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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 17/04/2024 09:54
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31/12/2017 09:49
 
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La famiglia è stata definita in migliaia di modi, eppure credo che nessuno sia riuscito a dare una definizione più bella, più esaustiva di quella che oggi si può desumere dal Vangelo. Oggi ci sono rivelati anche dei trucchi per tenerla salda e per educare i figli. Una coppia di sposi, Maria e Giuseppe che tengono in braccio il loro figlio, dono di Dio, che hanno accolto e amato fin dal suo concepimento. Insieme, e non solo lei o solo lui, portano il bambino al tempio. Scena meravigliosa! È Gesù che tiene uniti i suoi genitori, è Lui la causa del loro camminare insieme. Anche oggi questo è vero. Solo Lui può tenere saldo un matrimonio, perché ti insegna a servire l’altro, non ad asservirlo. Il Bambino Gesù fin dai primi giorni della sua vita non vede solo la mamma, ma anche suo papà. Li vedrà insieme tante e tante volte ancora. Quell’entrata nel tempio sarà una delle tante volte in cui Gesù sarà accompagnato dai suoi genitori, fino a quando ne capirà l’importanza e vi andrà da solo. Penso a quelle coppie che si vedono in Chiesa solo per dare i primi sacramenti ai figli e poi scompaiono: difficilmente i figli capiranno l’importanza di Dio nella loro vita. Una famiglia, dunque, che ha scelto di mettere Dio e la sua legge al primo posto. Una famiglia, quella di Nazaret, in cui a ognuno è chiaro il proprio ruolo: Il papà è padre, e non un fratello minore con il quale sbarchi il lunario; la mamma è madre, e non una coetanea che simula di essere l’amica adolescente, svendendo il suo ruolo. Il figlio è figlio, che deve essere educato, sostenuto, ma anche corretto e incoraggiato. Insomma, una famiglia è un agglomerato d’amore, una gara al servizio, ma è soprattutto unita da Dio.

Benedici, Signore, le nostre famiglie, riempile del tuo santo timore e di spirito di servizio. Dona a tutte le famiglie di comprendere che non c’è vittoria per chi toglie la vita all’altro, ma come ci hai dimostrato tu, vince chi la vita la mette a servizio e la dona con gioia.

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03/01/2018 09:11
 
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Il prologo del Vangelo secondo Giovanni canta in termini poetici la passione d’amore che abita il cuore di Dio: il Figlio che è la parola di Dio rivolta verso Dio, “parla” a Dio Padre fin dall’eternità, nell’in principio fuori del tempo. È da questo primordiale colloquio d’amore interno al cuore stesso di Dio, tra Dio e la sua Parola eterna, che nasce la volontà di una comunione più ampia che dà origine alla creazione del mondo e alla rivelazione, fino all’incarnazione. La parola di Dio si espone al rischio di “uscire da sé”, fino a prendere forma umana in Gesù, venendo tra quegli uomini di cui fin da principio era la luce e la vita. In Gesù “la vita si è fatta visibile e noi l’abbiamo contemplata” (1Gv 1,2). In quella vita, per una volta nella storia, all’umanità è stato dato di contemplare la sua immagine purissima, come in uno specchio: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). Ecco l’uomo vero.

Il mondo degli uomini fin da principio è stato creato da Dio per vivere nella luce della sua Parola. Eppure questo mondo ha dimenticato di essere trasparenza di luce, creato per la luce. In qualche modo si è assuefatto a vivere nell’oscurità, contro la sua natura, fino a trovare la tenebra più naturale della luce, come il quarto vangelo dice in un altro passo: “Gli uomini hanno amato più le tenebre della luce” (Gv 3,19). La luce è simbolo della vita vera, ossia dell’amore, che è lo scopo per cui ogni uomo che viene al mondo è stato creato. “Chi ama suo fratello dimora nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va” (1Gv 2,10-11).

E tuttavia il rifiuto della luce – ci assicura il vangelo – non arriva a vincere la luce, a sopraffarne la forza nascosta fino a spegnerla. Una sottile lama di luce resiste sempre, contro ogni ragionevole speranza. La vittoria del rifiuto, anche se appariscente, è solo apparente. Paradossalmente il rifiuto contribuisce alla piena rivelazione della luce. La parola di Dio che è Gesù si rivela in pienezza di “grazia e di verità” proprio quando è rifiutata. E allora può essere veramente accolta nell’intimo dell’uomo, quando diventa “parola della croce”, parola crocifissa. Parola totalmente svuotata di sé e disarmata, e per questo totalmente accogliente. Il Signore ci accoglie e fa splendere su di noi la luce del suo volto anche e proprio nelle tenebre del nostro rifiuto; e così mostra la sua gloria, che è “gloria come del Figlio unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14), gloria di chi dona la sua vita per amore. Quando è innalzato sulla croce Gesù mostra il senso pieno del suo essere donato al mondo come “vita vera” degli uomini: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). In fondo la “gloria nel più alto dei cieli” (Lc 2,14), proclamata davanti ai pastori dagli angeli del Natale, è la stessa gloria che possiamo contemplare sulla croce, diventata ormai trono regale. Tra i due momenti una vita umana che nelle pieghe della sua umanità è narrazione, racconto, esegesi dell’amore del Padre: “Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato” (Gv 1,18).
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04/01/2018 08:49
 
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Giovanni ci dà un esempio del “discepolo modello”. Nel vangelo di oggi si parla di vocazione, di Dio che ci chiama a sé. Il primo passo consiste nel sentire la voce di Gesù; qualcuno ce lo indica: “Ecco l’agnello di Dio!”. E, come i due discepoli, cominciamo a seguirlo. Poi Gesù si volta verso di noi e ci chiede: “Che cercate?”. In risposta dobbiamo dire: “Dove abiti?”.
Ricordiamoci delle parole di sant’Agostino e ripetiamole: “I nostri cuori sono inquieti fino a che non riposano in te”.
All’inizio della nostra vita di discepoli, Gesù ci fa questo invito: “Venite e vedrete”.
In molte pagine dell’Antico Testamento è ricordato l’invito del Signore a tornare a lui, ad abbandonare le cattive abitudini e a volgersi di nuovo a lui. Dio desidera il ritorno dei suoi figli ribelli.
In seguito, nella pienezza dei tempi, nel mistero dell’Incarnazione, Dio ci chiama di nuovo, con parole semplici perché possiamo comprendere: “Vieni!”. Seguendo Gesù e diventando suoi discepoli ci incamminiamo verso una meta, diamo un senso alla nostra vita terrena: il fine ultimo è unirsi a Dio e restare con lui per l’eternità. Pregando al Getsemani Gesù dice: “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
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05/01/2018 09:55
 
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Filippo ci dà una lezione impeccabile accompagnando Natanaele fino il Maestro. Si comporta come l’amico che desidera condividere con l’altro il tesoro appena scoperto: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth» (Gv 1,45). Immediatamente, con illusione, vuole condividerlo con gli altri, affinché tutti possano ricevere i suoi benefici. Il tesoro è Gesù Cristo. Nessuno come Lui può colmare il cuore dell’uomo di pace e felicità. Se Gesù vive nel tuo cuore, il desiderio di condividerlo si trasformerà in una necessità. Da qui nasce il senso dell’apostolato cristiano. Quando Gesù, più avanti, ci inviti a tirare le reti dirà a ognuno di noi che dobbiamo essere pescatori di uomini, poiché sono molti quelli che hanno bisogno di Dio, che la fame di trascendenza, di verità, di felicità... c’è Qualcuno che può saziare pienamente: Gesù Cristo. «Soltanto Gesù Cristo è per noi tutte le cose (…). ¡Felice l’uomo che spera in Lui!» (Sant’Ambrogio).

Nessuno può dare quello che non ha o non ha ricevuto. Prima di parlare del Maestro, è necessario aver parlato con Lui. Soltanto se lo conosciamo bene e ci siamo lasciati conoscere da Lui, saremo in condizione di presentarlo agli altri, così come fa Filippo nel Vangelo di oggi. Così come hanno fatto tanti santi e sante lungo la storia.

Frequentare Gesù, parlare con Lui come un amico parla al suo amico, confessarlo con una fede convinta: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!» (Gv 1,49), riceverlo spesso nell’Eucaristia e visitarlo con frequenza, ascoltare attentamente le sue parole di perdono... tutto ci aiuterà a presentarlo meglio agli altri e a scoprire la felicità interiore che produce il fatto che molte altre persone lo conoscano e lo amino.
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06/01/2018 10:28
 
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Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono»

Oggi, il profeta Isaia ci esorta: «Alzati, rivestiti di luce, Gerusalemme, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te» (Is 60,1). Quella luce che ha visto il profeta, è la stella che vedono i Magi in Oriente, come molti altri uomini. I Magi scoprono il suo significato. Gli altri uomini la contemplano come se fosse qualcosa di ammirabile che, però, non causa in loro nessun effetto. E, così, non reagiscono. I Magi, si rendono conto che, con la stella, Dio invia loro un messaggio importante per il quale vale la pena lasciare le comodità del sicuro e rischiare tutto in un viaggio incerto: la speranza di incontrare il Re, li porta a seguire quella stella, che avevano annunciato i profeti e che il popolo di Israele aspettava da secoli.

