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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2024 08:15
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13/06/2018 07:46
 
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Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento»

Rev. D. Miquel MASATS i Roca
(Girona, Spagna)


Oggi, ascoltiamo dal Signore: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Nel Vangelo di oggi, Gesù insegna che l’Antico Testamento forma parte della Rivelazione divina: Dio inizialmente si diede a conoscere agli uomini per mezzo dei profeti. Il popolo eletto si riuniva ogni sabato nella Sinagoga per ascoltare la Parola di Dio. Così come ogni bravo israelita conosceva le Scritture e le metteva in pratica; anche ai cristiani conviene la meditazione frequente –giornaliera, se fosse possibile- delle Scritture.

In Gesù abbiamo la pienezza della Rivelazione. Egli è il Verbo, la Parola di Dio, che si è fatto uomo (cf. Gv 1,14), che viene a noi per farci conoscere chi è Dio e quanto ci ama. Dio attende dall’uomo una risposta d’amore, manifestata nell’osservanza dei suoi insegnamenti: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15).

Del testo del Vangelo di oggi troviamo una buona spiegazione nella Prima lettera di San Giovanni: «In questo (...) consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Gv 5,3). Osservare i comandamenti di Dio, garantisce che lo amiamo con opere e davvero.. L’amore non è solo un sentimento, ma esige - allo stesso tempo- opere, opere d’amore, vivere il doppio precetto della carità.

Gesù ci insegna la malignità dello scandalo; «Chi (...) trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli» (Mt 5,19). Perché, come dice San Giovanni- «Chi dice «lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è verità» (1Gv 2,4).

Contemporaneamente, Gesù insegna l’importanza del buon esempio: «Chi (...) li osserverà e li insegnerà sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt 5,19). Il buon esempio costituisce il primo elemento dell’apostolato cristiano.
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14/06/2018 07:51
 
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«Se la vostra giustizia non supererà (...), non entrerete nel regno dei cieli»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)


Oggi, Gesù ci invita ad andare più in là di quanto possa vivere qualunque semplice osservante della legge. Anche senza cadere nella concrezione di cattive azioni, molte volte l’abitudine indurisce il desiderio della ricerca della santità, adattandoci conciliantemente all’abitudine di comportarsi bene e nient’altro. San Giovanni Bosco soleva ripetere: «Il buono è nemico dell’ottimo». E’ lì dove ci porta la Parola del Maestro, che ci invita a realizzare cose “maggiori” (cf. Mt5,20); che partono da un atteggiamento diverso. Cose maggiori che paradossalmente, passano attraverso cose minori, attraverso le più piccole. Incollerirsi, disprezzare e ingiuriare il fratello non vanno d’accordo con i discepoli del Regno, che è stato chiamato ad essere –nientemeno- che sale della terra e luce del mondo (cf.Mt 5,13-16), da quando esistono le beatitudini (cf.Mt 5,3-12).

Gesù, con autorità, cambia l’interpretazione del precetto negativo “non uccidere” (cf. Ex 20,13) con l’interpretazione positiva della profonda e radicale esigenza della riconciliazione – messa, per darle maggior enfasi- in relazione al culto. Così, non c’è offerta che valga quando ricordi che un fratello tuo ha qualcosa contro di te (cf. Mt 5,23) E’ perciò importante conciliare qualunque discordia, perché, diversamente, l’invalidità dell’offerta sarà rivolta contro di te (cf. Mt 5,26).

Tutto questo solamente potrà mobilitarlo un amore grande. Ci dirà San Paolo: «(...) non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in questa massima: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rom 113,9-10). Chiediamo di essere rinnovati nel dono della carità –fino al minimo dettaglio- verso il prossimo e la nostra vita sarà la migliore e la più autentica offerta che possiamo fare a Dio.
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15/06/2018 08:41
 
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Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio»

+ Pare Josep LIÑÁN i Pla SchP
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù continua ad approfondire nell’esigenza del Sermone della Montagna. Non deroga la Legge, ma le dà pienezza; perciò la sua osservanza è qualcosa di più che una semplice osservanza di alcune condizioni minime per avere le carte in regola. Iddio ci dà la legge dell’amore per raggiungere la vetta, però noi, cerchiamo il modo di trasformarla nella legge del minimo sforzo. Dio ci chiede tanto...! Sì, ma ci ha dato pure il massimo che può darci, visto che ci ha dato Sé stesso!

Oggi, Gesù punta in alto al manifestare la Sua autorità sul sesto e sul nono comandamento: i comandamenti che si riferiscono alla sessualità e alla purezza del pensiero. La sessualità è un linguaggio umano che significa amore e alleanza, perciò, non può essere banalizzata, come neppure possiamo trasformare gli altri in oggetti di piacere, neppure con il pensiero; da ciò ha origine quest'affermazione tanto severa di Gesù: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore» (Mt 5,28). E’ necessario, dunque, tagliare il male alla radice ed evitare pensieri e occasioni che ci porterebbero a fare quello che Dio detesta; questo è quello che tali parole vogliono indicare, che possono sembrarci radicali o esagerate, ma che quelli che ascoltavano Gesù capivano nella loro espressività: togli , taglia, butta via...

Finalmente, la dignità del matrimonio deve essere sempre protetta, perché forma parte del progetto di Dio per l’uomo e la donna, affinché nell’amore e nella donazione mutua si trasformino in una sola carne e, allo stesso tempo, è segno e partecipazione nella Alleanza di Cristo con la Chiesa. Il cristiano non può vivere la relazione uomo-donna ne la vita coniugale secondo lo spirito mondano: «Non dovete credere che per il fatto di avere scelto lo stato matrimoniale, vi sia permesso di continuare con una vita mondana e abbandonarsi all’ozio ed alla poltroneria; anzi, il vostro nuovo stato vi obbliga a lavorare con maggior sforzo e vegliare con più attenzione per la vostra salvezza» (San Basilio).
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16/06/2018 09:33
 
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Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, Gesù continua commentandoci i Comandamenti. Gli israeliti avevano un grande rispetto verso il nome di Dio, una sacra venerazione sapevano che il nome si riferisce alla persona, e Dio merita tutto il rispetto, ogni onore e gloria, di pensiero, parola ed opere. Per questo –tenendo presente che giurare è mettere Dio come testimone della verità di ciò che diciamo –la Legge li comandava: «Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti» (Mt 5,33). Ma Gesù viene a perfezionare la Legge (e, quindi, per perfezionare noi stessi secondo la Legge), e dà un passo in più: «non giurate affatto: né per il cielo, (...), né per la terra (...)» (Mt 5,34). Non è che giurare, di per sé, sia un male, ma sono necessarie alcune condizioni perché il giuramento sia lecito, per esempio, una giusta causa, seria, grave (un processo, per esempio), e ciò che si è giurato sia vero e buono.

Ma il Signore ci dice ancora di più: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no,no» (Mt 5,37). Cioè, ci invita a vivere la verità in ogni occasione, a adattare i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni alla verità. E la verità cos'è? E’ la grande domanda che abbiamo formulato nel Vangelo per bocca di Pilato nel processo contro Gesù, e alla quale molti pensatori nel corso dei secoli hanno cercato di dar risposta. Dio è la Verità. Chi vive compiacendo a Dio, adempiendo ai suoi comandamenti, vive nella verità. Dice il santo Curato d'Ars: “La ragione per cui così pochi cristiani agiscono con la sola intenzione di compiacere Dio è perché la maggior parte di loro si trovano sottomessi a una ignoranza spaventosa. Mio Dio, quante buone opere si perdono per il cielo!” Bisogna pensarci.

