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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2024 08:13
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25/07/2021 08:19
 
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«Lo seguiva una grande folla»

Rev. D. Pere CALMELL i Turet
(Barcelona, Spagna)
Oggi, possiamo contemplare come si forgia dentro di noi tanto l'amore umano come l'amore soprannaturale, giacché abbiamo uno stesso cuore per amare Dio e gli altri.

Generalmente, l'amore si fa strada nel cuore umano quando si scopre il fascino dell’altro: la sua simpatia, la sua bontà. Questo è il caso del «ragazzo con cinque pani d'orzo e due pesci» (Gv 6,9). A Gesù dà tutto quello che serve, i pani e i pesci, perché si he lasciato conquistare per il fascino di Gesù. -Ho scoperto il fascino del Signore?

Poi, l’innamoramento, frutto di essere corrisposto. Dice che «lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi» (Giovanni 6,2). Gesù ascoltava, gli faceva caso, perché sapeva che ne avevano bisogno.

Gesù sente una forte attrazione per me e vuole la mia realizzazione umana e soprannaturale. Lui mi ama così come sono, con le mie miserie, perché gli chiedo perdono, e con il suo aiuto, continuo a sforzarmi.

«Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.» (Gv 6,15). Gli dirà il giorno dopo: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.» (Gv 6,26). San Agostino scrive: «Tanti sono alla ricerca di Gesù, guidati soltanto da interessi temporali! (...) Appena si cerca Gesù per Gesù».

La pienezza dell'amore è amore oblativo; quando cerchiamo il bene della persona amata, senza aspettarsi nulla in cambio, anche a costo del sacrificio personale.

Oggi, io Gli posso dire: «Signore, che ci fai partecipare al miracolo dell'Eucaristia: ti chiediamo di non nasconderti, di vivere con noi, di poterti vedere, toccare, sentire, di voler stare sempre vicino a Te, di essere il Re delle nostre vite e del nostro lavoro.» (san Josemaría).
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26/07/2021 09:49
 
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Non parlava ad essa se non in parabole»

Rev. D. Josep Mª MANRESA Lamarca
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci presenta Gesù predicando ai Suoi discepoli. E lo fa nella Sua forma abituale con parabole, impiegando, cioè, immagini semplici e comuni per spiegare i grandi misteri occulti del Regno. Così potevano capire tutti, da quelli più preparati fino a quelli che avevano meno talento.

«Il Regno dei cieli è simile a un granello di senape...» (Mt 31,31). I chicchi di senape sono così piccoli che quasi non si vedono, ma se si ha cura di loro e si innaffiano... finiscono col diventare un grande albero. «Il Regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina...» (Mt 13,33): Il lievito non si vede, ma se non stesse lì, la pasta non crescerebbe. Così pure è la vita cristiana, la vita della grazia: esternamente non si vede, non fa rumore, ma... se la lasciamo che si introduca nel nostro cuore, la grazia divina fa fruttificare il chicco e trasforma le persone da peccatrici in sante.

Questa grazia divina ci vien data dalla fede, dalla preghiera, dai sacramenti, dalla carità. Ma questa vita di grazia è soprattutto un dono che bisogna aspettare e desiderare con umiltà. Un dono che i sapienti e gl’intellettuali di questo mondo non sanno apprezzare, ma che Dio Nostro Signore vuole far arrivare agli umili ed ai semplici.

Voglia il Cielo che quando Dio cerchi noi, non ci trovi nel gruppo degli orgogliosi, ma in quello degli umili che si riconoscono deboli e peccatori, ma molto riconoscenti e fiduciosi nella bontà del Signore. Così il granello di senape diventerà un albero grande; così il lievito della Parola di Dio produrrà in noi frutti di vita eterna. Perché, «quanto più si ribassa il cuore per l’umiltà, più s’innalza verso la perfezione». Sant’Agostino.
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30/07/2021 07:52
 
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«Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)
Oggi, come ieri, parlare di Dio a chi ci conosce da sempre è difficile. Nel caso di Gesù, san Giovanni Crisostomo dice: «Quelli di Nazareth lo ammirano, ma questa ammirazione non li porta a credere ma ad essere gelosi, è come se dicessero: 'Perché lui e non io?'». Gesù conosceva bene quelli che, piuttosto che ascoltarlo, si scandalizzavano. Erano parenti, amici, vicini di casa che stimava, ma sono proprio loro quelli che non riceveranno il suo messaggio di salvezza.

Noi, -che non possiamo fare miracoli e non abbiamo la santità di Cristo-, non provocheremo l'invidia (anche se a volte può accadere se davvero cerchiamo di vivere cristianamente). In ogni modo, succede spesso, come a Gesù, che coloro che amiamo e apprezziamo sono quelli che meno ci ascoltano. In questo senso, dobbiamo ricordare anche che i difetti si vedono di più che le virtù, e che coloro che sono stati con noi per anni possono dire nel suo interno: -Tu che stavi facendo (o fai) questo o quello, che cosa vuoi insegnare a me?

Predicare o parlare di Dio tra la gente del nostro paese o famiglia è difficile, ma necessario. Inutile dire che quando Gesù va a casa sua è preceduto dalla fama dei suoi miracoli e della sua parola. Forse abbiamo bisogno anche noi, un po', di stabilire una certa fama di santità al di fuori (e dentro) di casa prima di "predicare" quelli di casa nostra.

San Giovanni Crisostomo aggiunge nel suo commento: «Guarda, ti prego, nella gentilezza del Maestro; non li punisce per no ascoltarlo, piuttosto dice con dolcezza: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua» ( Mt 13,57). E' chiaro che Gesù sarebbe partito triste, ma continuerebbe a pregare affinché la sua parola di salvezza fosse ben accolta da i suoi. E noi (che niente avremo da perdonare o ignorare), chissà se dovremmo pregare affinché la parola di Gesù venga a coloro che amiamo, ma che non vogliono ascoltare.
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31/07/2021 09:15
 
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«Al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)
Oggi, la liturgia ci invita a contemplare un’ingiustizia: la morte di Giovanni il Battista; e allo stesso tempo, scoprire nella parola di Dio la necessità di una testimonianza chiara e concreta della nostra fede per colmare di speranza il mondo.

Vi invito a riflettere sul personaggio del tetrarca Erode. Realmente per noi, è un controtestimone, però ci aiuterà a rivelare alcuni aspetti importanti per la nostra testimonianza di fede nel mondo. «il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù» (Mt 14,1). Questa affermazione indica un’attitudine apparentemente corretta, però poco sincera. È la realtà che oggi possiamo trovare in tante persone e chissà anche in noi stessi. Molti hanno sentito parlare di Gesù, però chi è Lui realmente?; che implicazione personale ci unisce a Lui?

Per primo, è necessario dare una risposta corretta; quella del tetrarca Erode non è che un’informazione vaga: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti» (Mt 14,2). Indubbiamente ci manca la affermazione di Pietro davanti alla domanda di Gesù: «Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,15-16). E questa affermazione non da luogo alla paura o all’indifferenza, ma apre la porta ad una testimonianza fondamentata nel Vangelo della speranza. Cosi è stato definito da San Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica La Chiesa in Europa: «Con tutta la Chiesa, invito ai miei fratelli e sorelle nella fede ad aprirsi in maniera constante e fiduciosa a Cristo e a lasciarsi lasciarsi rinnovare da Egli, annunciando col vigore della pace e l’amore a tutte le persone di buona volontà: chi incontra il Signore, incontra la verità, scopre la vita e riconosce il Cammino che conduce a questa».

