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L'ultima versione biblica della WT, la TNM 2017, è peggiorata

Ultimo Aggiornamento: 25/05/2021 18:59
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21/12/2017 16:15
 
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PARTI MANCANTI NELLA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO ED. 2017

Questi sono i brani mancanti nella nuova edizione della traduzione del nuovo mondo:

 Gv. 8,1-8  Il giudizio misericordioso di Gesù
Marco 16,8-20  la Finale del Vangelo di Marco

Inoltre nelle precedenti versioni della TNM geovista, non sono mai stati inseriti i seguenti versetti:


Matteo 17:21; 18:11; 23:14;
Marco 7:16; 9:44, 46; 11:26; 15:28;
Luca 17:36; 23:17;
Giovanni 5:4; 
Atti 8:37; 15:34; 24:7; 28:29
e Romani 16:24

---------------------------
Oltre a togliere i suddetti brani o versetti, dalla TNM, la wt procede unilateralmente anche nella traduzione dei testi originali, passando sopra alle regole sintattiche, e soprattutto al senso professato in 2000 anni di storia, che non può essere sostituito con termini e frasi che alterano sostanzialmente il significato della Parola che Dio ha voluto fosse perpetuata attraverso i secoli. Anche se un termine o frase fosse traducibile in diversi modi, è chiaro che non deve essere scelto un modo qualsiasi, o che sia conforme al proprio credo precostituito, ma che soprattutto rispetti innanzitutto il testo originale e poi che sia coerente con quanto trasmesso e tradotto attraverso tutta la storia cristiana, pur potendo usare un linguaggio più comprensibile .

Si tratta di decisioni unilaterali che i capi geovisti hanno preso,  senza aver ricevuto nè autorizzazione nè mandato da parte di alcuno per togliere definitivamente  brani o singoli versetti dal NUovo Testamento o per tradurlo secondo il proprio intendimento. 




[Modificato da Credente 11/02/2018 18:53]
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21/12/2017 16:34
 
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Il Concilio di Trento, proprio per fronteggiare i tentativi di esclusione di interi Libri biblici, di decurtazione o di manipolazione dei Testi Sacri, sancì che la Vulgata fosse il testo di riferimento per quanto riguardava il contenuto e il senso.
Questa importante decisione del Concilio, unica legittima compagine autorizzata per successione apostolica a prendere decisioni in materia di fede, blindava in tal modo i testi sacri, gelosamente conservati e trasmessi insieme a tutto il Deposito di Fede, sottraendoli al capriccio di chicchessia.

Per cui l'azione di decurtazione dei Testi sacri, intrapresa unilateralmente dai capi della wts, dopo che già l'avevano tradotta alterando il significato sostanziale di molti brani, è un ulteriore affronto alla direttiva dei soli autorizzati a dirimere cose di tale natura.
In sostanza il corpo direttivo dei testimoni di geova, usurpando prerogative proprie lasciate da Cristo ai suoi apostoli e da questi ai loro diretti successori, si arrogano il diritto dovere di decidere qualsiasi cosa, anche la più sacra, rivendicando di essere l'unico canale di Dio, pur senza avere o poter dimostrare di avere alcun mandato divino.




[Modificato da Credente 01/01/2018 21:40]
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23/12/2017 15:01
 
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Inoltre accampano come motivo della loro privata versione il fatto che siccome le altre versioni sono state fatte da Trinitari, ciò significa automaticamente che le altre traduzioni sono scorrette, mentre loro invece, siccome sarebbero persone "oneste" meritano fiducia anche nella traduzione che gli ignoti traduttori hanno fatto, alterando e decurtando i Testi sacri.

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01/01/2018 21:52
 
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Vediamo perchè ci è stato conservato e trasmesso dalla Chiesa il brano di Marco 16,9-20

Marco 16:9–20 è preservato nella sua forma tradizionale in una dozzina circa di onciali (il più antico dei quali è il Codex Alexandrinus) e in tutti i minuscoli che conservino la parte finale di Marco.

La più antica testimonianza incontrovertibile della presenza del finale lungo del Vangelo secondo Marco è nella Prima apologia di Giustino (160 circa): in un brano in cui discute del Salmo 110 come di una profezia messianica, Giustino afferma che il versetto 110:2 fu realizzato quando i discepoli di Gesù, uscendo da Gerusalemme, predicarono ovunque. Le parole che usa sono chiaramente simili a quelle di Marco 16:20, e ciò è compatibile col suo uso di un'armonia dei sinottici in cui Marco 16:20 e Luca 24:53 sono fusi. Lo studente di Giustino, Taziano (172 circa), incorporò il finale lungo nel suo Diatessaron, un'armonia evangelica di tutti e quattro i vangeli canonici. Ireneo di Lione cita Marco 16:19 nel suo Contro le eresie 3:10 (184 circa), affermando che stava citando un brano vicino alla fine di Marco. Scrittori del III secolo, come Ippolito di Roma, Porfirio e l'anonimo autore del De Rebaptismate utilizzarono anch'essi il finale lungo.

Eusebio di Cesarea (attivo nella prima metà del IV secolo) afferma che gli ultimi dodici versetti erano assenti in vari manoscritti a lui disponibili, il che dimostra che anche lui era a conoscenza della loro presenza in altri manoscritti. Anche Girolamo riferisce la stessa cosa, ma incluse il finale lungo nella sua Vulgata perchè evidentemente ne aveva valutato attentamente l'opportunità considerando l'importanza dei manoscritti che lo riportavano.
[Modificato da Credente 02/07/2018 12:39]
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01/01/2018 22:22
 
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Il finale del vangelo di Marco (Mc. 16:9-20)


Analisi lessicale del finale Mc. 16:9-20

Introduzione


Il vangelo di Marco che oggi conosciamo termina con il brano da 16:9 a 16:20. Senza di esso il vangelo si concluderebbe con il racconto della visita di Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome alla tomba di Gesù e l’annuncio della risurrezione dato da un “giovane vestito d’una veste bianca” – probabilmente un angelo – alle tre donne, senza alcun cenno alle apparizioni di Gesù agli apostoli, che sarebbero una “prova” concreta, almeno da un punto di vista letterario, della risurrezione. Dopo la sorpresa della tomba trovata vuota, segue il passo (che chiude il vangelo):

Mc. 16:9-20 – [9] Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni. [10] Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. [11] Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. [12] Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. [13] Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere. [14] Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. [15] Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. [16] Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. [17] E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, [18] prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». [19] Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. [20] Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano. [da: Bibbia trad. C.E.I., 1974, ristampa del 1983]



La Bibbia edizione C.E.I. riporta come nota al versetto 16:9 che “i vv. 9-20 sono un supplemento aggiunto in seguito per riassumere rapidamente le apparizioni”. Per quale motivo si è sentita l’esigenza di introdurre questa nota che mette in dubbio il fatto che il brano 16:9-20 debba essere considerato autentico? Il motivo è che i due manoscritti più antichi e testualmente più autorevoli che riportano questo passo di Marco sono il Codex Vaticanus (B) e il Codex Sinaiticus (א), entrambi databili al IV secolo, e nessuno di questi di questi riporta il passo in questione, concludendosi con le ultime parole di Mc. 16:8. Quasi tutti gli altri documenti successivi, invece, riportano un qualche tipo di finale a seguire il versetto 16:8, ma contro l'autenticità del finale che oggi ci è noto un ruolo determinante è giocato dalla lacuna nei due documenti completi più autorevoli del Nuovo Testamento.



B e א non riportano Marco 16:9-20





Il Codex Vaticanus (325 d.C. circa) non riporta Marco 16:9-20. Dopo Marco 16:8 però lo scriba ha lasciato uno spazio vuoto prima dell’inizio del versetto successivo, che è direttamente Luca 1:1. Questo spazio “bianco” corrisponde ad un’intera colonna di scrittura del codice, Luca 1:1 inizia in una nuova pagina del manoscritto. Se si considera che in nessun altro punto del Codex Vaticanus è stato lasciato un simile spazio vuoto con proporzioni così estese [1] e che non era usuale a quei tempi sprecare così il materiale scrittorio, si può avanzare l’ipotesi che il copista che produsse il Codex Vaticanus fosse consapevole dell’esistenza di un testo aggiuntivo dopo Marco 16:8 o che esistevano versioni del vangelo di Marco che contenevano le apparizioni. Forse il manoscritto “sorgente” dal quale lo scriba stava copiando non conteneva il passo ma il copista decise di lasciare uno spazio vuoto preoccupandosi di risolvere successivamente il problema, cosa che poi non fece. E’ stato osservato che lo spazio vuoto lasciato, pari a poco più di una colonna, risulta comunque insufficiente per contenere tutto il passo conclusivo di Marco esattamente come lo leggiamo oggi, tenendo conto delle caratteristiche e dello stile di scrittura del Codex Vaticanus. Infatti l'ampiezza delle colonne del Codice Vaticano è di circa 42 linee, mentre ogni linea contiene mediamente 16 caratteri, quindi lo spazio disponibile in una colonna risulta pari a 42 ´ 16 = 672 caratteri ed è adatto ad ospitare soltanto il 58% della porzione mancante del vangelo di Marco, che richiede ben 1.157 caratteri [2]. Nei links sottostanti è possibile scaricare la pagina con cui si conclude il vangelo di Marco nel Codice Vaticano B. Si noti che Marco si chiude con le parole ™foboànto g£r ("poiché avevano paura"), corrispondenti alla fine del v. Mc 16:8.



Finale di Marco Codice Vaticano B (PDF 35 KB)



Immagine a colori del passaggio Mc 16:8 - Lc 1:1 (JPEG 448 KB)



Nel Codex Sinaiticus (370 d.C. circa) notiamo ancora un fatto curioso. Quattro pagine del codice tra la fine di Marco e l’inizio di Luca sono state tolte, strappate dal manoscritto originale e sostituite con altre quattro pagine dove risulta diversa la calligrafia dello scriba, leggermente più stretta, forse da chi visionava il lavoro del copista del codice ed aveva commissionato la copia. In particolare sono stati riscritti i versetti da Mc 14:54 a Lc 1:56. La situazione può essere visualizzata nel sottostante link che riporta le pagine in questione del manoscritto.



Passaggio da Marco a Luca nel Codice Sinaitico (PDF 448 KB)



Per quale motivo queste quattro pagine sono state tolte e sostituite con altre quattro pagine? Sicuramente non per aggiungere nel codice il finale del vangelo di Marco, che non è comunque presente nel testo “sostitutivo” o “aggiunto”: anche qui il vangelo di Marco termina al v. 16:8 con le parole ™foboànto g£r. Inoltre una analisi del testo delle sedici colonne sostituite (il Codex Sinaiticus – ricordiamo – è organizzato su quattro colonne per pagina) mostra che il passo Mc 16:9-20 non è inseribile nel contesto in base alle caratteristiche di chi ha scritto il documento originario, quindi non poteva essere presente neppure nel testo originale del Sinaiticus, almeno non nella forma oggi a noi nota. E’ possibile che chi doveva controllare il testo si sia accorto che in qualche punto del documento, nella parte finale di Marco oppure in quella iniziale di Luca, per un errore del copista siano venuti a mancare uno o più versetti, quindi abbia deciso di sistemare il testo, rimpiazzando un intero foglio del codice, che viene a costituire proprio quattro pagine. Osserviamo inoltre che verso la fine della quarta colonna del foglio “sostitutivo” curiosamente la scrittura si fa sempre più ravvicinata e stretta, come se chi doveva correggere il testo si fosse accorto che mancava una grossa parte nel testo originario e avesse deciso di inserirla brutalmente, alterando la propria calligrafia e stringendo prepotentemente le lettere: è stato calcolato che se il “correttore” (utilizziamo questo termine per riferirci a chi ha tolto le quattro pagine originarie del codice e le ha sostituite con quattro pagine “nuove”) avesse continuato a scrivere sino alla fine dell’ultima pagina in questo modo, allora Mc 16:9-20 così come lo leggiamo oggi, probabilmente avrebbe potuto essere inserito nel foglio. Ma misteriosamente il “correttore” non inserisce Marco 16:9-20 e dall’inizio della quinta colonna inserita riprende a scrivere con la usuale grafia, meno stretta. Non possiamo dire che la mancanza del finale in questo codice sia una vera e propria omissione perché le pagine originali di fatto mancano e sono state sostituite così che non sappiamo cosa vi era scritto.





