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RACCONTI BIBLICI PER RAGAZZI (Testo e immagini)

Ultimo Aggiornamento: 08/06/2017 15:33
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17/01/2017 18:48
 
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27

IL SIGNORE APPARE AL PROFETA ISAIA Isaia 6

 Uno dei grandi profeti del regno di Giuda fu Isaia. Egli seppe che il Si­gnore aveva scelto lui un giorno in cui si trovava a pregare nel tempio di Gerusalemme ed ebbe una visio­ne grandiosa. Egli vide il Signore su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto lambivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, i quali cantavano e proclamavano: «Santo, santo, santo è il Signore Dio dell'u­niverso; i cieli e la terra sono pieni della sua gloria». Isaia a quella visione fu preso da un grande timore e disse: «Povero me, sono perduto, perché io sono solo un uomo, e peccatore: eppure i miei occhi hanno visto il Signore!» Allora uno dei serafini volò verso di lui, e gli parve come se con un carbone ardente gli toccasse la boc­ca dicendo: «Ecco, le tue labbra ora sono purificate; i tuoi peccati sono perdonati». Isaia comprese il significato di quel gesto: il Signore aveva tolto ogni impedimento, perché egli po­tesse parlare a nome suo. Perciò, quando udì la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? Chi andrà a parlare per noi?» Isaia subito rispo­se: «Eccomi, manda me!»






 
28
AMOS IL PROFETA Amos 5
C'era un profeta di nome Amos. Era un pastore del regno di Giuda, ma Dio gli disse di recarsi a parlare a suo nome nel regno di Israele. Amos andò, obbedendo al coman­do del Signore. Uno dei peccati che Amos rim­proverava maggiormente era il modo in cui i ricchi d'Israele tratta­vano il prossimo. Spesso i ricchi si preoccupavano di andare al tempio a offrire sontuosi sacrifici, ma poi si comportavano male con gli altri, imbrogliando, insultando, sfruttan­do i poveri e i deboli. Ben altro era ciò che preferiva il Signore! Egli voleva che i poveri fossero aiutati e che chiunque fosse trattato con giustizia. Così, parlando per bocca del profeta Amos, il Si­gnore disse: «Io detesto le vostre fe­ste; non gradisco le vostre riunioni. Voi mi offrite animali in sacrificio: ma io non li guardo neppure. Piut­tosto, fate scorrere ciò che è giusto come l'abbondanza dell'acqua di un fiume. Cercate il bene e non il male, se volete vivere». Ma la predicazione di Amos dava fastidio. «Tornatene al tuo paese» gli dissero allora. «Le nostre faccen­de non ti riguardano, e quello che dici non ci interessa!»






 
29
AMOS ANNUNCIA LA SALVEZZA Amos 9
Il profeta Amos avvertiva il popolo d'Israele che se non si fosse pentito dei suoi peccati, il Signore lo avreb­be severamente castigato, al punto di distruggere il tempio costruito da Salomone. Ma se esso avesse mo­dificato la sua condotta, Dio sareb­be tornato ad amarlo. Tutti dovevano imparare a fare la volontà di Dio: allora, diceva Amos, i raccolti sarebbero stati nuovamen­te floridi e abbondanti, le vigne così ricche che il vino sarebbe corso giù a rivoli per le colline, e i giardini sa­rebbero stati ricchi di frutti.








 30
LE SOFFERENZE DI GEREMIA Geremia 10
Gremia era un profeta nato vicino a Gerusalemme. Egli, parlando a nome del Signore, spesso rimpro­verava il popolo ebraico perché, in­vece di adorare il Signore, unico e invisibile, preferiva le divinità degli stranieri. Così Geremia non si stancava di ripetere: «Le false divinità non esi­stono, anche se sono raffigurate da statue. Non sono che legno tagliato nel bosco, opera di un falegname. Sono ornate d'argento e d'oro, ma non sanno parlare; e bisogna por­tarle, perché non camminano. Sono come uno spaventapasseri in un campo di cocomeri! Non dovete avere paura di loro, perché non fanno alcun male. Ed è inutile pre­garle, perché esse non possono fare alcun bene!» Geremia vedeva anche che i po­poli vicini erano più forti degli Israe­liti, e capiva che Dio si sarebbe ser­vito di loro per castigare il suo po­polo. Geremia tentò in tutti i modi di convincere il popolo di Israele che, se avesse continuato ad adora­re le false divinità, sarebbe stato sconfitto dai nemici. Geremia conti­nuava a ripetere: «Dio vuole che torniate da lui!» Ma il popolo d'I­sraele non l'ascoltava.








