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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 24/03/2024 09:21
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08/03/2018 10:04
 
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Se (...) io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio»

Rev. D. Josep GASSÓ i Lécera
(Ripollet, Barcelona, Spagna)


Oggi, nella proclamazione della Parola di Dio, riappare l’immagine del `diavolo´: «Gesù stava scacciando un demonio che era muto» (Lc 11,14). Ogni volta che i testi della Scrittura sacra ci parlano del demonio, ci sentiamo, forse, un po’ incomodi. Comunque, è vero che il male esiste e che ha radici così profonde che noi non riusciamo ad eliminare completamente. Ed è anche vero che il male ha una dimensione molto vasta: va`lavorando´e non possiamo, in nessun modo, dominarlo. Gesù, però, è venuto a combattere queste forze del male, il demonio. Solo Lui può scacciarlo.

Gesù è stato calunniato ed accusato: il demonio è capace di ottenere tutto. Mentre la gente si meraviglia di ciò che ha fatto Gesù, «alcuni dissero: «E’ per mezzo di Belzebu, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni» (Lc 11,15).

La risposta di Gesù mostra l’assurdo dell’argomento di quelli che Lo contraddicono. Tra parentesi, questa risposta è, per noi, un appello all’unità, alla forza che suppone l’unione. La disunione, invece, è un fermento malefico e distruttore. Uno dei segni del male è, precisamente, la divisione ed il non capirsi gli uni tra gli altri. Sfortunatamente, il mondo attuale si distingue per questo tipo di spirito del male che ostacola la comprensione ed il riconoscimento degli uni verso gli altri.

E’ conveniente meditare quale è la nostra collaborazione in questo fatto di “scacciar demoni” o di allontanare il male. Chiediamoci: faccio tutto il possibile, perché il Signore scacci il male dalla mia coscienza? Collaboro sufficientemente in questa ”espulsione”? Perché «Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi» (Mt 15,19). E’ molto importante la risposta di ognuno di noi, cioè la collaborazione necessaria a livello personale.

Che Maria interceda con Gesù, il Suo Figlio amato, perché scacci dal nostro cuore e dal mondo, qualunque tipo di mali (guerre, terrorismo, maltrattamenti, qualsiasi genere di violenza).`Maria, Madre della Chiesa e Regina della Pace, prega per noi´!
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09/03/2018 08:37
 
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Non c’è altro comandamento più grande di questi»

Rev. D. Pere MONTAGUT i Piquet
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la liturgia quaresimale ci presenta l’amore quale radice, la più profonda, dell’autocomunicazione di Dio. «L’anima non può vivere senza amore, ha sempre bisogno di amare qualcosa, perché è fatta d’amore che io per amore l’ho creata». (Santa Caterina da Siena) Dio è amore onnipotente, amore fino all’estremo, amore crocificato: «E’ sulla croce dove può contemplarsi questa verità» (Benedetto XVl) Questo Vangelo non è solo un’autorivelazione di come Dio–per mezzo di Suo Figlio- vuole essere amato Con un comandamento del Deuteronomio: «Tu amerai il Signore tuo Dio» (Dt 6,5) ed un altro del Levitico: «Amerai il tuo prossimo» (Lev 19,18), Gesù porta a compimento la pienezza della Legge. Lui ama il Padre, come Dio vero nato dal Dio vero e, come Verbo fatto uomo, crea la nuova Umanità dei figli di Dio, fratelli che si amano con l’amore del Figlio.

La chiamata di Gesù alla comunione e alla missione richiede una partecipazione nella sua stessa natura; è un’intimità in cui bisogna introdursi. Gesù non rivendica mai di essere la meta della nostra preghiera e amore. Rende grazie al Padre e vive costantemente nella Sua presenza. Il mistero di Cristo attrae verso l’amore a Dio –Invisibile ed Inaccessibile- mentre è, allo stesso tempo, cammino per riconoscere, verità nell’amore e vita per il fratello visibile e presente. Quello che ha maggior valore, non sono le offerte bruciate sull’altare ma è Cristo che brucia come unico sacrificio ed obolo affinché siamo in Lui un solo altare, un solo amore.

Questa unificazione di conoscenza e di amore, tessuta dallo Spirito Santo, permette che Dio ami in noi ed utilizzi tutte le nostre capacità, e a noi concede di poter amare come Cristo, con il suo stesso amore filiale e fraterno. Quello che Dio ha unito nell’amore , l’uomo non può separarlo. E’ questa la grandezza di chi si sottomette al Regno di Dio: l’amore a se stessi non è ostacolo ma estasi per amare l’unico Dio ed una moltitudine di fratelli.
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10/03/2018 09:15
 
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Io vi dico: questi (...) tornò a casa sua giustificato »

Fr. Gavan JENNINGS
(Dublín, Irlanda)


Oggi, Gesù ci presenta due uomini che, di fronte ad un “osservatore” occasionale, potrebbero sembrare quasi identici, giacché essi si trovano allo stesso posto, svolgendo la stessa attività: entrambi «salirono al tempio a pregare» (Lc 18,10). Ma oltre le apparenze, nel profondo delle loro coscienze personali, i due uomini sono radicalmente differenti: l’uno, il fariseo, ha la coscienza tranquilla, mentre l’altro, il pubblicano -esattore delle tasse- si trova inquieto a causa dei suoi sentimenti di colpa.

Ai nostri giorni siamo propensi a considerare i sentimenti di colpa –il rimorso- come un qualcosa che si avvicina ad una aberrazione psicologica. Tuttavia la coscienza di colpa consente al pubblicano di uscire dal Tempio, con l’animo sollevato, giacché «questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14) mentre l’altro no. «Il senso di colpa», ha scritto Benedetto XVI, quando Egli era ancora Cardinale Ratzinger (“Coscienza e verità”), rimuove la falsa tranquillità di coscienza e può essere chiamato, contraria alla mia “protesta della coscienza” contro la mia esistenza auto-compiacente. E’ tanto necessario all’uomo, come il dolore fisico che indica un’alterazione corporale delle funzioni normali».

Gesù non vuole indurci a pensare che il fariseo non stia dicendo la verità quando afferma di non essere avido, ingiusto, ne adultero, che digiuna e offre soldi al Tempio (cf. Lc 18,11); ma neppure che l’esattore delle tasse stia delirando al considerarsi peccatore. Non è questo il caso. Succede, invece che «il fariseo, anche lui, ha colpa. Egli ha la coscienza completamente chiara. Ma il “silenzio della coscienza” lo rende impenetrabile davanti a Dio e d’innanzi agli uomini, mentre il “grido della coscienza” inquieta il pubblicano e lo rende capace della verità e dell’ amore. «Gesù può riscuotere i peccatori!» (Benedetto XVI).
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11/03/2018 09:01
 
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Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»

Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(La Fuliola, Lleida, Spagna)


Oggi, la liturgia ci offre un aroma anticipato dell’allegria pasquale. Gli ornamenti del celebrante hanno un colore rosato. E’ la domenica “laetare” che ci invita ad una serena allegria «Festeggiate Gerusalemme, rallegratevi con essa voi tutti che l’amate...», canta l’antifona d’entrata.

Dio vuole che siamo contenti. La psicologia più elementare ci dice che una persona che non vive contenta, finisce ammalandosi fisicamente e spiritualmente. Orbene, la nostra allegria deve essere molto ben cimentata, dev’essere l’espressione della serenità di vivere una vita in tutta la sua pienezza. Diversamente l’allegria verrebbe a degenerarsi in superficialità e stupidaggine. Santa Teresa distingueva con saggezza tra la “santa allegria” e la “pazza allegria”. Qust’ultima è soltanto esterna, dura poco e lascia un sapore amaro.

Viviamo tempi difficili per la vita di fede.. Sono, però, pure tempi appassionanti. Soffriamo, in certo qual modo, l’esilio babilonico che canta il salmo. Sì, anche noi possiamo vivere un’esperienza d’esilio «Piangevano ricordandosi di Sion» (Sal 137,1). Le difficoltà esteriori, e specialmente il peccato, ci possono trasportare vicino ai fiumi di Babilonia. Nonostante tutto, ci sono motivi di speranza e Dio continua a dirci:«Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo» (Sal 137,6).

