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24/10/2017 13:04 | |
Negli schemi della predicazione cristiana, riportati nel NT, si presenta la morte di Gesù sulla croce come l’ultimo atto della sua passione: «Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio… per mano di empi appendendolo (alla croce) l’avete ucciso» (At 2,22.23; cf. 5,30; 10,39; Fil 2,8; Col 2,14). La crocifissione, eseguita con la regolarità delle esecuzioni capitali, è preceduta dalla flagellazione. Nei Vangeli di Marco, Matteo e Giovanni la flagellazione è appena accennata, come punizione previa alla crocifissione: «(Pilato) lo fece flagellare» (Mc 15,15; Mt 27,26; Gv 19,1).
Luca, che per due volte fa dire a Pilato: «Dopo averlo castigato, lo rilascerò», non parla di “flagellazione” al momento della condanna di Gesù alla crocifissione (Lc 23,16.22).
La flagellazione romana – verberatio – è una forma di tortura e di punizione preliminare alla crocifissione”. Flavio Giuseppe racconta alcuni casi di flagellazione in Giudea sotto l’amministrazione di Gessio Florio e durante l’assedio di Gerusalemme. Il condannato, spogliato delle sue vesti, è legato a un palo biforcuto e percosso a sangue con il flagrum o flagellum, “flagello” dal manico corto, provvisto di due o tre corregge di cuoio, spesse e larghe, recanti alle estremità due palline di metallo e/o ossicini di montone. La flagellazione, limitata a 39 colpi presso gli Ebrei, provoca profonde lacerazioni cutanee e muscolari con emorragie che debilitano l’organismo.
Non è infrequente il caso che il condannato muoia sotto i colpi dei flagelli'”. |