È conveniente formarci leggere il Vangelo e il Catechismo. Poi, vivere secondo ciò che abbiamo imparato.
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17/06/2018 07:06
 
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Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno»

Fr. Faust BAILO
(Toronto, Canada)


Oggi, Gesù ci offre due immagini di grande intensità spirituale: la parabola del seme che germoglia e cresce e la parabola del granello di sènape. Sono immagini di vita quotidiana che erano famigliari agli uomini ed alle donne che lo ascoltavano abituati come erano a seminare, irrigare e raccogliere. Gesù ha usato qualcosa che era noto –l’agricoltura- per istruirli su qualche cosa che non era, per loro, molto conosciuto: il Regno di Dio.

Effettivamente, il Signore rivela a loro qualcosa del suo regno spirituale. Nella prima parabola racconta: <> (Mc 4,26). E introcuce la seconda dicendo: <> (Mc 4,30).

La maggior parte di noi abbiamo poco in comune con gli uomini e le donne del tempo di Gesù, e, comunque, queste parabole risuonano ancora nelle nostre menti moderne, perché dietro la semina, l’irrigazione e la raccolta, indoviniamo quello che Gesù ci stà dicendo: Dio ha innestato qualcosa di divino nei nostri cuori umani.

Cos’ è il Regno di Dio? “E’ lo stesso Gesù”, Benedetto XVI ci ricorda. E la nostra anima “è il luogo essenziale in cui si trova il Regno di Dio”. Dio vuole vivere e crescere dentro di noi! Cerchiamo la sapienza di Dio e obbediamo i suoi suggerimenti interiori; se lo facciamo, allora la nostra vita acquisterà una forza e un’intensità difficile da immaginare.

Se correspondiamo pazientemente alla sua grazia, la sua vita divina crescerà nella nostra anima come il seme cresce nel campo, come il mistico medioevale Meister Eckhart magnificamente esprime: “Il seme di Dio è in noi. Se l’agricoltore è intelligente e lavoratore, crescerà per essere Dio, il cui seme è; i suoi frutti saranno della natura di Dio. Il seme di pera diventa albero di pera; il seme di noce, albero di noce; il seme di Dio diventa Dio”.
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18/06/2018 09:38
 
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Ma io vi dico di non opporvi al malvagio»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù ci insegna che l’odio si supera con il perdono. La legge del taglione era un progresso poiché limitava il diritto a vendicarsi in una giusta proporzione: solo puoi fare al prossimo quello che lui ha fatto a te, contrariamente commetteresti una ingiustizia; questo è quello che significa l’aforismo «occhio per occhio, dente per dente». Malgrado ciò era un progresso limitato, visto che Gesù Cristo nel Vangelo afferma il bisogno di superare la vendetta con l’amore, così lo espresse Lui stesso quando, nella croce, intercedette per i suoi carnefici: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Ciò nonostante, il perdono deve essere accompagnato dalla verità. Non perdoniamo soltanto perché ci sentiamo impotenti e complessati. Spesso si è confusa l’espressione «porgi l’altra guancia” con l’idea della rinuncia ai nostri legittimi diritti. Non si tratta di questo. Porgere l’altra guancia significa denunciare e interpellare a chi lo ha fatto, con un gesto pacifico però deciso, l’ ingiustizia che ha commesso; è come dirgli «Mi hai picchiato in una guancia. Allora, vuoi picchiarmi anche nell’altra? Ti sembra corretto il tuo comportamento?». Gesù rispose con serenità al servo insolente del sommo sacerdote: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23).

Vediamo, dunque, quale deve essere la condotta del cristiano: non cercare la rivincita, però si mantenersi fermi; essere disposti al perdono e dire le cose con chiarezza. Certamente non è un’arte facile, però è l’unico modo di frenare la violenza e manifestare la grazia divina a un mondo spesso privo di grazia. San Basilio ci consiglia: «Fate caso e dimenticherete le ingiurie e gli oltraggi che vi giungano dal prossimo. Potrete vedere i nomi diversi che avrete l’uno e l’altro; a lui lo chiameranno collerico e violento, e a voi mansueti e pacifici. Lui si pentirà un giorno della sua violenza e voi non vi pentirete mai della vostra mansuetudine».
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19/06/2018 09:34
 
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Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, Cristo ci invita ad amare. Amare senza limiti, che è la misura dell'Amore vero. Dio è Amore, «che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). E l'uomo, scintilla di Dio, deve lottare per somigliare a Lui ogni giorno, «perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,45). Dove troviamo il volto di Cristo? Negli altri, nel prossimo più vicino a noi. È molto facile provare compassione per i bambini affamati d'Etiopia quando li vediamo in televisione, o per gli immigranti che arrivano ogni giorno sulle nostre spiagge. Ma, e quelli di casa nostra? Ed i nostri compagni di lavoro? E quel famigliare lontano che è solo e al quale potremmo andare a fargli un po’ di compagnia? Gli altri, come li trattiamo? Come li amiamo? Concretamente quale servizio rendiamo loro ogni giorno?

È molto facile amare chi ci ama. Ma il Signore ci invita ad andare oltre, perché «se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Amare i nostri nemici! Amare quelle persone che sappiamo —con certezza— che non ci restituiranno mai né l'affetto, né il sorriso, né quel favore. Semplicemente perché ci ignorano. Il cristiano, ogni cristiano, non può amare “interessatamente”; non deve dare un pezzo di pane, un'elemosina al mendicante dell'angolo della strada. Deve dare sé stesso. Il Signore morente sulla Croce, perdona chi lo crocifigge. Non un rimprovero, non un lamento, né un gesto improprio...

Amare senza aspettare nulla a cambio. Quando amiamo dobbiamo seppellire le calcolatrici. La perfezione è amare senza limiti. La perfezione l'abbiamo nelle nostre mani in mezzo al mondo, tra le nostre occupazioni di ogni giorno. Facendo quello che bisogna fare ad ogni istante, non quello che ci soddisfa di più. La Madre di Dio, alle nozze di Cana di Galilea, si accorge che gli invitati non hanno vino. E si fa avanti. E chiede al Signore che faccia il miracolo. Chiediamo a Lei oggi il miracolo di saperlo scoprire nelle necessità altrui.
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20/06/2018 08:32
 
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State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù ci invita a operare per la gloria di Dio, con lo scopo di gradire al Padre, che perciò stesso siamo stati creati. Cosi lo afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dio ha creato tutto per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione». Questo è il senso della nostra vita e il nostro onore: gradire al Padre, compiacere Dio. Questo è il testimonio che ci ha lasciato Cristo. Magari il Padre celeste possa dare di ognuno di noi lo stesso testimonio che ha dato del suo Figlio al momento del battesimo: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17).

La mancanza di una retta intenzione sarebbe specialmente grave e ridicola se avvenisse in atti come la preghiera, il digiuno e l´elemosina, perché questi sono atti di pietà e carità, vuol dire, atti che —di per se— sono propri della virtù della religione o atti che si eseguono per amore a Dio.