Possiamo vivere sempre contenti, perché Dio ci ama pazzamente, al punto «da dare il Figlio suo unigenito,» (Gv 3,16). Tra poco accompagneremo questo Figlio unico nel suo cammino di morte e risurrezione. Contempleremo l’amore di Colui che tanto ama, che si è offerto per noi, per te e per me. Ci riempiremo d’amore e vedremo Colui «che hanno trafitto» (Gv 19,37), e sorgerà in noi una gioia che nessuno potrà toglierci.

La vera allegria che illumina la nostra vita non procede da uno sforzo nostro. San Paolo ce lo ricorda: non procede da noi, è un dono di Dio, siamo opera sua (cf.Col 1.11). Lasciamoci amare da Dio ed amiamoLo, e l’allegria sarà grande nella prossima Pasqua e nella vita intera. Non dimentichiamo di lasciarci accarezzare e rigenerare da Dio con una buona confessione prima della Pasqua.
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12/03/2018 08:18
 
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Gesù partì per la Galilea»

Rev. D. Ramon Octavi SÁNCHEZ i Valero
(Viladecans, Barcelona, Spagna)


Oggi, nuovamente troviamo Gesù a Cana di Galilea, dove aveva realizzato il conosciuto miracolo della conversione dell’acqua in vino. Adesso, in questa occasione, fa un nuovo miracolo: la guarigione del figlio di un funzionario reale. Sebbene il primo sia stato spettacolare, questo è, senza dubbio, di maggior valore, perché, quello che si risolve con il miracolo, non è un qualcosa di materiale, ma si tratta della vita di una persona.

Ciò che attira la nostra attenzione in questo nuovo miracolo è che Gesù agisce a distanza, non va direttamente a Cafàrnao per guarire direttamente l’ammalato, ma, senza muoversi da Cana, rende possibile la guarigione: «Il funzionario del re gli disse:”Signore, scendi prima che il mio bambino muoia” Gesù gli rispose: “Va’, tuo figlio vive» (Gv 4,49-50).

Questo ricorda a tutti noi che possiamo fare molto bene anche a distanza, cioè, senza bisogno di essere presenti sul posto dove si richiede la nostra generosità. Così, per esempio, aiutiamo il Terzo Mondo collaborando economicamente attraverso i nostri missionari o per mezzo di organizzazioni cattoliche che ivi lavorano. Aiutiamo i poveri delle zone marginate delle grandi città con i nostri contributi attraverso istituzioni, quale `Caritas´, senza bisogno di andare per le loro strade. O, perfino, possiamo effondere allegria a tanta gente, molto lontana da noi, con una telefonata, una lettera o la posta elettronica.

Tante volte ci esimiamo dal fare il bene perché non abbiamo la possibilità di trovarci in quei posti dove ci sono necessità urgenti. Gesù non si scusò perché non era a Cafárnao, ma realizzò il miracolo.

La lontananza non presenta nessuna difficoltà al momento di essere generoso, perché la generosità parte dal cuore e oltrepassa tutte le frontiere. Come direbbe sant’Agostino: «Chi ha carità nel cuore, trova sempre qualcosa da dare».
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14/03/2018 09:17
 
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In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna»

Rev. D. Francesc PERARNAU i Cañellas
(Girona, Spagna)


Oggi il Vangelo ci parla della risposta che Gesù diede ad alcuni che gli contestavano di aver guarito un paralitico di sabato. Gesù approfitta queste critiche per manifestare la sua condizione di Figlio di Dio e, pertanto, di Signore del sabato. Parole che saranno causa della sentenza di condanna nel giorno del giudizio a casa di Caifa. Infatti, quando Gesù si riconobbe Figlio di Dio, il gran sacerdote esclamò: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?» (Mt 26,65).

Molte volte Gesù aveva fatto riferimento al Padre, ma facendo sempre una distinzione: la Paternità di Dio è diversa, quando si tratta di Cristo e quando riguarda gli uomini. E i Giudei che lo ascoltavano capivano molto bene: non era Figlio di Dio come gli altri, ma la filiazione che rivendica per se stesso è una filiazione naturale. Gesù afferma che la sua natura e quella del Padre sono uguali, nonostante siano persone distinte. Manifesta in questo modo la sua divinità. È questo un frammento del Vangelo molto interessante in vista alla rivelazione del mistero della Santissima Trinità.

Tra le cose che oggi dice il Signore ce ne sono alcune che fanno speciale riferimento a tutti coloro che lungo la storia crederanno in Lui: ascoltare e credere in Gesù è avere già la vita eterna (cf. Gv 5,24). Certamente, non è ancora la vita definitiva, ma è già partecipare della promessa. È conveniente averlo molto presente sforzandoci ad ascoltare la parola di Gesù, come ciò che realmente è Parola di Dio che salva. La lettura e la meditazione del Vangelo deve formar parte delle nostre pratiche religiose abituali. Nelle pagine rivelate sentiremo le parole di Gesù, parole immortali che ci aprono le porte della vita eterna. In conclusione, come insegnava il santo Efrem, la Parola di Dio è una fonte inesauribile di vita.
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15/03/2018 07:30
 
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Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera»

Rev. D. Miquel MASATS i Roca
(Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci insegna come Gesù affronta la seguente obiezione: si legge nel Dt 19,15, affinché una testimonianza sia efficace deve essere convalidata da due o tre testimoni. Gesù allega a suo favore la testimonianza di Giovanni Battista, la testimonianza del Padre –che si manifesta nei miracoli eseguiti da Lui- , e, finalmente, la testimonianza delle Scritture.

Gesù Cristo rinfaccia a coloro che lo ascoltano tre impedimenti che hanno per riconoscerlo come il Messia Figlio di Dio: la mancanza di amore a Dio; l’assenza di rettitudine di intenzione –cercano solo la gloria umana- e l'interpretazione interessata delle Scritture.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II scriveva: “Alla contemplazione del volto di Cristo solo si giunge ascoltando lo Spirito del Padre, perché nessuno conosce il Figlio al di fuori del Padre (cf. Mt 11,27). Quindi, è necessario la rivelazione dell’Altissimo. Ma, per accorgliela , è indispensabile mettersi in atteggiamento di ascoltare”.

Per questo, bisogna tener conto che per riconoscere Gesù Cristo come vero Figlio di Dio, non è sufficiente con le prove esterne che ci vengono proposte; è molto importante la rettitudine nella volontà, vale a dire, le buone disposizioni.

In questo tempo di Quaresima, intensificando le opere di penitenza che facilitano la rinnovazione interiore, miglioreremo le nostre disposizioni interiori per contemplare il vero volto di Cristo. Per questo, san Josemaria ci dice: “Quel Cristo che tu vedi non è Gesù. Sarà, semmai, la triste immagine che i tuoi occhi torbidi possono formare... Purificati. Rischiara il tuo sguardo con l’umiltà e la penitenza. Poi... non ti mancheranno le limpide luci dell’Amore. E avrai una visione perfetta. La tua immagine sarà realmente la sua: Lui!”.
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15/03/2018 21:59
 
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Nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora»

Fr. Matthew J. ALBRIGHT
(Andover, Ohio, Stati Uniti)


Oggi, il Vangelo ci permette di contemplare la confusione nata sull'identità e la missione di Gesù Cristo. Quando le persone sono messe di fronte a Gesù, ci sono incomprensioni ed ipotesi su chi Egli è, come in lui vengono o no soddisfatte le profezie del Vecchio Testamento e su quello che da Lui verrà fatto. Le ipotesi e pregiudizi portano alla frustrazione e alla rabbia. Questo è stato sempre così: la confusione su di Cristo e l'insegnamento della Chiesa suscita polemiche e divisioni religiose. Il gregge viene disperso, se le pecore non riconoscono il tuo pastore!

La gente dice, «Sappiamo da dove viene quest’uomo. Invece, quando il Cristo verrà, nessuno saprà da dove» (Gv 7,27), e concludono che Gesù non può essere il Messia perché Egli non risponde all'immagine di " Messiah ", in cui erano stati istruiti. Inoltre, sanno che i capi dei sacerdoti vogliono ucciderlo, ma allo stesso tempo vedono como Egli si muove liberamente senza essere arrestato. Quindi si domandano se forse le autorità «abbiano capito, dopo tutto, che è davvero lui il Cristo?» (Gv 7,26).