Altri manoscritti che non attestano Marco 16:9-20





Oltre agli autorevoli (da un punto di vista testuale) codici Vaticano (B) e Sinaitico (א), omette totalmente l'attuale Mc. 16:9-20 anche il codice 304, un manoscritto in minuscolo del XII sec. conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Questi tre sono gli unici codici greci che omettono qualunque tipo di finale dopo Mc. 16:8. Il codice 304 ha una caratteristica particolare (cfr. M. Robinson): il testo dei vangeli è inframmezzato da brani catalogabili come “commentario”, dopo il versetto 16:8, che termina con ™foboànto g£r, vi è un segno dal quale si evince che inizia un lungo brano del commentario costituito da un riassunto dei finali presenti negli altri vangeli, con citazioni da essi. A un certo punto il commentario inizia a descrivere le differenze tra il finale di Marco e quello degli altri vangeli ma sfortunatamente manca la conclusione del brano che è andata perduta quindi non si sa se il testo proseguisse con un tipo di finale anche per Marco o meno. E’ molto probabile, comunque, che il testo di 304 non contenesse il finale.



Tra le traduzioni dal greco non riportano alcun tipo di finale vi è poi la versione siro-sinaitica (Sy-S, un palinsesto della fine del IV sec.), la versione copto-shaidica (Co-S, del III-IV sec.), alcuni manoscritti delle versioni armene e georgiane databili al V secolo.



Il Codex Vercellensis (detto codice a, IV secolo, scritto in latino) contiene il finale Marco 16:9-20 ma è fortemente interpolato e sembra essere una aggiunta posteriore. Alcuni sostengono che il finale non fosse originariamente presente ma altri studiosi non lo considerano un testimone utilizzabile per stabilire se il finale fosse presente o meno. Anche il papiro di Chester Beatty P45 (200-250 d.C.) purtroppo non può essere di alcun aiuto in quanto è molto danneggiato e purtroppo l’eventuale passaggio Mc 16:9-20 non si è conservato.





La variante breve





Esiste poi un manoscritto in latino, il Codex Bobiensis (o codice k, IV-V secolo d.C., successivo ai codici Vaticano e Sinaitico) che riporta una variante breve del testo oggi noto. Il vangelo in questa versione si conclude dopo Mc. 16:8 con:



Mc. 16:9 (k) - Esse [Maria di Giacomo, Maria di Magdala e Salome] annunziarono brevemente ai compagni di Pietro quanto era stato loro detto [dall’angelo trovato seduto nel sepolcro di Gesù]. Dopo ciò lo stesso Gesù mandò avanti per mezzo di loro dall’oriente fino all’occidente il messaggio sacro e incorruttibile della salvezza eterna.



Questo manoscritto, tuttavia, oltre che essere con ogni probabilità più recente rispetto ai due codici che omettono il finale “classico” di Marco, non sembra essere molto affidabile. In particolare dove oggi leggiamo il cap. 16 di Marco il codice riporta invece una interpolazione che sembra avere punti in comune con un passo di uno scritto apocrifo, il “vangelo di Pietro”. La variante breve conclude quindi il vangelo di Marco con le donne che raccontano l’episodio della tomba trovata vuota a Pietro e agli Apostoli e quanto detto loro dall’angelo, mentre nel testo oggi noto è scritto “E non dissero niente a nessuno perché avevano paura.” (cfr. Mc 16:8) dunque secondo la versione odierna gli Apostoli non vennero affatto informati.



Alcuni manoscritti come L, Y, 099, 579, 1112, ecc... riportano sia il finale attuale, combinato con la variante breve di k, inserita prima o dopo il finale odierno.







La variante lunga (W)





Se il Codex Bobiensis è un esempio di variante breve del passo in questione, il Codice W di Washinghton (detto anche codice di Freer) del IV-V secolo contiene invece una variante lunga in quanto riporta un tipo di finale contenente una espansione rispetto al finale oggi noto. In questo codice, difatti, oltre ai vv. Mc. 16:9-20, ad integrazione del v. 16:14, in cui Gesù rimprovera i discepoli che non avevano creduto alle apparizioni a Maria di Magdala e ai due viaggiatori, vi è la seguente inserzione:



Mc. 16:14 (aggiunta di W) - Essi si difesero dicendo: "Questa epoca di iniquità e mancanza di fede è sotto satana che non permette a coloro che sono sotto gli spiriti immondi di raggiungere la verità e la potenza di Dio. Dopo ciò, rivela la tua giustizia ora." (Così) quelli dicevano al Cristo. E il Cristo rispose loro: "Si è compiuto il limite degli anni dell'autorità di satana ma dell'altro è vicino. Io fui consegnato alla morte per coloro che hanno peccato affinché si volgano alla verità e non pecchino più. Affinché ricevano la gloria della giustizia spirituale ed eterna del cielo."



Questa variante “lunga” del v. Mc. 16:14 è testimoniata solo in W, quindi si può considerare una interpolazione, come del resto dimostra l'elevato numero di hapax legomena e di costruzioni estranee al resto del vangelo che si riscontra in essa, rendendola estranea per stile e lessico al resto del vangelo secondo Marco.







Riassunto delle varianti



Non riportano il finale: B, א , 304, Sy-S, Co-S, arm., geo.; sospetto: a

Solo variante breve: k

Solo variante lunga: W



I testimoni manoscritti “contrari” alla presenza di Marco 16:9-20 sono come visto antichi e soprattutto testualmente molto autorevoli (in particolare B ed א) e non solo per la data di stesura ma anche per la loro “qualità testuale” intrinseca: entrambi B ed א appartengono alla famiglia alessandrina o neutrale che è considerata dalla critica testuale la classe più affidabile. Esistono comunque tantissimi altri documenti – in pratica la stragrande maggioranza dei manoscritti noti, circa 1800, ai quali vanno aggiunti tutti i lezionari – che invece riportano il finale “classico” oggi a noi noto. Si può dire, anzi, che numericamente la quasi totalità dei manoscritti che ci sono pervenuti riportano il finale “classico”. Per esempio il Codex Alexandrinus (V secolo), il Codex Bezae Cantabrigensis (metà o fine del V secolo) o il Codex Ephraemi Rescriptus (metà o fine del V secolo) riportano tutti il finale più o meno come lo conosciamo oggi. Tuttavia tutti questi codici contenenti il finale “classico” sono cronologicamente successivi al Vaticanus e al Sinaiticus, anche se non di molto: essi devono comunque aver avuto delle “sorgenti” che contenevano il passo in questione, sorgenti che si vengono a collocare temporalmente vicino – se non prima – all’epoca in cui sono stati scritti il Codex Vaticanus ed il Codex Sinaiticus.



Nel valutare questa omissione pesa molto un argomento di critica testuale esterna: se il copista aveva a disposizione manoscritti più antichi comprendenti il noto finale, perché egli lo avrebbe omesso? Una delle regole della critica testuale (almeno secondo il modello di Westcott ed Hort) è che in genere nel processo di filiazione dei manoscritti si tende ad aumentare il materiale letterario piuttosto che ometterlo, inoltre uno scriba non produce mai un lavoro che sia contrario alla propria dottrina e omettere il passo di Marco che racconta le apparizioni, qualora sia disponibile, è evidentemente contrario agli interessi del cristianesimo e dei copisti.





Citazioni dei padri della Chiesa





Di particolare interesse sono le citazioni di questo passo da parte dei padri della Chiesa. A questo proposito è stato osservato che due padri della Chiesa autorevoli come Origene (185-250 d.C. circa) e Clemente di Alessandria (150-215 d.C. circa) non hanno mai citato nelle loro opere alcuna frase proveniente da Marco 16:9-20, neppure sotto forma di allusione, come se ai loro tempi appunto questo passo non esistesse. D’altra parte a questa tesi si può contrapporre il fatto che Origene in generale non è mai stato molto propenso a citare il vangelo di Marco mentre Clemente di Alessandria non ha mai citato nelle sue opere, oltre che il finale di Marco, neppure il finale di Matteo (Cap. 28) e tuttavia non è una mancata citazione di Clemente di Alessandria che può eventualmente mettere in discussione l’autenticità del finale del vangelo di Matteo. L'argomentazione ad silentium, infatti, va utilizzata con estrema cautela: se un autore non cita un determinato passaggio, non è detto che esso non esistesse nel momento in cui egli scriveva. Oltretutto pare che in un punto del Contra Celsum (cfr. VII, 17) Origene faccia implicitamente riferimento a Marco 16:18, anche se non si tratta di una citazione diretta. Il fatto che Origene e Clemente di Alessandria non citino mai direttamente alcun passo tratto da Marco 16:9-20 potrebbe quindi essere casuale.



Nel IV secolo Eusebio di Cesarea (265-340 d.C. circa), vissuto dopo Origene e Clemente di Alessandria, attesta però che in quel periodo circolano effettivamente copie del vangelo di Marco prive del finale accanto a copie contenenti il finale “classico”. Nello scritto Ad Marinum Eusebio risponde su alcune questioni che gli vengono poste relativamente alle discrepanze sui racconti delle apparizioni dopo la risurrezione nei vangeli. Eusebio, soffermandosi sulle differenze tra Matteo (Cap. 28) e Marco (Cap. 16) afferma che la questione potrebbe essere risolta osservando da un lato che esistono copie di Marco prive del finale (che conseguentemente non contrastano con Matteo) e d’altra parte egli considera autentici entrambi i racconti di Matteo e Marco e quindi dovrebbero essere entrambi accettati e integrati (armonizzati?) tra loro. Quello che è importante è che Eusebio fotografa la situazione al suo tempo e segnala che nel IV secolo esistono copie con il noto finale ma anche molte copie che lo omettono. Inoltre dal tipo di risposta sembrerebbe che a quel tempo le differenze tra il finale di Marco e quello di Matteo fossero davvero grandi, tanto da invocare una armonizzazione per renderle concordi. Origene comunque non sembra affermare che, dal suo punto di vista, il finale presente in Marco a lui noto nel IV secolo è falso.



Anche San Girolamo (340-420 d.C. circa), l’autore della Vulgata latina (la traduzione in latino della Bibbia), nel V secolo testimonia a favore della non autenticità del finale di Marco 16:9-20. Dobbiamo però osservare che proprio la Vulgata latina contiene questi versetti. Inoltre questa affermazione è contenuta in una lettera (Ad Hedibiam, 120) di San Girolamo che sembra più che altro essere una citazione dei temi proposti da Eusebio nell’Ad Marinum piuttosto che non una argomentazione originale, in quanto le tesi sostenute sono sostanzialmente le stesse di Eusebio, e sostanzialmente negli stessi termini.



Sono sufficienti queste autorevoli citazioni per concludere che certamente nel vangelo di Marco non esisteva alcun finale riconducibile a quello attuale?



Gli studiosi hanno osservato che Giustino Martire (100-165 d.C. circa), uno dei primissimi padri della Chiesa, antecedente Origene, Eusebio e San Girolamo, scrisse che gli Apostoli “partendo da Gerusalemme predicarono dappertutto” (cfr. Apologia I, 45, 5). Questa sembra una citazione diretta di Marco 16:20: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano”. Tra l’altro sia Giustino che Marco utilizzano entrambi la parola greca pantacoà che non è molto comune. Possibile quindi che Giustino abbia preso spunto dal finale di Marco 16:9-20?



Ireneo di Lione (140-202 d.C. circa) ci fornisce una testimonianza diretta molto importante sulla esistenza del passo di Marco 16:19 in tempi relativamente molto antichi. Nello scritto “Contro le eresie” – in latino Adversus Haereses – leggiamo infatti ad un certo punto:



“Inoltre Marco verso la conclusione del suo vangelo dice: Gesù dopo aver parlato loro salì al cielo e sedette alla destra del Padre” (Ireneo, Adverus Haereses, libro III, 10:5-6)



Ireneo cita direttamente Marco 16:19, con un linguaggio veramente molto simile a quello che compare oggi nel vangelo: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” [Marco 16:19]. Ireneo scrive nella seconda metà del II secolo, prima del Codex Vaticanus, del Codex Sinaiticus (manoscritti che sono del III-IV secolo), prima di Eusebio di Cesarea e prima persino di Origene e di Clemente di Alessandria.



Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl., 3.39.9) ha scritto poi che Papia di Gerapoli (vissuto nel periodo 70-150 d.C. circa) scrisse in un suo lavoro (oggi andato perduto) che Giuseppe “Giusto” Barsabba (personaggio citato anche in Atti 1:23) bevve del veleno e non morì. Ora, in Marco 16:18 leggiamo: “prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno”. Possibile che ai tempi di Papia fosse noto l’attuale finale del vangelo di Marco e che Papia di Gerapoli si fosse ispirato a quei versetti? Sottolineiamo che questa citazione di Papia proviene comunque da uno scritto di Eusebio di Cesarea (IV secolo) e non da un documento originale attribuibile a Papia.