Per questo, «guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Come potremmo gradire a Dio se quello che procuriamo fin dall´inizio è che ci vedano ed essere ben considerati —prima di tutto— davanti agli uomini? Non significa che dobbiamo nasconderci dagli uomini affinché non ci vedano, piuttosto si intende che dobbiamo dirigere le nostre buone opere direttamente e in primo luogo a Dio. Non importa e non è nemmeno pregiudizievole che ci vedano gli altri: al contrario, poiché possiamo educarli con la testimonianza coerente del nostro agire.

Quello che è veramente importante —e molto!— è che noi vediamo Dio dietro le nostre azioni. E, per questo, dobbiamo «esaminare con molta cura (accuratezza) la nostra intenzione in tutto quello che facciamo, e non cercare i nostri interessi, se vogliamo servire il Signore» (San Gregorio Magno).
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21/06/2018 08:51
 
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Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)


Oggi, Gesù ci propone un ideale grande e difficile: perdonare le offese. E stabilisce una misura molto ragionevole: la nostra: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). In altre parole dimostrava la regola d’oro della convivenza umana: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12).

Desideriamo che Dio ci perdoni e che anche gli altri lo facciano; però noi siamo restii a farlo. Costa chiedere perdono; però non darlo costa ancora di più. Se fossimo veramente umili, non sarebbe così difficile; però l’orgoglio ce lo rende laborioso. Per questo possiamo stabilire la seguente equazione: a maggiore umiltà, maggior facilità; a maggior orgoglio, maggior difficoltà. Questo ti darà una pista per conoscere il tuo grado di umiltà.

Terminata la guerra civile spagnola (anno 1939), dei sacerdoti liberati celebrarono una Messa di ringraziamento nella chiesa di Els Omells. Il celebrante, dopo le parole del Padre nostro «rimetti a noi i nostri debiti» si fermò senza poter continuare. Non era nello stato d’animo di poter perdonare a quelli che lo avevano fatto soffrire tanto in quello stesso campo di lavori forzati. Trascorsi vari secondi, in un silenzio che si poteva tagliare, riprese la preghiera: «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Più tardi si chiesero quale fosse stata la miglior omelia. Tutti furono d’accordo: quella del silenzio del celebrante quando recitava il Padre nostro. Costa, però è possibile con l’aiuto del Signore.

Per di più, il perdono che Dio ci da è totale, arriva fino alla dimenticanza. Trascuriamo in fretta i favori, però le offese... Se i matrimoni le potessero dimenticare, si eviterebbero e si potrebbero risolvere molti drammi familiari.

Che la Madre di misericordia ci aiuti a comprendere agli altri ed a perdonarli generosamente.
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23/06/2018 08:17
 
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Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)


Oggi, il Vangelo parla chiaramente di vivere il "momento presente": non girare intorno al passato, ma abbandonarsi in Dio e la sua misericordia. Non attormentarsi domani, ma affidarlo alla sua provvidenza. S. Teresa del Bambino Gesù ha detto: "soltanto mi guida l’abbandono, non ho altra bussola»!.

La preoccupazione non ha mai risolto alcun problema. I problemi vengono risolti con la fiducia, la fede. «Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,30), dice Gesù.

La vita per se stessa non è troppo problematica, è l'uomo che manca di fede ... L'esistenza non è sempre facile. A volte è pesante, spesso ci sentiamo feriti e offesi da ciò che accade nella nostra vita o quella degli altri. Ma cerchiamo di affrontare questo con fede e cerchiamo di vivere, giorno per giorno, con la fiducia che Dio adempirà le sue promesse. La fede ci porterà alla salvezza.

«Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». (Matteo 6:34). Cosa significa? Oggi, cercare di vivere con giustizia, secondo la logica del Regno, nella fiducia, la semplicità, la ricerca di Dio, l’ abbandono. E Dio farà il resto ...

Giorno per giorno. È molto importante. Quello che di solito ci esaurisce è girare continuamente al passato e avere paura al futuro; mentre quando si vive nel presente, in un modo misterioso, troviamo la forza. Quello che devo vivere oggi, ho la grazia per viverlo. Se domani devo affrontare situazioni più difficili, Dio aumenterà la sua grazia. La grazia di Dio è data al momento, giorno per giorno. Vivere il momento presente suppone accettare la debolezza: rinunciare a rifare il passato o il futuro, contentarsi con il presente.
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24/06/2018 07:40
 
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«Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito»

Rev. D. Joan MARTÍNEZ Porcel
(Barcelona, Spagna)


Oggi festeggiamo solennemente la nascita del Battista. San Giovanni è un uomo di grandi contrasti: vive il silenzio del deserto, però da lì muove la folla e la invita con voce convincente alla conversione; è umile per riconoscere che egli è soltanto la voce, non la parola, però non ha nessun impedimento ed è capace di accusare e denunziare le ingiustizie, anche gli stessi re; invita a suoi discepoli ad andare da Gesù, però non rifiuta di conversare con il Re Erode mentre si trova in prigione. Silenzioso e umile, è anche coraggioso, è deciso fino a far versare il suo sangue. Giovanni il Battista è un gran uomo! il maggiore dei nati da una donna, così sarà elogiato da Gesù; però è soltanto il precursore di Cristo.

Chissà, il segreto della sua grandezza stia nella sua consapevolezza di sentirsi prescelto da Dio; così lo esprime l’evangelista: «Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). Tutta la sua infanzia e gioventù è stata segnata dalla consapevolezza della sua missione: dare testimonianza; e lo fa battezzando Cristo nel Giordano, preparando per il Signore un popolo ben disposto e, alla fine della sua vita, versando il suo sangue a favore della verità. Con la nostra conoscenza su Giovanni, possiamo rispondere alle domande di suoi contemporanei: «Chi sarà mai questo bambino?» (Lc 1,66).

Tutti noi, per il battesimo siamo stati scelti e inviati a dare testimonianza del Signore. In un ambiente di indifferenza, San Giovanni è modello e aiuto per noi; San Agostino ci dice: «Ammira Giovanni quanto ti sia possibile, giacché ciò che ammiri profitta Cristo. Profitta Cristo, ripeto, non perché tu gli offra qualcosa a Lui, ma per progressare tu in Lui». In Giovanni le sue attitudini di precursore, manifestate nella sua preghiera attenta allo Spirito, nella sua fortezza e umiltà, ci aiutano ad aprire nuovi orizzonti di Santità per noi e per i nostri fratelli.
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25/06/2018 09:34
 
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Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo mi ha ricordato le parole della Marescialla del libro Il cavaliere della rosa, di Hug von Hofmansthal: «Nel come vi è la grande differenza». Dal come facciamo una cosa cambierà molto il risultato in molti aspetti della nostra vita, soprattutto quello spirituale.

Gesù dice: «Non giudicate per non essere giudicati» (Mt 7,1). Ma Gesù aveva detto pure che dobbiamo correggere il fratello che è in peccato, e per ciò è necessario avere fatto prima qualche tipo di giudizio. Lo stesso San Paolo nei suoi scritti giudica la comunità di Corinto e San Pietro condanna di falsità Anania e sua moglie. In seguito a ciò, San Giovanni Crisostomo giustifica: «Gesù non dice che non dobbiamo evitare che un peccatore desista dal peccare, dobbiamo correggerlo, certo, ma non come un nemico che cerca la vendetta, ma come il medico che applica un rimedio». Il giudizio, dunque, sembra che dovrebbe essere con l´intenzione di correggere, mai con l´intenzione di vendetta.