Gesù salva la confusione identificandosi Lui stesso come colui spedito da quello che è “veritiero” (cfr Gv 7,28). Cristo è consapevole della situazione, tale come ci relatta Giovanni, e non viene toccato da nessuno perché per Lui non è ancora il momento di rivelare pienamente la sua identità e missione. Gesù sfida le aspettative mostrandosi, non come un lider conquistatore che arriva per rovesciare il dominio romano, ma come il “Servo Sofferente” di Isaia.

Il Papa Francesco scrisse: "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che sono con Gesù." È urgente per noi per aiutare ciascuno di andare oltre le ipotesi ei pregiudizi su chi è Gesù e che cosa è la Chiesa, e anche di facilitare l'incontro con Gesù. Quando una persona viene a sapere che Gesù è veramente, allora abbondante gioia e pace.
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16/03/2018 22:48
 
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Mai un uomo ha parlato così!»

Abbé Fernand ARÉVALO
(Bruxelles, Belgio)


Oggi, il Vangelo ci presenta le diverse reazioni che producevano le parole di Gesù. Questo testo di Giovanni non ci offre nessuna parola del Maestro, ma sì le conseguenze di quello che Lui diceva. Alcuni pensavano che era un profeta, altri dicevano: «Costui è il Cristo» (Gv 7,41).

Realmente Gesù è quel “segno di contraddizione” che Simeone aveva annunciato a Maria (cf. Lc 2,34). Gesù non lasciava indifferenti quelli che l’ascoltavano, a tal punto che, in questa occasione come in molte altre «tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui» (Gv 7,43). La risposta delle guardie, che pretendevano arrestare il Signore, centra la questione e ci mostra la forza delle parole di Cristo: «Mai un uomo ha parlato così» (Gv 7,46). E’, come dire: le Sue parole sono differenti; non sono parole vuote piene di superbia e di ipocrisia. Lui è “la Verità” ed il Suo modo di esprimersi dimostra questo fatto.

E, se questo succedeva in relazione ai Suoi ascoltatori, con maggior ragione le sue azioni provocavano molte volte lo stupore, l’ammirazione, ma anche la critica, la mormorazione, l’odio... Gesù parlava il “linguaggio della carità”: le Sue parole e le Sue opere svelavano l’amore profondo che sentiva verso tutti gli uomini, particolarmente verso i più bisognosi.

Oggi, come allora, i cristiani siamo –dobbiamo essere- “segni di contraddizione”, perché parliamo ed agiamo non come gli altri. Noi, nell’imitare e nel seguire Gesù, dobbiamo usare lo stesso “linguaggio della carità e dell’affetto”, linguaggio necessario che, dopo tutto, tutti sono capaci di capire. Come ha scritto il Santo Padre Benedetto XVI nella Sua Enciclica `Deus charitas est´, «l’amore –caritas- sarà sempre necessario, financo nella società più giusta (...) Chi cerca di disinteressarsi dell’amore si prepara a disinteressarsi dell’uomo in quanto uomo».
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19/03/2018 11:11
 
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Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa»

+ Mons. Ramon MALLA i Call Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)


Oggi, la Chiesa celebra la festa di San Giuseppe, lo sposo di Maria. E’, diremmo, una parentesi festiva dentro l’austerità della Quaresima. L’allegria di questa festa, però, non risulta essere un ostacolo per continuare il nostro cammino di conversione che è proprio del tempo quaresimale.

E’ bravo chi, alzando il suo sguardo, si sforza perché la propria vita si adatti al progetto di Dio. Ed è bravo chi, guardando gli altri, cerca di interpretare sempre nel migliore dei modi tutte le azioni che realizzano e salva la buona fama. Nei due aspetti di bontà, ci viene presentato san Giuseppe nel Vangelo di oggi.

Dio ha, per ognuno di noi, un progetto d’amore, perché «Dio è amore» (1Gv 4,8). La durezza della vita, però, fa sì che, qualche volta, non riusciamo a scoprirlo. Logicamente, poi, ci lagniamo e ci resistiamo ad accettare le croci.

Non dovette essere facile per san Giuseppe vedere che Maria «prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18). Aveva pensato di sciogliere l’accordo matrimoniale, ma, «in segreto» (Mt 1,19). E alla volta, quando «ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore» (Mt 1,20), rivelandogli che lui doveva essere il padre putativo del Bambino, l’accettò immediatamente «e prese con sè sua moglie» (Mt 1,24).

La Quaresima è una buona occasione per scoprire quello che aspetta Dio da noi e per rafforzare il nostro desiderio di tradurlo in pratica. Chiediamo al buon Dio, «per l’intercessione dello Sposo di Maria», come diremo nella colletta della Messa, che avanziamo nel nostro cammino di conversione, imitando San Giuseppe nell’accettare la volontà di Dio e nell’esercizio della carità verso il prossimo. Allo stesso tempo, teniamo presente che «tutta la Chiesa santa è debitrice verso la Vergine Madre, poiché per mezzo di Lei ha ricevuto Cristo, così pure, dopo di Lei, San Giuseppe è il più degno della nostra riconoscenza e riverenza» (San Bernardino di Siena).
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19/03/2018 23:43
 
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Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono»

Rev. D. Josep Mª MANRESA Lamarca
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)


Oggi, V martedì di Quaresima, a una settimana dalla contemplazione della Passione del Signore, Lui ci invita ad osservarlo anticipatamente redimendoci dalla Croce: «Gesù Cristo è il nostro Pontefice, il Suo corpo prezioso è il nostro sacrificio che Lui offrì sull’ara della Croce per la salvezza di tutti gl uomini» (San Giovanni Fisher).

«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo...» (Gv 8,28). Infatti, Cristo Crocifisso, -Cristo “innalzato” è il grande, definitivo segno d’amore del Padre verso l’umanità cadente. Le sue braccia aperte , distese tra il cielo e la terra, tracciano il segno incancellabile della Sua amicizia con noi uomini. Al contemplarlo così, alzato davanti al nostro sguardo peccatore, «sapremo che è Lui» (Gv 8,28), e allora, come quei giudei che l’ascoltavano, anche noi crederemo in Lui.

Solo l’amicizia di chi è familiarizzato con la Croce può offrirci la connaturalità per addentrarsi nel Cuore del Redentore. Pretendere un Vangelo senza Croce, spoglio del senso cristiano della mortificazione, o contagiato dall’ambiente pagano e naturalista che ci impedisce di capire il valore redentore della sofferenza, ci metterebbe nella terribile possibilità di ascoltare dalle labbra di Cristo: «Dopo tutto, non vale la pena di continuare a parlarci».

Che il nostro sguardo alla Croce, uno sguardo sereno e contemplativo, sia una domanda al Crocifisso che, senza suoni di parole Gli dica: «Tu, chi sei?» (Gv 8,25). Egli ci risponderà che è «il Cammino, la Verità e la Vita» (Gv 14,6), la Vite, alla quale se non siamo uniti, poveri tralci, non possiamo dare frutto, perché solo Lui ha parole di vita eterna. E così, se non crediamo che `Lui è´, moriremo per i nostri peccati. Vivremo tuttavia, e vivremo, già in questa terra, vita Celestiale, se impariamo da Lui la gioiosa certezza che il Padre è con noi, che non ci lascia soli. Così imiteremo il Figlio, facendo sempre quello che compiace al Padre.
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21/03/2018 10:34
 
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Se Dio fosse vostro padre, mi amereste»

Pe. Givanildo dos SANTOS Ferreira
(Brasilia, Brasile)


Oggi, il Signore dirige dure parole ai giudei. Non a qualsiasi giudeo, ma, precisamente, a quelli che abbracciarono la fede: Gesù disse « Ai giudei che avevano creduto in Lui» (Gv 8,31). Senza dubbio, questo dialogo di Gesù riflette l’inizio di quelle difficoltà causate dai primi cristiani giudaizzanti della Chiesa, nei suoi inizi.

