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SCOPRIAMO SE SIAMO CRISTIANI O NO

Ultimo Aggiornamento: 25/09/2016 10:02
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12/06/2016 16:20
 
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Kristina Hjelkrem


Essere cristiani sembra facile: non uccidere, non mentire, non rubare e ti sei guadagnato il Paradiso.


I 10 comandamenti ce lo insegnano fin da quando siamo piccoli, e da allora cerchiamo di rispettarli per essere le brave persone che vogliamo diventare. La verità è che voler essere una brava persona è un ottimo inizio, e voler rispettare i comandamenti ancor di più.


Nel brano evangelico del giovane ricco, questi va incontro al Signore e gli chiede: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli risponde: “Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. A prima vista sembra che stiamo agendo bene.


Traducendo questo passo nella nostra vita, non si tratta solo di rispettare i 10 comandamenti – che a volte possono sembrare un po’ arcaici (“Non desiderare la donna d’altri”) -, ma di compiere i doveri del proprio stato, della nostra situazione quotidiana attuale. Ad esempio, se sono una studentessa universitaria e contestualizzo questi comandamenti nella mia quotidianità, significa andare a Messa la domenica, trovare un momento per la preghiera, parlare regolarmente con i miei genitori e non alzare mai la voce con loro, cercare (almeno cercare) di non parlare male di nessuno e svolgere i miei compiti in modo diligente.


E se sono sempre stata responsabile e virtuosa? Se come il giovane ricco tutto questo l’ho fatto? E ora? Sono già buona? Non dobbiamo dimenticare che alla domanda del giovane il Signore risponde anche: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”.


La più grande tentazione di un cristiano impegnato con la propria fede è il potersi credere buono. Credere di aver fatto abbastanza. Intendere la vita cristiana come un insieme di regole che dobbiamo rispettare per “essere buoni” è un errore che comporta una profonda tristezza. Chi si guadagna il Paradiso e vive con quell’allegria sulla terra non è la persona che concepisce la vita come un continuo spuntare una lista di cose da fare. Chiaramente rispettare i comandamenti è necessario, non fraintendetemi, ma non basta a riempire il cuore dell’uomo.


E allora come si diventa santi e ci si conquista il Paradiso?


Il giovane ricco si chiede lo stesso e dice al Signore: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”, al che Gesù risponde: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”.


Come comprendere queste parole così esigenti del Signore nella nostra quotidianità? Queste 5 domande vi potranno aiutare:


1. Oggi mi sono messo al servizio degli altri?


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©Adobestock.com


Il Signore ci invita a vivere la nostra vita da una prospettiva diversa, quella del lasciare tutto per Lui, per amore.


Quel “Vendi quello che hai” al giorno d’oggi è un modo per svuotare il cuore dai pregiudizi nei confronti degli altri, non dare troppa importanza alle apparenze, non preoccuparsi eccessivamente di se stessi e darsi l’opportunità di riempirsi di Cristo.


Un amore che “dà ai poveri” è quello che si dona completamente agli altri per vivere con un’apertura radicale verso il prossimo. Lo diceva già Sant’Agostino, “Ama e fa’ ciò che vuoi”, e non sbagliava! L’amore è il fine autentico dell’uomo e l’unica cosa che può riempire il suo cuore di aneliti all’eternità.


2. Oggi ho cercato di essere uno strumento di Dio perché gli altri lo conoscano?


Friendship, two girls having fun together

Come abbiamo detto, non si tratta solo di essere buoni. Il comandamento “nuovo” dell’amore rinnova il vivere gli insegnamenti che Dio ci ha lasciato (rispettare i comandamenti) in un modo che nobilita la vita dell’uomo non lasciandola circoscritta alla constatazione delle “buone azioni”, al conformarsi ad “essere buoni”, ma lo porta alla speranza del “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5, 48), perfetti nell’amore. E questo amore, per essere perfetto, è espansivo, cerca sempre di trasmettersi agli altri.


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12/06/2016 16:21
 
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3. Oggi ho cercato di dedicare qualche momento alla preghiera per poter incontrare Dio?


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©Pixabay.com


Senza preghiera non siamo niente. Per salire un po’ più su nella scala dell’“essere buoni” abbiamo bisogno della grazia. Nessuno può diventare santo con i propri mezzi.