Ma è ancora più interessante quello che dice Sant’Agostino: «Il Signore ci avverte di non giudicare precipitosamente ed ingiustamente (...). Pensiamo, in primo luogo, se noi non abbiamo commesso qualche peccato simile; pensiamo che siamo uomini fragili, e [giudichiamo] sempre con l'intenzione di servire Dio e non noi stessi». Se quando vediamo i peccati dei fratelli pensiamo nei nostri, non ci succederà, come dice il Vangelo, che avendo una trave nell'occhio, pretendiamo cacciare una pagliuzza dall´occhio di nostro fratello (cf. Mt 7,3).

Se siamo ben formati, vedremo le cose buone e le cattive degli altri, quasi in un modo incosciente: da ciò emetteremo un giudizio. Ma il fatto di guardare le mancanze altrui dai punti di vista citati ci aiuterà nel come dobbiamo giudicare: ci aiuterà a non giudicare per giudicare, o per dire qualcosa, o per occultare le nostre mancanze o, semplicemente perché tutti fanno così. E, finalmente, teniamo soprattutto presente le parole di Gesù: «con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2).
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26/06/2018 08:49
 
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Non date le cose sante ai cani»

Diácono D. Evaldo PINA FILHO
(Brasilia, Brasile)


Oggi il Signore ci fa tre raccomandazioni. La prima, «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» (Mt 7,6), contrasti in cui i “beni” sono associati alle “perle” e alle “cose sante”; e, d’altra parte, i “cani” e i “porci” a ciò che è impuro. San Giovanni Crisostomo ci insegna che «i nostri nemici sono uguali a noi nella loro natura ma non nella loro fede». Nonostante i benefici terreni siano concessi nello stesso modo a persone degne e indegne, non è così per ciò che riguarda le “grazie spirituali”, privilegio di coloro che sono fedeli a Dio. La giusta distribuzione dei beni spirituali implica uno zelo per le cose sacre.

La seconda è la cosiddetta chiamata “regola d’oro” (cf. Mt 7, 12), che compendiava tutto ciò che la Legge e i Profeti raccomandarono, come rami di un unico albero: l’amore al prossimo presuppone l’Amore a Dio, e da Lui proviene.

Fare al prossimo ciò che vogliamo che gli uomini facciano a noi comporta una trasparenza di gesti verso l’altro, riconoscendo la sua somiglianza a Dio, la sua dignità. Per quale ragione cerchiamo il bene per noi stessi? Perché lo riconosciamo come mezzo di identificazione e di unione con il Creatore. Essendo il Bene l’unico mezzo per la vita in pienezza, è inconcepibile la sua assenza nel nostro rapporto col prossimo. Non c’è posto per il bene qualora prevalga la falsità e predomini il male.

Per ultimo, la “porta stretta”… Papa Benedetto XVI ci chiede: «Che vuol dire questa ‘porta stretta’? Perché molti non possono attraversarla? È forse un passaggio riservato per pochi eletti?» No! Il messaggio di Cristo «ci dice che tutti possiamo entrare nella vita. Il passaggio è ‘stretto’, ma aperto a tutti; ‘stretto’ perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo».

Preghiamo affinché il Signore, che realizzò la salvezza universale con la sua morte e risurrezione, ci riunisca tutti nel banchetto della vita eterna.
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27/06/2018 09:48
 
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Dai loro frutti li riconoscerete»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)


Oggi, viene posto innanzi al nostro sguardo un nuovo contrasto evangelico, tra gli alberi buoni e cattivi. Le affermazioni di Gesù al rispetto sono così semplici da sembrare quasi banali. Ed è giusto dire che non lo sono affatto! Non lo sono, così come non lo è la vita reale di ogni giorno.

Queste ci insegnano che vi sono buoni che degenerano e finiscono col dare cattivi frutti, e che, al contrario, vi sono cattivi che cambiano e finiscono col dare frutti buoni. Cosa significa quindi, in definitiva, che «ogni albero buono produce frutti buoni» (Mt 7, 17)? Significa che ciò che è buono lo è in quanto non viene a meno facendo il bene. Fa il bene e non si stanca. Fa il bene e non cede alla tentazione di fare il male. Fa il bene e persevera fino all’eroismo. Fa il bene e, se per caso arrivasse a cedere davanti alla fatica di operare così, di cadere nella tentazione di fare del male, o di spaventarsi al requisito non negoziabile, lo riconosce sinceramente, lo confessa veramente, si pente di cuore e... rincomincia.

Ah! E lo fa, tra l’altro, perché sa che se non da dei frutti buoni sarà tagliato e gettato al fuoco (il santo temore di Dio mantiene la vite del buon vigneto!), e perché, conoscendo la bontà degli altri attraverso le loro opere buone, sa, non solo per propria esperienza, ma anche per esperienza sociale, che egli solo é buono e può essere riconosciuto come tale dai fatti e non dalle sole parole.

Non basta col dire «Signore, Signore!». Così come ci ricorda Giacomo, la fede si riconosce attraverso le opere: «Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2, 18).
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28/06/2018 06:16
 
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Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)


Oggi ci colpisce l’affermazione decisa di Gesù: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Questa affermazione esige anzitutto da noi responsabilità nella nostra condizione di cristiani, e, allo stesso tempo, che avvertiamo l’urgenza di dare una buona testimonianza di fede.

Costruire la casa sulla roccia è un’immagine chiara che ci invita a considerare il nostro impegno di fede, che non si può ridurre solo a belle parole, ma che deve fondarsi sull’autorità delle opere, impregnate di carità. In uno di questi giorni di giugno, la Chiesa ricorda la vita di san Pelagio, martire della castità, morto giovanissimo. San Bernardo, ricordando la vita di Pelagio, ci dice nel suo trattato sui costumi e sul ministero dei vescovi: «La castità, per quanto bella sia, non ha valore né merito, senza la carità. La purezza senza l’amore è come una lampada senza l’olio; e tuttavia dice la sapienza: “Che bella è la sapienza con l’amore”! Con quell’amore di cui ci parla l’Apostolo: quello che procede da un cuore puro, da una coscienza retta e da una fede sincera».

La parola chiara, con la forza della carità, manifesta l’autorità di Gesù, che suscitava la meraviglia nei suoi concittadini: «Le folle restarono stupite dal suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7, 28-29). La nostra preghiera e contemplazione di oggi deve essere accompagnata da una seria riflessione: come parlo e agisco nella mia vita cristiana? Come do concretamente la mia testimonianza? Come metto in pratica il comandamento dell’amore nella mia vita personale, familiare, nel lavoro, ecc.? Non sono le parole né le molte preghiere quelle che contano, ma l’impegno a vivere secondo il Progetto di Dio. La nostra preghiera dovrebbe esprimere sempre il desiderio di fare il bene e di chiedere aiuto, dal momento che riconosciamo la nostra debolezza.