Arrivano a Gerusalemme, la capitale degli Ebrei. Pensano che lì sapranno indicargli il luogo preciso dove è nato il loro Re. Effettivamente, diranno loro: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta» (Mt 2,5). La notizia dell’arrivo dei Magi e la loro domanda si diffuse per tutta Gerusalemme in poco tempo: Gerusalemme era allora una piccola città, e la presenza dei Magi e del loro seguito era stata notata da tutti i suoi abitanti visto che «Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2,3), ci dice il Vangelo.

Gesù si incrocia nella vita di molte persone, a cui non interessa. Un piccolo sforzo avrebbe cambiato le loro vite, avrebbero trovato il Re della Felicità e della Pace. Questo richiede la buona volontà di cercarlo, di muoversi, di chiedere senza scoraggiarsi, come i Magi, di uscire dalla nostra pigrizia, dalla nostra routine, di apprezzare l’immenso valore di incontrare Cristo. Se non lo incontriamo, non abbiamo trovato nulla nella vita, perché solo Lui è il Salvatore: incontrare Gesù è trovare il Cammino che ci porta a conoscere la Verità che ci da la Vita. E, senza di Lui, assolutamente nulla vale la pena.
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07/01/2018 08:48
 
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Mons. Salvador CRISTAU i Coll Vescovo Auxiliare de Terrassa (Barcelona, Spagna)

«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»

Oggi, solennità del Battesimo del Signore, termina il ciclo del Natale. Il Vangelo dice che Giovanni era apparso nel deserto a «predicare un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1,4). La gente andava a sentirlo, confessavano i loro peccati e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. E fra questa folla, si presentò anche Gesù per essere battezzato.

Nel periodo natalizio abbiamo visto come Gesù si manifestava ai pastori ed ai Magi che, provenendo dall'Oriente, lo adorarono e Lui offrirono i loro doni. Infatti, la venuta di Gesù nel mondo è per manifestare l'amore di Dio che ci salva.

E lì, nel Giordano, venne registrata una ulteriore manifestazione della divinità di Gesù, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo come una colomba scese verso di lui e si udì la voce del Padre «Tu sei il figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mc 1,11). Egli è il Padre del cielo in questo caso e lo Spirito Santo che manifesta. È Dio stesso che rivela chi è Gesù, suo Figlio diletto.

Ma non era una rivelazione solo per Giovanni e gli ebrei. Era anche per noi. Lo stesso Gesù, il Figlio prediletto del Padre, rivelato agli ebrei nel Giordano, si manifesta continuamente a noi ogni giorno. Nella Chiesa, nella preghiera, nei fratelli, nel Battesimo che abbiamo ricevuto e ci ha fatto figli dello stesso Padre.

Chiediamoci, quindi: —Riconosco la sua presenza, il suo amore nella mia vita? —Vivo un vero rapporto filiale con Dio? Papa Francisco dice: «Quello che Dio vuole dell'uomo è un rapporto "Papà-figlio” acarezzarlo, e dirgli: 'Io sono con te’».

Anche a noi il Padre celeste in mezzo delle nostre lotte e difficoltà ci dice: « Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
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08/01/2018 08:31
 
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il Vangelo ci invita alla conversione. «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Convertirsi, a che cosa? Forse sarebbe meglio dire: a chi? A Cristo! Così l’indicò Lui: «Chi ama padre e madre più di me, non è degno di me» (Mt 10,37).

Convertirsi significa accogliere riconoscenti il dono della fede e renderlo operativo mediante la carità. Convertirsi vuol dire riconoscere Cristo quale unico signore e re dei nostri cuori, dei quali può disporre. Convertirsi implica scoprire Cristo in tutti gli avvenimenti della storia umana, anche della nostra storia personale, coscienti che Lui è l’origine, centro e fine di tutta la storia, e che per Lui tutto è stato redento, e in Lui raggiunge la sua pienezza. Convertirsi suppone vivere di speranza perché Lui ha vinto il peccato, il maligno e la morte, e l’Eucaristia ne è la garanzia.

Convertirsi comporta amare Nostro Signore al di sopra di tutto, qui sulla terra, con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze. Convertirsi presuppone consegnarGli la nostra intelligenza e la nostra volontà, in modo tale che la nostra condotta faccia reale il motto episcopale del Santo Padre, Giovanni Paolo ll, `Totus tuus´cioè `Tutto tuo´, o mio Dio! e tutto è: tempo, qualità, beni, illusioni, progetti, salute, famiglia, lavoro, ristoro, tutto. Convertirsi richiede, allora, amare la volontà di Dio in Cristo, al di sopra di tutto e godere riconoscenti, di tutto ciò che avviene da parte di Dio, includendo contraddizioni, umiliazioni, malattie, e scoprirle quali tesori che ci consentono di esprimere più pienamente il nostro amore verso Dio!`se Tu lo vuoi così, così lo voglio anch'io!´

Convertirsi esige, così, come per gli apostoli Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, lasciare «immediatamente le reti e seguire Lui» (Cf. Mc 1,18), all’ascoltare la Sua voce. Convertirsi, è che Cristo lo sia tutto in noi.
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09/01/2018 08:12
 
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Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret (Vic, Barcelona, Spagna)

«Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi»

Oggi, primo martedì del tempo ordinario, san Marco ci presenta Gesù insegnando nella sinagoga e immediatamente commenta: «Erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come chi ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,21). Questa osservazione iniziale è impressionante. Infatti, il motivo dell’ammirazione di quelli che ascoltavano, da una parte, non è la dottrina, ma il maestro; non quello che viene spiegato, ma Colui che lo spiega; e, d’altra parte, non precisamente il predicatore, visto globalmente, ma specificamente rimarcato: Gesù insegnava «con autorità», cioè, con potere legittimo e irresistibile. Questa particolarità resta poi riaffermata per mezzo di una chiarissima contrapposizione: «non lo faceva come gli scribi».

In un secondo tempo, la scena della curazione dell’uomo possesso da uno spirito maligno aggiunge, al motivo dell’ammirazione personale, un fattore dottrinale: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità» (Mc 1,27). Dobbiamo notare tuttavia che il qualificativo non è tanto di contenuto come di singolarità: la dottrina è «nuova». Ecco un altro motivo di discordanza: Gesù comunica qualcosa di inaudito (mai come adesso questo qualificativo acquista un valore così importante).

Aggiungiamo una terza avvertenza. L’autorità proviene, inoltre, non solo dal fatto che Gesù «financo gli spiriti immondi gli obbediscono». Ci troviamo di fronte ad una contrapposizione così intensa come le due precedenti. All’autorità del Maestro e alla novità della dottrina, bisogna aggiungere il potere sugli spiriti del male.

Fratelli! Dalla fede sappiamo che questa liturgia della parola ci rende contemporanei dell’evento che abbiamo appena ascoltato e che stiamo commentando. Domandiamoci con umile riconoscenza: Sono convinto che nessun altro uomo ha parlato mai come Gesù, che è la Parola di Dio Padre? Mi considero ricco di un messaggio che non ha nessun paragone? Mi rendo conto della forza liberatrice che Gesù ed i Suoi insegnamenti hanno sulla vita umana e, più concretamente , nella mia vita? Mossi dallo Spirito Santo, diciamo al nostro Redentore: Gesù-vita, Gesù-dottrina, Gesù-vittoria, fa che, come si compiaceva il grande Ramón Lull al dire:`Viviamo in continua “meraviglia” di Te!´(possiamo anche noi ripetere spesso questa frase di fede e d’amore!).
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10/01/2018 08:09
 
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Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM (Barcelona, Spagna)

«Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava»

Oggi, vediamo con chiarezza come Gesù divideva la Sua giornata. Una parte la dedicava alla preghiera e un’altra alla Sua missione di predicare con parole e con opere. Contemplazione e azione. Preghiera e lavoro. Stare con Dio e stare con gli uomini.

In effetti vediamo Gesù dedicato anima e corpo alla Sua missione di Messia e di Salvatore: cura gli ammalati, come la suocera di san Pietro e molti altri, consiglia chi è triste, espelle demoni, predica. Tutti Gli portano i loro ammalati e indemoniati. Tutti vogliono ascoltarlo; «Tutti ti cercano» (Mc 1,37), gli dicono i discepoli. Sicuro che doveva avere spesso un’attività così faticosa che quasi non Lo lasciava nemmeno respirare.

Gesù, però, si procurava anche momenti di solitudine per dedicarsi alla preghiera: «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava» (Mc 1,35). In altri punti dei Vangeli, vediamo Gesù dedicato alla preghiera in altre ore, e perfino a notte inoltrata. Sapeva distribuire il tempo saggiamente, affinché la Sua giornata avesse un equilibrio ragionevole di lavoro e preghiera.

Noi diciamo frequentemente: -Non ho tempo! Siamo occupati con il lavoro domestico, con il lavoro professionale, e con gli innumerevoli impegni che caricano la nostra agenda. Con frequenza ci consideriamo esonerati dalla preghiera giornaliera. Facciamo un mucchio di cose `importanti´, questo sì, però corriamo il rischio di dimenticare la cosa più `necessaria´: la preghiera. Dobbiamo creare un equilibrio per poter fare le une senza trascurare le altre.

San Francesco lo imposta così: «Bisogna lavorare fedelmente e devotamente, senza spegnere lo spirito della santa preghiera e della devozione; a tale spirito devono servire le altre cose temporali».