Si potrebbero riportare anche altri passi di autori molto antichi, sebbene successivi a Papia di Gerapoli, Ireneo di Lione e Giustino Martire, citazioni che sembrano testimoniare in favore della esistenza di Marco 16:9-20 così come lo conosciamo oggi. Certo è sempre possibile sostenere che in origine il vangelo non contenesse affatto l’attuale finale, che sarebbe stato costruito a tavolino o “armonizzato” da qualcuno utilizzando materiale dei primi padri (Giustino e Papia, ad esempio); questa teoria non spiega però la citazione diretta di Ireneo di Lione, che si riferisce direttamente a Marco.



Se veramente i padri del II secolo hanno citato da Marco ed esisteva a quel tempo il finale odierno o qualcosa di molto simile, allora si dovrebbe supporre che il Codex Vaticanus e il Codex Sinaiticus (o più verosimilmente le sorgenti di questi antichi manoscritti) siano precedenti Giustino ed Ireneo. Oppure che ad un certo punto siano andate avanti, per qualche inspiegabile motivo, in parallelo due tradizioni diverse. Giustino operava a Roma, Ireneo in Francia. Eusebio, che attesta la presenza di copie senza il finale – invece a Cesarea, in Palestina, così come dal medio oriente e precisamente dall’Egitto provengono il Codex Sinaiticus e – forse – il Vaticanus. E’ possibile che in Egitto e in Oriente esistesse – o avesse più credito – una versione “breve” del vangelo di Marco (senza il passaggio oggi noto) mentre in Europa, e in particolare a Roma, quel vangelo fosse noto col finale “lungo”.





Conclusione di un tema che resta aperto





Sebbene ci siano alcune testimonianze che sembrano indicare il fatto che antiche versioni del vangelo di Marco contenessero i vv. 16:9-20 (vedi in particolare la citazione di Ireneo di Lione) è un altro dato di fatto che due codici molto importanti ed antichi non contengono questa parte del vangelo ed Eusebio di Cesarea afferma che al suo tempo (IV secolo) circolavano effettivamente copie del vangelo prive del finale che oggi conosciamo. Quindi le copie senza il finale sono esistite davvero e sono visibili anche ai nostri giorni nel Codex Vaticanus e nel Codex Sinaiticus, i più antichi manoscritti contenenti questa parte del vangelo di Marco. Oltretutto B ed א sono manoscritti testualmente molto importanti, essi appartengono alla famiglia neutrale, una classe che la moderna critica testuale giudica come la migliore e la meno interpolata.



Alcuni studiosi pensano che in origine il vangelo di Marco non contenesse affatto questi versetti, che sarebbero stati inseriti in seguito (a questo proposito la nota della Bibbia C.E.I. è eloquente) forse per armonizzare Marco con Matteo e soprattutto con Luca. Le copie che presentavano il finale sarebbero esistite fin da tempi molto antichi (e questo giustificherebbe la citazione di Ireneo e i brani degli altri padri che sembrano ispirati a Marco 16:9-20) ma sarebbero derivate da una armonizzazione molto antica probabilmente sorta in area occidentale. Del resto il testo occidentale è noto per essere sì molto antico ma anche per la tendenza ad assimilare materiale proveniente da tradizioni originariamente non presenti nelle copie più antiche. La Chiesa ritiene comunque oggi che i versetti 16:9-20 siano da ritenersi canonici.



Altri studiosi spiegano la lacuna ipotizzando che ad un certo momento sia andato perduto il finale a causa di un incidente nella trasmissione e quindi siano nati alcuni manoscritti senza questa parte conclusiva. C’è anche chi avanza l’ipotesi che l’estensore del vangelo, secondo la tradizione Marco, un collaboratore di Pietro, non sia riuscito a completarlo e il finale che oggi conosciamo o qualcosa di simile sia stato scritto da un suo successore e rifiutato da alcuni cristiani che avrebbero utilizzato solo il testo conforme a quanto effettivamente scritto dal primo autore (Marco). Ad un certo punto sarebbero andate avanti quindi almeno due versioni del vangelo e, dopo un certo tempo, si pose il problema di una sistemazione della questione (vedi Eusebio). Queste teorie hanno il pregio di spiegare perché il Codex Vaticanus e il Codex Sinaiticus – i manoscritti più antichi – non contengono Marco 16:9-20 ma esistono alcuni curiosi riferimenti dei padri della Chiesa, precedenti a questi antichi codici, a punti di questo passo.





Analisi interna del passo, alcuni cenni





Ma come si concludono gli altri tre vangeli? Esistono altri punti controversi? Che cosa si può dire relativamente allo stile del passo in rapporto al resto del vangelo?



Secondo Matteo (cfr. Cap. 28) Gesù appare subito dopo la risurrezione per la prima volta a Maria (probabilmente la madre di Giacomo, dal momento che qui non è designata come madre di Gesù ma come "l'altra Maria") e a Maria di Magdala, contemporaneamente, nei pressi del sepolcro trovato vuoto (Mt. 28:1, 28:9) Poco dopo appare in Galilea agli Apostoli (Mt. 28:16-17). Non vi è alcun cenno alla Ascensione di Gesù.



Giovanni – il vangelo più recente tra i canonici – è il più particolareggiato nel descrivere le apparizioni di Gesù (cfr. capp. 20-21), la prima a Maria di Magdala che si trovava nei pressi del sepolcro (Gv. 20:11-18) poi, la sera di quello stesso giorno, apparve agli Apostoli riuniti (Gv. 20:19-23) e, otto giorni dopo, di nuovo agli Apostoli per la seconda volta (episodio di Tommaso, Gv. 20:26-30); infine il vangelo secondo Giovanni dà notizia di un’ultima apparizione di Gesù a sette discepoli, presso il lago di Tiberiade, non accennando però al tema dell’Ascensione (Gv. 21:1ss) [3].



Secondo Luca i primi a vedere Gesù dopo la risurrezione furono i discepoli di Emmaus (sappiamo che uno dei due si chiama Cleopa, cfr. Lc 24:18). Questo episodio però non è raccontato da nessun altro vangelo (tranne, forse, Marco come vedremo più avanti). Oltre alla apparizione a Cleopa e al suo compagno di viaggio Luca narra anche che Gesù apparì a Pietro, ma non sembra dare molta importanza a questa apparizione, visto che la accenna solo di sfuggita. Segue poi la descrizione della apparizione agli Apostoli (Lc. 24:36-49) e l’accenno alla Ascensione (Lc. 24:50-53) che è tema caratteristico di Luca: ricordiamo infatti che gli Atti degli Apostoli, attribuiti sempre a Luca, si aprono proprio con il racconto – più dettagliato – dell’Ascensione (At. 1:9-10). Nel vangelo Luca, però, sembra attestare che Gesù è asceso al cielo pochissimo tempo dopo la risurrezione, forse già il giorno successivo alla risurrezione stessa. Negli Atti invece si dice che “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (cfr. Luca 1:3) così che rimane una ambiguità di fondo: quando si sarebbe verificata effettivamente l’Ascensione? Ricordiamo che nei testi di Matteo e Giovanni non si parla dell’Ascensione, di cui abbiamo notizia dal solo Luca (nel vangelo e negli Atti).



L’attuale finale di Marco 16:9-20 sembrerebbe proprio un compendio di quanto raccontano Matteo e Luca, una vera e propria “armonizzazione” fatta per tenere conto di varie esigenze. Molto sbrigativamente si dice che Gesù apparve prima a Maria di Magdala (tema trattato da Matteo e Giovanni ma non da Luca), poi a “due in cammino verso la campagna” (probabilmente i discepoli di Emmaus di cui parla Luca ma non Matteo e neppure Giovanni), infine si accenna ad una apparizione agli Apostoli (come anche Matteo, Luca e Giovanni) e all’Ascensione (tema caratteristico del solo Luca). In particolare l’accenno alla apparizione ai due viaggiatori sembra preso alla lettera da Luca che è l’unico che sviluppa a fondo questo discorso. Quando poi nel versetto 16:9 si parla di “Maria di Madgala dalla quale aveva cacciato sette demoni” – come a ricordare un fatto già raccontato precedentemente – occorre tenere presente che questo episodio non è raccontato nel vangelo di Marco, ma è narrato solo in Luca 8:2. Queste considerazioni “interne” al testo sembrano portare alla conclusione che il passo non fosse presente nelle prime versioni o, almeno, che esso non fosse scritto esattamente in ogni suo punto in questo modo così come lo conosciamo oggi.



Anche una analisi linguistica non sembra testimoniare a favore della autenticità del brano. Per esempio in tutto il vangelo di Marco viene utilizzata la parola “Signore” per diciassette volte. Tuttavia nel versetto 16:19 (quello citato da Ireneo di Lione nel II sec.) si utilizza il termine Signore Gesù (KÚrioj 'Ihsoàj) in una forma (a Gesù viene attribuito il titolo di Signore) che solo qui è utilizzata e in nessun altro punto del testo e non fa parte del tipico vocabolario di Marco. Nel Nuovo Testamento in molti passi si fa riferimento a Gesù chiamandolo con il titolo di Signore, un titolo che in genere è utilizzato nell’A.T. per designare direttamente Dio. La forma Signore Gesù però è localizzata solo in alcuni scritti del Nuovo Testamento: essa compare una volta soltanto in Marco (nel versetto 16:19, di autenticità sospetta), una volta soltanto in Luca 24:3, compare in modo massiccio negli Atti degli Apostoli (si contano ben diciotto occorrenze), in molte lettere di Paolo e nell’Apocalisse (due volte, vv. 22:20-21, a conclusione del libro).



Per approfondire:



Analisi lessicale del finale Mc. 16:9-20 (documento PDF, 141 kB)



M.D. McDill, A Textual and Structural Analysis of Mark 16:9-20 (Filologia Neotestamentaria, Vol. 17, 2004, pp. 27-44.





Ipotesi di soluzione



Se è alquanto difficile stabilire l'esistenza e la forma di un eventuale finale a seguire l'attuale Mc. 16:8, vi sono studiosi per i quali non è un problema la totale assenza delle apparizioni del Cristo risorto nel secondo vangelo. Così scrive sull'argomento E. Lupieri:



“Mi pare convincente la spiegazione che il testo davvero finisse così [senza tutto l'attuale Mc. 16:9-20], poiché era pensato come una serie di letture da proporre come itinerario ideale al neofito, il quale gradualmente veniva educato nelle verità della nuova fede e invitato a immedesimarsi con Gesù, che avanza verso la morte fisica in Gerusalemme. Dietro a tale costruzione vi sarebbe l'eco dell'insegnamento paolino sul battesimo come morte e risurrezione. L'insegnamento impartito dal vangelo andava bene per Giudei, giudaizzanti e pagani, i quali tutti trovavano elementi nel racconto con cui identificarsi, per allontanarsi dalla propria vecchia fede, mentre l'insegnamento ancora più approfondito, le parole del Risorto, sarebbe stato riservato a un momento successivo al battesimo e perciò non sarebbe stato scritto nel vangelo.” [4]



Benoit Standaert ha cercato di spiegare il finale di Marco in relazione alla particolarità dell'impiego a cui il vangelo era destinato, essere letto interamente (in un paio d’ore) durante la liturgia della vigilia di Pasqua, al termine della quale avevano luogo i battesimi. La tesi complessiva di Standaert non ha pienamente convinto il mondo accademico e resta controversa, tuttavia in un importante commentario recente essa viene ritenuta, a un livello più generale rispetto alla sua formulazione originaria, plausibile e affascinante:



"In any event, whether or not our Gospel originally belonged in a baptismal setting, the idea that it played a central role in the liturgy of Mark's Christian community is a compelling one. One of the points in its favor is that in such a setting the cryptic nature of Mark's narrative, far from giving offense, would be very much at home. For its characteristic of liturgy, and indeed an aspect of its numinous power, that it contains elements that are disjunctive and mysterious, "half-revealed, half-concealed" in order to elicit worshippers' awe. (...) In conclusion, Mark may very well be a dramatization of the good news that was originally staged in the context of a Christian worship service." [5]





NOTE AL TESTO


[1] Va comunque osservato che in B tra la fine di Matteo e l’inizio di Marco esiste uno spazio corrispondente a circa metà colonna; l’inizio di Giovanni segue immediatamente la fine di Luca; alla fine di Giovanni è inserito uno spazio di quasi una colonna bianca. Inoltre si deve considerare che come per tutti gli altri libri copiati in B, anche la fine del vangelo di Marco risulta contrassegnata nel codice dal suo colophon (kata Markon) che è collocato poco al disotto delle ultime parole del v. Mc. 16:8 (™foboànto g£r). Il colophon è della stessa mano del copista e non è una inserzione successiva, di conseguenza chi scrisse il codice voleva terminare proprio in quel punto il testo del vangelo di Marco.



