e di restare in mano francese, accettò quindi di sottoscrivere l'atto di abiura, segnando il documento con una croce o con un cerchio (fatto che molti studiosi hanno ritenuto insolito, perché la donna, pur priva di qualsiasi istruzione formale, sapeva scrivere il proprio nome, cosa che fece praticamente in tutte le occasioni in cui le fu richiesto, tracciando a fatica la firma "Jehanne"). Giovanna fu quindi reintegrata nel seno della Santa Chiesa cattolica di Roma e condannata alla carcerazione perpetua. Tuttavia, il giorno successivo, durante una cerimonia solenne in cui dava notizia dell'abiura e della conseguente condanna all'ergastolo di Giovanna d'Arco, Pierre Cauchon la consegnò di fatto ai carcerieri inglesi.


In realtà l'abiura, se da un lato favorì la commutazione della pena di morte in quella dell'ergastolo, dall'altro ebbe però l'effetto di legittimare sotto ogni profilo il processo. Infatti, se non avesse abiurato, Giovanna d'Arco avrebbe potuto appellarsi direttamente alla Santa Sede, chiedendo che il processo fosse dichiarato illegittimo, e nel frattempo gli effetti della sentenza sarebbero rimasti sospesi. Ammettendo, invece, la propria colpevolezza, Giovanna si precluse ogni possibilità di appello, ed il processo celebrato a suo carico vide sanato ogni suo eventuale vizio.


Tra le condizioni dell'atto di abiura di Giovanna vi era anche quella di non indossare più vestiti di foggia maschile. La mattina del 27 maggio, però, i carcerieri inglesi che sorvegliavano la sua cella dichiararono di aver trovato Giovanna con indosso abiti maschili. Condotta dinnanzi ai giudici e agli inquisitori, la ragazza affermò di aver sottoscritto l'abiura perché intimorita dalla prospettiva del rogo, e perché non aveva del tutto compreso il significato del documento firmato; ribadì quindi la sua innocenza e la veridicità delle voci e delle rivelazioni da essa ricevute. Di fronte alla sostanziale ritrattazione dell'abiura, Pierre Cauchon la dichiarò allora "relapsa", e dispose che fosse consegnata al braccio secolare perché fosse eseguita la condanna a morte.


Il processo non fu esente da irregolarità, come ad esempio la detenzione di Giovanna in un carcere laico con guardiani maschi che la trattarono da prigioniera di guerra, oppure la mancanza di un difensore, di un curator, vista anche la giovane età dell'imputata, come anche, infine il legame che saldava i guidici con la causa anglo-borgognona.


Supplizio


Il 30 maggio 1431, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione, Giovanna d'Arco fu condotta al rogo che era stato allestito sulla piazza del mercato di Rouen. Contrariamente alla prassi dell'epoca, che prevedeva che il condannato fosse scomunicato prima di essere arso, e che gli fossero negati i conforti religiosi, Giovanna d'Arco poté confessarsi e ricevere la comunione, fu quindi incatenata a un pilastro di pietra, posto al di sopra di un cumulo di legna e fascine alto circa tre metri, perché fosse ben visibile anche da una certa distanza. Le testimonianze raccolte durante la revisione del processo affermano che la giovane, dopo che era stato appiccato il fuoco alla pira, abbia urlato ancora una volta che le voci che continuava ad udire erano vere e non se le era inventate, cosa che di fatto secondo lei era vera, ma per i suoi detrattori non corrispondeva a verità. Nel momento in cui il fuoco cominciò a bruciarle il corpo la ragazza urlò fortissimo Gesù, tante volte per cercare di non pensare all'orrore e al male che stava subendo in maniera puramente efferata. Una volta che le fiamme l'ebbero completamente avvolta, prima di morire vide apparire davanti ai suoi occhi una croce astile, come conforto per il suo martirio, dal Papa che molto teneva a lei, e che era stato costretto a condannare ad una pena così atroce perché pressato dagli stessi inglesi che desideravano una condanna molto più crudele dell'ergastolo per "Pulzella". Gettarono le ceneri nel fiume Senna per evitare che i venditori di reliquie potessero alimentare il culto della Pulzella, salvatrice della Francia condannata dai nemici ad un supplizio raccapricciante.