Forse dovremmo organizzarci un po’ meglio. Disciplinarci, “dominando” il tempo. Ciò che è importante deve essere incluso ma ancora di più ciò che è necessario.
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11/01/2018 09:17
 
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Rev. D. Xavier PAGÉS i Castañer (Barcelona, Spagna)

«Se vuoi, puoi guarirmi! (...). Lo voglio, guarisci!»

Oggi, nella prima lettura leggiamo: «Oggi, se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Ebr 3,7-8). E lo ripetiamo insistentemente in risposta al Salmo 94. In questa breve citazione, si trovano due cose: un anelito e una avvertenza. Entrambe conviene non dimenticarle mai.

Durante il nostro tempo giornaliero di preghiera, desideriamo e chiediamo di ascoltare la voce del Signore. Ma, forse, con troppa frequenza, ci preoccupiamo di riempire questo tempo con parole che noi vogliamo dirGli, e non lasciamo tempo per ascoltare quello che il Buon Dio vuole comunicarci. Vegliamo, dunque, per aver cura del silenzio interiore che, -evitando le distrazioni e concentrando la nostra attenzione- ci apre uno spazio per accogliere gli affetti, ispirazioni... che il Signore, certamente, vuole suscitare nei nostri cuori.

Un rischio che non possiamo dimenticare, è il pericolo che il nostro cuore –con il passar del tempo- si indurisca. A volte i colpi della vita possono convertirci, incluso senza renderci conto, in una persona più diffidente, insensibile, pessimista, disperata... Bisogna chiedere al Signore che ci renda coscienti di questo nostro possibile deterioramento interno. La preghiera è la opportunità per dare uno sguardo sereno alla nostra vita e a tutte le circostanze che la circondano. Dobbiamo leggere i diversi avvenimenti alla luce del Vangelo, per scoprire in quali aspetti abbiamo bisogno di una autentica conversione.

Voglia il Cielo che la nostra conversione la chiediamo con la stessa fede e fiducia con cui il lebbroso si presentò davanti a Gesù!: «In ginocchio gli diceva «Se vuoi, puoi curarmi!» (Mc 1,40). Lui è l’unico che può rendere possibile quello che, per noi stessi, risulterebbe impossibile. Lasciamo che Dio agisca con la Sua grazia in noi, perché il nostro cuore sia purificato e, docile alla Sua azione, giunga ad essere ogni giorno di più un cuore a immagine e somiglianza del cuore di Gesù. Lui, con fiducia, ci dice: «Lo voglio, sii purificato» (Mc 1,41).
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12/01/2018 08:18
 
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Rev. D. Joan Carles MONTSERRAT i Pulido (Cerdanyola del Vallès, Barcelona, Spagna)

«Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati(...). Alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua»

Oggi, vediamo di nuovo il Signore circondato da una moltitudine: «Si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta» (Mc 2,2). Il Suo cuore si disfa di fronte alle necessità degli altri e procura loro tutto il bene che può fare: perdona, insegna e sana allo stesso tempo. Certamente, offre aiuto d’indole materiale (nel caso di oggi lo fa sanando da una malattia di paralisi), ma –nel fondo- cerca ciò che è meglio e più importante per ciascuno di noi: il bene dell’anima.

Gesù Salvatore vuole lasciarci una speranza certa di salvezza; Lui è, perfino, capace di perdonare i peccati e di avere compassione della nostra debolezza morale. Anzitutto dice perentoriamente: «Figlio, ti sono perdonati i tuoi peccati» (Mc 2,5). Poi, Lo contempliamo, unendo al perdono dei peccati –che offre generosamente e senza stancarsi- un miracolo straordinario, “palpabile” con i nostri occhi fisici. Quasi a modo di una garanzia esterna, direi, per aprirci gli occhi della fede, dopo aver dichiarato il perdono dei peccati al paralitico, gli sana la paralisi: «`Dico a te, (...): alzati, prendi la tua barella e va a casa tua´. Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò» (Mc 2,11-12).

Questo miracolo possiamo riviverlo noi frequentemente nella Confessione. Nelle parole della assoluzione che pronuncia il ministro di Dio («Io ti assolvo nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo») Gesù ci offre di nuovo –in un modo discreto- la garanzia esterna del perdono dei nostri peccati, garanzia equivalente alla curazione spettacolare che realizzò con il paralitico di Cafarnao.

Adesso iniziamo un nuovo tempo ordinario. A noi credenti viene ricordato l’urgente bisogno che abbiamo dell’incontro sincero e personale con Gesù Cristo misericordioso. Egli ci invita in questo tempo a non rilassarci e a non trascurare il necessario perdono che Lui ci offre nella sua casa, la Chiesa.
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13/01/2018 11:23
 
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Quel Levi, che poi diventerà Matteo, apostolo ed evangelista, non poteva essere un uomo sereno, tanto era malvisto dai suoi connazionali per la sua funzione di esattore delle imposte, a servizio dell’invasore straniero, l’imperatore di Roma. È stato sufficiente l’autoinvito a pranzo da parte di Gesù per far scattare in questo ricco funzionario il desiderio di un altro spazio vitale. Nota lo scrittore Nicolás Gómez Dávila: «Dignità umana è ciò che si conquista lottando contro se stessi in nome di una norma». Ovviamente, l’entusiasmo con cui ha accolto in casa sua Gesù è sufficiente per dire quanta fosse la sua inquietudine, e in quale combattimento interiore si trovasse. La decisione, apparentemente repentina, di seguire il Maestro non manca di suscitare nei commensali un brusio di disapprovazione e chiacchiere contro Gesù. Seguire Cristo non è un movimento dei piedi, ma del cuore. Scrive il venerabile Beda: «Il Signore che lo aveva chiamato esteriormente con la parola, nell’intimo lo spinse con forza invisibile a seguirlo, infondendo nella sua mente la luce della grazia spirituale, perché comprendesse che colui che lo distoglieva in terra dai beni temporali, era capace di donare in cielo tesori incorruttibili» (Om. sui Vangeli, 1,21). Possiamo ammirare il coraggio e l’umiltà di Levi. La lezione è quanto mai attuale: ci insegna che i luoghi liberi della verità sono accessibili soltanto a quelli che sanno evadere dal loro ruolo sociale, o dal personaggio che incarnano. Questo vale per tutti, ma in modo particolare per coloro che nella Chiesa sono chiamati a svolgere compiti importanti, sia come consacrati, sia come laici. L’abitudine nelle cose di Dio spesso rende sciatti, tanto da suscitare nei fedeli sconcerto e dubbi sulle stesse convinzioni del ministro. L’ipocrisia è sempre latente: è facile fabbricarsi il “personaggio” e “in quello” tradire la verità e l’amore sincero per Cristo.

PreghieraSignore, al mattino ascolta la mia voce; fin dal mattino ti invoco e sto in attesa. Nei pericoli e nelle amarezze che segnano i nostri giorni, in te solo ripongo la mia fiducia, tu che sei sempre pronto a sostenere chi ti ama con cuore sincero e generoso.

AgireEvitare ogni pettegolezzo sulle persone che si convertono dopo una vita di lontananza dalla fede, e pregare per la loro perseveranza.

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14/01/2018 10:30
 
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Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés (Tarragona, Spagna)

«Rabbì –maestro –, dove dimori?»

Oggi, vediamo Gesù venire per la riva del Giordano: E’ Cristo che passa! Sono forse le quattro del pomeriggio quando, al vedere che due giovani lo seguono, si rivolge a loro per chiedergli: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Essi, sorpresi della domanda, rispondono: «Rabbi –che tradotto significa Maestro-, dove dormi?». `Venite e vedrete´» Gv 1,39).

Anch’io seguo Gesù, ma cosa voglio? Cosa cerco? E’ Lui che me lo chiede: «Realmente che cosa vuoi?» Oh, se fossi sufficientemente audace, per dirGli: «Cerco Te, Gesù!», certamente L’avrei trovato, «perché (...) chi cerca trova» (Mt 7,8). Sono, però, troppo pusillanime e gli rispondo con parole che non mi impegnano eccessivamente: «Dove dormi?». Gesù non si conforma con la mia risposta, sa benissimo che non sono un mucchio di parole di cui ho bisogno, ma di un amico, dell’Amico: di Lui! Perciò mi dice: «Vieni e lo vedrai», «Venite e lo vedrete».

Giovanni ed Andrea, i due giovani pescatori, andarono con Lui, «Videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,39). Entusiasta dell’incontro , Giovanni potrà scrivere: «La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). E Andrea? Correrà a cercare suo fratello per fargli sapere: «Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1,41). «e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù gli disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu ti chiamerai Cefa». –che significa “Pietra”» (Gv 1,42).

Pietra! Simone, una pietra? Nessuno di loro è preparato per capire queste parole. Non sanno che Gesù è venuto a edificare la Sua Chiesa con pietre vive. Egli ha già scelto i due primi pilastri, Giovanni ed Andrea, e ha deciso che Simone sia la rocca su cui deve appoggiarsi tutto l’edificio.