Che oggi sabato, la Vergine Maria, la Madre della speranza, ci aiuti a scoprire veramente a Gesù e a dare una vera testimonianza di Lui ai nostri fratelli.
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01/08/2021 08:49
 
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«Signore, dacci sempre questo pane. «Io sono il pane della vita»»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)
Oggi, troviamo atteggiamenti diversi nelle persone che cercano Gesù: alcuni hanno mangiato del pane materiale, altri chiedono un segno quando il Signore ha appena fatto uno grande, degli altri si sono affrettati a incontrarlo e fanno in buona fede -potremmo dire- una comunione spirituale: «Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34).

Gesù doveva essere molto felice dello sforzo per cercarlo e seguirlo. Insegnava tutti e interpellava in diversi modi. Ad alcuno gli dice: «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna» (Gv 6,27). Quelli che domandano: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6,28) avranno un consiglio specifico in quella sinagoga di Cafarnao, dove il Signore promette la Santa Comunione, «Credete».

Tu ed io, che cerchiamo di entrare nelle pagine di questo Vangelo, vediamo riflesso il nostro atteggiamento? A noi, che vogliamo rivivere questa scena, quali espressioni ci pungono di più? Siamo pronti nello sforzo di trovare Gesù dopo tante grazie, dottrina, esempi e insegnamenti che abbiamo ricevuto? Sappiamo fare una buona comunione spirituale: 'Signore, dacci sempre questo pane, che calma tutta la nostra fame'?

La migliore scorciatoia per andare a Gesù e trovare Maria. Lei è la Madre di Famiglia che offre il pane bianco per i bambini al calore della casa paterna. La Madre della Chiesa che vuole alimentare i propri figli affinché crescano, abbiano le forze, siano contenti, conducano un'opera santa e comunicativa. Sant'Ambrogio, nel suo trattato sui misteri, scrive: «Ebbene, quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine. Perché cerchi qui il corso della natura nel corpo di Cristo, mentre lo stesso Signore Gesù Cristo è stato generato dalla Vergine all'infuori del corso della natura?».

La Chiesa madre e maestra, ci insegna che l'Eucaristia è "sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura"(Vaticano II).
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02/08/2021 07:36
 
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«Alzò gli occhi al cielo»

Rev. D. Xavier ROMERO i Galdeano
(Cervera, Lleida, Spagna)
Oggi, il Vangelo esplora le nostre “tasche mentali”... Per questo, come nei tempi di Gesù, possono emergere le voci dei prudenti per soppesare se vale la pena tale argomento. I discepoli vedendo che si faceva tardi e che non sapevano come soddisfare tutta quella folla riunita in torno a Gesù, esposero una soluzione adeguata: «perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare» (Mt 14,15). Non pensavano che il loro Maestro e Signore fosse a rompere questo ragionamento cosi prudente, dicendogli dicendogli: «date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,16).

Un detto popolare dice: «Chi lascia al Signore fuori dai suoi conti, non sa contare». Ed è vero, i discepoli, e nemmeno noi, sappiamo contare, perché dimentichiamo spesso la somma più importante: Dio stesso fra di noi.

I discepoli fecero bene i conti , calcolarono con esattezza il numero dei pani e dei pesci, però dividendoli mentalmente fra tanta gente, il risultato era quasi uno zero periodico; per cui decisero di optare per un realismo prudente: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!» (Mt 14,17). Non si resero conto che Gesù —vero Dio e vero Uomo— era fra di loro!

Parafrasando a San Giuseppe Maria, non sarebbe male ricordare che: «Nelle imprese di apostolato, sta bene —è un dovere— che consideri i tuoi medi terreni (2+2=4), ma non dimenticare mai che devi contemplare un’altra addizione: Dio+2+2...». L’ottimismo cristiano non si fondamenta sull´assenza di difficcoltà, di resistenza e di errori personali, ma in Dio che ci dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Sarebbe bello che tu ed io, davanti alle difficoltà, prima di emettere una sentenza di morte all’audacia e all’ottimismo dello spirito cristiano, contassimo con Dio. Magari potremmo ripetere con San Francesco quella geniale preghiera: «Là, dove c’è l'odio io porti l'amore»; cioè, lì dove i numeri non escono sappia contare con Dio.
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03/08/2021 08:07
 
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Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, non vedremo Gesù dormendo nella barca mentre questa si affonda, ne acquietando la tormenta con un’unica parola di ammonizione, suscitando così l’ammirazione dei discepoli (cf. Mt 8,22-23). Ma l’atto di oggi non è meno sconvolgente: tanto per i primi discepoli come per noi.

Gesù aveva costretto i discepoli a salire sulla barca e navigare per raggiungere l’altra sponda; aveva congedato tutta la gente dopo aver sfamato la moltitudine famelica ed era rimasto nella montagna Lui solo, profondamente immerso nell’orazione (cf. Mt 14,22-23). I discepoli, senza il Maestro, vanno avanti con difficoltà. Fu allora quando Gesù si avvicinò alla loro barca camminando sulle acque.

Come succederebbe a persone normali e sensate, i discepoli si spaventano al vederlo: gli uomini di solito non camminano sulle acque e, pertanto, credevano di star vedendo uno spettro. Sbagliavano: non era un’illusione, davanti a loro c’era proprio il Signore, che li invitava –come in tante altre occasioni- a non avere paura e a fidarsi di Lui per svelare in loro la fede. Questa fede si richiese, per primo, a Pietro, che disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque» (Mt 14,28). Con questa risposta, Pietro dimostrò che la fede consiste nell’obbedienza alla parola di Cristo: non disse «fai che cammini sulle acque», piuttosto voleva seguire quello che lo stesso e unico Signore le ordinasse per poter credere nella veracità delle parole del Maestro.

I suoi dubbi lo fecero vacillare nella incipiente fede, ma persuasero gli altri discepoli a confessare, presente il Maestro: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!» (Mt 14,33). «Il gruppo di quelli che erano già apostoli, pero ancora non credevano, poiché videro che le acque giocavano sotto i piedi del Signore e che nell’agitato movimento delle onde i passi del Signore erano sicuri, (…) credettero che Gesù era il vero Figlio di Dio, confessandolo in quanto tale (Sant’Ambrogio).
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05/08/2021 08:17
 
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«Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù proclama Pietro beato per la sua saggia dichiarazione di fede: «Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,16-17). Con questo encomio Gesù preannuncia a Pietro il primato nella sua Chiesa; ma poco dopo lo rimprovera per aver manifestato un’idea troppo umana ed erronea del Messia: «Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai". Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!"» (Mt 16,22-23).

Bisogna ringraziare gli evangelisti per averci presentato i primi discepoli di Gesù così come erano: non come personaggi idealizzati, ma come persone in carne ed ossa, come noi, con le loro virtù e i loro difetti; questa circostanza li avvicina a noi e ci aiuta a capire che la perfezione nella vita cristiana è una strada che tutti dobbiamo percorrere, poiché nessuno nasce saggio.

Visto che conosciamo già la storia accettiamo che Gesù Cristo sia stato il Messia sofferente profetizzato da Isaia e che abbia offerto la sua vita sulla croce. Quello che ci è più difficile da accettare è che noi dobbiamo continuare a far conoscere la sua opera attraverso lo stesso cammino di servizio, rinuncia e sacrificio. Immersi come siamo in una società che promuove il rapido successo, imparare senza sforzo e in modo divertente ed ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo, è facile che finiamo col vedere le cose più come uomini che come Dio. Una volta ricevuto lo Spirito Santo, Pietro apprese la via del sentiero dove procedere e visse nella speranza. «Le tribolazioni del mondo sono piene di tristezza e vuote di premio; però quelle che si soffrono per Dio si mitigano con la speranza di un premio eterno» (San Efrem).
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06/08/2021 08:27
 
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Rabbì, è bello per noi essere qui»

Rev. D. Ignasi NAVARRI i Benet
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)
Oggi, celebriamo la festa della Trasfigurazione del Signore. La montagna del Tabor, come quella del Sinai, è il luogo della vicinanza con Dio. È lo spazio elevato, rispetto all'esistenza quotidiana dove si respira l'aria pura della creazione. E 'il luogo di preghiera dove si sta in presenza del Signore, come Mosè ed Elia che fanno la sua apparizione con Gesù trasfigurato e stanno a parlare con Lui circa l'Esodo che lo attendeva a Gerusalemme (cioè, la loro Pasqua).