Verginità della Pulzella Giovanna d'Arco


Definendosi apertamente la "Pulzella", Giovanna accreditava l'idea di essere un'inviata da Dio e non una strega: la sua verginità simboleggiava chiaramente la purezza, tanto da un punto di vista fisico quanto da quello delle intenzioni religiose e politiche. Di conseguenza, verificarne la veridicità era questione di fondamentale importanza: così, per ben due volte venne constatata dalle matrone, a Poitiers nel marzo 1429, ed a Rouen il 13 gennaio 1431, su ordine dello stesso Cauchon.


L'abitudine di Giovanna di portare abiti maschili aveva probabilmente il fine di impedire ai malintenzionati di violentarla. Secondo Jean Massieu riprese a vestire abiti femminili, ma le guardie inglesi le avrebbero tolto le stesse gettandole in cella il sacco nel quale vi era l'abito da uomo[73].


Riabilitazione (1456)


Quando ormai le truppe inglesi avevano perso la propria influenza, nel 1456, la Chiesa, sotto papa Callisto III riaprì l'inchiesta, autorizzando un nuovo processo: il precedente tribunale fu riconosciuto come illegittimo, il processo annullato e Giovanna fu, a posteriori, riabilitata e riconosciuta innocente. Il grande accusatore della Pulzella, il vescovo Pierre Cauchon, subì la scomunica postuma come eretico.


Nel 1869 il vescovo d'Orléans diede avvio ad una petizione per la canonizzazione della fanciulla. Papa Leone XIII diede inizio al suo processo di beatificazione, che costituì anche un segnale per migliorare i rapporti della Santa Sede con il governo francese instauratosi nel 1893, fortemente anticlericale.


Proclamata Santa (1920)


Giovanna venne beatificata il 18 aprile 1909 da papa Pio X e proclamata santa da papa Benedetto XV il 16 maggio 1920, dopo che le era stato riconosciuto il potere intercessorio per i miracoli prescritti (guarigione di due suore da ulcere incurabili e di una suora da una osteo-periostite cronica tubercolare, per quanto concerne la beatificazione, e la guarigione "istantanea e perfetta" di altre due donne, l'una affetta da una malattia perforante la pianta del piede, l'altra da "tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell’orifizio mitralico", per quanto concerne la canonizzazione[74]).


Il governo francese, lo stesso anno, riallacciò i rapporti con la Santa Sede (che erano sospesi dal 1895) e dichiarò festa nazionale l'otto maggio, giorno della battaglia di Orléans. Santa Giovanna d'Arco venne dichiarata patrona di Francia; della telegrafia e della radiofonia.


È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica viene celebrata il 30 maggio.


Santa Giovanna d'Arco viene richiamata esplicitamente nel Catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d'un animo aperto alla Grazia salvatrice[75].


L'incredibile e breve vita, la passione e la drammatica morte di Giovanna d'Arco sono state raccontate innumerevoli volte in saggi, romanzi, biografie, drammi per il teatro; anche il cinema e l'opera lirica si sono occupati di questa figura. Tra le opere più significative riguardanti Giovanna sono da annoverare quelle dello storico Jules Michelet e del drammaturgo Johann Schiller.


Oggi è la Santa francese più venerata.


Reliquie


Giovanna d'Arco fu arsa viva sul rogo il 30 maggio 1431, l'esecuzione procedette con modalità ben descritte nelle cronache dell'epoca e consistette in una sorta di "tripla cremazione". Giovanna non fu infatti uccisa direttamente dalle fiamme ma dall'inalazione dei fumi incandescenti prodotti dalla combustione della paglia, morte atroce ma molto rapida (per soffocamento dovuto ad edema della laringe). Si sa con certezza che, pochi minuti dopo che le fiamme avevano completamente avvolto la pira, i boia le fecero abbassare, consentendo ad alcuni spettatori di avvicinarsi, per mostrare loro che il cadavere era di una donna, e che si trattava di Giovanna d'Arco (dunque era riconoscibile), successivamente il fuoco fu riattizzato, in modo che il cadavere potesse essere completamente distrutto dal calore. A questa seconda cremazione, ne seguì una terza, perché i carnefici si erano resi conto che il corpo, seppure carbonizzato, non bruciava completamente.