[2] Calcolo eseguito sul testo greco da Mc 16:9 a Mc 16:20, senza contare gli spazi bianchi, gli accenti e gli iota ascritti, che non venivano riportati nel testo.



[3] Il capitolo 21 del vangelo di Giovanni viene considerato da molti biblisti una aggiunta redazionale. Si veda sul problema, M. Marcheselli, Avete qualcosa da mangiare? - Un pasto, il risorto, la comunità, Bologna, 2006, Edizioni Dehoniane (EDB). Maurizio Marcheselli, docente di Nuovo Testamento a Bologna presso la Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna e l'Istituto Superiore di Scienze Religiose, è uno dei massimi specialisti di Gv. 21.



[4] E. Lupieri, in Storia del Cristianesimo, a cura di G. Filoramo e D. Menozzi, Laterza, Bari, pag. 114.



[5] Joel Marcus, Mark 1-8, Anchor Bible, Doubleday, 1999, pp. 68-69.

da http://digilander.libero.it/Hard_Rain/Marco.htm

[Modificato da Credente 01/01/2018 23:16]
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Pericope dell'adultera Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

 La Pericope dell'adultera (popolarmente detta episodio di Gesù e l'adultera) è un passo del Vangelo secondo Giovanni (8,1-11) in cui una donna colta in adulterio è portata dinanzi a Gesù da scribi e Farisei per conoscere il suo parere circa la sua condanna a lapidazione. Si tratta dell'episodio da cui ha origine il detto «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra». Il brano non compare nei manoscritti più antichi e affidabili del Vangelo secondo Giovanni e questo ha portato la quasi unanimità della critica moderna a non riconoscerlo come facente parte del testo originale di Giovanni.[1][2] La pericope « non presenta infatti il caratteristico stile giovanneo e rompe i discorsi tenuti da Gesù durante la festa delle capanne.
Lo stile e la sensibilità che presenta la farebbero avvicinare a Luca (in alcuni codici importanti viene infatti inserita subito dopo Luca 21,28, anche se non sembra sia sua (Becker). » (Giuseppe Segalla, Introduzione al Vangelo di Giovanni, in La Bibbia. nuovissima versione dai testi originali, Edizioni San Paolo, 1991, p. 641.) Lo stesso Segalla afferma che "sulla storicità la risposta è in genere positiva: l'episodio corrisponde perfettamente alla persona di Gesù come la conosciamo dai sinottici; infatti questo racconto ha i caratteri della tradizione sinottica" (p. 642). Indice [nascondi] 1 Critica testuale 1.1 Testimonianze manoscritte 2 Note 3 Bibliografia 4 Voci correlate 5 Altri progetti Critica testuale[modifica | modifica wikitesto] Questa pericope non è presente nel suo posto canonico in nessuno dei più antichi manoscritti evangelici in greco conservatisi; né nei due papiri del III secolo che contengono il Vangelo secondo Giovanni ( {\displaystyle {\mathfrak {P}}} {\displaystyle {\mathfrak {P}}}66 e {\displaystyle {\mathfrak {P}}} {\displaystyle {\mathfrak {P}}}75), né nei due codici risalenti al IV secolo, il Codex Sinaiticus e il Codex Vaticanus. Il manoscritto greco più antico che contiene questo brano è il Codex Bezae, un testo in greco e latino del V secolo. Papia di Ierapoli riferisce, intorno al 125, di una storia di Gesù e di una donna "accusata di molti peccati" contenuta nel Vangelo degli Ebrei, forse un riferimento a questo brano. Un riferimento più certo alla pericope è invece contenuta nella Didascalia apostolorum, un'opera in lingua siriaca del III secolo, che però non indica se il brano proveniva da un vangelo ed eventualmente da quale.
In un'opera ritrovata nel 1941 e composta da Didimo il Cieco (seconda metà del IV secolo), si fa riferimento alla pericope adulterae, affermando che si trova in "molti vangeli".
Oggi si ritiene che il brano fosse presente in un numero ristretto di manoscritti greci del IV secolo copiati ad Alessandria d'Egitto: a favore di questa ricostruzione è anche la presenza di un segno alla fine del capitolo 7 del Vangelo secondo Giovanni del Codex Vaticanus, copiato in Egitto, che indica che una versione alternativa in quel punto era nota allo scriba. Girolamo racconta che la pericope era presente in molti manoscritti greci e latini, alla fine del IV secolo; le sue parole sono confermate da Ambrogio e Agostino, il quale riferisce che il brano sarebbe stato rimosso volontariamente da alcune copie per evitare l'impressione che Gesù avesse giustificato l'adulterio.[3]

Testimonianze manoscritte
Vangelo secondo Giovanni 7,52-8,12 nel Codex Sinaiticus, in cui la pericope manca Sia il Novum Testamentum Graece (NA27) che lo United Bible Societies (UBS4) forniscono un apparato critico per la pericope, ma la segnano tra doppie parentesi quadre, ad indicare che si tratta di un'aggiunta posteriore al testo.[4] L'USB4 giudica la propria ricostruzione delle parole della pericope come 'A', in quanto gli autori sono virtualmente certi che queste parole sono quelle originali dell'aggiunta. Testimonianze che escludono la pericope: Papiri 66 (200 circa), 75 (inizio III secolo) e 45 (250 circa); Codices Sinaiticus e Vaticanus (IV secolo), apparentemente anche Alexandrinus e Ephraemi (V secolo), Codices Washingtonianus e Borgianus (V secolo), Regius (VIII secolo), Athous Lavrensis (800 circa), Petropolitanus Purpureus, Macedoniensis, Sangallensis e Koridethi (IX secolo) e Monacensis (X secolo); Onciali 0141 e 0211; Minuscoli 3, 12, 15, 21, 22, 32, 33, 39, 63, 96, 124, 134, 151, 157, 169, 209, 228, 297, 388, 391, 401, 416, 445, 488, 496, 499, 501, 565, 578, 584, 703, 723, 730, 731, 741, 742, 768, 770, 772, 776, 777, 788, 799, 800, 827, 828, 843, 896, 1100, 1178, 1230, 1241, 1242, 1253, 1333, 2193 e 2768; la maggior parte dei lezionari; alcuni manoscritti della Vetus Latina, la maggior parte delle versioni siriache, sahidiche, gotiche, armene e georgiane; Diatessaron (II secolo); apparentemente Clemente Alessandrino (morto nel 215), Tertulliano (morto nel 220), Origene di Alessandria (morto nel 254), Cipriano (morto nel 258), Nonno di Panopoli (morto nel 431), Cirillo di Alessandria (morto nel 444) e Cosma Indicopleuste (morto nel 550). Testimonianze che escludono la seconda parte (solo 7,53-8,2, non 8,3-11) Minuscolo 795 Testimonianze che escludono la prima parte (solo 8,3-11) ℓ 4, ℓ 67, ℓ 69, ℓ 70, ℓ 71, ℓ 75, ℓ 81, ℓ 89, ℓ 90, ℓ 98, ℓ 101, ℓ 107, ℓ 125, ℓ 126, ℓ 139, ℓ 146, ℓ 185, ℓ 211, ℓ 217, ℓ 229, ℓ 267, ℓ 280, ℓ 282, ℓ 376, ℓ 381, ℓ 386, ℓ 390, ℓ 396, ℓ 398, ℓ 402, ℓ 405, ℓ 409, ℓ 417, ℓ 422, ℓ 430, ℓ 431, ℓ 435 (8,2-11), ℓ 462, ℓ 464, ℓ 465, ℓ 520 (8,2-11) Testimonianze che includono la pericope, Codex Bezae (V secolo), Codices Boreelianus, Seidelianus I, Seidelianus II, Cyprius, Campianus e Nanianus (IX secolo), Tischendorfianus IV (X secolo); Minuscolo 28, 318, 700, 892, 1009, 1010, 1071, 1079, 1195, 1216, 1344, 1365, 1546, 1646, 2148, 2174; il tipo testuale bizantino; ℓ 79, ℓ 100 (8,1-11), ℓ 118, ℓ 130 (8,1-11), ℓ 221, ℓ 274, ℓ 281, ℓ 411, ℓ 421, ℓ 429 (8,1-11), ℓ 442 (8,1-11), ℓ 445 (8,1-11), ℓ 459; la maggior parte dei manoscritti della Vetus Latina, la Vulgata (Codex Fuldensis), alcune versioni siriache, bohariche, armene ed etiopiche; Didascalia apostolorum (III secolo), Didimo il Cieco (IV secolo), Ambrosiaster (IV secolo), Ambrogio di Milano (morto nel 397), Giovanni Crisostomo (morto nel 407), Girolamo (morto nel 420), Agostino d'Ippona (morto nel 430). Testimonianze che mettono in dubbio la pericope segnandola con un asterisco o un obelo: Codex Vaticanus 354 (S) e i Minuscoli 4, 8, 35, 83, 161, 164, 165, 166, 167, 168, 200, 202, 285, 338, 348, 363, 367, 376, 386, 407, 443, 478, 479, 532, 547, 553, 656, 662, 685, 757, 758, 769, 781, 797, 801, 824, 825, 829, 844, 845, 873, 897, 922, 1073, 1077, 1092, 1099, 1187, 1189, 1443 e 1445 includono tutta la pericope da 7,53; il martirologio del Lezionario 185 include 8,1 e seguenti; Codex Basilensis (E) include 8,2 e seguenti; Codex Tischendorfianus III (Λ) e Petropolitanus (П) oltre ai martirologi dei Lezionari ℓ 86, ℓ 211, ℓ 1579 e ℓ 1761 includono 8,3 e seguenti. Minuscolo 807 è un manoscritto con una catena, ma solo in Giovanni 7,53-8,11 è senza catena. Si tratta di una caratteristica dei manoscritti tardo-bizantini simili alla Famiglia Kr, che segnano questa pericope con obeli; secondo Maurice Robinson questi segni servono a ricordare ai lettore che questi versetti devono essere omessi dalla lettura del vangelo per Pentecoste, non per mettere in discussione l'autenticità del passaggio. Testimonianze che collocano la pericope altrove: la Famiglia 1, i minuscoli 20, 37, 135, 207, 301, 347, e quasi tutte le versioni armene pongono la pericope dopo Giovanni 21,25; la Famiglia 13 la colloca dopo Luca 24,53. Un correttore di Minuscolo 1333 aggiunse i versetti 8,3-11 dopo Luca 24,53; Minuscolo 129, 259, 470, 564, 831, e 1356 collocano i versetti 8,3-11 dopo Giovanni 21,25; Minuscolo 826 colloca la pericope dopo Luca 21,38. Testimonianze con aggiunte successive: nel Codex Ebnerianus e nei minuscoli 284, 431, 461, 470 e 2174 una mano successiva aggiunse la pericope alla fine di Giovanni o a margine. Note[modifica | modifica wikitesto] ^ Petersen, p. 192; Bruce Metzeger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, (London: United Bible Societies, 1971), p. 220; Paul Copan, William Lane Craig, Contending with Christianity's Critics: Anwering New Atheists and Other Objectors, B&H Publishing Group, 2009, ISBN 0-8054-4936-1, pp. 154-155. ^ "Pericope adulterae", in FL Cross (ed.), The Oxford Dictionary of the Christian Church, (New York: Oxford University Press, 2005). ^ Agostino, De adulterinis conjugiis, ii.6–7. Citato in Wieland Willker, A Textual Commentary on the Greek Gospels, Vol. 4b, p. 10. ^ Riguardo all'uso delle doppie parentesi quadre, UBS4 scrive che queste «racchiudono passaggi che sono considerati aggiunte posteriori al testo, ma che sono di chiara antichità e importanza». Bibliografia[modifica | modifica wikitesto] Jurgen Becker, Das Evengelium nach Johannes, Würzburg, Gerd Mohn, 1979 e 1981 (due volumi). William Lawrence Petersen, "John 8:11, the Protoevangelium Iacobi, and the History of the Pericope Adulterae", in Tjitze Baarda, William Lawrence Petersen, J. S. Vos, H. J. de Jonge, Sayings of Jesus: canonical and non-canonical : essays in honour of Tjitze Baarda, Brill, 1997, ISBN 90-04-10380-5 Alberto Maggi, "Versetti pericolosi. Gesù e lo scandalo della misericordia", 2011

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Alcuni studiosi, dopo aver effettuato un attento esame linguistico del brano, lo attribuiscono a Luca, con cui ha in comune molti particolari filologici. Vediamoli.