«Le sue vesti "divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc 9,3). Questo simboleggia la purificazione della Chiesa. E Pietro disse a Gesù: «facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!» (Mc 9,5). Sant'Agostino commenta in bel modo che Pietro ha cercato tre tende perché non conoseva ancora l'unità tra la legge, la profezia ed il Vangelo.

«Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo» (Mc 9,7). La Trasfigurazione non è un cambiamento in Gesù, ma la rivelazione della sua Divinità. Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano la divinità del Signore, si preparano ad affrontare lo scandalo della croce. La trasfigurazione è anticipo della Risurrezione!

«Maestro, è bello per noi stare qui» (Mc 9,5). La Trasfigurazione ci ricorda che le gioie seminate da Dio nella vita non sono punti di arrivo, ma luci che Egli ci dona nel pellegrinaggio terreno in modo che "Gesù solo" sia la nostra Legge e la sua Parola sia il criterio, la gioia e la beatitudine della nostra esistenza.

Che la Vergine Maria ci aiuti a vivere intensamente i nostri momenti di incontro con il Signore in modo da poter seguirLo ogni giorno con gioia, e ci aiuti ad ascoltare e seguire sempre il Signore Gesù, fino alla passione e la Cruz con vista a partecipare anceh della Sua Gloria.
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08/08/2021 09:12
 
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Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci presenta la perplessità che provavano i concittadini di Gesù in sua presenza «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?» (Gn 6,42). La vita di Gesù in mezzo ai suoi fu così normale che, iniziando la proclamazione del Regno, chi lo conosceva si scandalizzava di ciò che diceva.

Di quale Padre parlava loro Gesù, che nessuno aveva visto? Chi era questo pane disceso dal cielo, che chi lo mangiava sarebbe vissuto per sempre? Lui negava che fosse la manna del deserto, perché chi l’avesse mangiata sarebbe morto. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (Gn 6,51). La sua carne poteva essere un’alimento per noi? Lo sconcerto che Gesù provocò nei giudei potrebbe estendersi tra noi se non rispondiamo a una domanda centrale per la nostra vita cristiana: Chi è Gesù?

Molti uomini e donne prima di noi si sono fatti questa domanda, hanno risposto personalmente, sono andati verso Gesù, lo hanno seguito ed ora godono di una vita senza fine e piena d’amore. E a coloro che vadano verso Gesù, Lui li risuscitarà nell’ultimo giorno (cf. Gn 6,44). Giovanni Cassiano esortava i suoi monaci dicendo loro: « “Avvicinatevi a Dio e Dio si avvicinerà a voi”, perché “nessuno può andare a Gesù se il Padre che lo ha inviato non lo attira”(...) ». Nel Vangelo ascoltiamo il Signore che ci invita ad andare verso di Lui: “Venite a me tutti quelli che siete stanchi e affaticati, ed io vi farò riposare”. Accogliamo la Parola del Vangelo che ci avvicina a Gesù ogni giorno; accogliamo l’invito dello stesso Vangelo ad entrare in comunione con Lui, cibandoci della sua carne, perché «questo è il vero alimento, la carne di Cristo, il quale, essendo la Parola, si è fatto carne per noi». (Origene).
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09/08/2021 06:19
 
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«Non abbiate paura»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)
Oggi celebriamo la festa di Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona d'Europa. Lei visse con coraggio la sua conversione dal giudaismo alla Chiesa cattolica, e affrontò coraggiosamente il martirio durante la Seconda Guerra Mondiale. In diverse occasioni, il Vangelo si riferisce alla frase "Non abbiate paura". Nella maggior parte dei casi, accade in momenti di particolare importanza. Ricordiamo, soltanto come significativa mostra l'Annunciazione alla Vergine Maria, Madre di Dio.

Questa espressione indica un'esortazione positiva più che un atteggiamento negativo. I testi immediatamente precedenti di Matteo (che abbiamo letto nei giorni precedenti) hanno mostrato la missione non senza difficoltà e persecuzioni dei discepoli. Il testo di oggi è piuttosto un invito a un'autentica speranza. Il vero discepolo dev’essere un’impavido, una persona senza paura.

Dietro a questi termini può essere trovato ciò che la Chiesa conosce con il nome di "timore santo di Dio", che è uno dei sette doni dello Spirito Santo. Il vangelo di oggi ci presenta alcune caratteristiche di questo dono. Non è la paura stessa, ma il modo di vivere il nostro rapporto con Dio.

Se Lui, che è Padre, veglia sugli esseri umani in modo più sublime della cura provvidente degli uccelli (cfr Mt 10,29.31), il rapporto instaurato con la creatura eccellente è ancora più forte. Il timore di Dio porta a vivere questo rapporto con rispetto, fiducia, responsabilità e l’obbligo di chi sa che Gesù stesso lo riconoscerà davanti al Padre.

Il vero discepolo viene animato da questo rapporto che ha senso se è autentico. E la vera autenticità è misurata dalla parte umana, perché la parte divina è già presente ampiamente. I santi aiutano a esprimere e vivere questo rapporto basato nel timore di Dio. Oggi, la memoria di Santa Teresa Benedetta della Croce lo fa presente. Lei cercò, e una trovato, rimase in questo rapporto fondante.
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10/08/2021 09:25
 
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«Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi la Chiesa —mediante la liturgia eucaristica che celebra il martire romano San Lorenzo— ci ricorda che «c’è una testimonianza di coerenza che ogni cristiano deve essere disposto a dare ogni giorno, anche a costo di sofferenze e di grandi sacrifici» (S. Giovanni Paolo II).

La legge morale è santa e inviolabile. Questa affermazione, certamente, contrasta con l’ambiente relativista che impera nei nostri giorni, dove con facilità ognuno di noi adatta le esigenze etiche alla propria comodità personale o alle proprie debolezze. Non sentiamo nessuno che dica: —Io sono immorale; —Io sono incosciente; —Io sono un bugiardo... Qualsiasi persona che dicesse ciò si squalificherebbe immediatamente.

Ma la domanda definitiva sarebbe: di quale morale, di quale coscienza e di quale verità stiamo parlando? È evidente che la pace e la sana coesistenza sociale non possono basarsi su una “morale alla carta”, dove ognuno va dove gli pare, senza tener conto delle inclinazioni e delle aspirazioni che il Creatore ha disposto nella nostra natura. Questa “morale”, lontano dal condurci per «il giusto cammino» verso i «pascoli erbosi» che il Buon Pastore desidera per noi (cf. Sal 23,1-3), ci spingerebbe inevitabilmente verso le sabbie mobili del “relativismo morale”, dove assolutamente tutto si può negoziare e giustificare.

I martiri sono testimoni inappellabili della santità della legge morale: ci sono esigenze di amore fondamentali che non ammetteranno mai eccezioni né adattamenti. Infatti, «nella Nuova Alleanza si trovano numerose testimonianze di seguaci di Cristo che (...) accettarono le persecuzioni e la morte anziché fare il gesto idolatrico di bruciare incenso davanti alla statua dell’Imperatore» (S. Giovanni Paolo II).