“Ogni volta che sentiamo nel nostro cuore un desiderio di miglioramento, di rispondere al Signore in modo più generoso, e cerchiamo una guida, un punto di riferimento chiaro per la nostra esistenza, lo Spirito Santo ci riporta alla mente le parole del Vangelo: ‘bisogna pregare con perseveranza e non cedere’. La preghiera è la base di ogni opera soprannaturale; con la preghiera siamo onnipotenti, e se prescindessimo da questa risorsa non otterremmo niente” (San Josemaría Escrivá).


4. Oggi sono stato grato a Dio per tutto ciò che mi ha donato?


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©Pixabay.com


Una delle condizioni più importanti per la santità è la gratitudine. Tutto ciò che abbiamo di buono proviene da Dio, ed è Lui che dobbiamo ringraziare in primo luogo. Vivere in un ringraziamento costante ci aiuta a crescere nell’umiltà e nell’allegria.


Come dice papa Francesco, saper ringraziare i fratelli è segno del fatto che si ha un cuore grato nei confronti di Dio, e un cuore grato è sempre fonte di grazia.


5. Oggi ho saputo apprezzare quello che gli altri hanno fatto per me?


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©Pixabay.com


Non si tratta solo di essere grati a Dio. È bene esserlo anche nei confronti degli altri. Andare al di là dell’“essere buoni” implica il fatto di mettersi sempre a disposizione, di essere aperti agli altri, e questo non solo servendoli, ma anche cercando di valorizzare gli altri per quello che sono, di imparare a vedere in ogni persona un’opportunità per vivere l’incontro, la gioia e la riconoscenza.


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25/09/2016 10:02
 
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La differenza tra un cristiano che prega e uno che non lo fa .


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di Garrett Johnson

Provando a condividere la mia fede con gli altri, spesso ho difficoltà a spiegare il concetto di preghiera. Fa davvero la differenza? Non è sufficiente aiutare gli altri, essere una “brava persona”?

Sebbene questa logica possa convincere molti – a volte io stesso ci cado – nulla è più distante dal cuore del cristianesimo. La virtù senza la preghiera è come un cristianesimo affetto da Alzheimer. Preferiamo la routine ai momenti di profonda intimità, momenti che potrebbero essere piacevoli benché impegnativi. Per farla semplice, un cristianesimo senza preghiera è un corpo senza anima.

Detto ciò, la preghiera è tutto sommato facile, richiede una semplice decisione: abbracciare il silenzio e offrire il proprio cuore. Ma è un percorso graduale e spesso irregolare.

Per illustrare meglio questo punto, vorrei chiedervi: avete mai notato la differenza tra l’arte sulle pareti laterali delle chiese (soprattutto nelle chiese decorate in modo più tradizionale) e quella dell’abside, attorno all’altare? Prendiamo ad esempio la cattedrale di Cefalù, in Sicilia. Cosa notate camminando in questa bellissima chiesa del 1131?

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Un cristiano che non prega: uno sguardo dall’esterno

Sulle parete laterali della chiesa, troviamo una serie di immagini che mostrano scene dal Vecchio e dal Nuova Testamento. Occupano tutta la navata che punta all’altare. Camminiamo lungo il sentiero della storia della Salvezza, ammirando molte storie del rapporto tra Dio e l’uomo.

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Lo facciamo da osservatori esterni. Come se stessimo leggendo un libro di storia o un romanzo, apprendiamo di ciò che è successo tra Dio e le altre persone. Ma noi siamo fuori dalla scena.

Ecco cosa siamo quando non preghiamo: spettatori del cristianesimo. Assistiamo alle scene d’amore tra Dio e l’uomo. E per quanto possa essere toccante, immaginate di leggere storie d’amore per tutta la vostra vita senza mai avere alcun tipo di relazione sentimentale! Senza mai ricevere davvero uno di quegli sguardi d’amore!

Possiamo sentir parlare della nostra fede a Messa, o a lezione di catechismo. Possiamo imparare la vita dei santi e persino provare ad imitare le loro buone opere. Possiamo servire alla mensa per i poveri o fare altre opere di beneficienza. Tutte queste sono iniziative eccellenti che in effetti ci avvicinano a Dio. Ma non possiamo accontentarci di questo! Non possiamo dimenticarci dell’essenza del cristianesimo!

Senza un incontro più profondo e personale con Cristo, rischiamo di distrarci con una semplicità incredibile. Invece di Cristo, mettiamo altre cose al centro della nostra spiritualità: gli incarichi che dobbiamo svolgere, la formazione che dobbiamo conseguire, la liturgia che dobbiamo compiere in maniera impeccabile, ecc.

