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PASSIONE E MORTE DI GESU' NEI 4 VANGELI

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2021 18:47
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24/10/2017 13:06
 
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Sulla “via” della croce

Dopo la flagellazione e la scena di dileggio, il racconto dei tre Vangeli sinottici prosegue con la frase: «lo conducono fuori per crocifiggerlo» (Mc 15,20; Mt 27,31; Lc 23,26). Il percorso dal luogo della condanna a quello dell’esecuzione offre lo spunto per inserire l’episodio di Simone di Cirene, costretto dai soldati a portare la croce di Gesù (Mc 15,21; Mt 27,32; Lc 23,26). Normalmente il condannato porta la trave trasversale, chiamata patibulum, fino al luogo dell’esecuzione, dove è già infisso il palo verticale, lo stipes.
L’episodio di Simone, originario della colonia ebraica di Cirene, che sta rientrando dalla campagna – Marco precisa che è il padre di Alessandro e Rufo – costretto a prendere e portare la croce di Gesù, per i lettori dei Vangeli ha un significato paradigmatico: chi vuole seguire Gesù deve prendere e portare la sua croce (cf. Mc 8,34; Lc 9,23). La valenza esemplare dell’episodio di Simone non esclude che alla sua origine vi sia un ricordo storico.
Dopo la dolorosa tortura della flagellazione, Gesù non riesce a portare fino al luogo dell’esecuzione la trave-patibulum. La sua estrema debolezza è confermata dal fatto che la morte in croce sopravviene in poche ore. L’autore del quarto Vangelo attira l’attenzione sulla figura di Gesù che “da solo” porta la croce: bastózon tòn staurón autó (Gv 19,17). Fin dalla scena dell’arresto nel giardino, al di là del torrente Cedron, Gesù è il protagonista consapevole e libero nel dramma della sua passione (Gv 10,17-18;13,1.3; 17,19; 18,4-8).
L’esecuzione del condannato alla croce deve avvenire con la massima pubblicità e in luogo aperto – strada, anfiteatro – alla vista di tutti. A Roma, sul colle Esquilino, si eleva la “foresta delle croci,” con lo spettacolo macabro degli avvoltoi, che si avventano sui cadaveri dei crocifissi (Orazio). A Gerusalemme c’è il Gòlgota, interpretato come “luogo del cranio”, in latino Calvarius, dove sono piantati i pali per la crocifissione. Il vocabolo aramaico Golgolà, nel determinativo Golgolthà, con la caduta di una elle (=1) diventa Golgothà, corrisponde all’ebraico Gulgoleth (cf. Gdc 9,53; 2Re 9,35). I pellegrini cristiani del quarto secolo parlano di monticulus, “collinetta”. I sondaggi archeologici più recenti per il restauro della basilica crociata e dell’Anastasis hanno rivelato l’esistenza di una cava di pietra abbandonata, in cui si eleva per cinque metri circa, il luogo della crocifissione.
Il luogo dove Gesù è stato crocifisso si trova appena fuori della porta della città. Questo particolare è indicato non solo nel racconto dei Vangeli di Marco e di Giovanni – “lo conducono fuori… uscì verso il luogo detto del Cranio” –, ma anche nell’accenno della Lettera agli Ebrei: «(Gesù) subì la passione fuori della porta della città» (Eb 13,12). L’autore del quarto Vangelo, presentando la discussione tra i capi dei sacerdoti dei Giudei e Pilato sull’iscrizione della croce, dice che «il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città» (Gv 19,20). La crocifissione avviene nelle vicinanze della città, in luogo pubblico, perché serva come detenente. L’attuale complesso del santo Sepolcro sorge dentro le mura della città vecchia di Gerusalemme, fatte costruire, nel XVI secolo, da Solimano il Magnifico.
I sondaggi archeologici e i reperti di mura nelle vicinanze del santo Sepolcro confermano l’ubicazione del Calvario fuori del secondo muro di Gerusalemme, di cui parla Flavio Giuseppe.
Secondo il racconto di Luca, assieme a Gesù, sono condotti al luogo della crocifissione anche due kakoúrgoi, “malfattori”, che saranno crocifissi con lui, uno a destra e l’altro a sinistra (Lc 23,32.33; cf. 23,39; Gv 19,18). Nei Vangeli di Marco e Matteo si accenna ai due crocifissi, solo dopo aver raccontato la crocifissione di Gesù: «Con lui crocifissero anche due briganti, uno a destra e uno alla sua sinistra» (Mc 15,27; Mt 27,38). I due crocifissi assieme a Gesù sono chiamati le’stái, “briganti” (cf. Mt 27,44). Con questo termine Flavio Giuseppe, in genere, designa i “briganti”, ladri, rapinatori e assassini, e in particolare i “ribelli” antiromani, identificati in alcuni testi con i sicarii.
Dato il significato decisamente negativo e politicamente pericoloso dell’appellativo le’stés, equivalente a “terrorista”, l’immagine di Gesù crocifisso assieme a due briganti non può essere un prodotto della predicazione cristiana. La sua collocazione al centro dei due crocifissi richiama l’episodio dei figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, che gli chiedono di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra (Mc 10,37; Mt 20,21). Questo non vale per i Vangeli di Luca e Giovanni, dove non si riporta la richiesta dei due fratelli. Nel racconto lucano della passione la scena della crocifissione di Gesù tra due “malfattori”, annunciata con la citazione di Isaia 53,12: «Fu annoverato tra gli empi», fa da sfondo al dialogo tra i crocifissi (Lc 22,37; 23, 39-43). Nei Vangeli di Marco e Matteo i due crocifissi si associano ai passanti e alle autorità ebraiche negli insulti a Gesù morente (Mc 15,32; Mt 27,44).


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