In Gv 8:1 si menziona il “monte degli Ulivi”; questa espressione appare quattro volte in Lc,
ma mai in Gv se non in questo brano controverso.
In Gv 8:2 si dice che Yeshùa “si presentò di nuovo al tempio”; quel “si presentò” è in greco
παρεγένετο (pareghèneto); questo verbo si riscontra solo una volta in Gv: “La gente veniva
8
[greco παρεγίνοντο (pareghìnonto)] a farsi battezzare” (Gv 3:23); ma si trova ben 25 volte
in Lc.
Sempre in Gv 8:2 si legge “tutto il popolo”, greco πᾶς ὁ λαὸς (pàs o laòs); questa
espressione si trova 7 volte in Lc, mai in Gv nel senso qui usato.
In Gv 8:3 si ha l’espressione “posta in mezzo”, che nel greco è letteralmente “ponenti lei
in mezzo” (στήσαντες αὐτὴν ἐν μέσῳ, stèsantes autèn en mèso); questo stèsantes
(“ponenti”) con il dativo (meso; “mezzo”) non è giovanneo; Giovanni avrebbe usato
l’accusativo senza l’ἐν en, “in”), come in Gv 19:18: “Gesù nel mezzo [greco μέσον (mèson),
al caso accusativo]” e come in Gv 20: “Si presentò in mezzo [greco μέσον (mèson), al caso
accusativo] a loro” (v.19), “Si presentò in mezzo [greco μέσον (mèson), al caso accusativo]
a loro”. – V. 26.
In Gv 8:10 Yeshùa dice all’adultera: “Nessuno ti ha condannata?”, e il verbo “ha
condannata” è nel greco κατέκρινεν (katèkrinen); Giovanni, anziché il verbo composto
κατακρίνω (katakrìno, “giudicare” o “condannare”) usa invece il semplice κρίνω (krìno),
come in Gv 3:17: “Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare [greco κρίνῃ
(krìne)] il mondo”.
In Gv 8:11 c’è l’espressione “da ora in poi” (greco ἀπὸ τοῦ νῦν, apò tù sýn) che si trova
solo presso Lc.
 Questa ipotesi che il brano sia di Luca e non di Giovanni è confermata dalla tradizione manoscritta della cosiddetta “Famiglia 13”, così chiamata perché è costituita da tredici codici chiamati anche “Gruppo di Ferrar”, che – pur provenendo dall’Italia meridionale – rappresentano l’antico testo usato in Siria (anteriore alla stessa recensione di Origène).
Ebbene, questi codici hanno la pericope dell’adultera dopo Lc 21:38.
Si può quindi concludere che il brano non è sicuramente di Giovanni, ma proviene da Luca che amava presentare la misericordia di Yeshùa verso le donne peccatrici.
Ma com’è finito dallo scritto di Luca a quello di Giovanni?

La risposta ci viene da ciò che è stato svelato da recenti e approfonditi studi. Questi studi hanno indagato le affinità tra Lc e Gv. Per citare esempi pratici, ecco alcune affinità:
Lc Gv

LUCA 22:3 “Satana entrò in Giuda”  GIOVANNI 13:27 “Dopo il boccone, Satana entrò in lui”.
Satana principale responsabile.
LUCA 22:53 “Questa è la potenza delle tenebre” GIOVANNI 1:5 “La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta”.(Opposizione satanica a Yeshùa come tenebre.)
LUCA 22:66“Appena fu giorno, gli anziani del popolo, i capi dei sacerdoti e
gli scribi si riunirono, e lo condussero nel loro sinedrio”. GIOVANNI18:28 “Da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio.  (Era mattina”.Seduta del sinedrio di mattina.)
Il capitolo 21 di Lc e la pericope dell’adultera recano i caratteri dello stile lucano.
Non è azzardato ipotizzare che Luca abbia preso parte attiva nella redazione del Vangelo di Giovanni e che egli ne abbia rimaneggiato alcuni racconti. In questo modo si
spiegherebbe bene come mai il greco del Vangelo giovanneo è buono mentre quello dell’Apocalisse è un greco pessimo.
Questo nulla toglie alla storicità e all’ispirazione della pericope dell’adultera, anche se la sua origine è lucana.


[Modificato da Credente 09/06/2018 11:20]
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11/01/2018 23:35
 
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UN VERSETTO PEGGIORATO NELLA NUOVA VERSIONE TNM.

Si tratta del versetto di Filippesi 2,5-6 che nel1987 era reso con:
Mantenete in voi questa attitudine mentale* che fu anche in Cristo Gesù,+ 6 il quale, benché esistesse nella forma di Dio,+ non prese in considerazione una rapina,* cioè che dovesse essere uguale a Dio.+

(mentre ora 2017 risulta così) 5 Abbiate lo stesso modo di pensare di Cristo Gesù,+ 6 il quale, pur esistendo nella forma di Dio,+ non pensò di appropriarsi di qualcosa che non gli spettava,* cioè l’essere uguale a Dio.+

mentre la traduzione letterale dall'originale greco è:
...non ritenne di tenere stretto l'essere uguale a Dio,
(che può essere anche tradotto: non ritenne un tesoro geloso il suo essere uguale a Dio, oppure di tenersi aggrappato al suo essere uguale a Dio)
La frase utilizzata ora nella nuova versione TNM, e indicata in corsivo, risulta completamente assente nel testo originale. Quella precedente era già manipolata ma era espressa in maniera incomprensibile, ora invece la frase risulta comprensibile ma in maniera fuorviante avendo introdotto una costruzione della frase che è semplicemente un commento del testo, però secondo il punto di vista della wt, che ha provveduto a finire di alterare anche questo versetto così come aveva già alterato tutti i versetti che attestano la divinità di Cristo.
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17/01/2018 11:33
 
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Nella nuova versione TNM 2017 troviamo così riportati i versetti di Atti 7,59-60: 59 Mentre veniva lapidato, Stefano supplicò: “Signore Gesù, ricevi il mio spirito”. 60 Poi si inginocchiò e gridò a gran voce: “Geova,* non imputare loro questo peccato”.+ Detto questo, si addormentò nella morte.
Hanno modificato il termine FACEVA APPELLO, con il termine SUPPLICO' che pur non traducendo con esattezza il termine greco originale, così come è indicato in blu, devono però riconoscere che il termine SUPPLICARE (che ora hanno utilizzato) si avvicina molto a PREGARE, CHIEDERE CON FEDE, rivolto a Gesù e questo  dovrebbe portarli a RICONOSCERE CHE EGLI E' DIO, in quanto  Stefano lo invoca o lo supplica DIRETTAMENTE, presupponendo che Gesù lo ascolti e lo possa esaudire.

Vi è però da considerare quanto risulta nel versetto 60 ed indicato in rosso della allegata immagine, e cioè che la wt ha mantenuto anche nella recente versione il termine inesistente " geova" che invece secondo gli originali (KIRIOS) doveva tassativamente essere tradotto con SIGNORE.
     Da notare che il grido di preghiera fatto al Signore,  è chiaramente rivolto ancora a Gesù così come chiaramente indicato nel versetto precedente. Tale invocazione è FATTO IN GINOCCHIO, ad ulteriore conferma che Stafano riconosce Gesù come suo SIGNORE e suo Dio, allo stesso modo con cui lo aveva già riconosciuto Tommaso (Gv 20,28)


Vi è inoltre un'altro aspetto importante da sottolineare, e cioè che questo termine "geova" qui inserito, non è una citazione dal Vecchio Testamento, ma il termine SIGNORE si trova in una preghiera che Stefano rivolge a Cristo, come nel precedente versetto 59.
Quindi la giustificazione addotta dalla wt di "ripristinare" il termine "geova" dove secondo loro (e senza alcuna dimostrazione) sarebbe stato rimosso nelle citazioni che il Nuovo Testamento fa del Vecchio Testamento, è del tutto inopportuno, arbitrario, ingannevole, e inoltre in questo specifico versetto non trova alcuna giustificazione valida.



[Modificato da Credente 09/06/2018 11:32]
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18/01/2018 22:15
 
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COSA INSEGNA LA BIBBIA nel versetto di Giacomo 4,5.
Ecco come la " bibbia" della wt lo traduceva nel
1987 5 O vi sembra che la scrittura dica senza scopo: “Con tendenza all’invidia lo spirito+ che ha preso a risiedere dentro di noi continua ad avere ardente desiderio”?
ecco come lo traduce ora:
2017.+ 5 O forse pensate sia senza motivo che la Scrittura dice: “Lo spirito che si è stabilito in noi continua a bramare con invidia”?

Non si capiva prima e non si capisce ora. E come possono insegnare una cosa che non permettono di capire?

Riporto la traduzione comprensibile fatta dall'originale e che risulta in armonia con tutto contesto:
"Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: «Lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia»?"

Questo versetto attesta che in noi Dio ha fatto abitare lo Spirito Santo che ci desidera gelosamente, per cui noi non dobbiamo essere amici del mondo, ma di Dio.
Il senso è chiaro e si accorda col contesto del discorso che Giacomo porta avanti.
Ma nelle due traduzioni fatte dalla wt il senso è contorto ed è tuttora poco chiaro, perchè se fosse stato reso comprensibile, i lettori avrebbero capito facilmente che lo Spirito Santo che è in noi e ci ama e brama gelosamente, non può essere una forza impersonale ma una Persona.
[Modificato da Credente 18/01/2018 22:17]
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24/01/2018 13:16
 
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Ebr.1,5
nel 1987.... a quale degli angeli egli ha mai detto: “Tu sei mio figlio; io, oggi, ti ho generato”?+ E di nuovo: “Io gli sarò padre, ed egli mi sarà figlio”?+

nel 2017 a quale angelo Dio ha mai detto: “Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato”?+ E ancora: “Io diventerò suo padre, e lui diventerà mio figlio”?+

Dunque, a nessuno degli angeli fu mai detto "Tu sei mio FIGLIO, oggi ti ho GENERATO.
Tale termine specifico è usato dalla Scrittura solo per Gesù e si richiama al salmo 2,7, e perciò GENERARE non è sinonimo di CREARE, come intende la wt che volutamente introduce una confusione tra i due diversi verbi.
Gesù quindi non è un angelo. La wt invece afferma addirittura, senza supporto biblico che sia l'arcangelo Michele, che è di natura angelica, ed è un essere creato: ma non può essere Gesù Cristo, che è stato invece GENERATO, e non appartiene a nessun ordine angelico.
Anzi nel verso successivo è detto che tutti gli angeli devono ADORARLO, e mentre questo versetto lo avevano tradotto bene nel 1967, successivamente è stato sostituito con GLI RENDANO OMAGGIO, il che annulla il riconoscimento di Gesù come Dio.

Inoltre l'ultima versione TNM, anche in questo caso si rivela peggiorativa. Infatti usa il verbo "diventare" che è diverso dal verbo "essere" usato in precedenza. Infatti prima si poteva intendere " Io sarò considerato Padre ed egli sarà considerato mio Figlio.
Mentre ora il verbo diventare indica che Gesù in precedenza non era suo Figlio.
Quindi una storpiatura di tutto il testo, che rende impossibile ai tdg che leggono le loro versioni, di capire l'elemento fondamentale di questo brano, e cioè la reale e perpetua natura divina di Cristo, della stessa natura del Padre, in quanto da Lui GENERATO, come ci conferma anche Gv.1,18 che lo definisce UNIGENITO DIO ( e cioè l'UNICO GENERATO che è DIO, come il Padre che è il Generante).
[Modificato da Credente 24/01/2018 13:19]
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06/02/2018 10:53
 
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 Vediamo questa nuova sottile e subdola "traduzione" della wt .
Mettiamo a confronto le due immagini allegate del brano di Colossesi 1,16ss. Nella TNM 1987 il termine "altre" veniva indicato tra parentesi quadre per significare che nell'originale NON C'E', mentre nella TNM 2017, le parentesi sono state tolte. In tal modo il povero lettore tdg, che prima poteva almeno capire che era una parola introdotta arbitrariamente dalla wt, ora invece non può più distinguere che quel termine non ci deve stare e quindi viene portato a ritenere che Cristo sia una tra le altre cose.

Questa era il testo delle versioni precedenti fino al 1987



La seguente immagine riporta il testo della  versione 2017. Come si può bene notare, le parentesi che racchiudevano il termine "altre" nella versione precedente, ora, in quella attuale SONO STATE TOLTE.