Il punto di svolta

Uno dei modi migliori per rimettere Cristo al centro della tua vita cristiana è di continuare a fare ciò che fai, cambiando però leggermente prospettiva. La prossima volta che ascolti un’omelia, che prendi la Bibbia, che leggi un libro sulla vita di un santo, o che impieghi il tuo tempo nel servizio ai poveri, invece di concentrarti su ciò che stai ascoltando o facendo, chiediti: “Perché?”.

Quando leggi le storie di salvezza sia dal Vecchio che dal Nuovo Testamento, o le storie dei santi, non concentrarti più di tanto sul desiderio di imitare le loro opere. Permetti invece all’amore di Cristo di ispirarti. Piuttosto che fare ciò che queste persone hanno fatto, dovremmo imparare a seguire lo sguardo del loro cuore. Se dopo una lettura una parte di voi non è del tutto spinta a entrare nel silenzio e a sentire lo sguardo amorevole di Cristo, qualcosa potrebbe essere andato storto.

Dante lo descrive magistralmente in una scena della Divina Commedia. Entrando in paradiso, Dante intravede Beatrice per la prima volta:

Quando Beatrice in sul sinistro fianco 
vidi rivolta e riguardar nel sole: 
aguglia sì non li s’affisse unquanco.

Così de l’atto suo, per li occhi infuso 
ne l’imagine mia, il mio si fece, 
e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
Lo sguardo di Dante si incrocia con quello della sua amata Beatrice, trovandosi di fronte ad un’espressione incantevole, così piena di luce e di amore. E quel sole (Dio) lo spinse a fare lo stesso. La cosa incredibile è che la stessa impostazione architettonica e artistica delle nostre chiese ci spingono ad agire nella medesima maniera!

Continuando a camminare lungo la chiesa, abbiamo raggiunto l’altare. Lì alziamo lo sguardo e scopriamo alcuni cambiamenti radicali.

Siamo passati da una struttura lineare ad una circolare: la struttura lineare simboleggia l’ordine cronologico tradizionale in cui un evento accade dopo un altro. La struttura circolare, invece, rappresenta   l’ordine cronologico dell’eternità. Il cerchio è da sempre un simbolo dell’infinito (non ha mai fine). È qui che approcciamo dunque la presenza dell’eternamente Presente. Analogamente, quando ci apriamo a Cristo nella preghiera, la logica dell’eternità inizia a prevalere sulla nostra logica quotidiana fatta di preoccupazioni e stress. Le interminabili liste di cose da fare vengono finalmente relegate dove appartengono. Ogni cosa è organizzata in due semplici categorie: ciò che appartiene all’amore, e che quindi è eterno, e ciò che appartiene all’odio, e che è dunque effimero e inutile.

 


È la stessa esperienza dell’imprenditore che torna a casa, dopo una lunghissima giornata di preoccupazione, numeri da far quadrare e risultati da ottenere. Bastano un semplice sguardo da parte della moglie e l’abbraccio dei bambini attorno alle sue gambe a ricordargli ciò che è davvero importante nella vita.

Lo sguardo diretto di Cristo: cosa ancora più importante, i nostri occhi vengono accolti dalla presenza di Cristo, nostro Salvatore. Eppure Cristo era presente anche nelle altre scene che abbiamo visto finora lungo le pareti laterali. Cosa c’è di diverso qui? La sua posizione frontale e diretta, Lui sta guardando direttamente noi. In questo luogo sacro – soprattutto durante il momento del sacrificio Eucaristico – siamo invitati a compiere il passaggio tra l’essere spettatori esterni all’essere membri attivi in una relazione: è il momento dell’incontro faccia a faccia con il nostro Amato.

Attenzione però! Perché incontrare Lui (così come ogni altro incontro personale) significa che non si sbircia più dalle tende, ma si è protagonisti, si è sul palco. Ci si espone, si diventa vulnerabili. Il Suo sguardo è pieno di amore, e Lui vuole trasformarci in amore puro! Ecco cos’è la preghiera.

Un cristiano che prega nutre la sua vita con lo sguardo contemplativo di Cristo. Troppi cristiani cadono in una sorta di moralismo ansioso o, al contrario, in una sorta di lassismo indifferente perché abbiamo dimenticato o mai sperimentato questo incontro tra il nostro sguardo e quello di Cristo. E questo sguardo può essere trovato soltanto nella preghiera (e bisogna cercarlo!)

Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. (Giobbe 42:5).


 

da aleteia.org

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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