Come erano discendenti di Abramo, per consanguineità, questi discepoli di Gesù si consideravano superiori, non solo alle moltitudini che vivevano lontani dalla fede, ma si consideravano superiori a qualunque discepolo non giudeo, anche se partecipasse della stessa fede. Essi dicevano: «Noi siamo discendenti di Abramo» (Gv 8,33); «Il padre nostro è Abramo» (v. 39); «Solo abbiamo un padre, Dio» (v. 41). Nonostante fossero discepoli di Gesù, abbiamo l’impressione che Gesù non rappresentava nulla per loro, che non acrresceva nulla a ciò che già possedevano. Ma è precisamente lì dove si trova il grande errore di tutti loro. I veri figli non sono i discendenti per consanguineità, ma gli eredi della promessa, cioè quelli che credono (cf. Rom 9,6-8). Senza la fede in Gesù, non è possibile che qualcuno raggiunga la promessa di Abramo. Perciò, tra i discepoli, “non ci sono giudei o greci; non ci sono schiavi o liberi; non ci sono uomini o donne”, perché tutti siamo fratelli per il battesimo (cf. Gal 3,27-28).

Non lasciamoci sedurre dall’orgoglio spirituale. I giudeizzanti si consideravano superiori agli altri cristiani. Non è necessario parlare qui dei fratelli separati. Pensiamo, però, a noi stessi. Quante volte alcuni cattolici si considerano migliori di altri cattolici, solo perché seguono questo o quel movimento o perché osservano questa o quella disciplina, o perché ubbidiscono a questo o quell’uso litúrgico. Alcuni, perché sono ricchi, altri, perché studiarono di più, alcuni perché occupano cariche importanti, altri perché provengono da famiglie nobili. «Vorrei che ognuno di voi sentisse la gioia di essere cristiano… Dio guida la Sua Chiesa, è sempre il suo sostegno, anche e specialmente nei momento difficili» (Benedetto XVI)
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22/03/2018 09:02
 
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Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia»

Rev. D. Enric CASES i Martín
(Barcelona, Spagna)


Oggi, San Giovanni ci pone di fronte a una manifestazione di Gesù nel Tempio. Il Salvatore svela un fatto sconosciuto per i giudei: che Abramo vide e si rallegrò, al contemplare il giorno di Gesù. Tutti sapevano che Dio aveva fatto un’alleanza con Abramo, rassicurandolo con grandi promesse di salvazione per la sua discendenza. Ignoravano, tuttavia, fino a che punto arrivava la luce di Dio. Cristo svela che Abramo vide il Messia nel giorno di Giavè che Lui chiama `il mio giorno´.

In questa rivelazione Gesù dimostra di essere in possesso della visione eterna di Dio. Ma, soprattutto, si rivela come una persona preesistente e presente nel tempo di Abramo. Poco dopo, nell’impeto della discussione, quando Gli allegano che non ha ancora cinquant'anni, dice loro: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono» (Gv 8,58). E’ questa una dichiarazione notevole della Sua divinità; potevano capirla perfettamente e anche avrebbero potuto credere se avessero conosciuto di più il Padre. L’espressione ”Io sono” forma parte del tetragramma santo di Giavè, svelato sul monte Sinai.

Il cristianesimo è qualcosa di più di un insieme di regole morali elevate, come possono essere l’amore perfetto, o, perfino, il perdono. Il cristianesimo è la fede in una persona. Gesù è Dio e uomo vero. «Perfetto Dio e perfetto Uomo», dice il Simbolo Attanasiano. Sant’Ilario di Poitier scrive in una bella preghiera: «Concedici, dunque, un modo di esprimerci appropriato e degno; illumina la nostra intelligenza, fa sì che le nostre parole siano espressioni della nostra fede, cioè, che noi, per mezzo dei profeti e degli Apostoli, conosciamo te, Dio Padre e l’unico Signore Gesù Cristo, possiamo pure onorare Te come Dio, nel quale non c’ è unicità di persona, e riconoscere Tuo Figlio, in tutto identico a Te».
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23/03/2018 09:47
 
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Per quale di esse volete lapidarmi?»

Rev. D. Carles ELÍAS i Cao
(Barcelona, Spagna)


Oggi, venerdì, quando manca solo una settimana per commemorare la morte del Signore, il Vangelo ci presenta i motivi della Sua condanna. Gesù cerca di dimostrare la verità, ma i giudei Lo giudicano quale blasfemo e reo di essere lapidato. Gesù parla delle opere che fa, delle opere di Dio che lo accreditano motivo per cui, può dare a se stesso il titolo di “Figlio di Dio”... Non ostante parla da livelli difficili da capire per i suoi avversari “essere nella verità”, “ascoltare la Sua voce...”; parla loro del seguimento e del compromesso verso la Sua persona facendo sì che Gesù sia conosciuto e amato. - «Maestro, dove dimori?» (Gv 1,38) gli domandarono i Suoi discepoli all’inizio del Suo ministero-. Tutto, però, sembra inutile: è così grande quello che Gesù cerca di dire, che non possono capirLo, solamente potranno capirlo i piccoli ed i semplici, perché il Regno rimane occulto ai sapienti ed ai dotti.

Gesù lotta per presentare argomenti che possano accettare, ma il tentativo risulta vano. Di fatto, morirà per dire la verità su se stesso, per essere fedele a se stesso, alla Sua identità ed alla Sua missione. Come profeta, lancerà una chiamata alla conversione e sarà respinto, un nuovo volto di Dio e verrà sputato, una nuova fraternità e sarà abbandonato.

Nuovamente si innalza la Croce del Signore con tutto il suo vigore, come un autentico vessillo, come unica ragione indiscutibile; «Oh ammirevole virtù della santa croce! Oh ineffabile gloria del Padre! In essa possiamo considerare il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e il potere del crocificato. Oh sì, Signore: attraesti a Te tutte le cose quando «tenendo tesa la mano ogni giorno a un popolo incredulo e ribelle» (Is 65,2), e tutto l’universo capì che doveva rendere omaggio alla tua maestà!» (San Leone Magno). Gesù deve fuggire all’altra sponda del Giordano e quelli che veramente credono in Lui, si trasferiscono verso l’altra sponda anche loro, pronti a seguirLo e ad ascoltarLo.
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23/03/2018 23:26
 
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Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»

Rev. D. Xavier ROMERO i Galdeano
(Cervera, Lleida, Spagna)


Oggi, in cammino verso Gerusalemme, Gesù sa di essere perseguitato, vigilato, sentenziato, perché quanto più grande e inedita è stata la Sua rivelazione –l’annuncio del Regno- più ampia e più chiara è stata la divisione e l’opposizione che ha trovato fra gli ascoltatori (cf.Gv 11,45-46).

Le parole negative di Caifa, «E’ conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo e non vada in rovina la nazione intera!» (Gv 11,50), Gesù le assumerà positivamente per il compimento della nostra redenzione. Gesù, il Figlio Unigenito di Dio, sulla Croce muore per amore a tutti noi! Muore per realizzare il progetto del Padre, cioè «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52).

Ed è questa la meraviglia e la creatività del nostro Dio! Caifa, con la sua sentenza («E’ conveniente per voi che un solo uomo muoia...») non fa altro che, per odio, eliminare un idealista; invece, Dio Padre, all’inviare Suo Figlio, per amore verso di noi, fa qualcosa di meraviglioso: trasforma quella sentenza malevola in un atto d’amore redentore, perché per Iddio Padre, ogni uomo ha il valore di tutto il sangue sparso da Gesù Cristo!

Tra una settimana –nella solenne vigilia pasquale- canteremo il `Preconio Pasquale´ Attraverso questa meravigliosa preghiera, la Chiesa elogia il peccato originale. E non lo fa perché ignori la sua gravità, ma perché Dio, -nella Sua bontà infinita- ha realizzato `prodigi´ come risposta al peccato dell’uomo. Vuol dire che, di fronte al “dolore originale”, Lui ha risposto con l’Incarnazione, con l’immolazione personale e con l’istituzione dell’Eucaristia. Perciò la liturgia, il prossimo sabato canterà: «Che meraviglioso beneficio del tuo amore per noi! Che incomparabile tenerezza e carità! Oh felice colpa che ci fece meritare un sì grande Redentore!».