E, prima di ascendere al Padre, ci risponderà alla domanda: «Rabbi, dove dormi?». Benedicendo la sua Chiesa dirà: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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15/01/2018 10:38
 
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Toccare le tradizioni è sempre stato pericoloso. Nella “tradizione” vi è la storia di un popolo, di una fede religiosa, di un ordine giuridico: realtà indispensabili per assicurare la pace e la convivenza dei popoli. Occorre sempre valutare molto attentamente i cosiddetti “segni dei tempi”, per verificare quanto di positivo e di negativo l’innovazione possa comportare. Gesù vive un momento storico da protagonista ed è naturale che gli uomini di tutte le epoche si trovino divisi davanti a Lui, che rispetta la cosiddetta “tradizione” o “legge mosaica”, ma nel contempo la perfeziona con la legge dello Spirito (cfr. Rm 8,1-2). Alla religione della legge scritta e osservata con meticolosa ostentazione, Gesù porta quella della Parola e dell’amore: Lui stesso è la Parola di Dio, il Verbo incarnato. Scrive Henry de Lubac: «Il Cristianesimo […] è la religione del Verbo, “non di un verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo”. La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, “in maniera tale che la si vede e la si tocca”: Parola “viva ed efficace”, unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza. Il Cristianesimo non è “la religione biblica”: è la religione di Gesù Cristo». La “novità”, quindi, è Lui che, nel liberarci dalla schiavitù di un formalismo esteriore, chiede ai fedeli un’adesione interiore, libera e consapevole alla sua Parola. Questo non vuol dire rigettare tutto il ricco patrimonio di fede, di solidarietà sociale e di bellezza che la Chiesa ci ha tramandato nei secoli, come spesso avviene, ma di saper guardare al futuro, nell’intento di offrire all’uomo contemporaneo, smarrito e vittima di una società priva di valori etici e spirituali, la gioia vera nella piena partecipazione alla vita di Dio.

PreghieraSignore Gesù, aiutami a non contare soltanto sulle mie forze personali ma fa’ che, seguendo le tue ispirazioni, io possa sempre vivere e testimoniare la carica innovatrice della mia fede, che trova in te la sorgente della gioia e il fascino di una vita che non muore.

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16/01/2018 08:14
 
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Una delle dieci “Parole” di Dio è questa: «Ricordati del giorno del sabato per santificarlo» (Es 20,6). Il Deuteronomio esplicita dicendo che nel “giorno del Signore” tutti, anche lo schiavo, hanno il dovere del riposo e di fare “memoria” dell’alleanza stabilita da Dio con il suo popolo (cfr. Dt 5,2.12). Gesù, nel dire che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27), punta il dito contro il ritualismo dei Farisei. Ad un sistema di meticolose osservanze esteriori, all’ipocrisia di una spietata legalità senz’anima, Gesù presenta una religione fondata sulla verità, l’amore e la libertà. San Paolo, pur ritenendo buona la legge mosaica “finché se ne faccia un uso legittimo”, afferma che la “Legge non è fatta per il giusto, ma per i peccatori” (cfr. 1Tm 1,8-9); essa funge da pedagogo, ricordando quali siano i doveri verso Dio e verso il prossimo. Un vero cristiano non è dunque un anarchico, poiché egli riconosce che l’autorità è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio; tuttavia, quando una legge umana è in contrasto con l’ordine divino e, quindi, contro l’uomo, egli si attiene a questa norma: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). Una legge giuridica contro l’ordine naturale e il retto ordinamento civile è sempre una violenza che porta morte, e può degenerare in una vera tirannide. La gioia e la libertà del cristiano stanno nel possedere la legge dello Spirito nel Cristo Gesù, che ci ha liberati dalla legge del peccato e della morte (cfr. Rm 8,1-2). Dicendosi “Signore anche del sabato”, Gesù vuole affermare che il tempo è sacro, è di Dio (cfr. Gv 8,58). La domenica cristiana, memoriale della Pasqua del Signore, «per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell’identità cristiana» (Dies Domini, 30). Quanti ne sono consapevoli? Quanto le nostre liturgie aiutano a entrare nel “mistero di Dio”? Siamo cristiani coerenti?

PreghieraSignore, tu ci hai dato una sola legge, quella dell’amore per te e per il prossimo. Fa’ che nessun vincolo ci renda schiavi di noi stessi, per poter compiere solo quelle azioni che ci rendono liberi e siano a te gradite.

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17/01/2018 07:14
 
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Di fronte all’uomo dalla mano inaridita Gesù dà un volto alle parole di Osea: «Il mio cuore si commuove dentro di me» (Os 11,8). Commozione e tristezza non alterano la gioia intima del Figlio di Dio, ma esprimono la sua profonda umanità e partecipazione alle vicende umane. Gesù soffre di fronte alla “durezza di cuore” e all’astioso atteggiamento dei Farisei. Com’è possibile rifiutare i “segni” della sua presenza? Eppure, c’è chi per un diabolico orgoglio, ne fa a meno: vive come se Dio non esistesse. I Farisei persistono nel rifiuto di Gesù, a causa di una cecità interiore che li porta a credere solo nella legge fine a se stessa. Quei “dottori” avevano perso non solo la fede e la speranza, ma anche la legge, perché il centro della legge è l’amore per Dio e per il prossimo. In tal senso san Paolo afferma: «la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6). Chi è dalla parte dello Spirito è vivificato dalla forza di Dio. Al contrario, chi resta imprigionato in se stesso non può accogliere la linfa della nuova vita: resta nell’aridità, non apre la mano, si difende a denti stretti. Tali atteggiamenti di estremo rigorismo e di attaccamento alla fredda dottrina rendono le persone insensibili verso il prossimo e al grido di gioia del Vangelo, quando la gioia è una qualità del cristiano. «È triste essere credente senza gioia e la gioia non c’è quando non c’è la fede, quando non c’è la speranza, quando non c’è la legge, ma soltanto le prescrizioni, la dottrina fredda» (papa Francesco, 26 marzo 2015). È stato scritto che «la religione che non apre gli occhi nella fede è la peggior nemica del Vangelo». Il vero cristiano sa che la forza dell’amore di Dio per i suoi figli si manifesta anche oggi: raddrizza, guarisce e salva.

PreghieraSignore, siamo spesso titubanti ad aprire il nostro cuore alla tua grazia che salva, le nostre orecchie alla tua parola di speranza, i nostri occhi alle meraviglie che compi ogni giorno in coloro che ti accolgono. Dacci il coraggio di seguirti con il cuore aperto ai tuoi doni, che elargisci a larghe mani a chi confida in te.

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18/01/2018 08:30
 
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Riconoscere Gesù come Figlio di Dio è frutto della nostra conversione. Gli Apostoli seguono Gesù, i demòni lo inseguono. Questi lo conoscono, ma pur dichiarando pubblicamente la verità su Cristo, lo combattono. Gesù li mette a tacere perché non è ancora giunta l’“ora” in cui il Messia deve manifestarsi totalmente, come avverrà nel compimento del suo morire e risorgere. I demòni gridano, credono e temono. Per loro il Figlio di Dio è un tormento, un’ossessione, nonostante la loro perversa astuzia. L’uomo ha più paura di Dio che del demonio, «verso il quale preferisce mostrarsi forte e spregiudicato, atteggiarsi a positivista, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda» (Paolo VI, Catechesi, 15 novembre 1972). Per gli atei, Cristo è un tormento: affiora a tal punto nella loro coscienza, che arrivano a dichiarare il loro ateismo, pur non essendone interpellati. L’“intellighenzia” agnostica, non potendo negare la storicità di Gesù, nega di fatto la sua divinità: ha paura che Dio ci sia. Se il dubbio ottenebra e il tormento corrode, la verità incute sempre timore. Nell’operare dei demòni c’è la menzogna, ma loro credono in Gesù Cristo. L’uomo, se non lo accoglie, lo può bestemmiare, perché Egli dice di essere Dio. I demòni, che vedono meglio, riconoscono Cristo, ma non lo sopportano e gli urlano contro. Ne sanno qualcosa gli esorcisti. Spesso è sufficiente la sola vista del sacerdote per scatenare la repulsione più violenta di Satana con insulti, parole oscene, movimenti di aggressività particolarmente violenti al richiamo della Vergine Maria. Conosce e ama Gesù solo chi ne fa esperienza.

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19/01/2018 07:17
 
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In tutti i tempi s’alzano i fuochi se c’è la mano che sappia accenderli» (Papini). Così è stato per l’annuncio del Vangelo: Gesù “chiamò a sé quelli che volle”, ne scelse dodici perché stessero con lui e per inviarli. Non c’è nessun diritto al sacerdozio, come non c’è contraddizione tra lo “stare” e il “mandare”. La vocazione apostolica e quella contemplativa si compenetrano. San Gregorio M. per il pastore d’anime formula questa norma: «Essere illibato nel pensiero, esemplare nella condotta, riservato per il silenzio, utile attraverso la parola, vicino a tutti con solidarietà, dedito più di ogni altro alla contemplazione» (Reg. Past. II,1,1). San Tommaso usa un paragone efficace: «Come illuminare è più che risplendere, così comunicare agli altri le verità contemplate è più che il solo contemplare» (IIa IIae, q. 188, a. 6, c.). Gli Apostoli hanno accolto il volere di Gesù e, «per non lasciare da parte la parola di Dio», istituirono i diaconi (cfr. At 6,4). Perché Gesù prega? Perché da subito questi “eletti” dovevano dare un senso alla loro missione. La dissipazione è più una realtà che un rischio: quanto è difficile, oggi, lo “stare” con Gesù! In questo tempo di frenesia sociale dai tratti fin troppo ideologizzati, i preti sono facilmente portati ad essere più operativi “ad extra”, che non nella “cura delle anime” per la quale c’è sempre poco tempo… È vero che Gesù ha pure dato agli Apostoli il compito di distribuire i pani alle folle affamate, ma questo non è alternativo al ministero della Parola e dei Sacramenti. «Il mondo ha bisogno – diceva Benedetto XVI – di uomini che siano interiormente maturi e ricchi; il Signore ne ha bisogno per poterli chiamare e inviare», ma per il ministro di Dio «la vita interiore non può essere di minor valore delle attività esterne, come lo sport e la tecnica» (Opera omnia, XII, p. 562).