La sottille, indebita e arbitraria introduzione di questo termine inesistente negli originali, cambia radicalmente la sostanza del significato del brano. Infatti una cosa è che per mezzo di Cristo tutte le cose sono state create, un altro conto è che per mezzo di Cristo sono state create tutte le "ALTRE" cose.  Questo induce a pensare che anche Cristo sia stato creato come le "altre" cose.
Ma il testo non riporta tale concetto che è di invenzione wt, per piegarlo alla propria dottrina precostituita.
Il significato corretto del brano di Col.1,16 ss è che il Padre, ha creato per mezzo del Figlio tutte le cose, ma non ha creato il Figlio, in quanto Lui è stato GENERATO, come afferma Eb.1,5---Gv.1,18

[Modificato da Credente 06/02/2018 11:04]
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23/02/2018 13:00
 
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Col 2,9.
L'originale greco tradotto alla lettera riporta:
In lui abita corporalmente la PIENEZZA DELLA DIVINITA'.
Non vi sarebbe nulla da commentare data la chiarezza e la scultoreità di questa espressione dove appare in tutta evidenza la DIVINITA' DI CRISTO.
La TNM nelle passate versioni riportava ingannevolmente:
"in lui abita corporalmente la pienezza della qualità divina
Nella attuale versione 2017 riporta:
" è in lui, infatti, che risiede corporalmente tutta la pienezza dell’essenza divina."
In sostanza hanno modificato il termine "qualità" con "essenza", ma il risultato non è cambiato perchè anzichè indicare con esattezza la natura divina di Cristo, gli attribuisce una generica "essenza" che non differisce molto dalla generica "qualità" . E così i tdg resteranno ancora confusi senza avere la possibilità di conoscere la PIENEZZA DELLA DIVINITA' DI CRISTO.
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08/03/2018 19:44
 
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Gv 1,18
L'originale greco tradotto letteralmente dice:
L'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, Lui lo ha fatto conoscere-

Nelle precedenti traduzioni della TNM veniva tradotto:
L'unigenito dio che è nella (posizione del) seno del padre, lo ha spiegato.

Nelle vecchie versionidella TNM, Gesù veniva presentato vicino al seno del Padre
ma non NEL PADRE come invece ben precisa l'evangelista e che ha ben altro significato e valore, in quanto ci fa comprendere la compenetrazione delle due Persone divine come si evince anche da altri versetti come: Io sono NEL Padre e il Padre è IN me, o anche: Io e il Padre siamo una cosa sola.

Ma nella TNM 2018 è avvenuto un ulteriore allontanamento tra il Padre e il Figlio, perchè hanno tolto "nella posizione del seno", e hanno introdotto il termine "accanto" che non solo non mette in evidenza che l'Unigenito Dio, è NEL Padre, ma ora con la nuova traduzione non si trova più neanche vicino al suo seno, che prima aveva una parvenza di intima relazione. Ora è scomparsa anche questa unità morale tra le due Persone e ci si limita a far dire all'evangelista che Esse si trovano semplicemente poco distanti.

La wt sostiene che in Gv 1,18 l'affermazione che Gesù è NEL SENO DEL PADRE, è assimilabile a quella in cui Giovanni era adagiato sul petto di Gesù, oppure che è assimilabile al ritorno di Lazzaro nel "seno di Abramo"

Rispondo:
Essere SUL petto di Gesù da parte di Giovanni, è diverso dall'essere NEL seno del Padre.
SUL indica sopra, NEL invece indica dentro
Giovanni infatti era solo appoggiato al petto di Gesù, mentre tra le Persone divine che non hanno una corporeità materiale, vi è una perfetta compenetrazione spirituale.
Inoltre sul piano umano, i corpi sono soggetti al tempo, che è un elemento della creazione, mentre l'Unigenito, essendo della stessa natura del Padre di cui è il vero Figlio, è antecedente al tempo che è stato creato per mezzo di Lui. Quindi la osservazione circa gli anni che intercorrono tra un padre umano e suo figlio è diverso da ciò che avviene al di fuori del tempo.
Ci dice infatti Giovanni, che non è stato fatto nulla SENZA DI LUI, nemmeno il tempo.
Ora, però è chiaro che occorre tradurre il greco usato dal Giovanni, in maniera molto precisa, per permetterci di capire il senso reale e la portata di ciò che egli è stato ispirato a scrivere.
Non si possono usare delle frasi ingannevoli come "nella posizione del seno del Padre" oppure ancora peggio "accanto al Padre" come riporta l'ultima TNM, introducendo tra il Padre e il suo Unigenito, una distanza che non c'è nel testo originale. In tal modo si incanala il lettore a interpretare secondo l'intendimento deciso dalla wt e non scritto effettivamente dall'ispirato autore di cui è assolutamente necessario riportare i termini esatti da lui usati.
Per quanto riguarda l'espressione "nel seno di Abramo", è una frase idiomatica usata dal popolo ebreo per indicare il passaggio dei giusti nella pace o nel riposo di Abramo, e che non è assimilabile all'espressione usata da Gv 1,18 che è esclusiva, non utilizzata dagli ebrei, e coniata dall'evangelista solo per indicare la figliolanza divina di Gesù e la sua esatta natura di Dio IN Dio.
[Modificato da Credente 09/03/2018 09:40]
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13/03/2018 19:00
 
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2 COR 13,14
l'Originale riporta:
La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
la wt ha tradotto il versetto nella TNM 2017 : "L’immeritata bontà* del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la partecipazione allo spirito santo siano con tutti voi."---------- Si noti l'espressione " la partecipazione allo spirito santo" alterata rispetto all'originale.
Praticamente LA COMUNIONE DELLO SPIRITO con noi (tradotto fedelmente dall'originale) è stata fatta diventare una indistinta "partecipazione allo spirito santo" che modificando il senso originario lo rende incomprensibile, ovvero si viene indotto a pensare erroneamente a uno sforzo del credente di usare lo spirito santo.
Fino al 1987 la wt traduceva "la partecipazione nello spirito santo".
Prima c'era almeno una parvenza di comunanza tra i credenti e lo Spirito Santo, sia pur ridotta ad una partecipazione e non ad una comunione. Ora non c'è più nemmeno quella.

Inoltre nell'originale si evince che la comunione DELLO Spirito" è una decisione libera e personale DELLO Spirito, mentre mettendo NELLO oppure ALLO non risulta che si tratti di una Persona.
[Modificato da Credente 13/03/2018 19:05]
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15/03/2018 18:00
 
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2 Cor.5,8
Il testo originale riporta:
"preferiamo partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore."

La wt traduceva così fino al 1987: Ma abbiamo coraggio e preferiamo piuttosto essere assenti dal corpo e fare la nostra casa presso il Signore.+ -------------
Siccome però con PREFERIAMO, si rendeva chiaro che Paolo esprimeva una volontà oggettiva e presente di andare ad abitare con Cristo, ora nella TNM 2017, hanno rettificato, in peggio ovviamente, la traduzione che è diventata: ". 8 Siamo dunque fiduciosi e preferiremmo essere lontani dal corpo e dimorare* presso il Signore.
Il termine PREFERIREMMO, in questo caso, rende più vaga ed ipotetica la volontà di Paolo che invece esprimeva certezza di poter andare col Signore una volta lasciato il corpo, e gli fa esprimere solo un effimero desiderio senza la speranza che si possa realizzare, per i tanti che, secondo la loro dottrina, non potranno andare in cielo ad abitare col Signore.
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12/11/2018 17:12
 
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Gv 20,28 La traduzione interlineare esatta dai testi originali è quella riportata nella immagine allegata che in italiano è:



" RISPOSE TOMMASO E GLI DISSE: «Signor mio e Dio mio!»."



Nelle versioni fino al 1987, la wt traduceva in maniera accettabile questa espressione, ma era troppo evidente che la RISPOSTA di Tommaso non era una semplice esclamazione, ma un riconoscimento della DIVINITA' di CRISTO, a cui stava rivolgendosi.



Ed allora hanno operato anche in questo caso una ALTERAZIONE, per non far risultare che Gesù è Dio.



Hanno TOLTO la parola "RISPOSE" in modo che il lettore non possa rendersi conto che quella espressione di Tommaso non è una esclamazione ma appunto una RISPOSTA, con cui Tommaso diceva a Cristo che era suo Signore e Suo Dio.



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16/05/2019 15:15
 
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La TNM 2017 traduce così Ebrei 12,22
Vi siete invece avvicinati al monte Sìon+ e alla città dell’Iddio vivente, la Gerusalemme celeste,+ e a miriadi* di angeli 23 in assemblea generale,+ e alla congregazione dei primogeniti i cui nomi sono stati scritti nei cieli, e a Dio, Giudice di tutti,+ e alla vita spirituale*+ dei giusti che sono stati resi perfetti,+....

La tnm del 1987  riportava "...e alle vite spirituali*+ dei giusti , (mettendo in nota: “Vite spirituali”: lett. “spiriti”. Gr. pnèumasi; ) confermando che la wt sa bene come si deve tradurre ma ha preferito confondere le menti.

L'ultima versione wt rende ancora più vaga e generica della precedente il termine greco pnèumasi che si doveva tradurre SPIRITI. 


Mentre l'originale  qui sotto riprodotta, tradotta alla lettera riporta:
"VI siete accostati ... a miriadi di angeli, all'assemblea e alla chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli, al Giudice di tutti, e agli spiriti dei giusti che sono stati perfezionati...






In sostanza con la sua errata traduzione, la wt fa ingannevolmente risultare che i cristiani a cui scrive si sono accostati non all'assemblea della Chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli, ma agli angeli riuniti in assemblea. Ma l'originale distingue gli angeli dall'assemblea.
Inoltre anzichè tradurre correttamente che ci si è accostati "agli spiriti dei giusti resi perfetti", traducono ingannevolmente " ...e alla vita spirituale*dei giusti".
Rendendo impossibile comprendere che noi viventi sulla terra possiamo  essere in comunione con gli angeli e con gli spiriti dei giusti portati alla perfezione e che si trovano già nella Gerusalemme celeste.

[Modificato da Credente 16/05/2019 15:54]
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31/05/2019 19:22
 
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La tnm 1987 traduceva il versetto di Atti 2,42

E continuavano a dedicarsi all’insegnamento degli apostoli e a partecipare [l’uno con l’altro],*+ a prendere i pasti*+ e alle preghiere.+

la tnm 2017 lo traduce:
 Atti 2,
42 E continuavano a dedicarsi all’insegnamento degli apostoli, a stare insieme,* a consumare pasti+ e alle preghiere.

L'originale greco riporta invece:








L'originale greco riporta il termine greco "Koinonia" che si traduce "comunione fraterna" e "Klasei"  con "rompere" o "frazionare" il pane e non con il prendere o consumare il pasto. Tali termini usati dalla wt, sono intenzionalmente alterati rispetto all'originale, perchè se venissero tradotti bene, riporterebbero il lettore a considerare come quello "stare insieme" sia ben di più che stare uno con l'altro, ma bensì un cuor solo ed un'anima sola con l'altro, e come quel "rompere il pane" sia il fare memoria della istituzione della Eucarestia.

Ma il peggioramento dell'ultima versione rispetto alla precedente consiste nel fatto che mentre nella versione del 1987 metteva almeno in nota che si trattava di un "rompere il pane", nell'ultima versione tale nota è stata rimossa, cosicchè il lettore tdg non sia neppure richiamato lontanamente che quelle frequenti riunioni erano coronati, dalla santa Cena eucaristica.

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07/06/2019 23:41
 
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Esodo 34,14



L'ultima tnm del 2017 altera radicalmente la traduzione in quanto riporta la seguente versione di Es.34,14 Non devi inchinarti davanti a un altro dio,+ perché Geova, com’è noto, richiede devozione esclusiva;* è senz’altro un Dio che richiede devozione esclusiva.+..."

Questa versione  è molto diversa dall'originale tradotta  come da figura allegata e che gli stessi traduttori wt, in precedenza traducevano  così:
i.*+ 14 Poiché non devi prostrarti davanti a un altro dio,*+ perché Geova, il cui nome è Geloso,* è un Dio geloso;*

--------------
Ora hanno cambiato, perchè probabilmente non gli conveniva che si potesse trovare un termine alternativo che identificasse Dio e che Dio stesso si era dato.