   31
GEREMIA VA DAL VASAIO Geremia 18
Gli uomini d'Israele mostravano di non credere al profeta Geremia, che temeva i castighi del Signore per tutto il popolo ebraico, se esso non si fosse deciso a ritornare ad adorare il vero Dio e a rinunziare a onorare i falsi dèi. Un giorno il Signore invitò Gere­mia a spiegarsi al suo popolo con un esempio pratico. Gli disse dunque: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio: là ti farò udire la mia Pa­rola». Geremia obbedì: andò nella bottega di un vasaio e vide che stava fabbricando dei vasi d'argilla, modellando appunto l'argilla con l'aiuto del tornio. Quando un vaso riusciva male, il vasaio impastava di nuovo l'argilla per modellare un vaso migliore. «Ecco» disse allora il Signore per bocca di Geremia: «Io potrei agire con voi, popolo d'Israele, proprio come questo vasaio. Voi siete come argilla nelle mie mani; se adorate i falsi dèi, siete come un vaso riuscito male, che bisogna rifare». Le parole dì Geremia non piacevano ai capi della città, che se ne lamentarono con il re. «Geremia sta seminando paura» dicevano. Ma Geremia, come tutti i profeti, non poteva fare a meno di dire al popolo quello che il Signore Dio gli ordinava. 








 
 