Signore, tu voi che tutti siano santi, ma in modo particolare i ministri dell’altare. Premia le loro fatiche, sorreggili nello scoraggiamento, rendili forti e coraggiosi, intrepidi e prudenti, generosamente fedeli.
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20/01/2018 09:31
 
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PO026 ;
L’incomprensione contiene generalmente un’arma nascosta: la calunnia. Gesù, senza volerlo, si trova circondato dall’ostilità, effetto - da parte degli Ebrei - dell’incomprensione. Anche la sua famiglia si inquieta perché ha sentito dire (“si diceva”) che egli è pazzo e non padrone di sé; essa vuole difenderlo.
Coloro che non accettano il messaggio di Gesù Cristo sono senza argomenti, e la loro unica risposta è la calunnia.
Coloro che voltano le spalle alla verità sono nella menzogna e non capiscono che il Messia è venuto per rivelare delle verità sconosciute. Peggio ancora, non capiscono che la grande novità cristiana consiste nel fatto che Gesù Cristo in persona è la Parola-Verità, rivelatrice del Padre, illuminata dallo Spirito.
Il medesimo destino di Gesù è riservato a coloro che vogliono seguire il Maestro. Noi ne abbiamo la prova tramite l’esperienza dei santi. I loro contemporanei li hanno spesso accusati di essere fuori di sé. Molti sono morti torturati e la Chiesa li definisce martiri perché furono testimoni della fede in Gesù Cristo. Colui che aderisce a Gesù Cristo deve sapere che berrà allo stesso calice
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21/01/2018 09:04
 
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don Luciano Cantini
Il tempo è compiuto

Nella Galilea

Gesù andò nella Galilea, da lì inizia la sua predicazione, in una terra di confine, incrocio di popoli, alla periferia di Israele lontano dai poteri religiosi, ai margini dell'impero in cui Roma esercitava il dominio economico, politico e militare. Nella insignificanza di una periferia umana, come in ogni periferia Dio si manifesta nella storia degli uomini per portare a loro la ?buona Notizia?. Non entra nelle stanze dei bottoni dove si decidono le sorti del mondo, non sfiora l'agitazione delle ?borse? capaci di movimentare le finanze, neppure si lascia coinvolgere dai riti e dai fumi d'incenso del Tempio. La storia di Dio si compie tra la gente semplice, quella che non conta, i cui nomi non vanno sui giornali ma porta su di sé la fatica della storia umana nella quotidianità del lavoro, nella dinamica delle relazioni. La vita che a noi sembra banale, a volte lontana dalla religione e da Dio è invece il luogo che Dio predilige per annunciare il suo Vangelo. Nessuno è troppo lontano da Dio da non essere toccato dal suo amore.

Il tempo è compiuto

Che significa che il tempo è compiuto? Quando diciamo che una cosa è compiuta intendiamo che è terminata, è finita, non c'è altro da fare. Ma come possiamo intenderlo per il tempo che ancora scorre con le mille cose che abbiamo fatto ma con altrettante che rimangono da fare. La storia manifesta le sue inquietudini: popoli che si combattono, gente che trasmigra, la miseria e la fame convivono con la ricchezza e l'opulenza, gli uomini sono in continua ricerca di qualcosa senza neppure aver chiaro cosa stia cercando davvero; anche la Terra manifesta instabilità: i cambiamenti climatici, i movimenti tellurici, i continenti che si allontanano e si avvicinano, l'acqua che scroscia, il vento che sgretola; nulla dà il senso del finito, del compimento.

Il tempo di cui parliamo di solito, quello in cui siamo immersi e di cui facciamo esperienza è il chronos che segna il susseguirsi degli avvenimenti; Gesù però parla del kairos, il tempo di Dio, il momento in cui si manifesta l'azione di Dio, non è il tempo che scorre ma quello che ci interpella, non si misura in ore e giorni che passano ma nella efficacia di ciò che porta, non si manifesta quantitativamente ma nella qualità del suo dono. È un tempo nascosto che difficilmente si scorge, è l'attimo fuggente che non siamo capaci a cogliere. Siamo così immersi nel susseguirsi delle cose che ci sfugge quella pienezza dei tempi di cui parla il vangelo: ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna (Gal 4,4); ciò che sfugge all'uomo non sfugge a Dio; quando lui ha deciso Dio è entrato nella storia degli uomini, non era necessario che noi fossimo capaci di accoglierlo, è stato necessario che fosse pronto lui a manifestare il suo amore per noi. Cristo ha vissuto su questa terra come uomo per renderci capaci di diventare Figlio di Dio, da allora non ha mai cessato di essere l'Emmanuele, il Dio con noi. Il tempo è compiuto, non c'è altro da attendere.


Il regno di Dio è vicino

C'è da domandarsi dove sia Dio nella nostra vita, o peggio nella nostra storia che sembra essere così lontana dagli ideali religiosi. Negli anni sessanta si è arrivati a teorizzare la ?morte di Dio? sostenendo che la cultura secolare moderna aveva perso tutto il senso del sacro, di ogni significato sacramentale, e non comprende la tensione trascendentale o senso della Provvidenza. L'olocausto era stata la manifestazione evidente della morte di Dio nel cuore dell'uomo.

Eppure Gesù ha annunciato che il regno di Dio è vicino, si è fatto prossimo all'uomo, alla sua storia, alle sue dimenticanze, alle sue cattiverie. Non c'è da inerpicarsi nei sentieri impervi della ascetica, né districarsi nei labirinti dei pensieri teologici, Dio è talmente vicino all'uomo che è riconoscibile nelle pieghe di una vita che è troppo normale da sembrare banale. Nella fatica quotidiana per guadagnarsi onestamente di che vivere, nella serenità dei tempi di svago, nel bisogno di amare e di donare amore.

Gesù Cristo ci ha portato la salvezza nel Regno che è già in mezzo a noi, che già opera nella nostra vita, senza che noi ce ne avvediamo.

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22/01/2018 10:41
 
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E' forte il demonio, molto più forte di noi; è lui Belzeebul, il "Baal (signore) del sudiciume", quello che regna in ogni casa - la vita - delle persone che ha sedotto con la sua menzogna e, bestemmiando lo Spirito Santo, sono diventate le sue cose. Bestemmia traduce il termine greco blasphêmía, ingiuriare, in latino diffamazione. Per farci dubitare di Dio e del suo amore, il demonio ci presenta la nostra croce, dove Cristo ha disteso le sue braccia per accoglierci e perdonarci, come l'opera di un mostro che ci è nemico. Se accettiamo questa tentazione cominceremo a diffamare Dio imputandogli le nostre sofferenze. Alleati di satana scapperemo dalla Croce, per cadere però in peccati sempre più terribili, sperimentando amaramente che è satana il nostro vero nemico, perché non può rivoltarsi contro se stesso ma contro Dio e contro di noi. Inducendoci a bestemmiare contro lo Spirito Santo ci trascina fuori dalla salvezza, nella morte eterna che sperimentiamo anticipata nell'"impermeabilità della coscienza" (S. Giovanni Paolo II). Esiste eccome l'inferno, e comincia quando viviamo le relazioni e gli eventi come tombe dalle quali non possiamo uscire, avendo abbandonato "i mezzi con i quali ci compie la remissione dei peccati” (S. Tommaso D'Aquino). Ma coraggio, viene Gesù nella sua Chiesa, "l'uomo più forte" del demonio, l'unico che con la Croce ha il potere di legarlo e strapparci all'inferno; la Parola predicata e i sacramenti che la realizzano ci rivelano i chiodi che, trapassando la sua carne, testimoniano il suo amore capace di perdonare tutti i peccati. Ogni giorno ci troviamo nel mezzo del combattimento tra Cristo e Belzeebul, che per noi significa la libertà con cui possiamo accogliere il perdono che ci viene offerto nella Chiesa o chiuderci ostinatamente alla Grazia. Prendere la Croce, perché "come Gesù si servì della sua stessa passione, di quello cioè che si presentava come sofferenza, per restaurare la libertà e la salvezza in tutto il mondo, così fa con te: quando soffri, si serve della tua sofferenza per la tua salvezza e la tua gloria" (S. Giovanni Crisostomo); o continuare a bestemmiare il soffio di vita eterna e, rifiutandolo, restare nella morte. La vita è seria, paradiso e inferno sono dinanzi a noi celati dalla Croce; convertiamoci lasciandoci attirare da Cristo nella storia dove sperimenteremo le primizie del Cielo.
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23/01/2018 08:50
 