Voglia il Cielo che i nostri pensieri, parole e azioni, non siano di impedimento per la evangelizzazione, giacché da Cristo abbiamo ricevuto anche noi la missione di riunire i figli di Dio dispersi: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19).
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25/03/2018 09:08
 
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Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, nella Liturgia della Parola si legge la Passione del Signore secondo San Marco ed ascoltiamo una testimonianza che ci fa sussultare: «Davvero quest’uomo era figlio di Dio!» (Mc 15,39). L’evangelista è molto cauto nel mettere queste parole sulle labbra di un centurione romano, il quale stupito, aveva assistito ad un’altra delle tante esecuzioni in funzione della sua permanenza in un paese straniero e sottomesso.

Non deve essere facile chiedersi cosa visse su Quel volto –sfigurato- per emettere una simile espressione. In un modo o nell’altro dovette riconoscere un volto innocente, forse tradito e lasciato alla mercé di interessi privati; o forse di qualcuno oggetto di un’ingiustizia in mezzo a una società poco giusta; qualcuno che tace, sopporta e, anche misteriosamente, accetta tutto quello che gli viene addosso. Forse, addirittura, potrebbe sentirsi collaboratore di una ingiustizia, difronte alla quale non non reagisce per fermarla, come molti altri si lavano le mani davanti ai problemi altrui.

L’immagine di quel centurione romano è l’immagine dell’Umanità che contempla. E’, allo stesso tempo, la professione di fede di un pagano. Gesù muore solo, innocente, picchiato, abbandonato e fiducioso a sua volta, con un senso profondo della sua missione, con “tracce d’amore” che i colpi hanno lasciato sul suo corpo.

Ma prima –alle porte di Gerusalemme- lo hanno salutato come Colui che viene nel nome del Signore (cf. Mc 11,9). Il nostro entusiasmo quest’anno non è una aspettativa, eccitante e senza conoscenza, come quella degli abitanti di Gerusalemme. Il nostro entusiasmo si dirige a Colui che ha già superato l’avversità della donazione totale e dalla quale è uscito vittorioso. Infine, «noi dovremmo inchinarci ai piedi di Cristo, non mettendo sotto i suoi piedi i nostri vestiti o qualche ramo inerte, che ben presto perderebbero la loro freschezza, il loro frutto e il loro aspetto attraente, ma rivestendoci della sua grazia» (S. Andrea di Creta).
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26/03/2018 07:49
 
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Cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)


Oggi, nel Vangelo, sono riassunti due atteggiamenti su Dio, Gesù Cristo e la vita stessa. Di fronte all’unzione che Maria fa al suo Signore, Giuda protesta: «Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: ‘Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?’» (Gv 12,4-5). Ciò che dice non è assurdo, anzi, collimava con la dottrina di Gesù. Ma è molto facile protestare su quello che fanno gli altri, anche se non c’è una seconda intenzione come nel caso di Giuda.

Qualsiasi protesta deve essere un atto di responsabilità: con la protesta ci dobbiamo impostare come agiremmo noi, cosa saremmo disposti a fare. Altrimenti, la protesta può essere solo –come in questo caso– la lamentela di coloro che agiscono male di fronte a coloro che cercano di fare le cose nei migliori dei modi.

Maria unge i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli, perché crede che è quello che deve fare. È un’azione intrisa di una splendida magnanimità: lo fece prendendo «trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso» (Gv 12,3). È un atto d’amore e, come ogni atto d’amore, difficile da capire per coloro che non lo condividono. Credo che, a partire da quel momento, Maria capì ciò che secoli più tardi scriveva sant’Agostino: «Forse in questa terra i piedi del Signore sono ancora bisognosi. Perciò di chi, al di fuori dei suoi membri disse: ‘Ogni cosa che farete a uno solo di questi piccoli... lo avete fatto a me? Voi spendete ciò che vi è superfluo, ma avete fatto qualcosa di veramente grato per i miei piedi’».

La protesta di Giuda non ha nessuna utilità, lo porta solo al tradimento. L’azione di Maria, invece, la porta ad amare di più il suo Signore e, come conseguenza, ad amare di più i “piedi” di Cristo che ci sono in questo mondo.
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27/03/2018 08:52
 
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Ed era notte»

Abbé Jean GOTTIGNY
(Bruxelles, Belgio)


Oggi, Martedì Santo, la liturgia sottolinea il dramma che sta per scatenarsi e che concluderà con la crocifissione del Venerdì Santo. «Preso il boccone (Giuda), egli subito uscì. Ed era notte» (Gv 13,30). Sempre è di notte quando ci si allontana da quello che è "Luce di Luce, Dio vero di Dio vero» (Simbolo niceno-costantinopolitano).

Il peccatore è colui che da la spalla al Signore per gravitare intorno alle cose create, senza riferirle al Creatore. Sant'Agostino descrive il peccato come "un amore a se stesso fino al disprezzo di Dio". Insomma, un tradimento. Una prevaricazione frutto della «arroganza con cui vogliamo emanciparci da Dio per non essere altro che noi stessi, l'arroganza per la quale crediamo di non aver bisogno di amore eterno, poiché vogliamo dominare la nostra vita per noi stessi» (Benedetto XVI). Si può capire che Gesù, quella sera, si "commosse profondamente" (Gv 13,21).

Fortunatamente, il peccato non è l'ultima parola. Questa è la misericordia di Dio. Ma essa suppone un "cambio" da parte nostra. Una inversione della situazione che consiste nel distaccarsi dalle creature per legarsi a Dio e ritrovare così la autentica libertà. Ma non aspettiamo ad essere nauseati delle false libertà che ci siamo presi, per cambiare a Dio. Come denunciò il padre gesuita Bourdaloue " vorremmo convertirci, quando siamo stanchi del mondo, o meglio, quando il mondo sia stanco di noi". Cerchiamo di essere più furbi. Decidiamoci adesso. La Settimana Santa è l'occasione propizia. Sulla croce, Cristo, tende le sue braccia a tutti. Nessuno è escluso. Tutto ladrone pentito ha un posto in paradiso. Questo sì, a condizione di cambiare vita e di riparare, come quello del Vangelo: "Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male" (Lc 23,41).
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28/03/2018 09:33
 
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In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)


Oggi, il Vangelo ci propone -almeno- tre considerazioni. La prima è che, quando l'amore verso il Signore si intiepidisce, allora la volontà cede ad altri reclami, dove la voluttuosità sembra offrirci piatti più saporiti, ma in realtà, condimentati da veleni degradanti e inquietanti. Data la nostra nativa debolezza, non dobbiamo permettere che diminuisca il fuoco del fervore che, se non sensibile,(sensibilmente) almeno mentale,(mentalmente) ci unisce a Colui che ci ha amati fino ad offrire la sua vita per noi.

La seconda considerazione si riferisce alla scelta misteriosa del luogo dove Gesù vuole consumare la sua cena pasquale. «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli» (Mt 26,18). Il proprietario della casa, forse non era un amico dichiarato del Signore, però doveva avere l'orecchio attento per ascoltare le chiamate "interiori". Il Signore gli avrebbe parlato nell’intimo–come spesso ci parla- attraverso mille incentivi perché Gli aprisse la porta. La sua fantasia e la sua onnipotenza, sostegni dell’amore infinito con cui ci ama, non conoscono confini e si esprimono sempre in modo adeguato ad ogni situazione personale. Quando sentiremo la chiamata dovremo "rinunciare", lasciando da parte i sofismi e accettare allegramente questo "messaggero liberatore". E' come se qualcuno si presentasse alla porta della prigione e ci invitasse a seguirlo, come fece l'Angelo con Pietro dicendogli: «Presto, alzati e seguimi!» (Atti. 12,7).