Nell’ambiente della città di Roma sotto l’imperatore Valeriano, il diacono «san Lorenzo amò Cristo nella vita, imitò Cristo nella morte» (Sant’Agostino). Ed è successo sempre più spesso che «chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). La memoria di san Lorenzo, fortunatamente per noi, rimarrà per sempre come un esempio che per seguire Cristo vale la pena dare la vita, anziché ammettere frivole interpretazioni del suo cammino.
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11/08/2021 08:37
 
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«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo (...) Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)
Oggi, in questo breve brano evangelico, il Signore ci insegna tre atteggiamenti, che spesso sono ignorati.

Comprendere e avvertire l'amico o il collega. Fargli vedere, in discreta intimità («fra te e lui solo»), chiaramente («ammoniscilo»), il suo comportamento erroneo affinché possa raddrizzare il cammino della sua vita. Chiedendo l'aiuto di un amico, se il prima tentativa non ha funzionato. Se anche questo atto non realizza la conversione e se il suo peccato scandalizza, non dobbiamo esitare a esercitare la denuncia profetica e pubblica, che ai nostri giorni può essere una lettera al direttore di una pubblicazione, una manifestazione, uno striscione. Questo modo di agire diventa esigenza per quello che la mette in pratica, ed è spesso sgradevole e scomoda. Pertanto, è più facile scegliere quello che erroneamente chiamano “carità cristiana”, che normalmente si tratta di una pura evasione, comodità, vigliaccheria , falsa tolleranza. Infatti, «la stessa pena è riservata a coloro che fanno il male e a quelli che lo consentono» (San Bernardo).

Ogni cristiano ha il diritto di chiedere da noi preti il perdono di Dio e della sua Chiesa. Lo psicologo, in un dato momento, può lenire lo stato d'animo, lo psichiatra può ottenere con un atto medico vincere un trastorno endogeno. Entrambi sono molto utili, ma non sufficienti in alcuni casi. Solo Dio può perdonare, cancellare, dimenticare, polverizzare distruggendo il peccato personale. E la sua Chiesa legare e slegare atteggiamenti, trascendendo il giudizio in Cielo. E quindi godere di pace interiore e di cominciare ad essere felice.

Nelle mani e le parole del sacerdote c’è il privilegio di prendere il pane e che il Gesù Eucaristico sia realmente presenza e cibo. Qualsiasi discepolo del regno può unirsi ad un altro, o meglio, a molti, e con fervore, Fede, coraggio e Speranza, immergersi nel mondo e farlo diventare vero corpo del Gesù-Mistico. E nella sua compagnia andare da Dio Padre che ascolterà le preghiere, perché suo Figlio si impegnò «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
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12/08/2021 07:51
 
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Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?»

Rev. D. Joan BLADÉ i Piñol
(Barcelona, Spagna)
Oggi, chiedersi «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?» (Mt 18,21), può significare: —Costoro, che tanto amo, li vedo anche con manie e capricci che mi amareggiano, mi importunano ogni momento, non mi parlano... e questo, un giorno dopo l’altro. Signore, fino a quando li dovrò sopportare?

Gesù rispose con la lezione della pazienza. In realtà i due colleghi coincidono nel dire: «Abbi pazienza con me» (Mt 18,26.29). Mentre l’intemperanza del malvagio, che affogava l’altro per un nonnulla, provoca la propria rovina morale ed economica, la pazienza del Re, al tempo stesso che salva il debitore, la sua famiglia ed i suoi beni, accresce la personalità del monarca e gli procura la fiducia della corte. La reazione del Re, in bocca di Gesù, ci ricorda quello del libro dei Salmi: «Ma presso di te è il perdono: e avremo il tuo timore» (Sal 130,4).

È chiaro che dobbiamo opporci all¡’ingiustizia, e se è necessario, energicamente (permettere il male sarebbe un’indizio di apatia o di vigliaccheria). Però l’indignazione è sana quando in essa non c’è egoismo, né ira, né stupidità, bensì il desiderio retto di difendere la verità. L’autentica pazienza è quella che ci porta ad accettare misericordiosamente la contraddizione, le molestie, la mancanza di opportunità delle persone, degli avvenimenti o delle cose. Essere pazienti equivale a sapersi dominare. Gli esseri suscettibili o violenti non possono essere pazienti perché non riflettono né sono padroni di se stessi.

La pazienza è una virtù cristiana perché fa parte del messaggio del Regno dei Cieli, e si forgia nell’esperienza poiché tutti quanti in questo mondo abbiamo dei difetti. Si, Paolo ci esorta a sopportarci, gli uni agli altri (cf. Col 3,12-13). Pietro ci fa ricordare che la pazienza del Signore ci da l’opportunità di essere salvi (cf. 2Pe 3.15).

Certamente, quante volte la pazienza del buon Dio ci ha perdonato nel confessionario! Sette volte? Settanta volte sette? Forse di più!
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13/08/2021 07:14
 
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Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto»

Fr. Roger J. LANDRY
(Hyannis, Massachusetts, Stati Uniti)
Oggi, Gesù risponde alle domande dei suoi contemporanei riguardo al vero significato del matrimonio, sottolineando la indissolubilità del medesimo.

La risposta, non ostante, offre anche la base adeguata affinché i cristiani possano rispondere a coloro dai cuori ostinati che hanno premeditato di ampliare la definizione matrimonio anche per le coppie omosessuali.

Per una giusta interpretazione del matrimonio sul piano originale di Dio, Gesù sottolinea quattro importanti aspetti secondo i quali solamente possono unirsi in matrimonio un uomo e una donna:

1) «il Creatore da principio li creò maschio e femmina» (Mt 19,4). Gesù ci insegna che, nel piano divino la mascolinità e la femminilità hanno un grande significato. Ignorarlo, dunque, é ignorare ciò che siamo.

2) «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e si unirà a sua moglie» (Mt 19,5). Il piano di Dio non é che l’uomo abbandoni i suoi genitori e se ne vada con chi vuole, ma con una moglie.

3) «Così che non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6). Questa unione corporale va più in lá della breve unione fisica che avviene nell’atto coniugale. Si riferisce all’unione prolungata che accade quando un uomo ed una donna, attraverso il loro amore, generano una nuova vita che é il matrimonio durevole o unione dei loro corpi. É ovvio che un uomo con un altro uomo, o una donna con un’altra donna, non possono considerarsi, in tal modo, un unico corpo.

4) «Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6). Lo stesso Dio ha unito in matrimonio l’uomo e la donna, e sempre che cerchiamo di separare quello che Lui ha unito, lo staremo facendo per conto nostro e a danno della società.

Nella sua catechesi sul Genesi, il Papa Giovanni Paolo ll disse: «Nella sua risposta ai farisei, Gesù Cristo propone ai suoi interlocutori la visione totale dell’uomo, senza la quale non é possibile offrire una risposta adeguata alle domande relative al matrimonio».

Ognuno di noi é chiamato ad essere ”l'eco” di questa Parola di Dio nel nostro tempo.
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15/08/2021 07:52
 
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«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore»

Dom Josep ALEGRE Abate emerito di Santa Mª de Poblet
(Tarragona, Spagna)
Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione di Santa Maria al cielo in corpo ed anima. «Oggi —dice San Bernardo— ascende al cielo la Vergine piena di gloria, colmando di felicità la comunità celestiale». E aggiungerà queste bellissime parole «Che regalo così bello invia oggi la nostra terra al cielo! Con questo meraviglioso gesto di amicizia —che è dare e ricevere— si amalgamano l’umano e il divino, il terrenale e il celestiale, l’umile e il sublime. Il frutto più maturo della terra è lì, dal quale procedono i migliori regali e i doni di maggior valore. Elevata nell’alto dei cieli, la Vergine Santa prodigherà i suoi doni all’umanità».