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Si può "cercare" Gesù in tanti modi. Spinti dai legami di carne per esempio, come "i fratelli e le sorelle di Gesù" che trascinano anche Maria "sua Madre" per "chiamarlo". Ma restano "fuori", non si possono avvicinare a Gesù, perché le relazioni invischiate nell'affettività, nella gelosia e nell'invidia non sono libere. Tra loro vi è, come un muro invalicabile, "la folla seduta attorno a Gesù" che ascoltava la sua predicazione, immagine della comunione nuova, celeste e libera che nasce dall'ascolto della Parola di Dio. E' questa, infatti, che determina l'autentica familiarità con Gesù: è suo "fratello, sorella e madre" solo "chi compie la volontà di Dio". Ma per compierla occorre conoscerla, e per conoscerla occorre averla ascoltata, e per ascoltarla occorre stare seduti intorno a Lui, come discepoli ai piedi del proprio Maestro. E' quindi necessaria la comunità cristiana, la Madre di Cristo che gesta nelle sue viscere di misericordia i figli di Dio, partorendo attraverso il battesimo e gli altri sacramenti i "fratelli" e le "sorelle" di Gesù. E' loro che Gesù «fissa girando tutto intorno lo sguardo», svelandone l'identità nuova e sorprendente: sono il nuovo Israele convocato intorno al nuovo Sinai; in loro appare la Chiesa, la Ecclesia, assemblea convocata per ascoltare, accogliere e obbedire. La fede adulta che genera opere di vita eterna, ovvero il compimento della volontà di Dio che è sempre soprannaturale e mai schiava della carne, viene infatti dall'ascolto: è come per la terra assetata, arida e sterile, quando è bagnata dall'acqua che feconda perché porti frutto. Allora, «fare la volontà di Dio» non è nulla di volontaristico e moralistico, ma innanzitutto "essere seduti attorno a Gesù e ascoltare la sua parola": così ad esempio per quanto riguarda la paternità responsabile, della quale tanto si è parlato in questi giorni. Due sposi sono "responsabili" perché ascoltano la Parola e la accolgono perché dia frutto in loro. Non c'è altra responsabilità, non si tratta di ragionare e far calcoli, perché la Parola è di Dio e si fa carne nella storia concreta di ciascuno. Ma forse non ci piace "sederci" e "ascoltare" nella comunità cristiana, vogliamo decidere noi da soli, spinti dalla menzogna del demonio che ci a dubitare che Dio è un Padre buono, che conosce noi e la nostra situazione, e sa di cosa abbiamo bisogno. Per questo oggi il Signore ci chiama a stringerci a Lui, a non restare "fuori" adorando i nostri pensieri mondani. Ad essere quegli uomini sotto lo sguardo fisso di Gesù: è quello il posto dove ascoltare per obbedire. Solo chi ascolta ama e per questo compie la volontà dell'amato. Come accadde a Gesù nel Getsemani dove ha ascoltato e accolto la Parola del Padre e così, combattendo con le resistenze della carne, si è consegnato alla sua volontà. Non si sbaglia mai: quando l'amore irrora il cuore e la mente ci si abbandona sempre alla volontà di Dio, anche se mille ostacoli e tentazioni si oppongono, anche se i pensieri mondani strepitano mostrando la follia e l'incomprensibilità del piano di Dio per la mente carnale. La via crucis, la morte, il sepolcro e la risurrezione sono stati il frutto benedetto di quell'ascolto fattosi obbedienza; da essa e in essa è sorta la Chiesa, la comunità dei "fratelli e sorelle" di Gesù, la madre che lo genera, gesta e partorisce nella storia. Gesù ci chiama a percorrere in essa il cammino che anche Maria ha dovuto fare: passare dalla conoscenza secondo la carne a quella nuova dello Spirito, per essere di fronte a ogni persona gli occhi e lo sguardo, la voce e le parole, l'amore e le viscere di misericordia di Gesù fatte carne in noi. Per questo la Chiesa ci protegge dalle tentazioni di "uscire fuori" dalla volontà del Padre. A volte non è facile, perché "fuori" c'è il passato nel quale abbiamo vissuto, persone care, situazioni ancora irrisolte a cui vorremmo mettere mano. "Fuori" c'è la carne che "ci cerca" mostrandoci "nostra madre", la persona più importante della nostra vita, per ridestare in noi i sentimenti di affetto che però ci separerebbero da Gesù. Ma coraggio, se resteremo stretti intorno a Lui nella comunità nulla ci potrà separare dal suo amore; e in esso ritroveremo trasfigurati in rapporti nuovi perché liberi nell'amore vero anche nostra madre nella carne e le persone a cui vogliamo bene; solo nella Chiesa sapremo guardare alla nostra storia con discernimento, rintracciando in essa l'amore di Dio
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24/01/2018 09:41
 
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Una barca sul mare, e sulla terra “una folla enorme” di volti e cuori in attesa. Di che cosa hanno bisogno? Di una parabola, che li strappi uno ad uno dall’anonimato che stinge l’unicità di ciascuno impedendo un rapporto vivo con Cristo. Tra le “molte cose” che Egli insegnava, il Vangelo ne registra una, trasmessa attraverso una parabola che racconta di un Seminatore che è “uscito a seminare” il seme della Parola. Immaginiamo che si riferisse alla terra che aveva davanti, la Galilea, fatta di pescatori e peccatori, uomini capaci di gesti generosi e coraggiosi come quando ci si infila nel mare per strappargli il cibo per vivere; ma anche testardi e duri di cuore, incapaci di comprendere la Parola. La Galilea, così simile alla terra della nostra vita, attraversata dalle "strade" del pensiero mondano dove corrono veloci le menzogne del demonio per scipparci la Parola ascoltata. Piena di "pietre", dure come i nostri cuori gonfiati dall'ego, che si infiammano al sole dei facili entusiasmi, mentre però occupano con la superbia spazi preziosi di terra sottraendoli alle radici del seme. Aggredita dalle "spine" acuminate come i pensieri che il demonio ci insinua di fronte alla precarietà per farci dubitare di Dio; si conficcano nell'intimo condannandoci all'avarizia e all'avidità con cui ci illudiamo di possedere cose e persone, mentre invece "soffochiamo" il seme che, fruttificando, ci darebbe libertà e pace. Ma proprio nella descrizione che Gesù fa della "terra" su cui è seminata la Parola è celata la chiave che ci apre all'intelligenza di tutte le parabole: a noi, infatti, è "confidato il mistero del regno di Dio", ovvero l'esistenza di un lembo di "terra buona" in mezzo alla "terra infruttuosa". Tutte le parabole ne parlano, descrivendolo piccolo come un "seme" appunto, perseguitato, nascosto, accerchiato dalla zizzania, mentre la sua crescita sarà proprio come avviene quando "un uomo getta un seme nella terra". La Parola che il seminatore è uscito a seminare è dunque il seme del Regno di Dio! Esso è rifiutato dalla maggioranza degli uomini, ma accolto da un resto, chiamato ed eletto perché il seme possa crescere e divenire un sacramento di salvezza per il mondo. Gesù sta parlando della Chiesa, del suo stare nel mondo come “terra bella” e feconda di "frutti" che hanno il sapore della vita eterna, il destino per il quale ogni uomo è venuto al mondo. Ma quello che Gesù dice della Chiesa vale anche per ciascuno di noi, che siamo chiamati nella Chiesa a "dare frutto" per la salvezza del mondo. Come ogni uomo anche noi, a causa del peccato, viviamo su una "terra" che non è quella "buona e bella" del Paradiso, proprio come annunciato da Dio ad Adamo: "poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato: «Non devi mangiarne», maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi" (Gen 3,17-18). In queste parole sono profetizzati i tipi di terra nei quali il seme della Parola non attecchisce, cioè la situazione concreta del mondo e di chi ne è parte. Eppure, come è accaduto agli apostoli, anche in noi il Signore ha visto un pezzo di "terra buona", così piccolo e nascosto che probabilmente nessuno ci ha mai fatto caso; neanche noi, che forse ci sentiamo "abbattuti" perché "incostanti" e fragili dinanzi ai problemi e alle sofferenze, induriti nell'orgoglio e schiavi delle concupiscenze.
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25/01/2018 09:49
 
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Saulo, lanciato nel fuoco dello zelo, aveva incontrato un amore più grande di ogni entusiasmo; gli era arrivato addosso come un fendente, rovesciando la sua vita e le certezze religiose che sembravano granito. Nei lunghi anni di silenzio in Arabia aveva capito: Saulo sapeva, ma non conosceva. Soprattutto, non lo lasciava il ricordo vivo di un giorno amaro di pietre e sangue, e il volto di Stefano, come quello di un angelo inginocchiato sull'altare di un amore incomprensibile che consegnava la vita per lui; le sue parole piene di una sapienza sconosciuta s'intrecciavano con quella voce che lo aveva afferrato e scaraventato giù dalla vita. Era Stefano, ma era anche il Rabbì di Nazaret, erano anche i piccoli che aveva messo in catene. Sì, Gesù era il Signore, il Figlio dell'Altissimo, il Servo sofferente, morto e risorto, Colui che il cuore di Saulo desiderava più d'ogni altra cosa al mondo, con sì uno "zelo per Dio, ma non secondo una retta coscienza; poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria", non si era "sottomesso alla giustizia di Dio" (Rm. 10,2-3). Saulo però l'aveva incontrata e sperimentata capace di perdonarlo e trasformare la sua coscienza, illuminandola con la luce sfolgorante della Pasqua, spingendolo a prostrarsi, finalmente umiliato, dinanzi alla Verità dell'amore; la giustizia capace di convertire il suo zelo liberandolo dalla carne per consegnarlo allo Spirito: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere" con la "lingua nuova" della Croce, l'antidoto al veleno della menzogna che guarisce i malati strappandoli ai serpenti satanici. Come Paolo, anche noi cerchiamo, ci affanniamo, lottiamo, ci indigniamo e giudichiamo, ci appassioniamo e ci spendiamo, soffriamo e sudiamo incapaci di afferrare l'amore che il nostro cuore desidera celato in tutto quello che mettiamo a morte ogni giorno. Ma lo stesso "perché mi perseguiti?" che ha salvato il Fariseo di Tarso, ci attende oggi sul nostro cammino: perché corriamo per incatenare ai nostri criteri e mettere nella galera della nostra carne affamata la moglie, il marito, il capoufficio, o la fidanzata? Perché abbiamo una "cattiva coscienza" ingannata dal demonio. Perseguitando chi ci è vicino, abbiamo perseguitato Cristo; rifiutando gli eventi e lottandovi contro, lo abbiamo gettato fuori dalla nostra vita. Per questo tante volte siamo infelici e frustrati. Ma coraggio, Gesù ci attende anche oggi proprio mentre, frementi di ira, corriamo nel peccato, per un incontro che è la conversione, l'inizio di un cammino di fede nell'esperienza quotidiana del suo amore gratuito preparato per noi nella Chiesa. In essa ci attendono i nostri Anania - i pastori, catechisti e fratelli - con cui camminare verso il compimento della vita nuova in Cristo. Come Saulo, anche noi siamo "strumenti scelti per Lui" in questa generazione; per questo "dovremo soffrire per il suo Nome", e sarà il segno che testimonierà in noi il passaggio dalla morte alla vita accompagnando a credere chi ci è accanto; come accadde a Stefano il nostro volto presentato ai flagellatori invece delle pietre scagliate contro l'Agnello, perché Cristo ci ha perdonato, e ci ha colmati del suo amore che abbraccia ogni uomo.
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25/01/2018 22:06
 