I resti del rogo furono quindi caricati su un carro e gettati nella Senna. La dispersione delle ceneri era una sorta di pena accessoria e postuma, ma aveva anche uno scopo immediato e pratico: impedire che venissero prelevate reliquie di Giovanna d'Arco, perché a meno di due anni dalle grandi imprese militari della "Pulzella", la sua fama era ancora enorme e il coraggio con cui aveva affrontato il processo e la condanna potevano rafforzarla ulteriormente; la presenza di eventuali reliquie poteva quindi costituire la base di un culto pericoloso, perché rivolto a una nemica implacabile di inglesi e borgognoni.


Nonostante la meticolosità dei carnefici, e le rigide disposizioni delle autorità borgognone e inglesi avessero reso molto improbabile questa eventualità, nel 1867 furono rinvenute alcune presunte reliquie di Giovanna d'Arco. Le recenti analisi condotte da Philippe Charlier hanno però dimostrato che le reliquie attribuite alla santa sono in realtà databili tra il VI e il III secolo a.C. e sono frammenti di una mummia egiziana (i presunti segni di combustione sono in realtà, secondo Charlier, il prodotto di un processo di imbalsamazione).[76] [77]


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Note


  1.  citato nel CCC 795

  2.  Oggi "Domrémy-la-Pucelle"

  3.  Per quanto riguarda il cognome, "Darc", occorre notare che in quell'epoca (inizio XV sec.) non era utilizzato l'apostrofo e pertanto lo stesso è stato traslitterato in "d'Arc". Inoltre, il cognome appare per la prima volta in un documento scritto dopo la morte della stessa Pulzella, con l'apertura del Processo in nullità a firma del Pontefice Callisto III nell'anno 1455. (Cfr. pag. 261,262,263 - Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X )

  4.  Nei testi dell'epoca la madre di Giovanna viene indicata come "Isabelle Romée" evidentemente a motivo di un pellegrinaggio ch'ella avrebbe compiuto; erano infatti detti romei i pellegrini che si recavano a Roma. (Cfr. pag. 261 - Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X )

  5.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco la vergineguerriera, Milano, Mondadori, 1999. ISBN 8804464712.

  6.  Teresa Cremisi, Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE, 2000. ISBN 8877104821 (Seconda udienza pubblica, giovedì 22 febbraio 1431, in fondo alla sala grande del castello di Rouen)

  7.  Altri traducono il termine "castità" con "verginità" (Cfr. Régine Pernoud, La spiritualità di Giovanna d'Arco, Milano, 1998, Jaca Book, ISBN 8816404809), sulla base sia delle differenti fonti che ci sono pervenute (alcune in Latino, altre nel Francese del XV secolo), sia della contestualizzazione delle espressioni nel momento della traduzione.

  8.  Teresa Cremisi (a cura di), Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE, 2000. ISBN 8877104821 (Secondo interrogatorio complementare, lunedì 12 marzo 1431, nella prigione di Giovanna)

  9.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969

  10.  Teresa Cremisi (a cura di), Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE, 2000, ISBN 8877104821 (Quarta udienza pubblica, martedì 27 febbraio 1431, castello di Rouen)

  11.  Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 883115205X - dalla deposizione di Michel Lebuin al processo in nullità del 1456

  12.  Régine Pernoud, La spiritualità di Giovanna d'Arco, Milano, Jaca Book, 1998, ISBN 88-16-40480-9

  13.  Bolla che proclama Santa la Beata Giovanna D'Arco, Bolla pontificia di canonizzazione di Giovanna d'Arco a firma del Pontefice Benedetto XV, del 16/05/1920

  14.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco, Edizioni San Paolo, 2001, pag. 50.