—Signore, che la nostra preghiera sia sempre accompagnata dalla forza della carità.
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29/06/2018 07:08
 
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Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»

Mons. Jaume PUJOL i Balcells Archivescovo di Tarragona e Primato di Catalongna
(Tarragona, Spagna)


Oggi celebriamo la solennità di San Pietro e St. Paolo, che furono fondamenta della Chiesa primitiva e, quindi, della nostra fede cristiana. Apostoli del Signore, testimoni della prima ora, vissero quei momenti iniziali della espansione della Chiesa e sigillarono con il suo sangue la loro fedeltà a Gesù. Auguriamoci che noi, cristiani del secolo XXI, sappiamo essere testimoni credibili dell'amore di Dio tra gli uomini, come lo furono i due Apostoli e come lo sono stati tanti e tanti dei nostri concittadini.

In uno dei primi interventi di Papa Francesco, rivolgendosi ai cardinali, ha detto loro che dobbiamo «camminare, costruire e confessare». Cioé, dobbiamo andare avanti sulla nostra strada vitale, costruendo la Chiesa e confessando il Signore. Il Papa ha avvertito: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore».

Abbiamo sentito nel Vangelo della Messa un fatto centrale per la vita di Pietro e la Chiesa. Gesù chiede a quel pescatore di Galilea un atto di fede nella sua condizione divina e Pedro non esita a dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Immediatamente, Gesù istituì il primato, dicendo a Pietro che sarebbe la roccia sulla quale la Chiesa sarà costruita nel tempo (cfr Mt 16,18) e dandogli il potere delle chiavi, la potestà suprema.

Anche se Pietro e i suoi successori sono assistiti dalla forza dello Spirito Santo, hanno bisogno lo stesso della nostra preghiera, perché la missione che hanno è di grande importanza per la vita della Chiesa: devono essere fondamento sicuro per tutti i cristiani lungo il tempo; per ciò ogni giorno dobbiamo pregare anche per il Santo Padre, per la sua persona e per le sue intenzioni.
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30/06/2018 09:35
 
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Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito»

Rev. D. Xavier JAUSET i Clivillé
(Lleida, Spagna)


Oggi, nel Vangelo, vediamo l'amore, la fede, la fiducia e l'umiltà di un centurione, che sente una stima profonda verso il suo servo. Si preoccupa tanto di lui, che è capace di umiliarsi di fronte a Gesù e chiedergli: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente» (Mt 8,6). Questa richiesta, d'altronde, specialmente per un servo, ottiene da Gesù una risposta immediata: «Io verrò e lo curerò» (Mt 8,7). E tutto sbocca in una serie di atti di fede e di fiducia. Il centurione non si considera degno e, accanto a questo sentimento, manifesta la sua fede davanti a Gesù e di fronte a tutti quelli che erano lì presenti, in tal modo che Gesù dice «Presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande» (Mt 8,10).

Possiamo domandarci che cosa muove Gesù a realizzare il miracolo. Quante volte chiediamo e sembra che Dio non ci ascolti!, anche se sappiamo che Dio ci ascolta sempre. Dunque, cosa succede? Crediamo di chiedere bene, ma, lo facciamo come il centurione? La sua preghiera non è egoista, ma piena di amore, umiltà e fiducia. Dice San Pietro Crisologo: «La forza dell'amore non misura le possibilità (...). L'amore non distingue, non riflette, non conosce ragioni. L'amore non è rassegnazione davanti all'impossibilità, non s'intimorisce di fronte a nessuna difficoltà». È così la mia preghiera?

«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto...» (Mt 8,8). È la risposta del centurione. Sono così i tuoi sentimenti? È così la tua fede? «Solo la fede può capire questo mistero, questa fede che è il fondamento e la base di quanto oltrepassa l'esperienza e la conoscenza naturale» (San Massimo). Se è così, anche tu ascolterai: «"Và, e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì» (Mt 8,13).

Santa Maria, Vergine Madre!, Maestra di fede, di speranza e d'amore sollecito, insegnaci a pregare come conviene per ottenere dal Signore tutto quello di cui abbiamo bisogno.
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01/07/2018 09:52
 
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Soltanto abbi fede!»

Fray Valentí SERRA i Fornell
(Barcelona, Spagna)


Oggi san Marco ci presenta una valanga di bisognosi che si avvicina a Gesù-Salvatore alla ricerca di consolazione e salute. Non solo, quel giorno si fece strada tra la folla un uomo chiamato Giairo, il capo della sinagoga, per implorare la salute per la sua figliola: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (Mc 5,23).

Forse quell’uomo conosceva di vista Gesù, avendolo incontrato tante volte nella sinagoga e, trovandosi così disperato, decise di invocare il suo aiuto. In ogni caso, Gesù, percependo la fede di quel padre afflitto, ascoltò la sua richiesta; solo che mentre si dirigeva verso la sua casa arrivò la notizia che la bambina era già morta e che era inutile disturbarlo: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?» (Mc 5,35).

Gesù, rendendosi conto della situazione, chiese a Giairo che non si lasciasse influenzare dal pessimismo dell’ambiente, dicendogli: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36). Gesù chiese a quel padre una fede più grande, capace di andare più in là dei dubbi e della paura. Arrivato a casa di Giairo, il Messia ridiede la vita alla bambina con le parole: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (Mc 5,41).

Anche noi dovremmo avere più fede, quella fede che non dubita di fronte alle difficoltà e alle prove della vita e che sa maturare nel dolore mediante la nostra unione con Cristo, così come ci suggerisce Papa Benedetto XVI nella sua enciclica Spe Salvi (Nella speranza siamo salvati): «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l'uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l'unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore».
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02/07/2018 09:25
 
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Seguimi»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta –attraverso due personaggi- una qualità del buon discepolo di Gesù: il distacco dai beni materiali. Ma prima, il testo di san Matteo ci offre un particolare che non vorrei che passasse inavvertito: «Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé...» (Mt 8,18). La moltitudine si riunisce attorno al Signore per ascoltare la sua parola, essere guarita delle loro sofferenze materiali e spirituali; cercano la salvazione e un alito di Vita eterna in mezzo agli andirivieni di questo mondo.

Come allora, qualcosa di simile succede nel nostro mondo attuale: -più o meno coscientemente- abbiamo bisogno di Dio, di soddisfare il cuore dei beni veri, quali sono la conoscenza e l'amore di Gesucristo ed una vita di amicizia con Lui. Altrimenti, cadiamo nella trappola di voler riempire il nostro cuore con altri “dei” che non possono dar senso alla nostra vita: il telefonino, internet, il viaggio alle Bahamas, il lavoro sfrenato per guadagnare sempre più soldi, la macchina migliore di quella del vicino, o la palestra per pavoneggiarsi del miglior corpo del mondo... È ciò che capita a molti nell'attualità.

In contrasto, risuona il grido pieno di forza e di fiducia di Papa Giovanni Paolo ll parlando alla gioventù: «Si può essere moderni e profondamente fedeli a Gesucristo». Perciò è necessario, come il Signore, il distacco da tutto quello che ci lega ad una vita troppo materializzata e che chiude le porte allo Spirito.

«ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (...). Seguimi» (Mt 8,22), ci dice il Vangelo di oggi. E san Gregorio Magno ci ricorda: «Teniamo le cose temporali per l'uso, quelle eterne nel desiderio; serviamoci delle cose terrene per il cammino, e desideriamo quelle eterne per la fine della giornata». È un buon criterio per esaminare come seguiamo Gesù.
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03/07/2018 09:23
 
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Mio Signore e mio Dio!»