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Gesù guarda ogni uomo dal "posto" che ha preparato per lui in Cielo. C’è un destino che spetta a tutti, per questo "la messe è abbondante", comprende tutti gli uomini di ogni generazione. C’è anche il tuo posto, lo sai? Oggi tu vivi qui sulla terra, andrai a lavorare, accompagnerai i bimbi a scuola, starai in fila per le analisi, magari tamponerai la macchina davanti, e perderai la giornata tra vigili urbani, denunce all’assicurazione, carro attrezzi e officine. E sarai nervoso e nessuno potrà rivolgerti la parola, e forse lo sconteranno moglie e figli stasera. Ma contemporaneamente tu hai un destino eterno, così come sei. La tua vita non inizia e non finisce qui, la “pace” vera non si perde per un tamponamento. Neanche per un licenziamento, neppure se scopri di avere un cancro. Perché la “pace” che i “settantadue” discepoli sono inviati ad annunciare è il pegno qui sulla terra della vita celeste. E’ il frammento di Paradiso che Cristo risorto ha consegnato alla sua Chiesa. E’ la sua firma vergata con il sangue sul contratto che ti costituisce erede di un “posto” nella casa del Padre. Il tuo che nessuno potrà occupare e dal quale mai nessuno ti sfratterà. Un Agnello, infatti, offrendosi muto in sacrificio lo ha conquistato per te. Non ha vinto il male, non l'ingiustizia, non la menzogna del demonio. Ha vinto Gesù, per sempre, “il leone che si è fatto agnello per soffrire” (S. Vittorino di Pettau), perché la sofferenza non ci allontani più da Lui. Sarebbe stato più facile restare leone tra i leoni e distruggere con la sua forza infinitamente più grande l’orgoglio del demonio. Ma Dio ci ama, non aveva bisogno di dimostrare la sua onnipotenza, ma il potere della sua misericordia. Per questo ha inviato il Figlio “come un agnello in mezzo ai lupi”, una follia che l’avrebbe consegnato alla loro furia, ad essere sbranato senza combattere. Solo un Leone che si fa agnello poteva annunciare e testimoniare a me e a te che Dio ci ama sino alla fine, dove nessuno potrebbe amarci. Sino a morire sotto i denti affilati dei nostri peccati, senza resistere, per unirci a Lui, così come siamo. Non lo sai? Non lo hai ancora sperimentato? E’ così che ci ha sposato, strappandoci all’abbraccio mortale del demonio, prendendo su di sé i nostri peccati, attirando sulla sua carne la nostra infettata dal male. Così ci ha guarito, assorbendo l'infezione per iniettarci il vaccino del suo amore. Peccavamo? E lui ci stringeva a sé. Lo rifiutavamo? E Lui accoglieva il rifiuto per trasformarlo in amore. Giorno dopo giorno, peccato dopo peccato, Lui era lì, “sul legno per essere nostro sposo”. Anche oggi quando ti adirerai, e tradirai chi ti è accanto vendendo ad altro e ad altri il tempo, le cure e le attenzioni che gli spettano, Gesù come un agnello condotto al sacrificio offrirà se stesso e “discenderà negli inferi in cerca di te, pecora perduta. E con te salirà di nuovo al Cielo, per farti entrare nella casa del Padre” (cfr. S. Vittorino di Pettau). Allo stesso modo siamo inviati anche noi "avanti" a Cristo, agnelli nell'Agnello perché in noi Egli possa prendere i peccati di tutti e perdonarli, consegnando con le nostre vite le chiavi del posto di ciascuno in Cielo, la Pace che scaturisce dalla sua vittoria sulla morte.
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27/01/2018 08:27
 
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La barca con i discepoli e Gesù addormentato vicino al timone danno alla parabola un significato ecclesiale. La barca scossa dal vento e dalle onde è un’immagine della Chiesa che solca il mare tempestoso di questo mondo prima di raggiungere “l’altra riva”, scossa dalle difficoltà che giungono da tutte le parti.
La sua fede in Gesù è la garanzia della sua serenità e della sua forza per non scoraggiarsi durante la traversata e non cessare di lottare malgrado le difficoltà. Perché è sempre Gesù che orienta la barca della sua Chiesa.
Gesù dorme nella barca ma allo stesso tempo si mostra padrone e signore degli elementi materiali; e questi gli obbediscono. Egli si manifesta a noi come Dio fatto uomo. I discepoli, che non hanno potuto fare nulla contro gli elementi, contemplano, ammirati, come un uomo li domini.
La Chiesa, cioè tutti noi che poniamo in Gesù tutta la nostra fede e la nostra fiducia, guidati da lui avanziamo con sicurezza fra le tempeste di questo mondo verso “l’altra riva”, dove raggiungeremo la pace e la tranquillità di Dio.
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28/01/2018 09:31
 
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dom Luigi Gioia
La voce che parla al cuore

La prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, promette un nuovo profeta: Mosè parlò al popolo dicendo: Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me (Dt 18,15). Il Signore promette la venuta di una persona nella cui voce si può riconoscere quella di Dio. In quasi tutte le religioni esistono figure di questo tipo. Normalmente sono i sacerdoti che fungono da mediatori, sono consultati come oracoli - il loro ruolo è di interpretare gli eventi della storia o della vita delle persone in nome della divinità. Ora, la novità del cristianesimo è quella che questa figura del sacerdote, del mediatore, scompare. Nel cristianesimo non ci sono più persone che hanno il monopolio del sacro, intermediari senza i quali non è possibile avere accesso a Dio. Secondo il Nuovo Testamento, infatti, vi è un solo mediatore, un solo sacerdote tra il cielo e la terra: Cristo Gesù.
Abbiamo sentito nella lettura del Deuteronomio: Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me (Dt 18,15), un nuovo Mosè. E infatti nei vangeli dell'infanzia Gesù appare con i tratti del nuovo Mosè: come quest'ultimo fu salvato dall'ira del faraone così Gesù fu sottratto ad Erode. Oppure come Mosè trasmise i dieci comandamenti, così Gesù dà la legge nuova delle beatitudini nel discorso sulla montagna. Gesù è il nuovo Mosè, il nuovo profeta che annunciava il libro del Deuteronomio.
Di questo profeta si dice: A lui darete ascolto (Dt 18,15). Mosè non è ascoltato. Nel Deuteronomio e nell'Esodo la voce di Mosè è sempre contestata. Invece Dio afferma che a lui (al messia, cioè à Gesù) darete ascolto (Dt 18,15). Questa promessa trova il suo compimento nel Vangelo di oggi quando si dice che coloro che ascoltavano Gesù erano stupiti del suo insegnamento, perché egli insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi. Il vangelo si conclude dicendo: Che è mai questo? Un insegnamento nuovo dato con autorità (Mc 1,27). Gesù parla con un'autorità che è autentica perché possiede due caratteristiche fondamentali. Prima di tutto appartiene a colui che è nostro creatore e quindi non è esteriore a noi. Essere il nostro creatore vuol dire - come lo ha espresso ammirevolmente Agostino - che Dio è più intimo a noi di noi stessi. E poi è l'autorità di colui che ci ha salvato, ci ha redento, ha dato la vita per noi. Come dice Paolo: Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me (Gal 2,20). Chi mi ama, chi dà la vita per me acquista nella mia vita un peso, un'autorità particolari - anche in questo caso non esteriori, formali, ma la cui portata deriva dalla relazione privilegiata che il dono di sé ha creato nei nostri riguardi. Come dice appunto Paolo: Proprio perché Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me, non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me (Gal 2,20). Per questo diamo ascolto a Gesù. E' questo che vuol dire il Vangelo quando afferma che Gesù parlava come uno che ha autorità (Mc 1,22). La sua parola colpiva in un modo assolutamente nuovo, penetrava nel cuore di coloro che lo ascoltavano, proprio come lo profetizzava il libro del Deuteronomio: A lui darete ascolto (Dt 18,15).
Risorto, il Signore è presente non solo al di fuori di noi, ma in noi, per mezzo del dono dello Spirito Santo. La sua è una voce che istruisce nel cuore. Questo ultimo tratto è ribadito da un passaggio della prima lettera di Giovanni: L'unzione che avete ricevuto, il dono dello Spirito Santo, rimane in voi e non avete bisogno che alcuno più vi istruisca dall'esterno, perché la sua unzione - la presenza dello Spirito Santo - vi insegna ogni cosa nel vostro cuore ed è veritiera, non mente, così voi rimanete in lui, come essa (questa unzione, questa presenza dello Spirito Santo) vi ha istruito (1 GV 2,27). In questo senso, se da una parte non ci sono più mediatori né sacerdoti come nelle altre religioni o nell'Antico Testamento, d'altra parte tutti i cristiani sono profeti e sono sacerdoti - non hanno più bisogno di mediazione perché hanno in loro lo Spirito, hanno l'unzione nel proprio cuore. Ogni cristiano è figlio di Dio, perché unito al Figlio, e può chiamare Dio Padre, perché ha nel suo cuore lo Spirito Santo. Ha - come dice la lettera agli Ebrei - diretto accesso al trono del Padre (Eb 4,16) e non ha più bisogno di nessuno che lo istruisca.
Questo non vuol dire che non ci sia più bisogno di pastori, di insegnanti e di ministri. Gesù stesso ha designato delle persone per parlare e agire in suo nome - l'istituzione dei dodici apostoli attestata dai vangeli. Questi apostoli sono mandati a proclamare la buona novella, a battezzare e a spezzare il pane in memoria di Gesù, e trasmettono questo dono per mezzo dell'imposizione delle mani. A questi inviati - "apostoli" vuol dire appunto "inviati" - che il Nuovo Testamento chiama presbiteri o anziani ma mai sacerdoti (proprio per distinguerli dai sacerdoti delle altre religioni e dell'Antico Testamento), il Signore dice: Io sono con voi fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Gesù, solo vero profeta, resta presente, e senza la sua azione il ministero di coloro che lui stesso invia non porterebbe nessun frutto. Senza di me - dice Gesù - non potete fare nulla (Gv 15,5). E poi raccomanda loro: restate uniti a me come i tralci alla vite (Gv 15,4).
Gli inviati dunque annunciano la Parola, che però talvolta è udita e altre volte no, a volte converte i cuori e altre volte lascia indifferenti. Non basta ripetere le parole contenute nei vangeli, essere stati ordinati presbiteri, aver ricevuto un ministero nella chiesa perché l'annuncio sia efficace. L'annuncio della Parola è efficace, agisce, è vivo, lo si ascolta, solo quando nella parola del ministro si sente la voce del solo vero profeta che è Cristo, solo quando si riconosce la voce di Cristo, la sola che abbia autorità.
Quante prediche ascoltiamo. Perché alcune ci colpiscono ed altre no? Quante voci sentiamo nella chiesa. Perché alcune parlano al nostro cuore ed altre no? Parlano al nostro cuore solo le voci nelle quali il nostro cuore riconosce la voce di Cristo. E da cosa riconosciamo la voce di Cristo? Proprio dal fatto che essa ci svela a noi stessi, ci fa prendere coscienza del nostro peccato con dolcezza, ci risveglia, a volte ci scuote, ma sempre al tempo stesso sempre consolandoci, confortandoci e accendendo speranza e amore nel nostro cuore. Questa è l'autorità autentica della Parola: la sua capacità di farci aderire al Padre, di farcelo amare sempre di più, dal di dentro.
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28/01/2018 23:32
 
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fuori

I miracoli di Cristo avevano lo scopo di manifestare la sua divinità; ora occorreva che questa rimanga nascosta ai demoni, altrimenti il mistero della Passione sarebbe stato impedito: “Se l’avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Cor 2,8). Sembra dunque che non occorresse che Cristo facesse dei miracoli sui demoni... Pur tuttavia, il profeta Zaccaria aveva predetto tali prodigi, esclamando: “Lo spirito immondo farò sparire dal paese” (Zc 13,2). Infatti, i miracoli di Cristo erano in favore della fede che egli insegnava. Ora, con la potenza della sua divinità, non doveva forse abolire il potere dei demoni negli uomini che credevano in lui, secondo la parola di Giovanni: “Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori”?(Gv 12,31).

Conveniva dunque che, fra gli altri miracoli, Cristo liberasse dai demoni gli uomini che da essi erano posseduti... Altrove, scrive sant’Agostino: “Cristo si è fatto conoscere ai demoni per quanto l’ha voluto, e l’ha voluto per quanto era necessario... mediante certi effetti materiali della sua potenza”. Visti i miracoli, il demonio giunge a credere per congettura che Cristo è Figlio di Dio: “I demoni sapevano che egli era Cristo” dice san Luca. Se confessavano che era Figlio di Dio, “era per via di congettura più che per via di certezza” nota san Beda. Quanto ai miracoli che Cristo ha compiuto scacciando i demoni, non li ha fatti in vista dell’utilità loro, bensì per quella degli uomini, affinché rendessero gloria a Dio. Per questo impediva ai demoni di parlare di ciò che riguardava la sua lode. San Giovanni Crisostomo nota: “Non conveniva che i demoni si arrogassero la gloria della funzione degli apostoli né che una lingua bugiarda predicasse il mistero di Cristo.”
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30/01/2018 08:04
 
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Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Mc 5, 21, 28-30; 33-34

«Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi accorto della forza che era uscita da lui, si voltò dicendo: "Chi ha toccato le mie vesti?"... E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità, Ed egli le disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male"»

Mc 5, 21, 28-30; 33-34

Come vivere questa Parola?

I due miracoli compiuti da Gesù, riportati nel vangelo odierno, sono intrecciati l'uno nell'altro in un unico groviglio, perché hanno alla loro base la fede, come unico fondamento necessario che li accomuna. Mi fermo per brevità solo sul primo di essi.

Mentre Gesù è in cammino verso la casa di Giairo per guarirne la figlioletta, tra la folla che lo preme da ogni parte, ecco una donna sconosciuta, inferma da lunghi anni per la perdita di sangue. Essa brama solamente di toccare le sue vesti, perché è certa che quel tocco nascosto e furtivo era sufficiente a farla guarire. Non occorreva che Gesù lo venisse a sapere. Si vergognava a parlare della sua malattia infamante, che la bollava come ?impura' e che la costringeva a vivere come una reclusa, ai margini della società. Pertanto bastava, secondo lei, un miracolo alla svelta, quasi un ?colpo di mano' e all'insaputa di tutti. Ma Gesù avverte subito che una forza era uscita dal suo corpo: era successo senza che gli lo sapesse, quasi suo malgrado. Il Maestro è stato ?sopraffatto' da quella donna sconosciuta, che gli ha quasi forzato irresistibilmente la mano con la sua fede. Ma Gesù ora vuole almeno conoscere colei che, in certo senso, l'ha ?vinto': è, infatti, la sua fede che ha fatto scattare il miracolo: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male".

Gesù non resiste a questi ?colpi di mano' e ama essere ?sopraffatto' dalla vera fede!

Annoto, infine, come appena accennato più sopra, che Gesù dona a questa donna non soltanto la guarigione del corpo, ma anche la sua libertà e dignità umana, che le era stata tolta dalla malattia propria del suo ?genere' e che la costringeva, suo malgrado, a un'umiliante emarginazione.

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31/01/2018 10:08
 
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Commento su Mc 6,3b

"Gesù era per loro motivo di scandalo".
Mc 6,3b

Come vivere questa Parola?

Gesù è tornato a Nazareth, nella sua patria. In un giorno di sabato, sacro al riposo e all'ascolto della Parola, entra nella sinagoga e dà il via a un periodo nuovo della sua esistenza in terra. Perché, proclamando la parola del profeta Isaia che chiaramente presenta i connotati del venturo Messia, Gesù è molto esplicito nel dire che quella profezia si è avverata nella sua persona. Sì, è Lui il grande atteso, il Redentore di Israele, il Salvatore del mondo.

È come se, nella sinagoga, fosse scoppiata un bomba. Molti dei presenti sono in preda di uno stupore tutt'altro che pacifico. Non possono assolutamente ammettere che quel Gesù, figlio del falegname Giuseppe, cresciuto in un ambiente del tutto insignificante e povero, sia la Persona del Messia: il grande Atteso per la liberazione di tutto il popolo.

Ecco la ragione del loro scandalizzarsi al punto da decidere di cacciarlo via come un pazzo pericoloso. Scuotiamo pure la testa pensando giustamente che un po' folli erano loro in preda all'eccesso del rifiuto e dell'ira: frutti velenosi del loro scandalizzarsi. Il punto concreto però e qui: a volte non sono anch'io tentata di scandalizzarmi in ordine a parole, gesti o iniziative che non condivido?

Attenzione! Quando in me tira aria di acre disapprovazione, è bene che rientri al centro di me, abitato da Te, Signore. È lì che ti dirò:

Gesù incenerisci il mio scandalizzarmi e fa' che, profumato di carità, fiorisca il mio cuore da compassione preghiera incoraggiamento.

La voce di un Papa

Non lascatevi scoraggiare da coloro che, delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e autentici del loro cuore.
Giovanni Paolo II
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TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
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