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02/12/2020 12:00
 
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LA PERICOPE DELL'ADULTERA  in GIOVANNI 7,53-8,11


 TESTIMONIANZE MANCANTI


La pericope dell'adultera, manca nella Peshitta siriaca (V secolo), in alcuni grandi codici greci del IV secolo (א Sinaitico e B Vaticano), in due papiri antichi molto autorevoli (P⁶⁶ o papiro Bodmer II  e P⁷⁵ o papiro Bodmer XV) e in molte versioni siriache, sahidiche, gotiche, armene, georgiane e copte. Non contengono poi riferimenti all'episodio né il Diatessaron di Taziano (II secolo), né Clemente Alessandrino (150-215), né Tertulliano (155- 230), né Origene di Alessandria (185- 254), né Cipriano (210- 258), né Giovanni Crisostomo (344- 407) nelle sue omelie esegetiche né Cirillo di Alessandria (370- 444) nel suo ampio commentario al Vangelo di Giovanni.


TESTIMONIANZE DUBBIE


Il Codice Alessandrino A non fornisce indicazioni sulla presenza o sulla mancanza della pericope dell'adultera, perché manca di un'ampia parte del Vangelo di Giovanni (cioè dal versetto 6,50 al versetto 8,52). Lo stesso si può dire del Codice C di Efrem, perché, oltre alla pericope dell'adultera, sono assenti consistenti parti del Vangelo di Giovanni e soprattutto un ampio brano in cui l'episodio in questione potrebbe essere contenuto (da Giovanni 7,17 a 8,28)


TESTIMONIANZE CERTE


È presente in un famoso Codice greco del V secolo (D Beza) ed in numerosi codici greci del VIII-X secolo (F Boreelianus, E Basilensis, G Seidelianus I, H Seidelianus II, K Cyprius, M Campianus, U Nanianus, Γ Tischendorfianus IV, Π Petropolitanus).


È poi riportata da parecchi codici minuscoli (28, 318, 700, 892, 1009, 1010, 1071, 1079, 1195, 1216, 1344, 1365, 1546, 1646, 2148, 2174) ed in vari tipi testuali bizantini, mentre collocano la pericope altrove: la famiglia 1, i minuscoli 20, 37, 135, 207, 301, 347, e quasi tutte le versioni armene che pongono la pericope dopo Giovanni 21,25; la famiglia 13 che la colloca dopo Luca 24,53; i minuscoli 129, 259, 470, 564, 831, e 1356 che collocano i versetti Giovanni 8,3-11 dopo Giovanni 21,25 e il minuscolo 826 che colloca la pericope dopo Luca 21,38.


Si trova quindi in numerosi antichi manoscritti della Vetus Latina (b, c, d, e, ff2, g1, g2, j, r1, r2, aur, gat), della Vulgata (A, C, D, F, G, S) e in alcune versioni siriache, bohariche, armene, georgiane, etiopiche e gotiche.


Per quanto riguarda la Vetus Latina ben quattro antichi e famosi manoscritti contengono tuttora il brano in questione (Codice Palatino del IV-V secolo, Cantabrigense del IV-V secolo, Corbiense II del IV-V secolo e Sarzanense del V-VI secolo), mentre un manoscritto tra i più autorevoli lo conteneva sicuramente, benché il foglio in cui era presente sia andato successivamente perduto (Codice Veronense del V secolo). Nessuna traccia della pericope si trova, invece, in altri quattro importanti codici della Vetus Latina (Bobiense IV secolo, Vercellense IV secolo, Brixiano V-VI secolo e Monacense IV-V secolo), mentre è inclusa in alcuni manoscritti latini occidentali tardivi che spesso non vengono ricordati perché potrebbero aver risentito dell'influenza della Vulgata (Codici Aureus del VII secolo, Usseriano Primo del VII secolo, Usseriano Secondo del VIII secolo, Claromontano del VII secolo, Gatiano del VIII secolo, Holmense del VIII secolo, Fossatense del VIII secolo, Sangermanense Primo del IX secolo, Sangermanense Secondo del X secolo, Colbertino del XII secolo). Alcuni documenti (Codice Complutensis Primo del IX secolo ed Codice Cavensis del IX secolo ) sono costruiti combinando la Vulgata con alcuni manoscritti della Vetus Latina: contengono sia il comma giovanneo che la pericope dell'adultera ma per la loro natura ibrida non godono di grande considerazione tra gli studiosi. L'episodio dell'adultera è infine sempre presente nei più antichi ed autorevoli codici della Vulgata (Codex Fuldensis del V secolo e Codex Amiantinus del VII secolo)


È infine chiaramente citata dalla Didascalia Apostolorum (III secolo), da Didimo Cieco (IV secolo), dall'Ambrosiaster (IV secolo), da Ambrogio di Milano (IV secolo), da Giovanni Crisostomo (IV secolo), da Girolamo (IV secolo), da Agostino d'Ippona (IV secolo), da Paciano di Barcellona (IV secolo), Pietro Crisologo (IV secolo) e da Rufino di Aquileia (IV secolo). A partire dal V secolo esistono quindi citazioni autorevoli di Fausto Africano, Prospero di Aquitania, Vigilio di Tapso, Gelasio Papa, Cassiodoro, Gregorio Magno e Callisto Papa.


 TESTIMONIANZE DEI CRISTIANI DELL’ANTICHITÀ


Il fatto che molti Padri della Chiesa non abbiano commentato o citato l’episodio dell’adultera non dimostra che ne ignorassero l’esistenza, né tantomeno che ne rifiutassero la canonicità. Esisteva nella chiesa dei primi secoli una certa severità morale che molto probabilmente impediva di mostrare eccessiva indulgenza verso alcuni peccati gravi. Nel II-III secolo, su influenza degli eretici Montano e Novaziano, molte eresie rigoriste ed ascetiche, in chiara polemica con la chiesa cattolica, negavano poi esplicitamente la possibilità di rimettere alcune colpe come l’adulterio, l’omicidio e l’apostasia. 


Secondo alcuni studiosi, la pericope dell’adultera potrebbe essere stata inserita tardivamente in alcuni manoscritti greci, nel codice Beza, nella Vetus latina e nella Volgata su influenza di un antico Vangelo ebraico di Matteo La chiesa cattolica non lo accolse come canonico, perché il vero testo originale andò probabilmente perduto, subendo gravi manipolazioni da parte della setta giudaico-cristiana degli ebioniti e diventando così un vero e proprio "Vangelo Apocrifo degli EbreiAltri ricercatori ipotizzano, invece, che la pericope sia sempre esistita nel Vangelo di Giovanni o in qualche altro Vangelo ma sia stata successivamente stralciata per evitarne un uso permissivo e distorto.


Di fatto, nella sua Storia Ecclesiastica, Eusebio di Cesarea (265-340), si dilunga sulla figura di Papia di Gerapoli, discepolo di Giovanni evangelista e gran sostenitore del millenarismo. Papia (70-130) viene ricordato anche per aver tramandato l'esistenza di un Vangelo di Matteo in lingua ebraica e di un Vangelo degli Ebrei nel quale sarebbe narrata la storia di Gesù e di una "donna accusata di molti peccati" [Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 39].


Rufino di Aquileia (345 – 411), fu un monaco, storico e teologo cristiano. È noto sia per la sua Storia ecclesiastica (che è un pregevole ampliamento dell'opera di Eusebio di Cesarea) che per la traduzione in latino delle opere greche di alcuni padri della Chiesa (Eusebio, Origene, Basilio, Gregorio Nazianzeno, ...). Egli così ricorda l'episodio dell'adultera in una lettera inviata a Girolamo "Una donna presa ad adulterio fu portata davanti a nostro Signore dagli ebrei, affinché potessero vedere quale giudizio avrebbe pronunciato secondo la legge. Lui, il Signore misericordioso e pietoso, disse: Colui che è senza peccato in mezzo a te, per primo glielo lanci contro. E poi, si dice, se ne andarono tutti. Gli ebrei, pur essendo empi e increduli, arrossirono per la loro coscienza di colpa, dal momento che erano peccatori [Rufino, Apologia contro Gerolamo, I, 44].


Didimo Cieco (313-398), in un commento al libro di Ecclesiaste, scrisse: "Si narra, in certi Vangeli, che una donna fu condannata dai giudei per un peccato e veniva condotta, per essere lapidata, nel luogo dove ciò soleva avvenire. Il Salvatore, vi si dice, avendola scorta e avendo visto che erano pronti a lapidarla, disse a coloro che stavano per colpirla con pietre: "Chi non ha peccato, sollevi una pietra e la getti. Se qualcuno ha coscienza di non aver peccato, prenda una pietra e la colpisca" E nessuno osò. Conoscendo se stessi e sapendo che anch'essi erano responsabili di qualcosa, non osarono colpirla "[Commento al libro di Quoelet, Capitolo VII].


Nella Didascalia Apostolorum (autorevole trattato cristiano dell'inizio del III secolo) è poi scritto: "Pertanto, o vescovo, per quanto puoi, custodisci quelli che non hanno peccato, affinché possano continuare a non peccare ma guarisci ed accogli quelli che si pentono dei (loro) peccati. Se tu non ricevi colui che si pente, perché sei senza pietà, tu peccherai contro il Signore Dio, perché non ubbidisci al nostro Salvatore e al nostro Dio, non facendo come Gesù ha fatto con colei che aveva peccato, che gli anziani gli avevano posto davanti, lasciando il giudizio nelle sue mani. Lui, il Cercatore dei cuori, le disse: "Gli anziani ti hanno condannato, figlia mia? Lei gli rispose: No, Signore. E lui le disse: neppure io ti condanno, vai e non peccare più". [Didascalia Apostolorum, Cap. VII].


Pietro Crisologo (398 -450) fu nominato vescovo di Ravenna nel 433 e durante il suo ministero curò l'edificazione della prima chiesa a Ravenna. I cattolici lo venerano come santo e lo annoverano tra i dottori della chiesa. Fu stimato da tutti, convertì pagani, atei ed increduli, predicando con bontà, umiltà e sapienza. Grazie alla sue capacità oratorie, alla sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture e alla sua semplice eloquenza fu soprannominato "Crisologo" (parola greca che significa"dalle parole d'oro"). Scrisse ben 176 sermoni che vennero raccolti e conservati accuratamente, prima dai suoi fedeli e poi dai vescovi che presero il suo posto. In una delle sue omelie rivolte al popolo cristiano disse “ Per queste ragioni, o fratelli, quando nel Vangelo gli scribi ed i dottori della legge accusarono la donna adultera presso il Signore, egli voltò la faccia a terra, per non punire; e preferì, fratelli e sorelle, scrivere nella polvere il perdono piuttosto che dare nella carne un verdetto di morte”[Pietro Crisologo, Sermoni, CXV].


Agostino (354-430), a tal proposito, ricorda come: "Tutto questo è inaccettabile, evidentemente, per l'intelletto dei non credenti: infatti alcuni di fede debole, o piuttosto nemici della fede autentica, per timore, io credo, di concedere alle loro mogli l'impunità di peccare, tolgono dai loro codici il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l'adultera, come se colui che disse: d'ora in poi non peccare più avesse concesso il permesso di peccare, o come se la donna non dovesse essere guarita dal Dio risanatore con il perdono del suo peccato, perché non ne venissero offesi degli insensati". [Agostino, Connubi Adulterini, II, 6].


Girolamo (347-420) racconta come la pericope fosse presente in molti manoscritti greci e latini, alla fine del IV secolo: "Nel Vangelo secondo Giovanni, si trova, in molte delle copie greche e latine, la storia dell'adultera che fu accusata dinanzi al Signore." (Gerolamo, Contro Pelagio, II, 17, 4). Inoltre lo stesso Girolamo affermò chiaramente di aver "reso fedele il Nuovo Testamento all’originale greco e di aver tradotto l’Antico Testamento dall’ebraico" [Gli uomini illustri, CXXXV]. Sicuramente egli ebbe modo di consultare molti antichi manoscritti in latino e greco (e non solo codici latini) e l'ipotesi che la pericope dell'adultera sia stata successivamente eliminata è tutt'altro che accademica (l'onestà di Girolamo sembra emergere chiaramente dal rifiuto di inserire il comma giovanneo nella Vulgata, in quanto presente solo in pochissimi manoscritti).


Paciano di Barcellona (301? - 392) - che divenne vescovo nel 365, cioè circa nello stesso periodo in cui veniva prodotto il Codex Sinaiticus - menzionò così l'episodio dell'adultera, accusando i novaziani di averlo rimosso dalla lettura del vangelo: "O Novaziani, perché tardare a chiedere occhio per occhio, dente per dente e chiedere vita per la vita? Perché aspettate di rinnovare ancora una volta la pratica della circoncisione e il sabato? Uccidete il ladro. Stone il petulante. Scegliete di non leggere nel Vangelo che il Signore ha risparmiato perfino l'adultera che ha confessato, quando nessuno l'ha condannata; che assolse la peccattrice che lavò i suoi piedi con le lacrime; che consegnò Raab a Gerico, ... che ha liberato Tamar dalla sentenza del Patriarca; che anche quando i Sodomiti perirono, non distrusse le figlie di Lot .. [Lettera a Symproniano, Lettera III, 39].