Il primo dono che ti elargisce è la Parola, che Lei seppe custodire con tanta fedeltà nel cuore, che fece fruttificare dal suo profondo e accogliente silenzio. Con questa Parola nel suo spazio interiore, generando la Vita per gli uomini, nel suo ventre, «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta» (Lc 1,39-40). La presenza di Maria sparge l’allegria «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo» (Lc 1,44).

Soprattutto, ci regala il dono della sua lode, la sua stessa allegria fatta canto, il suo Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore...» (Lc 1,46-47). Che regalo così bello ci restituisce oggi il cielo, con il canto di Maria, fatto parola di Dio! In questo cantico troviamo gli indizi per imparare come si uniscono l’umano e il divino, il terrenale e il celestiale, e possiamo perfino giungere a rispondere come Lei al regalo che ci fa Dio in suo Figlio, attraverso la Sua Santa Madre: per essere un regalo di Dio per il mondo, e domani un regalo della nostra umanità a Dio, seguendo l’esempio di Maria, che ci precede nella glorificazione a cui siamo destinati.
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16/08/2021 08:24
 
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«Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?»

Rev. D. Óscar MAIXÉ i Altés
(Roma, Italia)
Oggi, la liturgia della Parola mette davanti alla nostra considerazione il famoso passaggio del ‘giovane ricco´, di quel giovane che non seppe rispondere davanti allo sguardo d’amore che Cristo gli rivolse (cf Mc 10,21). San Giovanni Paolo II ci ricorda che in quel giovane possiamo riconoscere ogni uomo che si avvicina a Cristo e gli domanda sul senso della sua propria vita: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» (Mt 19,16). Il Papa commenta che l’interlocutore di Gesù intuisce che c’è un nesso tra il bene morale e la piena realizzazione del proprio destino».

Anche oggi quante persone si rivolgono questa domanda! Se ci guardiamo attorno, possiamo, forse, pensare che sono poche le persone che vedono `più in là´, oppure che l’uomo del secolo XXI, non avverte il bisogno di rivolgersi questo tipo di domande, giacchè le risposte pensa che non gli servono.

Gesù gli risponde: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti...» (Mt 19,17). Rivolgersi domande sull’aldilà non è solo legittimo, ma... è necessario farlo! Il giovane che Gli ha chiesto che cosa deve fare per ottenere la vita eterna, Cristo gli risponde che deve essere buono.

Oggi giorno per alcuni o per molti –poco importa– può sembrare impossibile l’ ”essere buono”... Oppure può sembrare a loro un qualcosa che non ha senso, una sciocchezza! Oggi, come più di venti secoli fa, Cristo continua a ricordarci che per entrare nella vita eterna, è necessario rispettare i comandamenti della legge di Dio: non si tratta di un “ottimo”, ma che è il cammino necessario affinché l’uomo sia simile a Dio e possa così entrare nella vita eterna della mano di Padre-Dio. Infatti «Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite che non bisogna oltrepassare, ma come un sentiero aperto verso un cammino morale e spirituale di perfezione, il cui impulso interno è l’amore» (San Giovanni Paolo II).
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17/08/2021 08:19
 
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«Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli (...). Allora, chi può essere salvato?»

Rev. D. Fernando PERALES i Madueño
(Terrassa, Barcelona, Spagna)
Oggi, contempliamo la reazione che ha suscitato fra l’uditorio il dialogo del giovane ricco con Gesù: «Chi si potrà dunque salvare?» (Mt 19,25). Le parole del Signore rivolgendosi al giovane ricco sono manifestamente dure, pretendono sorprendere, risvegilarci dalla nostra sonnolenza. Non si tratta di parole isolate e accidentali nel Vangelo: ripete venti volte questo tipo di messaggio. Lo dobbiamo ricordare: Gesù avverte contro gli ostacoli che comportano le ricchezze, per entrare nella vita...

E tuttavia, Gesù amò e chiamò a uomini ricchi, senza esigere di abbandonare le loro responsabilità. La ricchezza in se stessa non è male, ma l’ origine, se fu acquisita ingiustamente, o la sua destinazione, se si utilizza egoisticamente senza prendere in considerazione i più svantaggiati, se si chiude il cuore ai veri valori spirituali (dove non c’è bisogno di Dio).

«Chi si potrà salvare?». Gesù rispose: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). —Signore, Tu conosci bene l’abilità degli uomini per attenuare la tua parola—. Devo dirtelo, Signore, aiutami! Converti il mio cuore!

Dopo essersene andato, il giovane ricco, afflitto per l’attaccamento alle sue ricchezze, Pietro prese la parola e disse: —Concedi, Signore alla Tua Chiesa, ai tuoi Discepoli di essere capaci di lasciare tutto per Te.

«Nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria...» (Mt 19,28). Il tuo pensiero si rivolge a quel “giorno”, verso quel futuro, Tu sei un uomo con tendenza verso la fine del mondo, verso la pienezza dell’uomo. In quel tempo, Signore, tutto sarà nuovo, rinnovato e bello.

Gesù Cristo, ci dice: —Voi che avete lasciato tutto per il mio Regno, vi sederò con il Figlio dell’uomo... riceverete il cento per uno di quello che avete lasciato... E sarete eredi della vita eterna... (cf. Mt 19,28-29).

Il futuro che Tu prometti ai tuoi, a quelli che ti hanno seguito rinunciando a tutti gli ostacoli... è un futuro felice, è l’abbondanza della vita, è la pienezza divina.
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18/08/2021 10:00
 
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«Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, la Parola di Dio ci invita a vedere che la “logica” divina va molto più in là di quella meramente umana. Mentre gli uomini calcoliamo «pensavano che avrebbero ricevuto di più» (Mt 20,10), Dio —che è Padre misericordioso—, semplicemente ama «Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? (Mt 20,15). E la misura dell’Amore è quella di non aver misura: «Amo perché amo, amo per amare» (San Bernardo).

Eppure tutto ciò non rende inutile la giustizia: «quello che è giusto ve lo darò» (Mt 20,4). Dio non è arbitrario e ci vuole trattare come figli intelligenti: per questo è logico che giunga a dei “patti” con noi. Infatti, in altri momenti, gli insegnamenti di Gesù dicono chiaramente che a chi ha ricevuto di più, anche gli si esigirà di più (ricordiamo la parabola dei talenti). Ebbene, Dio è giusto, ma non per questo la carità ignora la giustizia, anzi, piuttosto la supera (cf.1 Cor 13,5).

Un proverbio popolare dice che «la peggiore delle ingiustizie è la giustizia per la giustizia». Fortunatamente per noi la giustizia di Dio —lo ripetiamo, superata dal suo Amore— va al di là dei nostri schemi. Se di mera e rigorosa giustizia si trattasse, noi staremmo ancora aspettando la redenzione. Anzi, non avremmo nessuna speranza di redimerci. Per pura giustizia non meriteremmo nessuna redenzione: semplicemente, rimarremmo spodestati da ciò che Dio ci aveva donato nel momento della creazione e che rifiutammo nel momento del peccato originale. Esaminiamoci, allora, su come ci comportiamo nei giudizi, nei confronti e nei calcoli quando ci trattiamo con gli altri.

Inoltre, se parliamo di santità, dobbiamo partire dalla base che tutto è grazia. La dimostrazione più chiara è il caso di Dismas il buon ladro. Anche la possibilità di merito davanti a Dio è grazia (qualcosa che Dio ci concede gratuitamente). Dio è il nostro «padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.» (Mt 20,1). La vigna (ovvero, la vita il cielo...) è Sua; gli invitati siamo noi, e non in qualunque modo: per noi è un onore lavorare lì e poter “guadagnare” il cielo
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20/08/2021 09:08
 
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«Amerai il Signore tuo Dio (...). Amerai il tuo prossimo»

Rev. D. Pere CALMELL i Turet
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il dottore della legge chiede a Gesù: «qual è il più grande comandamento della legge?» (Mt 22,36), il più importante, il primo. La risposta, invece, parla di un primo comandamento e di un secondo, che «è simile al primo» (Mt 22,39). Due anelli inseparabili che sono una stessa cosa. Inseparabili, ma uno prima e uno secondo, uno d’oro e l’altro d’argento. Il signore ci porta alla profondità della catechesi cristiana, perché «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40).