+ Rev. D. Joan SERRA i Fontanet
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la Chiesa celebra la festa di San Tommaso. L'evangelista Giovanni, dopo aver descritto l'apparizione di Gesù, la stessa Domenica di Risurrezione, ci dice che l’apostolo Tommaso non era lì, e quando gli apostoli -che avevano visto il Signore– lo stavano testimoniando Tommaso rispose: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò" (Gv 20,25).

Gesù è buono e va all’incontro di Tommaso. Trascorsi otto giorni, Gesù appare nuovamente e dice a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!” (Gv 20,27).

-Oh Gesù, che buono che sei! Se vedi che qualche volta mi allontano da te, vienimi incontro, così come fosti all’incontro di Tommaso.

La reazione di Tommaso furono queste parole: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28). Che belle sono queste parole di Tommaso! Gli dice "Signore" e "Dio". È un atto di fede nella divinità di Gesù. Al vederlo risorto, non vede più solo l'uomo Gesù, che stava con gli apostoli e mangiava con loro, ma al suo Signore e al suo Dio.

Gesù lo rimprovera e dice lui di non essere incredulo ma credente, e aggiunge: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,29). Noi non abbiamo visto a Cristo crocifisso, e neppure a Cristo risorto, neppure ci è apparso, ma siamo felici perché crediamo in questo Gesù Cristo che è morto ed è risorto per noi.

Pertanto, preghiamo: «o mio Signore e mio Dio, allontana da me tutto ciò che mi allontana da te. O mio Signore e mio Dio, elargiscimi tutto ciò che mi avvicina a te. – O mio Signore e mio Dio, liberami da me stesso e concedimi di possedere soltanto te» (San Nicola di Flüe).
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04/07/2018 09:15
 
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Lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, contempliamo una triste “Contrapposizione” poiché ammiriamo il potere e la maestà divina di Gesù Cristo, a chi volontariamente si sottomettono i demoni (segno certo dell’arrivo del Regno dei cieli). Però, allo stesso tempo, deploriamo la grettezza e meschinità di cui è capace il cuore umano al respingere il messaggero della Buona Notizia: «Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio» (Mt 8,34). E “triste” perché «la luce vera (...) venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,9.11).

Ancor più contrasto e più sorpresa se facciamo attenzione al fatto che l’uomo è libero e questa libertà ha il “potere di fermare” il potere infinito di Dio. Diciamolo in un’altro modo: l’infinito potere di Dio arriva fino a dove glielo permette la nostra “potente” libertà. E questo è così perché Dio ci ama principalmente con un’amore di Padre e, pertanto non ci deve sembrare strano che Lui sia molto rispettoso della nostra libertà: Lui non impone il suo amore, piuttosto ce lo propone.

Dio, con saggezza e bontà infinite, governa provvidenzialmente l’universo, rispettando la nostra libertà; anche quando questa libertà umana gli volta la schiena e non vuole accettare la sua volontà. Contrariamente a quello che sembrerebbe, il mondo non Gli sfugge dalle mani: Dio porta tutto a buon termine, nonostante gli impedimenti che possiamo porGli. Infatti, i nostri impedimenti sono, prima di tutto, impedimenti per noi stessi.

In certo modo, si potrebbe affermare che «di fronte alla libertà umana Dio ha voluto rendersi “impotente”. E si può dire anche che Dio sta pagando per questo grande dono [la libertà] che ha concesso a una creatura creata da Lui a sua immagine e somiglianza [l’uomo]» (Giovanni Paolo II). ¡Dio paga!: se lo confiniamo, lui ubbidisce e se ne va. Lui paga, ma noi perdiamo. Guadagniamo, in cambio, quando rispondiamo come Santa Maria: «Ecco la schiava del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
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05/07/2018 08:09
 
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Àlzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua»

Rev. D. Francesc NICOLAU i Pous
(Barcelona, Spagna)


Oggi, troviamo nel Vangelo una delle tante manifestazioni della bontà misericordiosa del Signore. Tutte ci dimostrano aspetti ricchi in dettagli. La carità del Signore, che agisce con misericordia, va dalla resurrezione di un morto o alla guarigione della lebbra, fino al perdono di una donna, pubblica peccatrice, passando per molte altre guarigioni di malattie e la redenzione di peccatori pentiti. Quest’ultimo è anche espresso in parabole, come quella della pecora smarrita, la dracma persa e il figlio prodigo.

Il Vangelo di oggi è una dimostrazione della misericordia del Salvatore in due aspetti nello stesso tempo: d’innanzi alla malattia del corpo e d’innanzi a quella dell’anima. E visto che l’anima è più importante, Gesù inizia da qui. Sa che il malato è pentito delle sue colpe, vede la sua fede e di quelli che lo portano, e dice «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2).

Perché inizia da dove nessuno glielo ha chiesto? È chiaro che legge i suoi pensieri e sa che è proprio questo di cui sarà grato questo paralitico, che, probabilmente, vedendosi di fronte alla santità di Cristo, sentirebbe confusione e vergogna per le proprie colpe, con un certo timore che potessero essere di ostacolo per la grazia della salute. Il Signore vuole calmarlo. Non importa che i maestri della legge mormorino nei loro cuori. Piuttosto, fa parte del suo messaggio dimostrare che è venuto a elargire misericordia con i peccatori, e ora lo vuole proclamare.

E coloro, che, cechi per l’orgoglio, si ritengono giusti, non accettano la chiamata di Gesù; e al contrario lo accolgono quelli che sinceramente si considerano peccatori. Davanti a loro Dio si manifesta perdonandoli. Come dice San Agostino, «l’uomo orgoglioso è una grande miseria, però più grande è la misericordia del Dio umile». E in questo caso, la misericordia divina va ancor più in là: come aggiunta al perdono gli restituiste la salute: «alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua» (Mt 9,6). Gesù vuole che la felicità del peccatore convertito sia completa.

La nostra fiducia in Lui si deve consolidare. Pero sentiamoci peccatori per non escluderci dalla grazia.
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06/07/2018 08:43
 
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Seguimi»

+ Rev. D. Pere CAMPANYÀ i Ribó
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci parla di una vocazione, quella del pubblicano Matteo. Gesù stà preparando il piccolo gruppo di discepoli che dovranno continuare la Sua opera di salvazione. Lui sceglie chi vuole: saranno pescatori o procedenti da una modesta professione. Chiama, a che lo segua, finanche un esattore delle imposte, professione disprezzata dai giudei –che si consideravano osservanti perfetti della legge-, perchè la consideravano quasi fosse una vita peccatrice, perchè riscuotevano imposte da parte del governatore romano, al quale non volevano assoggettarsi.

E’ sufficiente l’invito di Gesù: «Seguimi» (Mt 9,9). Per una parola del Maestro, Matteo lascia la sua professione e, contentissimo, L’invita a casa sua per celebrarvi un banchetto di riconoscenza. Era normale che Matteo avesse un gruppo di buoni amici della sua stessa professione, affinchè l’accompagnassero a partecipare di quel convito. Secondo i farisei, tutta quella gente era peccatrice, riconosciuta pubblicamente come tale.