Il terzo motivo per la meditazione ce lo offre il traditore che cerca di nascondere il suo crimine davanti allo sguardo scrutatore dell’Onnisciente. Lo avevano già intentato lo stesso Adamo e dopo il figlio fratricida, Caino, ma inutilmente. Prima di essere il nostro esattissimo Giudice, Dio si presenta come padre e madre, che non si rassegna all'idea di perdere un figlio. Gesù soffre con tutto il cuore non tanto per essere stato tradito ma per vedere un figlio che si allontana irrimediabilmente da Lui.
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29/03/2018 08:06
 
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Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri»

Mons. Josep Àngel SAIZ i Meneses Vescovo di Terrassa
(Barcelona, Spagna)


Oggi, ricordiamo quel primo Giovedì Santo della storia, in cui Gesù incontra i suoi discepoli per celebrare la Pasqua. Allora inaugurò la nuova Pasqua della nuova Alleanza, nella quale si offre in sacrificio per la salvezza di tutti.

Nella Santa Cena, allo stesso tempo che l'Eucaristia, Cristo istituisce il sacerdozio ministeriale. Per mezzo di questo, si potrà perpetuare il sacramento dell'Eucaristia. Il prefazio della Messa Crismale ci rivela il significato: «Egli sceglie alcuni per farli partecipi del suo ministero santo, affinché rinnovino il sacrificio della redenzione, alimentino il tuo popolo con la tua Parola e lo confortino con i tuoi sacramenti».

E quello stesso Giovedì, Gesù ci dà il comandamento dell'amore: «che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato» (Gv 13,34). Prima, l'amore si basava sul premio ricevuto a cambio, o nel compimento di una regola imposta. Ora, l'amore cristiano si basa in Cristo. Egli ci ama fino a dare la vita: questa deve essere la misura dell'amore del discepolo e deve essere il segnale, la caratteristica del riconoscimento cristiano.

Ma l'uomo non ha la capacità di amare così. Non è semplicemente frutto di uno sforzo, ma un dono di Dio. Fortunatamente, Egli è Amore e, allo stesso tempo, fonte d’amore, dato a noi nel Pane Eucaristico.

Infine, oggi contempliamo la lavanda dei piedi. In atteggiamento di servo, Gesù lava i piedi degli apostoli, e raccomanda che lo facciano gli uni con gli altri (cfr Gv 13,14). C'è qualcosa di più che una lezione di umiltà in questo gesto del Maestro. È come un anticipo, come simbolo della Passione, della umiliazione totale che soffrirà per salvare tutti gli uomini.

Il teologo Romano Guardini dice che «l'atteggiamento del piccolo che si inclina davanti al grande, tuttavia non è umiltà. È semplicemente verità. Il grande che si umilia davanti al piccolo è il vero umile». Per questo, Gesù Cristo è autenticamente umile. Davanti a questo Cristo umile i nostri schemi si rompono. Gesù inverte i valori puramente umani e ci invita a seguirlo per costruire un mondo nuovo dal servizio.
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30/03/2018 10:51
 
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Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: È compiuto!. E, chinato il capo, consegnò lo spirito»

Rev. D. Francesc CATARINEU i Vilageliu
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, celebriamo il primo giorno del Triduo Pasquale. Pertanto è il giorno della Croce Vittoriosa da dove Gesù ci ha lasciato il meglio di se stesso: Maria come Madre, il perdono —anche dei suoi carnefici— e la fiducia totale in Dio Padre.

Lo abbiamo sentito nella lettura della Passione che ci trasmette la testimonianza di Giovanni presente nel calvario con Maria, la Madre del Signore e le donne. È una narrazione ricca in simbologia, dove ogni piccolo dettaglio, ha senso. Però anche il silenzio e la austerità della Chiesa, oggi, ci aiuta a vivere in un clima di preghiera, molto attenti al dono che celebriamo.

Davanti a questo grande mistero, siamo chiamati —innanzitutto— a vedere. La fede cristiana non è la relazione reverenziale verso un Dio lontano e astratto sconosciuto, ma la adesione a una persona, vero uomo come noi e allo stesso tempo vero Dio. L’invisibile si è fatto carne della nostra carne ed ha assunto di essere uomo fino alla morte e una morte di croce. Però fu una morte accettata come riscatto per tutti, morte redentrice, morte che ci dà vita. Quelli che erano lì e videro, ci trasmisero i fatti e allo stesso tempo, ci rivelarono il significato di quella morte.

Dinanzi a questo, sentiamo gratitudine e ammirazione. Conosciamo il prezzo dell’amore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).

La preghiera cristiana non è solamente chiedere, ma –innanzitutto– ammirare riconoscenti.

Gesù per noi, è modello che bisogna imitare, vale a dire riprodurre in noi le sue attitudini. Dobbiamo essere persone che amano fino a donarsi e fiduciose nel Padre in tutte le avversità.

Questo è in contrasto con l’atmosfera indifferente della nostra società, perciò il nostro testimonio deve essere più coraggioso che mai, già che il dono è per tutti. Cosi dice Melitòn de Sardes, «Egli ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Egli è la Pasqua della nostra salvezza».
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31/03/2018 08:51
 
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P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)


Oggi non meditiamo un vangelo in particolare, dal momento che è un giorno senza liturgia. Ma, con Maria, l'unica che è rimasta ferma nella fede e nella speranza, dopo la tragica morte del suo Figlio, ci prepariamo, nel silenzio e nella preghiera, per celebrare la festa della nostra liberazione in Cristo, che è il compimento del Vangelo.

La coincidenza temporale dei fatti tra la morte e la risurrezione del Signore e la festa annuale della Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù d'Egitto, permette di capire il senso liberatorio della croce di Gesù, nuovo agnello pasquale il cui sangue ci preserva dalla morte.

Un'altra coincidenza nel tempo, meno segnalata ma molto ricca nel significato, è quella con la festa ebraica settimanale del "Sabbat". Comincia nel pomeriggio di Venerdì, quando la madre di famiglia spegne le luci in ogni casa ebraica, e finalizza Sabato pomeriggio. Questo ricorda che dopo l'opera della creazione, dopo aver fatto il mondo dal nulla, Dio riposò il settimo giorno. Egli ha voluto che anche l'uomo riposasse il settimo giorno, in ringraziamento per la bellezza dell'opera del Creatore, e come segno del patto d’amore tra Dio e Israele, essendo invocato Dio nella liturgia ebraica del sabato come lo sposo d’Israele. La domenica è il giorno in cui tutti sono invitati ad accogliere la pace di Dio, la sua "Shalom".

Così, dopo il doloroso lavoro della croce "ritocco in cui l'uomo è battuto di nuovo" in espressione di Caterina da Siena, Gesù entra nel suo riposo nel momento stesso in cui si accendono le prime luci del Sabbat: "Tutto è compiuto" (Gv 19,3). Ora he finito il lavoro della nuova creazione: l’uomo prigioniero una volta del nulla del peccato, diventa una nuova creatura in Cristo. Una nuova alleanza tra Dio e l'umanità, che nulla potrà mai spezzare, è stata appena sigillata, perché d'ora in poi tutta infedeltà può essere lavata nel sangue e l'acqua che scorrono dalla croce.

La Lettera agli Ebrei dice: «È dunque riservato ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio» (Eb 4:9). La fede in Cristo ci dà accesso ad esso. Che il nostro vero riposo, la nostra pace profonda, non quella di un solo giorno, ma per tutta la vita, sia una totale speranza nella misericordia infinita di Dio, secondo l'invito del Salmo 16: «Anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi» Prepariamoci con un cuore nuovo a celebrare nella gioia le nozze dell’Agnello, e lasciamoci sposare pienamente per l'amore di Dio manifesto in Cristo.
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01/04/2018 09:30
 
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Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette»

Mons. Joan Enric VIVES i Sicília Vescovo di Urgell
(Lleida, Spagna)


Oggi «è il giorno fatto dal Signore», canteremo per tutta la Pasqua. Ed è che questa espressione del Salmo 117 invade la celebrazione della fede cristiana. Il Padre ha risuscitato suo Figlio Gesù Cristo, l'Amato, Quello in cui si compiace perché ha amato fino a dare la propria vita per tutti.

Viviamo la Pasqua con grande gioia. Cristo è risorto! Celebriamola pieni di gioia e di amore. Oggi, Gesù Cristo ha vinto la morte, il peccato, la tristezza ... e ci ha aperto le porte della nuova vita, la autentica vita, quella che lo Spirito Santo ci va dando per pura grazia. Che nessuno sia triste! Cristo è la nostra Pace e il nostro Cammino per sempre. Egli, ora «svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 22).