Un giorno il Signore scelse come suo profeta un uomo di nome Giona. Gli disse: «Alzati e va' a Ninive, la grande città, e avverti gli abitanti che devono cessare di comportarsi male, perché la loro cattiveria ha ormai sorpassato ogni limite ed è giunta fino a me». Ninive era una città straniera: il Signore voleva dire che egli è Dio non soltanto del suo popolo, ma anche di tutti gli altri popoli, e di tutti si prende cura. Ma Giona ebbe paura di recarsi in quella città: e se lo avessero messo a tacere con la forza? Per questo Giona fuggì dalla presenza del Signore; scese a Giaffa e si imbarcò su una nave diretta a Tarsis, nella direzione opposta a quella di Ninive. Durante la navigazione, però, mentre Giona se ne stava a dormire sotto coperta, si levò un forte vento che lacerò le vele e si scatenò una tempesta così forte che mise in pericolo la nave. I marinai si misero a invocare i loro dèi e a gettare in mare tutto il carico, perché la nave potesse galleggiare meglio. Quando si accorsero di Giona addormenta­to, si chiesero come mai anche lui non pregasse il suo Dio. E incomin­ciarono a chiedersi come mai fosse­ro stati tanto sfortunati da finire in quella tempesta. Allora i marinai si dissero l'un l'altro: «Tiriamo a sorte, per sapere chi è la causa della scia­gura che si è abbattuta su di noi». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. «Chi sei?» gli chiesero. «Da dove vieni? Dove sei diretto? Di che col­pa ti sei macchiato? Perché si è ab­battuta su di noi questa sciagura?» «Sono un ebreo, e temo il Signo­re Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra» rispose Giona ai marinai. «Ora però mi sto allontanando da lui, perché ho disubbidito al suo co­mando. » «Che cosa possiamo fare perché la tempesta si calmi?» chiesero allo­ra i marinai. «Prendetemi e gettatemi in mare, e la tempesta si placherà, perché so che essa si è abbattuta su questa nave per causa mia» disse Giona. Dapprima i marinai non vollero farlo, ma quando videro che il mare diventava sempre più forte, prega­rono Dio perché non li punisse per la morte di Giona; poi lo presero e lo gettarono in mare. Subito la tempesta si placò! Il Si­gnore allora fece in modo che Gio­na fosse inghiottito da un grosso pesce e là, nel ventre del pesce, Giona rivolse un'ardente preghiera al Signore, piena di pentimento per non aver seguito il suo comando e di speranza nel suo perdono. Dopo tre giorni e tre notti il Signore comandò al pesce, e il pesce rigettò Giona, vivo, sulla spiaggia del suo paese, da dove era partito. Giona aveva cercato di sottrarsi al comando del Signore, ma inva­no. Allora si decise, e come voleva il Signore andò nella grande città straniera di Ninive a parlare al suo re e ai suoi abitanti. Camminava per le strade, e ripe­teva: «Ancora quaranta giorni, e Ni­nive sarà distrutta! Se non cambie­rete la vostra condotta, non potrete sopravvivere!» I cittadini di Ninive credettero a Dio che parlava per bocca di Gio­na, e dal più grande al più piccolo si vestirono di sacco in segno di penitenza, cioè per mostrare che vole­vano cambiare la loro condotta. Anche il re di Ninive si vestì di sacco, e per penitenza andò a se­dersi sulla cenere. Il re disse: «Pre­ghiamo perché Dio abbia pietà di noi e deponga il suo sdegno!» E, infatti, Dio vide l'operato del re e dei cittadini di Ninive; vide che si erano pentiti della loro cattiva condotta, ebbe pietà di loro e non distrusse la città. Giona avrebbe dovuto rallegrarsi che gli uomini di Ninive si fossero pentiti e perciò fossero stati salvati. Invece ne fu indispettito e pensò che lo avrebbero ritenuto uno sciocco, dal momento che aveva annunciato una distruzione che non c'era stata. Allora Giona prese a la­mentarsi con il Signore, e gli disse: «Lo sapevo che sarebbe andata così già la prima volta che mi hai ordina­to di venire a Ninive. Per questo ho cercato di fuggire a Tarsis! Perché tu sei un Dio buono e misericordio­so, e anche se minacci di punire, poi ti impietosisci. Dunque ora toglimi la vita, perché per me è meglio morire che vivere!» «Ti pare giusto di essere così sde­gnato?» gli disse il Signore. Ma Giona, tutto corrucciato, uscì dalla città e si fermò poco distante; si fece un riparo di frasche e si se­dette in attesa di vedere che cosa sarebbe accaduto a Ninive. Allora il Signore fece crescere presso Giona una pianta di ricino, all'ombra della quale egli potesse ripararsi. Giona provò una grande gioia per quel dono. Ma il giorno dopo il Signore mandò un verme a rodere la pianta, ed essa si seccò. Giona rimase al sole e disse: «Me­glio per me morire che vivere!» «Ti pare giusto sdegnarti per una semplice pianta di ricino?» gli chiese il Signore. E aggiunse: «Ti dai pena per quella pianta, che non hai pian­tato e per la quale non hai fatto al­cuna fatica: e io non dovrei preoc­cuparmi di Ninive, in cui vivono più di centoventimila creature umane?» Giona 1-4
 1
IL RE ACAB E IL PROFETA ELIA 1 Re 6-17
Tra tutti i re d'Israele, Acab fu quel­lo che più fece male agli occhi del Signore. Egli prese in moglie Geza­bele, figlia del re di Sidone e dun­que una straniera: anche a causa di Gezabele, Acab fece innalzare nella città di Samaria un tempio a Baal, un falso dio adorato dagli stranieri. Gezabele poi manteneva un gran numero di profeti di Baal, ed era nemica di tutti coloro che si mante­nevano fedeli al Signore. Per cercare di convertire il cuore del re e di tutti coloro che si erano piegati ad adorare Baal, il Signore mandò nel regno d'Israele il grande profeta Elia. Poiché i richiami ripetuti di Elia non venivano ascoltati, su comando del Signore Elia si presentò al re Acab e gli disse: «Io sono al servizio del Signore, Dio di Israele. A nome suo ti dico che d'ora in poi sul tuo regno non ci sarà più né rugiada ne pioggia, fino a quando lo dirò io». Così avvenne. Mancando la ru­giada e la pioggia, i campi presero a seccarsi e non davano più frutto; senza più erba, il bestiame prese a morire. La situazione era grave: fi­nalmente il re diede ordine di cerca­re Elia. Ma il profeta se ne stava na­scosto, con l'aiuto del Signore.




2
ELIA NUTRITO DAI CORVI 1Re 17
Elia, il profeta del Signore, era in pericolo. Il re Acab e la perfida regi­na Gezabele lo cercavano dovun­que, da quando egli aveva annun­ciato il castigo del Signore: la care­stia in tutto il regno. Ma il Signore stesso provvedeva a nascondere e procurare cibo al suo profeta. Dapprima lo mandò a nascondersi presso il torrente Che­rit, e gli disse: «Berrai l'acqua del torrente, e comanderò ai corvi che ti porteranno il cibo». E così avven­ne; i corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera.