Ecco qui la ragione del classico commento dei due legni della Croce del Signore: quello scavato nella terra è la verticalità, che guarda verso il cielo a Dio. L’altro rappresenta l’orizzontalità, il modo di fare con i nostri simili. Anche in quest’immagine c’è un primo e un secondo. L’orizzontalità sarebbe a livello del suolo se prima non possedessimo un legno diritto verso l’alto, e quanto più vogliamo alzare il livello del nostro servizio agli altri —l’orizzontalità— più elevato dovrà essere il nostro amore a Dio. Altrimenti, è facile che sopravvenga lo scoraggiamento, l’incostanza, l’esigenza delle compensazioni in qualsiasi ordine. Dice San Giovanni della Croce: «Quanto più ama un anima, tanto più perfetta è in quello che ama; così quest’anima, che è già perfetta, tutta lei è amore e tutte le sue azioni sono amore».

Infatti, nei santi già conosciuti possiamo vedere come l’amore a Dio, che loro sanno manifestare in diversi modi, concede loro una grande iniziativa al momento di aiutare il prossimo. Chiediamo oggi alla Madonna che ci colmi col desiderio di sorprendere Nostro Signore con opere e parole di affetto. Così, il nostro cuore sarà capace di scoprire come sorprendere con qualche simpatico dettaglio quelli che vivono e lavorano accanto a noi, e non soltanto nei giorni speciali, che quello lo sa fare chiunque. Sorprendere!: forma pratica di pensare meno in noi stessi.
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21/08/2021 12:29
 
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«Chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù Cristo ci rivolge nuovamente un richiamo all’umiltà, un invito a metterci nel ruolo che ci corrisponde: «Ma voi non fatevi chiamare "rabbì" (...); non chiamate nessuno "padre" (...); non fatevi chiamare "maestri"» (Mt 23,8-10). Prima di appropriarci di tutti questi titoli, procuriamo ringraziare Dio per tutto ciò che abbiamo e che da Egli abbiamo ricevuto.

Come dice San Paolo, «Cosa avete che non abbiate ricevuto?» E se l’avete ricevuto, ....? (1 Cor 1,7). Di modo che, quando abbiamo coscienza di avere reagito in modo corretto, faremo bene a ripetere: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).

L’uomo moderno soffre di una lamentevole amnesia: viviamo e attuiamo come se noi stessi fossimo stati gli autori della vita e i creatori del mondo. Per contrasto, causa ammirazione Aristotele, il quale —nella sua teologia naturale— sconosceva il concetto della “creazione” (nozione conosciuta in quei tempi soltanto per Rivelazione divina), però almeno, comprendeva che questo mondo dipendeva dalla Divinità (la “causa incausata”). Giovanni Paolo II ci chiama a conservare la memoria del debito che abbiamo contratto con nostro Dio: «È preciso che l’uomo onori il creatore offrendo in un atto di gratitudine e di elogio, tutto ciò che da Egli ha ricevuto. L’uomo non può perdere il senso di questo debito, che soltanto lui, fra tutte le realtà terrestri, può riconoscere».

Inoltre, pensando alla vita sopra-naturale, la nostra collaborazione —Egli non farà nulla senza il nostro permesso, senza il nostro sforzo!— consiste in non interferire il lavoro dello Spirito Santo: Lasciare che Dio faccia!; che la santità non la “fabbrichiamo” noi, ma viene otorgata da Lui, che è il Maestro, Padre e Guida. In ogni caso, se crediamo di essere e di avere qualcosa, sforziamoci per metterli al servizio degli altri: «Il più grande tra voi sia vostro servo» (Mt 23,11).
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22/08/2021 07:48
 
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«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»

Rev. D. Miquel VENQUE i To
(Solsona, Lleida, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci porta a Cafarnao, dove Gesù è seguito da molti per aver visto i suoi miracoli, soprattutto quello della spettacolare moltiplicazione dei pani. Socialmente, Gesù corre il rischio di morire di successo, come viene spesso detto; inoltre lo vogliono nominare re. Si tratta di un momento chiave della catechesi di Gesù. E' il momento in cui inizia a esporre chiaramente la dimensione soprannaturale del suo messaggio. E, come Gesù è un catechista così buono, perfetto sacerdote, il miglior vescovo e papa, li lascia andare, con dolore, ma Egli è fedele al suo messaggio. Il successo popolare non lo cieca.

Diceva un grande sacerdote che, in tutta la storia della Chiesa, sono cadute persone che sembravano colonne indispensabili: «si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). Io e te possiamo cadere, "lasciar stare", allontanarci, criticare, "andare alla nostra." Con umiltà e fiducia diciamo al buon Gesù che vogliamo essere fedeli oggi, domani e ogni giorno; che ci faccia vedere il poco senso evangelico che ha discutere gli insegnamenti di Dio o della Chiesa perché "non capisco": «Signore, da chi andremo?» (Gv 6,68). Chiediamo più visione soprannaturale. Solo in Gesù e nella sua Chiesa, troviamo la Parola di vita eterna: «Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).

Come Pietro, noi sappiamo che Gesù ci parla con linguaggio soprannaturale, linguaggio che deve essere sintonizzato correttamente per entrare nel suo pieno significato, altrimenti solamente sentiremo dei rumori incoerenti e sgradevoli: dunque è necessario mettere la sintonia al punto. Come Pietro, anche nella nostra vita cristiana ci sono momenti in cui dobbiamo rinnovare e manifestare che stiamo in Gesù e vogliamo continuare con Lui. Pietro amava Gesù Cristo, perciò restò. Gli altri lo volevano per il pane, per le "caramelle", per motivi politici, e lo abbandonano. Il segreto della lealtà è amare, la fiducia. Chiediamo alla Virgo Fidelis che ci aiuti qui ed ora per essere fedeli alla Chiesa che abbiamo.
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23/08/2021 08:08
 
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Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente»

P. Marc VAILLOT
(París, Francia)
Oggi ancora una volta, il Vangelo mostra come si capovolga la bontà di Dio che veglia sulla nostra felicità. Ci indica chiaramente quali sono le fonti: la verità, il bene, la rettitudine, giustizia, l'amore... e tutte le virtù. Ci avverte anche affinché non cadiamo nelle trappole —eccessi, concupiscenze, inganni, in una parola, i peccati— che ci impedirebbero di raggiungere tale felicità.

Gesù usa la sua autorità divina per mostrarci chiaramente il carattere assoluto del bene, che dobbiamo perseguire, e quello del male, che dobbiamo evitare a tutti i costi. Da qui la sua viva e gentile esortazione per rispettare la Magna Carta della vita cristiana: le Beatitudini, vie che danno accesso alla Felicità. Parallelamente, troviamo il tono minaccioso usato nel Vangelo di oggi: le Maledizioni di quegli atti distruttivi che devono essere sempre evitati. Lo stesso Sacro Cuore, lo stesso Amore è colui che detta le Beatitudini (cfr Mt 5,1 ss) e le Maledizioni. È molto importante capire che l'uno è importante quanto l'altro per chi vuole essere salvato: "Beati" i poveri; cuori assetati di giustizia; anime misericordiose... «Guai a voi!»... quando scandalizzate gli altri; quando insegnate e non lo fate; quando corrompete la sana dottrina; quando deviate gli altri dalla retta via...