Il grande segno che oggi ci dà il Vangelo è che la tomba di Gesù è vuota. Non dobbiamo più cercare tra i morti Quello che vive, perché è risorto. E i discepoli, che dopo lo vedranno Risorto, vale a dire, lo sperimenteranno vivo in un incontro di fede meraviglioso, comprendono che c’è un vuoto nel luogo della sua sepoltura. La tomba vuota e le apparizioni saranno i grandi segni per la fede del credente. Il Vangelo dice che «entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). Seppe avvertire per la fede che quel vuoto e, allo stesso tempo, quel lenzuolo funebre e quel sudario piegato ordinatamente erano piccoli segni del passaggio di Dio, della nuova vita. L'amore sa captare ciò che gli altri non captano, e ne ha abbastanza con piccoli segni. Il «discepolo che Gesù amava» (Gv 20,2) si guidava per l'amore che aveva ricevuto da Cristo.

"Vedere e credere" dei discepoli che devono essere anche nostri. Rinnoviamo la nostra fede pasquale. Che Cristo sia in tutto il nostro Signore. Lasciamo che la sua Vita vivifichi la nostra e rinnoviamo la grazia battesimale che abbiamo ricevuto. Facciamoci apostoli e discepoli suoi. Facciamoci guidare dall'amore e annunciamo a tutto il mondo la gioia di credere in Gesù Cristo. Siamo testimoni fiduciosi della sua Risurrezione.
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02/04/2018 07:40
 
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Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli»

Rev. D. Joan COSTA i Bou
(Barcelona, Spagna)


Oggi, l’allegria della risurrezione, fa delle donne che erano andate al sepolcro, delle coraggiose messaggere di Cristo. «Una grande allegria» sentono nei loro cuori per l’annuncio dell’ angelo sulla risurrezione del Maestro. Ed escono “correndo” dal sepolcro per annunciarlo agli Apostoli. Non possono rimanere inattive ed i loro cuori scoppierebbero se non lo annunciassero a tutti i discepoli. Risuonano nelle nostre anime le parole di Paolo: «L’amore di Cristo infatti ci possiede» (2 Cor 5,14).

Gesù finge di incontrarsi per caso: con Maria Maddalena e anche con l’altra Maria –così ringrazia Cristo e ricompensa la osadia di chi lo cerca di buon mattino-, e lo fa anche con tutti gli uomini e donne del mondo. Ancora di più, per mezzo della Sua Incarnazione, si è unito, in un certo modo, ad ogni essere umano.

Gli atteggiamenti delle donne, davanti la presenza del Signore, esprimono le attitudini più profonde dell’essere umano di fronte a Colui che è il nostro Creatore e Redentore: la sottomissione -«gli abbracciarono i piedi» (Mt 28,9)- e l’adorazione. Che grande lezione per imparare a stare davanti a Cristo Eucaristia!

«Non temete» (Mt 28,10), dice Gesù alle sante donne. Paura del Signore? Mai, se è l’Amore di ogni amore! Paura di perderlo? Sì, perché conosciamo la nostra debolezza. Perciò ci afferriamo fortemente ai Suoi piedi. Come gli Apostoli nel mare in tempesta e i discepoli di Emmaus Gli chiediamo: “Signore non lasciarci!”

E il Maestro invia le donne ad annunciare la buona novella ai discepoli. Questo è anche compito nostro e missione divina fin dal giorno del nostro battesimo: annunciare Cristo in tutto il mondo, «perché tutto il mondo possa trovare Cristo, perché Cristo possa percorrere con ciascuno di noi il cammino della vita, con la forza della verità (...) contenuta nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, con la forza dell’amore che irradia da essa» (Giovanni Paolo ll).
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02/04/2018 23:06
 
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Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore!»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)


Oggi, nella figura di Maria Maddalena, possiamo considerare due livelli di accettazione del nostro Salvatore: imperfetto, il primo, completo il secondo. Dal primo, Maria si manifesta come sincerissima discepola di Gesù. Lei segue Lui, Maestro incomparàbile; Gli è eroicamente unita, quando lo vede Crocificato per amore; Lo cerca oltre la morte, sepolto e scomparso. Come sono impregnate di ammirevole dedicazione, verso il Suo “Signore,” sono le due esclamazioni che ci conservò, come perle incomparabili, l’evangelista Giovanni; «Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l´hanno posto» (Gv 20,30); «Signore, se L’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo»! (Gv 20,15). Pochi discepoli ha contemplato la storia con tanta consacrazione e tanta lealtà come dimostrò Maddalena.

Tuttavia, la buona notizia di oggi, di questo martedì della ottava di Pasqua, supera infinitamente tutta la bontà etica e tutta la fede religiosa in un Gesù ammirevole, ma, in ultima istanza, morto; e ci trasporta nell’ambito della fede nel Risuscitato. Quel Gesù che, in un primo momento, lasciandola al livello della fede imperfetta, si dirige alla Maddalena, domandandole: «Donna, perché piangi?» (Gv 20,15) e a cui lei, con occhi da miope, risponde, come se si trattasse di un ortolano che si interessa della sua insipidità; quel Gesù, adesso, in un secondo momento, definitivo, la chiama per nome: «Maria!» e la commuove fino al punto di farla sussultare di risurrezione e di vita, cioè, di Sé stesso, il Risuscitato, il Vivente per sempre. Il risultato? Maddalena credente e Maddalena apostola: «Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: Ho visto il Signore!» (Gv 20,18).

Oggi non è raro il caso di cristiani che non vedono chiaro l’aldilà di questa vita e che dubitano della risurrezione di Gesù. Mi trovo fra di loro? Allo stesso modo ci sono numerosi cristiani che hanno sufficiente fede per seguirLo privatamente, ma che hanno paura di proclamarLo apostolicamente. Faccio parte di questo gruppo? Se così fosse, come Maria Maddalena, diciamoGli: -Maestro!, abbracciamoci ai Suoi piedi, e andiamo all’incontro dei nostri fratelli, per dir loro: -Il Signore è risuscitato e l’ho visto.
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04/04/2018 09:08
 
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Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?»

P. Luis PERALTA Hidalgo SDB
(Lisboa, Portogallo)


Oggi, il Vangelo ci assicura che Gesù è vivo e rimane il centro su cui costruire la comunità dei discepoli. Ed è in questo contesto ecclesiale –nell’incontro comunitario, nel dialogo con i fratelli che condividono la stessa fede, nell'ascolto comunitario della Parola di Dio, nell’ amore condiviso in gesti di fratellanza e di servizio- che i discepoli possono avere l'esperienza dell¡incontro con Gesù risorto.

I discepoli carichi di pensieri tristi, non immaginavano che quello sconosciuto fosse infatti il maestro, già risorto. Ma sentivano «bruciare» il cuore (cfr Lc 24,32), quando Egli gli parlava: «spiegando» le Scritture. La luce della Parola dissipava la durezza del loro cuore e «si aprirono loro gli occhi» (Lc 24, 31).

L'icona dei discepoli di Emmaus serve a guidare il lungo cammino dei nostri dubbi, preoccupazioni e delusioni a volte amare. Il divino Viaggiatore resta il nostro compagno per introdurci, con l’interpretazione della Scrittura, nella comprensione dei misteri di Dio. Quando l’incontro diventa pieno, la luce della Parola segue la luce che germoglia dal «Pan di Vita", con cui Cristo compie in modo supremo la promessa di «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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06/04/2018 08:18
 
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Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti»

Rev. D. Joaquim MONRÓS i Guitart
(Tarragona, Spagna)


Oggi, Gesù, per la terza volta, dopo la Sua Risurrezione, appare ai Suoi discepoli. Pietro è tornato alla sua attività di pescatore e gli altri decidono di accompagnarlo. E’ lògico che se era pescatore prima di seguire Gesù, che continui ad esserlo dopo; e, tuttavia, c’è chi si meraviglia che non si debba abbandonare il proprio lavoro, onesto, per seguire Cristo.