  15.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  16.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776

  17.  dal registro del Parlamento di Parigi (1429) tenuto da Clément de Fauquembergue

  18.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  19.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969. (testimonianza di Raoul de Gaucourt al Processo in nullità)

  20.  Georges Duby (a cura di), Storia della Francia (Volume primo), Milano, RCS Libri, 2001, ISBN 8845249514

  21.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco la vergine guerriera, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 1999. ISBN 8804464712

  22.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco la vergine guerriera, Milano, Mondadori, 1999. ISBN 88-04-46471-2

  23.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  24.  Giovanni Bogliolo, Giovanna d'Arco, Milano, RCS Libri S.p.A., 2000, ISBN 8817258970

  25.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969

  26.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  27.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  28.  Teresa Cremisi (a cura di), Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE SRL, 2000. ISBN 8877104821 (dalla deposizione di Dunois, il Bastardo d'Orléans, agli atti dell'inchiesta per il processo di Riabilitazione)

  29.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992 - ISBN 2868780776

  30.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  31.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969.

  32.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2-85157-174-5

  33.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969.

  34.  Régine Pernoud, La spiritualità di Giovanna d'Arco, Milano, 1998, Jaca Book, ISBN 8816404809

  35.  Giovanni Bogliolo, Giovanna d'Arco, Milano, RCS Libri S.p.A., 2000, ISBN 8817258970

  36.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969

  37.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  38.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  39.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco, Milano, Mondadori, 1999. ISBN 8804464712

  40.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  41.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776

  42.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  43.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  44.  Régine Pernoud, La libération d'Orléans, Paris, Gallimard, 1969

  45.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  46.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776

  47.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776

  48.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  49.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  50.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco, Mondadori, 1999, ISBN 8804464712

  51.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  52.  Teresa Cremisi (a cura di), Il processo di condanna di Giovanna d'Arco, Milano, SE, 2000. ISBN 8877104821

  53.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 88-311-5205-X

  54.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  55.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  56.  Georges Duby (a cura di), Storia della Francia(Volume primo, Milano, RCS Libri, 2001. ISBN 8845249514

  57.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987. ISBN 883115205X

  58.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776

  59.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  60.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco, Mondadori, 1999, ISBN 8804464712

  61.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  62.  Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 883115205X

  63.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  64.  Guillame Cousinot, Chronique de la Pucelle(réimpression de l'édition de Vallet de Viriville), Caen, Paradigme, 1992, ISBN 2868780776. Secondo Régine Pernoud e Marie-Veronique Clin, invece ( Cfr. Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 883115205X , sulla scorta di Perceval de Cagny, fu invece il sire di Gaucourt a trarre via Giovanna dal bordo del fossato

  65.  Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 883115205X

  66.  Jules Michelet, Giovanna d'Arco, Napoli, FILEMA edizioni, 2000. ISBN 8886358393

  67.  Franco Cardini, Giovanna d'Arco, Mondadori, 1999, ISBN 8804464712

  68.  Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 883115205X

  69.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2851571745

  70.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2-85157-174-5

  71.  Régine Pernoud; Marie-Veronique Clin, Giovanna d'Arco, Città Nuova, 1987, ISBN 88-311-5205-X - Il fatto che Giovanna fosse una prigioniera di guerra è attestato da una ricevuta di Jean Bruyse, lo scudiero che aveva materialmente ricevuta la somma versata a Jean de Luxembourg

  72.  Robert Garnier, Dunois le bâtard d'Orléans, Parigi, Éditions F. Lanore, 1999, ISBN 2-85157-174-5

  73.  Régine Pernoud - Marie-Véronique Clin, Giovanna d'Arco, Roma, Città Nuova Editrice, 1987 - ISBN 88-311-5205-X

  74.  Bolla che proclama Santa la Beata Giovanna d'Arco, Bolla di canonizzazione di Giovanna d'Arco a firma di Benedetto XV, del 16/05/1920

  75.  Catechismo della Chiesa cattolica - Grazia e giustificazione, Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II, il 15/08/1997

  76.  Francia, luce sui resti di Giovanna d'Arco, articolo de "La Repubblica", del 18 dicembre 2006

  77.  False le reliquie di Giovanna d'Arco, articolo de "La Repubblica", del 4 aprile 2007


Bibliografia


Voci correlate


Collegamenti esterni



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