Gesù aggiunge con fermezza: più grande sarà la vostra responsabilità davanti agli altri, più forte sarà la maledizione che cadrà su di voi. Nostro Signore, in questo brano si rivolge ai notabili: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!» (Mt 23,13 ss).

Applichiamo questo insegnamento divino alla nostra vita. Le nostre buone e cattive azioni hanno sempre un doppio impatto: uno, che ricade su noi stessi, poiché ogni azione ci migliora o ci devasta; l'altro, tenendo conto della nostra situazione di adulti, genitori, insegnanti, responsabili in qualsiasi modo, ogni nostra azione può avere ripercussioni, buone o cattive, insospettabili: «La vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro» (Francesco).
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24/08/2021 08:15
 
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«Vieni e vedi»

Mons. Christoph BOCKAMP Vicario Regionale dell'Opus Dei in Germania
(Bonn, Germania)
Oggi celebriamo la festa di san Bartolomeo apostolo. San Giovanni evangelista racconta il suo primo incontro con il Signore con tanto realismo che ci è facile entrare nella scena. Sono dialoghi di cuori giovani, diretti, franchi… divini!

Gesù incontra Filippo per caso e gli dice «Seguimi!» (Gv 1,43). Poco dopo, Filippo, entusiasta dell’incontro con Gesù, cerca il suo amico Natanaèle per comunicagli che —finalmente— ha trovato colui che Mosè e i profeti aspettavano: «Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret» (Gv 1,45). La risposta che riceve non è entusiasta ma scettica: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Quasi dappertutto succede qualcosa di simile. È normale che in ogni città, in ogni paese si pensi che dalla città, dal paese vicino non possa uscire nulla che valga la pena… lì sono quasi tutti degli inetti… e viceversa.

Ma Filippo non si scoraggia. E, siccome sono amici, non dà spiegazioni ma dice: «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Va e il suo primo incontro con Gesù è l’inizio della sua vocazione. Quello che apparentemente è una casualità, nei piani di Dio era stato lungamente preparato. Per Gesù, Natanaèle non è uno sconosciuto: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Quale albero di fichi? Forse era il luogo preferito da Natanaèle dove soleva recarsi quando voleva riposare, pensare, rimanere da solo… sempre sotto l’amoroso sguardo di Dio. Come tutti gli uomini, in ogni momento. Ma per rendermi conto di questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi, per essere cosciente che è alla mia porta e bussa, ho bisogno di una voce esterna, di un amico, un “Filippo” che mi dica: «Vieni e vedi». Qualcuno che mi porti al cammino che san Josemaria descrive così: Cercare Cristo; incontrare Cristo, amare Cristo.
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25/08/2021 08:16
 
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«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti»

+ Rev. D. Lluís ROQUÉ i Roqué
(Manresa, Barcelona, Spagna)
Oggi, come nei giorni scorsi ed in quelli seguenti, vediamo Gesù, fuori di sé, condannando atteggiamenti incompatibili con una vita degna, non solo da cristiani ma per fino da esseri umani: «All’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (Mt 23,28). Queste parole vengono a confermare che la sincerità, l’onestà, la lealtà, la nobiltà, sono virtù amate da Dio e, pure, molto apprezzate dagli esseri umani.

Per non cadere, quindi, nell’ipocrisia, devo essere assai sincero. In primo luogo, con Dio perché vuole che sia puro di cuore e che detesti ogni classe di bugia perchè Egli è assolutamente puro, è la Verità assoluta. In secondo luogo, con me stesso, perché non sia proprio io il primo ad essere ingannato all’espormi a peccare contro lo Spirito Santo, non riconoscendo i miei peccati ne manifestandoli con chiarezza nel sacramento della Penitenza, o al non aver sufficiente fiducia in Dio, che non condanna mai a chi fa da figlio prodigo, ne condanna nessuno per il solo fatto di essere peccatore, ma perché no si riconosce come tale. In terzo luogo, poi, con gli altri, perché –come Gesù- a noi tutti, fa rabbia la bugia, l’inganno, la mancanza di sincerità, di onestà, di lealtà, di nobiltà…, e, precisamente per questo, dobbiamo applicarci il principio: «Quello che non vuoi per te, non farlo agli altri».

Questi tre atteggiamenti – che possono essere considerati di buon senso- dobbiamo farli nostri per non cadere nell’ipocrisia e renderci conto che abbiamo bisogno della grazia santificante, a causa del peccato originale provocato dal “padre della bugia”: il demonio. Perciò terremo presente l’esortazione di san Giuseppemaria Scrivà: «Al momento dell'esame sta' in guardia contro il demonio muto»; avremo presente anche Origene, che dice: «Ogni falsa santità resta morta perchè non viene impulsata da Dio», e ci faremo guidare sempre dal principio elementare e semplice proposto da Gesù :«Sia…il vostro parlare:”Sì, sì”; “No, no”» (Mt 5,37).

Maria non spreca parole, ma il suo “Sì” al bene, alla grazia, fu unico e verace; il suo “No” al peccato fu chiaro e sincero.
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26/08/2021 08:12
 
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«Tenetevi pronti»

+ Rev. D. Albert TAULÉ i Viñas
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il testo evangelico ci parla dell'incertezza del momento in cui verrà il Signore: «non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Se vogliamo che ci trovi svegli al momento del suo arrivo, non possiamo distrarci ne addormentarci: bisogna essere sempre preparati. Gesù ci da molti esempi di questa attenzione: quello che vigila caso mai venisse un ladro, il servo che vuole compiacere il padrone... Forse oggi ci parlerebbe di un portiere di calcio che non sa ne quando ne come gli arriverà il pallone...

Ma, forse, dovremmo prima chiarire di quale venuta ci si parla. Si tratta dell'ora della morte?; si tratta della fine del mondo? Certamente, sono venute del Signore che Lui ha lasciato volutamente nell´incertezza per suscitare in noi un’ attenzione costante. Ma, facendo un calcolo di probabilità, forse nessuno della nostra generazione sarà testimone di un cataclisma universale che metta fine all'esistenza della vita umana in questo pianeta. E, su quello che riguarda la morte, questa solamente succederà una volta e basta. Mentre ciò non accade, non ci sarà nessun’ altra venuta più vicina di fronte alla quale converrà essere sempre preparati?

«Come passano gli anni! I mesi si riducono a settimane, le settimane a giorni, i giorni a ore e le ore a secondi...» (San Francesco di Sales). Ogni giorno, ogni ora, in ogni istante il Signore è vicino alla nostra vita. Attraverso le ispirazioni interne, attraverso le persone che ci circondano, i fatti che vanno succedendosi, il Signore bussa alla nostra porta e, come dice l'Apocalissi: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Oggi, se facciamo la comunione, questo accadrà un’ altra volta. Oggi, se ascoltiamo pazientemente i problemi che altri ci affidano o diamo generosamente i nostri soldi per aiutare in una necessità, ciò tornerà a succedere. Oggi, se nella nostra preghiera personale riceviamo —improvvisamente— un’ispirazione inattesa, ciò tornerà ad accadere.
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27/08/2021 07:11
 
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«In verità io vi dico: non vi conosco»

+ Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(Tremp, Lleida, Spagna)
Oggi, Venerdì XXl del tempo ordinario, il Signore ci ricorda nel Vangelo che bisogna essere sempre vigilanti e preparati ad incontrarci con Lui. A mezza notte, in qualunque momento, possono chiamare alla porta ed invitarci ad uscire per ricevere il Signore. La morte non chiede un appuntamento previo. Veramente, «non conoscete né il giorno né l'ora» (Mt 25,13).

Vigilare non significa vivere con paura ed angoscia. Significa vivere in un modo responsabile la nostra vita di figli di Dio, la nostra vita di fede, speranza e carità. Il Signore aspetta continuamente la nostra risposta di fede ed amore, costanti e pazienti, tra le occupazioni e preoccupazioni che vanno tessendo il nostro vivere.