Quella notte non pescarono nulla! Quando all’alba appare Gesù, non lo riconoscono, fino a quando non chiede loro qualcosa da mangiare. Quando Gli dicono che non hanno niente, Lui indica loro dove devono gettare la rete. Malgrado i pescatori sappiano bene il loro mestiere, in questo caso, dopo essersi prodigati senza risultati, ubbidiscono. « Potere dell'obbedienza! —Il lago di Genesaret negava i suoi pesci alle reti di Pietro. Tutta una notte invano. —Ma ora le reti sono gettate per obbedienza: e pescano una grande quantità di pesci.–Credimi: il miracolo si ripete ogni giorno.» (San Josemaria).

L’Evangelista fa osservare che erano «centocinquantatrè» pesci grandi (cf.Gv 21,11) e che nonostante fossero tanti, non si ruppero le reti. Sono particolari che bisogna prendere in considerazione, giacché la Redenzione viene realizzata con obbedienza responsabile, tra compiti usuali.

Tutti sapevano «che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro» (Gv 21,12-13). Lo stesso fece con i pesci. Tanto l’alimento spirituale, come pure l’alimento materiale, non mancherà se ubbidiamo. Lo insegna ai suoi discepoli più vicini, ce lo dice nuovamente per mezzo di Giovanni Paolo ll: «Al principio del nuovo millennio risuonano nel nostro cuore, le parole con cui un giorno Gesù (...) invitò l’Apostolo a `remare in alto mare: «Prendi il largo» (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni ebbero fiducia nella parola di Cristo (...) «e presero una quantità enorme di pesci» (Lc 5,6). Questa parola risuona ancora oggi per noi».

Per mezzo dell’ubbidienza, come quella di Maria, chiediamo al Signore che continui a concedere frutti apostolici per tutta la Chiesa.
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07/04/2018 08:39
 
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Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)


Oggi, fiduciosi in Gesù risorto, dobbiamo riscoprire il Vangelo come "buona novella". Il Vangelo non è una legge che ci opprime. Abbiamo mai avuto la tentazione di pensare che coloro che non sono cristiani sono più calmi di noi e fare quello che vogliono, mentre noi dobbiamo soddisfare una lista di comandamenti. Si tratta di una visione puramente superficiale delle cose.

Personalmente, una delle mie maggiori preoccupazioni è che il Vangelo venga presentato sempre come una buona notizia, lieta notizia, che riempia il cuore di gioia e di consolazione.

L'insegnamento di Gesù è senz’altro esigente, naturalmente, ma Teresa del Bambino Gesù, ci aiuta a percepirlo davvero come una buona notizia, dal momento che per essa il Vangelo non è altro che la rivelazione della tenerezza di Dio, la misericordia di Dio con ogni uno dei suoi figli, e segnala le leggi della vita che conducono alla felicità. Il centro della vita cristiana è accettare con gratitudine la tenerezza e la bontà di Dio —rivelazione del suo amore sua misericordioso— ed lasciarsi trasformare da questo amore.

Il cammino spirituale preso da Santa Teresa, la "piccola via", è un vero e proprio cammino di santità, una strada con spazio per tutti, fatto in modo tale che nessuno possa scoraggiarsi, né i più umili, né i più poveri, né i più peccatori. Teresa è così in anticipo al Concilio Vaticano II che afferma con sicurezza che la santità non è un cammino eccezionale, ma un invito a tutti i cristiani, della quale nessuno deve essere escluso. Anche il più vulnerabile e miserabile degli uomini può rispondere alla chiamata alla santità.

Questa santità consiste in un «cammino di fiducia e di amore». Così, « L'ascensore che deve innalzarmi al cielo, sono le vostre braccia, oh Gesù! (...). O mio Dio, hai superato ogni mia aspettativa e io voglio cantare le tue misericordie» (Santa Teresa di Lisieux).
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09/04/2018 06:17
 
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Rallégrati, piena di grazia»

Dr. Johannes VILAR
(Köln, Germania)


Oggi, nel «rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28), ascoltiamo per prima volta il nome della Madre di Dio: Maria (seconda frase, l'arcangelo Gabriele). Ella ha la pienezza della grazia e dei doni. Si chiama così: "keharitoméne", «piena di grazia» (saluto dell'Angelo).

Forse con 15 anni e da sola, Maria deve dare una risposta che cambierà tutta la storia dell'umanità. San Bernardo implorava: «ha posto nelle sue mani tutto il prezzo della nostra redenzione. Saremo liberati immediatamente, se tu dici di sì. Tutto l’orbe è ai tuoi piedi in attesa della tua risposta. Di la tua parola e genera il Verbo Eterno». Dio attende una risposta libera, e "La piena di grazia", in rappresentanza di tutti coloro che hanno bisogno di redenzione, Ella risponde: "génoitó" facciasi! Da oggi Maria he rimasta liberamente legata all’opera di suo Figlio, oggi inizia la sua mediazione. Dal oggi è madre di coloro che sono uno in Cristo (cf. Gal 3,28).

Benedetto XVI ha detto in un'intervista: «[Vorrei] risvegliare lo spirito di osare a prendere decisioni per sempre: solo queste permettono di crescere e andare avanti, nelle cose grandi della vita, non distruggono la libertà, ma permettono l'orientamento corretto. Prendendo questo rischio -il salto allo decisivo- e quindi accettare ls vita interamente, questo è ciò che desidero trasmettere». " Maria, ecco un esempio!

Neanche San Giuseppe è aldilà dei piani di Dio: lui deve accettare accogliere sua moglie e dare nome al Bambino (cfr Mt 1,20 s): Jeshua, "il Signore salva". E lo fa. Un altro esempio!

L'Annunciazione rivela anche la Trinità: il Padre manda il Figlio, incarnato per opera dello Spirito Santo. E la Chiesa canta: «Il Verbo eterno si fa ogg carne per noi». La sua opera redentrice, -Natale, Venerdì Santo, Pasqua- è presente in questo seme. Egli è l'Emanuele, «Dio con noi» (Is 7,15). Rallegrati umanità!

La feste di San Giuseppe e l'Annunciazione ci preparano ammirevolmente a celebrare i Misteri Pasquali.
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10/04/2018 08:37
 
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Dovete nascere dall’alto»

Rev. D. Xavier SOBREVÍA i Vidal
(Castelldefels, Spagna)


Oggi, Gesù espone la difficoltà di prevenire e conoscere lo Spirito Santo: infatti, «soffia dove vuole» (Gv 3,8). Questo è legato alla testimonianza che Lui stesso sta dando e la necessità di rinascere dall'alto. «Dovete rinascere dall'alto» (Gv 3,7), dice il Signore in modo chiaro; abbiamo bisogno di una nuova vita per poter entrare nella vita eterna. Non è sufficiente tirare avanti alla meno peggio per raggiungere il Regno dei Cieli, Abbiamo bisogno di una nuova vita rigenerata dall'azione dello Spirito di Dio. La nostra vita professionale, familiare, sportiva, culturale, ricreativa e, soprattutto, la nostra vita di pietà deve essere trasformata dal senso cristiano per l'azione di Dio. Tutto, trasversalmente, deve essere impregnato dal suo Spirito. Nulla, assolutamente nulla, dovrebbe rimanere fuori dalla rinnovazione che Dio realizza in noi con il suo Spirito.

Una trasformazione che ha Gesù Cristo come suo catalizzatore. Lui, che doveva essere innalzato sulla croce e che doveva anche risuscitare, è chi può fare che lo Spirito di Dio ci venga inviato. Egli che è venuto dall'alto. Egli che ha mostrato con tanti miracoli il suo potere e la sua bontà. Egli che in tutto fa la volontà del Padre. Egli che ha sofferto fino a versare l’ultima goccia di sangue per noi. Grazie allo Spirito che ci invierà, noi «possiamo raggiungere il Regno dei Cieli, per Lui otteniamo l’adozione filiale, per Lui ci si dà la fiducia necessaria per nominare Dio con il nome di "Padre", la partecipazione della grazia di Cristo e il diritto a partecipare alla gloria eterna» (S. Basilio il Grande).

Lasciamo che l'azione dello Spirito sia accolta da noi, ascoltiamoLo e applichiamo le sue ispirazioni affinchè ognuno di noi sia -nel suo luogo abituale- un buon esempio elevato che irradi la luce di Cristo.
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