I farisei non possono star zitti e commentano con alcuni discepoli di Gesù: «Come mai il vostro maestro mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?» (Mt 9,10). La risposta di Gesù arriva immediatamente: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,12). Il paragone è perfetto: «Non sono venuto (...) a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

Le parole di questo Vangelo sono di grande attualità. Gesù continua ad invitarci a seguirLo, ognuno secondo il suo stato e professione. Seguire Gesù, però, esige lasciare passioni disordinate, cattiva condotta familiare, perdere tempo, per potersi dedicare alla preghiera, al banchetto eucaristico, alla pastorale missionaria. In realtà «un cristiano non è padrone di sè stesso, ma deve dedicarsi al servizio di Dio» (Sant’Ignazio d’Antiochia).

Certamente il Signore mi chiede un cambio di vita e, così, mi domando: a quale gruppo appartengo? A quello delle persone che tendono alla perfezione o a quello delle persone che si riconoscono sinceramente smarrite nel buio? Non è forse vero che posso migliorare? Coraggio, allora, e fiducia nel Signore!
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07/07/2018 09:46
 
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Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno»

Rev. D. Joaquim FORTUNY i Vizcarro
(Cunit, Tarragona, Spagna)


Oggi, vediamo come con Gesù he iniziata una nuova era, una nuova dottrina, insegnata con autorità, e come tutte le cose nuove contrastavano con le pratiche e l’ambiente prevalente. Così, nelle pagine che precedono il Vangelo che stiamo considerando, vediamo Gesù che perdona i peccati del paralitico e guarisce la sua malattia, mentre gli scribi sono scioccati; Gesù che chiama Matteo, l’esattore delle tasse, e mangia con lui e altri pubblicani e peccatori, e i farisei “scandalizzati”; nel Vangelo di oggi sono i discepoli di Giovanni che vengono a Gesù perché non capiscono come mai Lui e i suoi discepoli non digiunano.

Gesù, che non lascia nessuno senza risposta, dice: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà tolto, e allora digiuneranno» (Mt 9,15). Il digiuno era, ed è, una pratica penitenziale che contribuisce a “farci acquistare il dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2043) e a implorare la misericordia divina. Ma in quei momenti, la misericordia e l’amore infinito di Dio era in mezzo a loro con la presenza di Gesù, il Verbo Incarnato. Come potevano digiunare? C’era solo un’atteggiamento possibile: la gioia, godere della presenza di Dio fatto uomo. Come avrebbero fatto a digiunare se Gesù aveva scoperto per loro un nuovo modo di relazionarsi con Dio, un nuovo spirito che ha rotto con tutti quei vecchi modi di fare?

Oggi Gesù c’è: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), e non c’è perché è tornato al Padre, e così esclamiamo: “Vieni, Signore Gesù!”

Siamo in tempi di attesa. Pertanto, dovremmo rinnovarci ogni giorno con il nuovo spirito di Gesù, lasciar andare le rutine, il digiuno di tutto ciò che ci impedisce di muoversi verso una piena identificazione con Cristo, verso la santità. “Giusto è il nostro pianto -il nostro digiuno- se ci brucia il desiderio di vederlo” (Sant’Agostino).
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08/07/2018 09:17
 
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si meravigliava della loro incredulità»

P. Joaquim PETIT Llimona, L.C.
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia ci aiuta a scoprire i sentimenti del Cuore di Gesù: "E si meravigliava della loro incredulità." (Mc 6,6). Senza alcun dubbio, i discepoli dovevano essere stupiti dalla mancanza di fede dei concittadini del Maestro e dalla Sua reazione. Sembrerebbe normale che i successi fossero andati in diverso modo: hanno raggiunto la terra dove aveva vissuto tanti anni, avevano sentito parlare delle opere che eseguiva, e la conseguenza logica sarebbe che lo acogliessero con amore e fiducia, più disposti di altri ad ascoltare i suoi insegnamenti. Tuttavia, non fu così ma proprio il contrario: "E si scandalizzavano di Lui" (Mc 6,3).

La stranezza di Gesù per l'atteggiamento di quelli della sua terra, mostra un cuore che confida nell'uomo, in attesa di una risposta e che non resta indifferente per la mancanza di essa, perché è un cuore che si da cercando per il nostro bene. San Bernardo lo esprime molto bene quando scrive: "Venne Il Figlio di Dio e fece tali meraviglie nel mondo che lacerò la nostra comprensione del mondano, affinché meditiamo e non smettiamo mai di riflettere le sue meraviglie. Ci lasciò orizzonti infiniti per conforto dell’intelligenza, e un fiume tal pieno di idee che è impossibile di guadare. C'è qualcuno in grado di capire perché la suprema maestà volle morire per darci la vita, servire Lui per governare noi, vivere bandito per portarci in paese, e scendere al più vile e ordinario per lodarci sopra tutte le cose?».

Si potrebbe pensare di ciò che avrebbe cambiato la vita degli abitanti di Nazareth se fossero venuti da Gesù nella fede. Quindi, dobbiamo chiederGli ogni giorno come suoi discepoli: "Signore, aumenta la nostra fede" (Lc 17,5), per aprirci sempre di più alla sua azione amorosa in noi.
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09/07/2018 07:53
 
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La tua fede ti ha salvata»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia della Parola ci invita ad ammirare due magnifiche manifestazioni di fede. Così straordinarie che conquistarono e commossero il cuore di Gesù provocando —immediatamente— la sua risposta. Il Signore non si lascia vincere in generosità.

« Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà» (Mt 9,18). Quasi potremmo dire che con fede risoluta “obblighiamo” a Dio. A Lui piace questa specie di obbligazione. Anche l’altra testimonianza di fede nel Vangelo di oggi è impressionante: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita» (Mt 9,22).

Si potrebbe affermare che Dio, addirittura, si lascia “manipolare” di buon grado dalla nostra buona fede. Quello che non ammette è che lo tentiamo con sfiducia. Questo fu il caso di Zaccaria, che chiese una prova all‘arcangelo Gabriele: «Ma Zaccaria disse all’angelo: Come posso conoscere questo?» (Lc 1,18). L’arcangelo non arretrò di un passo «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio (...).Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo» (Lc 1,19-20). E così fu.

E’ Lui stesso che vuole “obbligarsi” e “legarsi” con la nostra fede: «Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11,9). Lui è nostro Padre e non vuole negare nulla di ciò che conviene ai suoi figli.

Però è necessario manifestargli con fiducia le nostre richieste; la fiducia e la connaturalità con Dio richiedono tatto: per aver fiducia di qualcuno, dobbiamo conoscerlo; e per conoscerlo dobbiamo frequentarlo. Così «la fede fa germogliare la preghiera, e la preghiera —quando germoglia— raggiunge la fermezza della fede» (Sant’Agostino). Non dimentichiamo la lode che meritò Santa Maria: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!» (Lc 1,45).
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10/07/2018 08:52
 
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Pregate (...) il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!»