E questa risposta solamente la possiamo dare noi, tu ed io. Nessuno può farlo in nostra vece. Questo è ciò che significa il negarsi delle vergini prudenti a cedere parte del loro olio per le lampade spente delle vergini stolte: «andate piuttosto dai venditori e compratevene» (Mt 25,9). Così la nostra risposta a Dio è personale ed intrasferibile.

Non aspettiamo un “domani” —che forse non verrà— per accendere la lampada del nostro amore per lo Sposo. Carpe diem! Bisogna vivere in ogni istante della nostra vita tutta la passione che un cristiano deve sentire per il suo Signore. È una frase conosciuta, ma che vale la pena ricordarla nuovamente: «Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse il primo della tua esistenza, come se fosse l'unico giorno di cui disponiamo, come se fosse l'ultimo giorno della nostra vita». Un richiamo realista alla necessaria e ragionevole conversione che dobbiamo portare a buon fine.

Che Dio ci conceda la grazia nella sua grande misericordia di non sentire nell´ora suprema: «In verità vi dico: non vi conosco» (Mt 25,12), vuol dire, «non avete avuto nessun rapporto né tratto con me». Trattiamo il Signore in questa vita in modo tale da essere conosciuti ed amici suoi nel tempo e nell'eternità.
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28/08/2021 07:49
 
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«Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni»

Rev. D. Albert SOLS i Lúcia
(Barcelona, Spagna)
Oggi, contempliamo la parabola dei talenti. In Gesù osserviamo (come) un periodo di cambio nello stile del suo messaggio: l’annunzio del Regno non si limita tanto a dimostrare la sua prossimità quanto a descrivere il suo contenuto mediante racconti: è l’ora delle parabole!

Un grand’uomo decide di intraprendere un lungo viaggio, e confida tutto il patrimonio ai suoi servitori. Poteva averlo distribuito in parti uguali, ma non lo fece così. Diede a ciascuno d’accordo alle sue capacità (cinque, due ed un talento). Con quel denaro ogni servitore poté capitalizzare l’inizio di un buon affare. I primi due si dedicarono ad amministrare i loro depositi, ma il terzo —per paura o per pigrizia— preferì nasconderlo evitando ogni investimento: si chiuse nella comodità della sua propria povertà.

Il signore ritornò e... richiese la resa dei conti (cf. Mt 25,19). Premiò il coraggio dei primi due che raddoppiarono il deposito affidato. Il comportamento con il servo “prudente” fu molto diverso.

Il messaggio della parabola continua ad essere di grande attualità. Le moderne democrazie camminano verso una separazione progressiva tra la Chiesa e lo Stato. Questo non è controproducente, anzi al contrario. Tuttavia, questa mentalità globale e progressiva racchiude un effetto secondario, pericoloso per i cristiani: essere l’immagine viva di quel terzo servo a chi il signore (figura biblica di Dio Padre) rimproverò molto severamente. Senza malizia, soltanto per comodità o paura, corriamo il pericolo di nascondere e ridurre la nostra fede cristiana al circolo privato della famiglia e degli amici intimi. Il Vangelo non può limitarsi ad una lettura e contemplazione sterile. Dobbiamo amministrare con coraggio e rischio la nostra vocazione cristiana nel proprio ambiente sociale e professionale proclamando la figura di Cristo con le parole e il testimonio.

Commenta Sant’Agostino: «quelli che predichiamo la parola di Dio ai popoli non siamo tanto lontani dalla condizione umana e dalla riflessione basata nella fede da non avvertire i nostri pericoli. Però ci conforta il fatto che, dove c’è il nostro pericolo a causa del ministero, li abbiamo l’aiuto delle vostre preghiere».
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30/08/2021 08:39
 
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«Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»

Rev. D. David AMADO i Fernández
(Barcelona, Spagna)
Oggi, «si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Con queste parole, Gesù commenta nella sinagoga di Nazareth un testo del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me;» (Lc 4,18). Queste parole hanno un significato specifico al di là del momento storico in cui sono state pronunciate. Lo Spirito Santo abita in pienezza in Gesù Cristo, ed è Lui chi lo manda i credenti.

Ma anche, tutte le parole del Vangelo hanno un’eterna attualità. Esse sono eterne perché sono state pronunciate dall’Eterno, e sono attuali perché Dio fa che si compiano in tutti tempi. Quando ascoltiamo la Parola di Dio, dobbiamo riceverla non come un discorso umano, ma come una parola che ha un potere di trasformazione in noi. Dio non parla alle nostre orecchie, ma i nostri cuori. Tutto ciò che dice è profondamente pieno di significato e di amore. La Parola di Dio è una fonte inesauribile di vita: «È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte.» (S. Efrem). Le sue parole vengono dal cuore di Dio. E da quel cuore, il cuore della Trinità, è venuto Gesù –la Parola del Padre- agli uomini.

Così, ogni giorno, quando sentiamo il Vangelo, dobbiamo essere in grado di dire con Maria: «avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38), e Dio ci risponderà: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita». Ora, per che la Parola possa essere efficace in noi dobbiamo scartare ogni pregiudizio. I contemporanei di Gesù con lo capissero, perché solo guardavano con occhi umani: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22). Hanno visto l'umanità di Cristo, ma non hanno capito la sua divinità. Ogni volta che sentiamo la Parola di Dio, al di là dello stile letterario, della bellezza delle espressioni o l'unicità della situazione, dobbiamo sapere che è Dio che ci parla.
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01/09/2021 09:32
 
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«Imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, ci troviamo di fronte a una chiara controversia: la gente che cerca Gesù e Colui che cura tutte le “malattie” (cominciando dalla suocera di Simon Pietro); e allo stesso tempo «Da molti uscivano demoni gridando» (Lc 4,41). Come dire: pace e bene da una parte; malignità e disperazione dall’altra.

Non è la prima volta che appare il diavolo “uscendo”, per meglio dire, scappando dalla presenza di Dio, tra grida e esclamazioni. Ricordiamoci anche dell’indemoniato di Gerasa (cf. Lc 8,26-39). Sorprende che sia il proprio diavolo che “riconoscendo ” a Gesù, come nel caso di Gerasa, sia lui stesso ad andargli incontro (certamente con rabbia e irritato perché la presenza di Dio perturbava la sua vergognosa tranquillità).

Molte volte anche noi pensiamo che l’incontro con Gesù è un fastidio? ! Ci disturba dover andare a Messa la Domenica; ci irrita pensare che da molto non dedichiamo un tempo alla preghiera; ci vergognamo dei nostri errori, invece di andare dal Dottore della nostra anima e chiedergli semplicemente perdono... Pensiamo se non è il Signore che deve venire al nostro incontro, giacché ci facciamo pregare per lasciare la nostra piccola “grotta” e uscire all’incontro di chi è il Pastore delle nostre vite! Questo si chiama, semplicemente, tiepidezza.

La diagnosi per tutto questo è: atonia, mancanza di tensione nell’anima, angustia, curiosità disordinata, stress, pigrizia spirituale con le cose della fede, pusillanimità, voglia di stare da soli con noi stessi... E c’è anche un antidoto: smettere di guardare se stesso e mettersi al lavoro. Impegnarsi a dedicare un momento ogni giorno per guardare ed ascoltare Gesù (ciò che chiamiamo preghiera): Gesù lo faceva, visto che «Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto» (Lc 4,42). Fare un piccolo sforzo per vincere l’egoismo in una piccola cosa ogni giorno per il bene degli altri (questo si chiama amare). Fare un piccolo–grande accordo con noi stessi, per vivere ogni giorno coerentemente la nostra vita cristiana.
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