La pericope dell’adultera è infine richiamata chiaramente da Ambrogio (339-347) che la attribuisce all’evangelista Giovanni quando ricorda ai suoi contemporanei che: “Una questione molto agitata e molto famosa è stata l'assoluzione di quella donna che nel Vangelo secondo Giovanni fu portata a Cristo accusata di adulterio. Lo stratagemma che gli ebrei equivocati escogitarono fu questo: nel caso in cui il Signore Gesù avesse assolto la donna si sarebbe opposto alla Legge, mentre la sua condanna avrebbe potuto essere criticata, rendendo la grazia di Cristo vuota. E la discussione è ancora più accesa, dal momento in cui i vescovi hanno iniziato ad accusare i colpevoli dei crimini più atroci davanti ai tribunali pubblici, e alcuni persino a spingerli all'uso della spada e della pena capitale, mentre altri ancora approvano questo tipo di crimini macchiati dal sangue del sacerdozio. Poiché quegli uomini dicono esattamente come gli ebrei, che i colpevoli dovrebbero essere puniti dalle leggi pubbliche, e quindi che dovrebbero essere accusati dai sacerdoti di fronte ai tribunali pubblici …. Come possiamo sopportare chi condanna le colpe negli altri e le scusa in se stesso? Quando un uomo condanna in un altro ciò di cui egli stesso si macchia, non pronuncia piuttosto la propria condanna?” [Ambrogio, Lettera XXVI, 2, 3, 13]


L'accettazione della pericope dell'adultera nel canone biblico è pertanto legata, più che all'autorità delle passate decisioni delle varie confessioni cristiane, all'elevato numero di antichi manoscritti latini che la contengono e alla grande quantità di citazioni fatte dagli scrittori cristiani dei primi secoli. Se è vero che per circa mezzo millennio la pericope scomparve dai codici greci più autorevoli, è anche vero che ricomparve in un enorme numero di manoscritti bizantini verso il IX-X secolo. Nella tradizione e nella liturgia occidentale, la pericope sopravvisse comunque grazie all'autorità di Gerolamo (che ne garantì la presenza in molti codici greci del IV secolo), mentre nelle chiese orientali continuò a rimanere nel canone biblico grazie al testus receptus della tradizione koiné.


Molti purtroppo hanno letto e continuano a leggere tale brano in senso dissoluto e permissivo. Nostro Signore però sapeva benissimo che non spettava agli scribi e ai farisei il diritto di fare giustizia sommaria (anche perché Israele era sottoposto alla giurisdizione di Roma) e che la punizione delle adultere non era sempre automatica, nonostante le prescrizioni di Mosé. Considerato poi che nessuno aveva lapidato la donna, neppure Cristo si permise di fare giustizia, senza essere autorizzato legalmente. Anche il consiglio "vai e non peccare più" potrebbe essere ispirato più a realismo e a misericordia che a lassismo morale: forse Gesù voleva semplicemente dire alla donna: "oggi è andata bene perché nessuno era autorizzato a lapidarti e, inoltre, nessuno si è sentito abbastanza giusto da punirti ma domani niente ti potrebbe garantire una uguale fortuna".


 


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L’attribuzione a Luca Per quanto concerne l’attribuzione di questa parabola alla tradizione di Luca, confrontando il linguaggio di questa pericope con gli altri Vangeli, gli studiosi hanno individuato varie espressioni tipiche di Luca nel brano, come ad esempio: a) in Giovanni 8,1 si menziona il “monte degli Ulivi”: questa espressione appare quattro volte in Luca, ma mai in Giovanni se non in questo brano controverso; b) in Giovanni 8,2 troviamo il termine ὄρθρος "all’alba" che ricorre solo in Luca-Atti; c) sempre in Giovanni 8,2 si dice che Gesù "si presentò di nuovo al tempio": il termine greco παρεγένετο però si riscontra solo una volta in Giovanni (3,23) ma si trova ben 28 volte in Luca; d) ancora in Giovanni 8,2 l’espressione πᾶς ὁ λαός "tutto il popolo" ricorre ben 15 volte in Luca-Atti ma mai altrove nel Vangelo Giovanni; e) in Giovanni 8,3 si ha l’espressione "posta in mezzo", che nel greco è letteralmente "ponenti lei in mezzo" (στήσαντες αὐτὴν ἐν μέσῳ) ma l'uso di questo verbo con il dativo non sembra giovanneo: Giovanni avrebbe quasi sicuramente impiegato l’accusativo senza l’en (ἐν, “in”), come in 19,18, in 20,19 e in 20,26; f) in Giovanni 8,6 l’infinito presente attivo κατηγορεῖν "per accusar(lo)» ricorre solo in Luca-Atti e tanto la scena che la costruzione della frase risulta molto simile a Luca 6,7; f) in Giovanni 8,11 la frase ἀπὸ τοῦ νῦν "d’ora in poi" ricorre più volte in Luca-Atti ma mai nel quarto vangelo. 


 


Il Vangelo degli ebrei: realtà o leggenda? Sulla primitiva redazione aramaica del Vangelo di Matteo esistono testimonianze autorevoli. Secondo Origene "Matteo pubblicò il suo scritto in lingua ebraica per i credenti venuti dal giudaismo" (Eusebio, Storia Ecclesiastica, VI, 25). Ireneo poi afferma che "Matteo, fra gli ebrei nella loro lingua, compose un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e fondavano la chiesa" (Ireneo, Contro le eresie, III). Papia di Gerapoli sostiene che "Matteo ordinò i detti del Signore in lingua ebraica" (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 24).  Secondo Eusebio di Cesarea, “Matteo, dopo aver predicato la buona novella agli ebrei, compose nella lingua patria il proprio Vangelo, prima di andare a predicare presso altri popoli” (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 24). Eusebio di Cesarea riporta anche la testimonianza del filosofo  stoico Panteno che, “convertitosi con grande entusiasmo al cristianesimo, decise di recarsi in India a predicare il Vangelo. Scoprì che il Vangelo di Matteo lo aveva preceduto, grazie all'opera dell'apostolo Bartolomeo che aveva lasciato là l'opera di Matteo scritta in ebraico” (Eusebio, Storia Ecclesiastica, V, 10). Degna di nota è infine la testimonianza di Girolamo, secondo il quale "Matteo, detto anche Levi, da pubblicano fattosi apostolo, fu il primo in Giudea a scrivere il Vangelo di Cristo nella lingua degli ebrei per quelli che si erano convertiti provenendo dal giudaismo …..lo stesso originale si trova tuttora nella biblioteca di Cesarea ….I nazarei che fanno uso di quel libro …. permisero anche a me di ricopiarlo" (Girolamo, Gli uomini illustri, III). Epifanio di Salamina distinse, peraltro, chiaramente tra gli ebioniti apostati e filo-giudaici ed alcuni nazareni ancora cattolici (Contro tutte le eresie, XXIX-XXX), sottolineando come i nazarei accettassero tutti i libri del Nuovo Testamento e fossero legati ad un Vangelo di Matteo in lingua ebraica, molto fedele, completo ed accurato, mentre il cosiddetto Vangelo secondo gli Ebrei degli ebioniti altro non fosse che una versione greca, mutilata e falsificata, del Vangelo secondo Matteo (Epifanio, Panarion, XXIX-XXX).


 


Montano (150 circa -?) nacque in Asia Minore e, secondo Girolamo, prima di convertirsi al Cristianesimo, fu sacerdote della dea Cibele. Iniziò a predicare subito dopo la sua conversione al cristianesimo (nel 156 o nel 157) assieme a due profetesse, Massimilla e Priscilla che, come lui, si ritenevano direttamente ispirate dallo Spirito Santo e capaci di visioni profetiche. Convinti che la parusia fosse imminente, i montanisti vi si prepararono con grande entusiasmo e rigoroso ascetismo, condannando senza appello sia i peccati più gravi che le possibilità di perdono offerte dalla chiesa. Il movimento si diffuse ben presto in Occidente e perfino il grande Tertulliano finì per abbandonare la chiesa per aderire al montanismo.  Novaziano (220 circa – 258) fu un presbitero e teologo romano, fondatore del movimento dei Novazianisti, che si proclamò antipapa dal 251 al 258. Egli sosteneva che l'idolatria era un peccato imperdonabile, e che la Chiesa non aveva alcun diritto di riammettere alla comunione coloro che vi erano precipitati. Dopo la persecuzione dell'imperatore romano Decio, egli sostenne la possibilità di pentimento dei cosiddetti “lapsi”, ma affermò che il loro perdono non spettasse alla comunità cristiana ma fosse riservato soltanto a Dio. Tale posizione non era una novità: Tertulliano, in precedenza, aveva duramente criticato la possibilità di perdono dell'adulterio, introdotta da papa Callisto I e lo stesso Ippolito Romano fu sicuramente incline a molta severità. Inoltre, in molti luoghi e in tempi diversi erano state promulgate leggi con le quali si punivano determinati peccati con la scomunica fino all'ora della morte, negando alla chiesa il potere di accordare l'assoluzione alle colpe più gravi


 Breve Bibliografia G. Colombo, "La critica testuale di fronte alla pericope dell’adultera", in Rivista Biblica Italiana n. 42 (1994), 81-102; Bruce Metzger, The Text of the New Testament: Its Transmission, Corruption, And Restoration (1st ed.). Oxford: Clarendon Press, 1964; Bruce Metzger, The Early Versions of the New Testament: Their Origin, Transmission, and Limitations. Oxford: Clarendon Press, 1977; B.M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, 2nd edition, NewYork 1994, 187-89; C. Keith, Recent and Previous Research on the Pericope Adulterae (John 7.53-8.11), (2008), Currents in Biblical Research CBR vol. 6.3, pp. 377-404; J. Knust and T. Wasserman, To Cast the First Stone: The Transmission of a Gospel Story, Princeton University Press, 2018.

fonte: https://digilander.libero.it/domingo7/Pericope%20adultera.htm


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25/05/2021 17:06
 
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Il testo originale di Gv.1,18 , come si può vedere dalla pagina riprodotta della INTERLINEARE edita dalla wt, riporta nella sezione dal greco, la seguente traduzione, resa in italiano, parola per parola
Nessuno ha mai visto Dio, l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere

L'evangelista  nel versetto 1,1 aveva detto che la Parola era CON Dio e che era Dio,  vuole con questa affermazione  del verso 1,18, precisare DOVE Gesù si trovava nel suo essere CON Dio Padre. E precisamente che Il Figlio era NEL SENO DEL PADRE, dentro il Padre, CONTENUTO DAL PADRE, come afferma Gesù stesso in Gv.14,11

La TNM del 1987 riporta il termine UNIGENITO DIO, con la lettera minuscola, in modo da non far risultare  la natura divina dell'UNIGENITO, posta ad un rango di dio generico (tipo un angelo) e anzichè riportare che egli E' NEL SENO DEL PADRE, (cioè NEL PADRE , aggiungeva NEL(LA POSIZIONE DEL) SENO,  PRESSO IL PADRE in modo da far pensare ad una semplice vicinanza e non ad una perfetta COMUNIONE .
Ma nella versione della TNM del 2017, la wt ha provveduto a rendere definitivo l'oscuramento che già esisteva nella versione precedente. Infatti la "traduzione" attuale  di Gv 1,18 riporta testualmente:
"Nessun uomo ha mai visto Dio;+ l’unigenito dio+ che sta accanto* al Padre+ è colui che lo ha fatto conoscere."

In sostanza ora sono scomparse le parentesi che prima facevano almeno capire che quelle parole erano aggiunte dalla wt, e al posto delle parole usate in precedenza, già devianti, viene usata ora l'espressione 
"CHE STA ACCANTO AL PADRE". In tal modo si toglie ai tdg che leggono il testo, ogni possibilità di comprensione.
Nella loro nota inoltre, invece di riportare la traduzione corretta, hanno riportato:
 

 appoggiato al petto”. Si riferisce a una posizione di particolare favore.

La nota contribuisce definitivamente a rendere incomprensibile quello che voleva precisare l'evangelista e che per renderlo comprensibile occorreva semplicemente tradurlo letteralmente come si trovava  nell'originale senza ricorrere a questi progressivi peggioramenti.







[Modificato da Credente 25/05/2021 18:59]
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Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una TORRE, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un NOME...Gen 11,4
 
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