Rev. D. Joan SOLÀ i Triadú
(Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci racconta la guarigione di un indemoniato muto provocando reazioni diverse nei farisei e nella folla. Mentre i farisei, di fronte alla prova innegabile di un miracolo, la attribuiscono a poteri demoniaci —«Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni» (Mt 9,34)— la folla è stupita: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!» (Mt 9,33). San Giovanni Crisostomo, commentando questo passaggio, dice: «Quello che veramente infastidiva i farisei è che consideravano Gesù superiore a tutti, non solo quelli che già esistevano, ma a anche a tutti quelli che erano esistiti prima».

Gesù non era preoccupato per l'ostilità dei farisei. Lui rimaneva fedele alla sua missione. Inoltre, Gesù, di fronte alla evidenza che le guide d’Israele, invece di prendersi cura e pascere il gregge, quello che facevano era smarrirlo, ebbe pietà di quelle folle stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Che le moltitudini vogliono e apprezzano una buona guida è stato dimostrato con le visite pastorali di San Giovanni Paolo II a tanti paesi del mondo. Quante moltitudini si sono raccolte intorno a lui! Come ascoltavano la sua parola, soprattutto i giovani! Anche se il Papa non riduceva il messaggio del Vangelo, ma lo predicava in tutta la sua intensità.

Tutti noi, «se fossimo coerenti con la nostra fede, —dice san Josemaría Escrivá— guardando intorno e contemplando lo spettacolo della storia e del mondo, non potremo evitare di sentire che sorgono nei nostri cuori gli stessi sentimenti che animarono quelli di Gesù Cristo», e ciò ci condurrebbe ad una generosa opera apostolica. Però è evidente la disparità che esiste fra le moltitudini che attendono la predicazione della Buona Nuova del Regno e la scarsezza di operai. La soluzione è data da Gesù alla fine del Vangelo: pregate il signore della messe perché mandi operai nella sua messe (cf. Mt 9,38).
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11/07/2018 07:22
 
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Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino»

Rev. D. Fernando PERALES i Madueño
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci mostra Gesù inviando i suoi discepoli in missione: «Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti» (Mt 10,5). I dodici discepoli formano il “Collegio Apostolico”, vale a dire “missionario”; la Chiesa, nel suo pellegrinaggio terreno, è una comunità missionaria, da quando si è originata nel compimento della missione del Figlio e lo Spirito Santo d'accordo con le determinazioni di Dio Padre. Nello stesso modo in cui Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un unico Collegio Apostolico istituito dal Signore, così il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, conformano un'unità sulla quale ricade il dovere di annunziare il Vangelo per tutta la terra.

Tra i discepoli inviati in missione troviamo quelli ai quali Cristo ha conferito un posto prominente e una responsabilità maggiore, come Pietro; e altri come Taddeo, di chi quasi non abbiamo notizie; tuttavia, i vangeli ci comunicano la Buona Notizia, non sono stati scritti per soddisfare la curiosità. Noi, da parte nostra, dobbiamo pregare per tutti i vescovi, per quelli noti e per quelli meno noti, e vivere in comunione con tutti: «Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli» (Sant'Ignazio di Antiochia). Gesù non cercò persone istruite, ma semplicemente disponibili, capaci di seguirlo fino alla fine. Questo mi insegna che anch'io, come cristiano, devo sentirmi responsabile di una parte dell'opera di salvazione di Gesù. Allontano il male?, Dò aiuto ai miei fratelli?

Come l'opera è nel suo inizio, Gesù si affretta a circoscrivere l’apostolato dei discepoli ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. E strada facendo, predicate che il Regno dei Cieli è vicino» (Mt 10,5-6). Oggi si deve fare ciò che si può, con la certezza che Dio chiamerà tutti i pagani e i samaritani in un’altra fase della attività missionario missionaria.
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12/07/2018 07:57
 
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Questo passo del Vangelo ci mette in imbarazzo. È necessario che i messaggeri di Gesù vivano in una povertà e in un’assenza totale di bisogni per rendere gli uomini attenti, grazie a questo stile di vita semplice, al messaggio di Gesù che sono incaricati di trasmettere. Certo, dietro a queste parole c’è l’esperienza di tutti i primi missionari cristiani, partiti per diffondere il messaggio di Gesù nella semplicità e nella povertà più estreme. Ed è certo anche che noi non possiamo più praticare questo stile di vita nel nostro mondo così complicato: un mondo di previdenze e di sicurezze.
Tuttavia, non possiamo semplicemente mettere da parte l’esigenza scomoda che contengono queste parole. Ricchezza e possesso, carriera e considerazione, prestigio negli affari e titoli onorifici... non giocano un ruolo troppo grande nel nostro spirito? Che cosa significa oggi per noi l’esortazione di Gesù a rinunciare alle nostre esigenze e ai nostri bisogni, per noi cristiani che viviamo in una società opulenta? Qual è la loro importanza di fronte agli enormi problemi ecologici provocati proprio dalla nostra opulenza? San Francesco d’Assisi e i suoi frati hanno preso molto seriamente le parole di Gesù. All’inizio, molti hanno riso di loro, ma alla fine essi hanno avuto più impatto di tutti i loro avversari messi insieme... Nella nostra epoca, in cui siamo affascinati dal consumo, non sarebbe ora di rimettere l’accento sulla “povertà” e sulla “semplicità”?
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13/07/2018 06:42
 
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Sarete odiati da tutti a causa del mio nome»

P. Josep LAPLANA OSB Monje de Montserrat
(Montserrat, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo rileva le difficoltà e le contraddizioni che il cristiano dovrà soffrire per causa di Cristo e del suo Vangelo, e come dovrà resistere e perseverare fino alla fine. Gesù ci promise: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); però non ha promesso ai suoi un cammino facile, al contrario, disse loro: «Sarete odiati da tutti per causa del mio nome» (Mt 10,22).

La Chiesa e il mondo sono due realtà di “difficile” convivenza. Il mondo, che la Chiesa deve convertire a Gesù Cristo, non è una realtà neutra, come se fosse cera vergine che solo aspetta il timbro che le dia forma. Questo sarebbe stato così solamente se non avessimo avuto una storia di peccato fra la creazione dell’uomo e la sua redenzione. Il mondo, come struttura allontanata da Dio, obbedisce ad un altro signore, che il Vangelo di San Giovanni nomina come “il signore di questo mondo”, il nemico dell’anima, al quale il cristiano ha fatto giuramento —nel giorno del suo battesimo— di disobbedienza, di confronto, per appartenere solo al Signore e alla Madre Chiesa che lo ha generato in Gesù Cristo.

Però il battezzato continua vivendo in questo mondo e non in altri, non rinuncia alla cittadinanza di questo mondo, nemmeno gli nega il suo onesto apporto per sostenerlo e migliorarlo; i doveri di cittadinanza civica sono anche doveri cristiani; pagare le tasse è un dovere di giustizia per il cristiano. Gesù disse che i suoi seguaci siamo nel mondo, però non siamo del mondo (cf Gv 17,14-15). Non apparteniamo al mondo incondizionalmente, solo apparteniamo del tutto a Gesù Cristo e alla Chiesa, vera patria spirituale che è qui nella terra e che attraversa la barriera dello spazio e del tempo per sbarcarci nella patria definitiva del cielo.

Questa doppia cittadinanza si scontra immancabilmente con le forze del peccato e del dominio che muovono i meccanismi mondani. Ripassando la storia della chiesa, Newman diceva che «La persecuzione è la marca della Chiesa e chissà la più durevole di tutte».
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