 3
LA FARINA DELLA VEDOVA 1Re 17
Il Signore si preoccupava di tenere nascosto il suo profeta Elia, minac­ciato dal re Acab. Perché fosse più sicuro, lo mandò in un paese stra­niero. Gli disse: «Alzati e va' a Zare­pta di Sidone: ecco, ho dato ordine a una vedova di quella città di darti da mangiare». Elia andò a Zarepta. Presso la porta della città vide una vedova: si riconosceva che era vedova, dal ve­stito che indossava. Il profeta la chiamò: «Prendimi un po' d'acqua da bere, e anche un pezzo di pane!» La donna rispose: «Tutto quello che mi resta è un pugno di farina e un po' d'olio; stavo andando a rac­cogliere qualche pezzo di legna, per cuocere la farina per me e per mio figlio. La mangeremo e poi morire­mo, perché non abbiamo altro!» Ma il profeta la rassicurò: «Non temere. Con l'olio e la farina prepa­ra una focaccia per me e portamela; poi ne preparerai una per te e per tuo figlio, perché il Signore ti assicu­ra che la farina della giara non si esaurirà, e l'orcio dell'olio non si svuoterà». E così avvenne: Elia, la vedova e suo figlio ebbero tutti da mangiare per giorni e giorni, perché olio e fa­rina non si esaurivano mai.






 
4
ELIA E IL FIGLIO DELLA VEDOVA 1Re 17
Elia se ne stava nascosto a Zarepta di Sidone, in casa di una vedova che lo aveva accolto e gli aveva dato da mangiare. Dopo qualche tempo il figlio della donna si ammalò, e la malattia si ag­gravò al punto che il ragazzo morì. La povera vedova cominciò a pian­gere e lamentarsi, sospettando che il profeta Elia fosse in qualche modo la causa della morte del suo unico figlio. Nel suo immenso dolore, la donna gridò al profeta: «Sei venuto qui a punirmi facendo morire mio figlio?» Ma il profeta le prese il ragazzo dalle braccia, lo portò al piano di sopra, nella propria camera, e lo stese sul letto. Poi invocò il Signore, dicendo: «Signore, aiuta questa ve­dova che mi ospita. Fa' che l'anima torni nel corpo del ragazzo!» Il Signore ascoltò la preghiera di Elia; l'anima del ragazzo tornò nel suo corpo, ed egli riprese a vivere. Elia riprese il ragazzo tra le braccia, lo riportò al piano di sotto e lo rese alla madre dicendole: «Ecco: tuo fi­glio vive!» La donna allora si rallegrò gran­demente e disse ad Elia: «Ora so con certezza che tu sei un uomo di Dio; ora comprendo che quando parli, tu parli a nome del Signore».












 
5
LA FEDE DI ABDIA 1Re 18
Già da tre anni su tutto il regno d'I­sraele imperversava la carestia, per­ché, come il profeta Elia aveva an­nunciato al re Acab, da tre anni non scendeva né pioggia né rugiada. Era giunto però il tempo di met­tere fine al castigo, e il Signore disse a Elia: «Su, presentati ad Acab, per­ché ho deciso di concedere la piog­gia alla terra». Acab, il re che aveva tradito il Si­gnore, aveva un suo ministro che era invece molto fedele al Signore, e aiutava di nascosto tutti coloro che come lui si opponevano alle fal­se divinità straniere. Questo mini­stro si chiamava Abdia. Un giorno Abdia era in campa­gna, quando gli si fece incontro il profeta Elia. Abdia lo riconobbe, e si prostrò con la faccia a terra da­vanti all'uomo di Dio. Elia gli disse: «Avverti il re Acab che sono venuto a parlargli». Abdia si impressionò, e rispose: «Il re ti ha fatto cercare a lungo, in ogni angolo del regno. Se adesso lo vado a chiamare, e poi quando arriva tu sei scomparso di nuovo, mi castigherà facendomi morire!» «Abbi fiducia: non mi muoverò di qui» riprese Elia. Abdia si fidò, andò e tornò da Elia con il re.

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