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COSA SAPPIAMO DEL PARADISO ?

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2021 17:00
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21/06/2016 17:59
 
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Dal commento di Lino Pedron
IL MONDO NUOVO

(21,1–22,5)

UN NUOVO CIELO E UNA NUOVA TERRA

Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
« Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro 
ed essi saranno suo popolo 
ed egli sarà il "Dio-con-loro". 
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; 
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
A colui che ha sete darò gratuitamente 
acqua della fonte della vita. 
Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. 
Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte».



Seguendo la lettura dell’Apocalisse abbiamo percorso un viaggio: dal tumulto della storia umana e dalle sue contraddizioni alla pace e alla semplicità del regno di Dio. Ci è stato messo sotto gli occhi l’intero cammino dell’umanità, dal passato al presente e dal presente al futuro.

La pagina che stiamo leggendo è infatti in punto terminale verso cui l’umanità è incamminata. Anche in questa parte conclusiva abbiamo la presentazione di tre visioni: la nuova creazione, la nuova Gerusalemme, il fiume dalle acque abbondanti.

Al centro, come sempre, il trono di Dio. È dal trono che proviene la voce che spiega il contenuto della visione ed è "Colui che sedeva sul trono" che afferma: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". È dal trono che scaturisce il fiume di acqua viva. L’immagine del trono è importante e ricorrente, e l’uso che se ne fa è molto istruttivo. Nella maggioranza dei casi l’immagine è contrapposta polemicamente ai molti troni che gli uomini innalzano ai potenti e ai falsi dei.

La tesi dell’Apocalisse è trasparente: soltanto il trono di Dio ha diritto di essere innalzato nella città dell’uomo, perché soltanto il trono di Dio libera e riunisce. Soltanto davanti al trono di Dio l’uomo deve inchinarsi, e soltanto all’unica e assoluta sovranità di Dio è dovuta l’adorazione. Mentre il trono degli uomini è l’espressione dello sforzo orgoglioso e impotente di salire verso l’alto, quasi per rapire all’unico signore il suo dominio, la sovranità di Dio invece è, al contrario, un movimento che discende verso il basso, dal cielo al cuore della nostra storia: come appunto la Gerusalemme celeste che discende dal cielo, da presso Dio.

C’è una profonda differenza tra il trono di Dio e il trono degli uomini. Il trono degli uomini esprime la volontà che s’innalza per dominare e piegare gli altri ai propri interessi. Il trono di Dio esprime la volontà di chi, già in alto, si avvicina all’uomo per amarlo e salvarlo: "lo sarò il suo Dio ed egli sarà suo figlio" (21,7).

Se è vero che l’immagine che domina e dà stabile fondamento a tutto il resto è quella del trono di Dio, è altrettanto vero che l’idea qui più ricorrente è la novità: cielo nuovo, terra nuova, nuova Gerusalemme, tutte le cose nuove.

L’aggettivo nuovo, nel suo uso biblico, esprime globalmente il desiderio dell’uomo che, finalmente!, succeda qualcosa di diverso, e insieme esprime la consapevolezza che gli uomini non riescono a fare nulla di veramente diverso: molte chiacchiere e molte promesse, ma sempre, alla fine, le stesse cose. L’uomo biblico si è accorto che la novità è possibile soltanto a Dio: l’uomo non la raggiunge da solo, ma unicamente nell’obbedienza al Signore e nell’accoglienza del suo dono. È Dio che fa nuove tutte le cose (21,5). Solitamente nell’Apocalisse, Dio non parla: altri parlano a suo nome. Ma qui egli prende direttamente la parola, quasi per sottolineare che ciò che sta dicendo è la cosa più importante di tutte. Egli ci dà la conferma che il sogno degli uomini di un rinnovamento globale non è sogno, ma realtà.

*****

vv. 1–4. Se il vecchio mondo è scomparso (20,11), Dio metterà al suo posto un nuovo cielo e una nuova terra (Gen 1,1). Il testo aggiunge esplicitamente che non vi sarà più il mare. Scomparirà così la caotica e inquietante potenza da cui era emersa la bestia satanica (13,1). La nuova Gerusalemme scenderà allora dal cielo sulla nuova terra che rappresenta l’opposto dell’empia città di Babilonia. La nuova Gerusalemme è paragonata a una figura femminile: appare come una sposa che si è adornata per essere condotta dallo sposo (21,9ss). Anche Paolo parla della Gerusalemme dell’alto e la chiama la nostra madre, indicando con quel nome la nuova creazione che ha già avuto inizio per la comunità cristiana (Gal 4,26). La prostituta Babilonia è stata ormai condannata (17,3ss; 18,1ss), ma la comunità cristiana è la sposa di Cristo (19,7).

Una voce celeste proclama, con numerose espressioni dell’Antico Testamento, che Dio è nuovamente presente. Dio rimarrà per l’eternità con gli uomini di tutti i popoli. Allora sarà scomparso ogni dolore (7,16-17), e la morte stessa non ci sarà più. Infatti le cose di prima, ossia il vecchio mondo, che viveva sotto il segno del peccato, della sofferenza e della morte, è scomparso.

vv. 5–8. Giunti ormai alla fine del libro, Dio stesso prende la parola (1,8) e conferma che quell’immagine del nuovo mondo è vera. Egli fa nuove tutte le cose (2Cor 5,27; Gal 6,15) e dà a Giovanni l’ordine di scrivere le sue parole, che sono incrollabili e certe, e di trasmetterle alle comunità che vivono ancora nella tribolazione e nella persecuzione. La sua parola è vera perché egli è il principio e la fine (1,8), il creatore e il reggitore dell’universo. Ciò che egli dice, avviene (Sal 33,9). Egli disseterà gli uomini dando loro gratuitamente l’acqua della vita (7,17; Gv 4,10.14; 7,37–38). Egli dona senza fine la sua grazia misericordiosa. Questa promessa veritiera deve fortificare il coraggio della chiesa ancora militante. Come ciascuna delle sette lettere si chiudeva con una parola di vittoria (2,7; ecc.), così anche il discorso di Dio termina con una promessa ai vincitori: chi vince sarà figlio di Dio, e Dio sarà il suo Dio. Mentre quelli che saranno rimasti fedeli riceveranno questa eredità, gli infedeli cadranno nella perdizione eterna (2,11; 20,6.15). Il brano termina con una solenne ammonizione: i codardi e gli increduli non avranno la salvezza. La comunità deve comprendere questo serio avvertimento come un appello alla perseveranza.

 

 

LA NUOVA GERUSALEMME

Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello». 10 L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15 Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16 La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali. 17 Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. 18 Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19 Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, 20 il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. 21 E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22 Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. 23 La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24 Le nazioni cammineranno alla sua luce 
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. 
25 Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, 
poiché non vi sarà più notte.
26 E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. 
27 Non entrerà in essa nulla d'impuro, 
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.

Un angelo aveva accompagnato Giovanni nel deserto per mostrargli la grande prostituta, cioè la città pagana, la società idolatra (18,3ss), i cui contrassegni evidenti sono l’insofferenza di Dio ("è coperta di nomi blasfemi"), il lusso sfacciato e volgare ("vestita di porpora e di scarlatto, adorna di gioielli e di pietre preziose"), la capacità di attrarre nella propria visione idolatra tutti i popoli della terra ("madre di tutte le abominazioni della terra"), la persecutrice dei cristiani ("ebbra del sangue dei santi e dei martiri di Gesù"). Ora lo stesso angelo conduce Giovanni su un monte altissimo per fargli contemplare la città santa, la nuova Gerusalemme. Le due città sono una l’opposto dell’altra: Babilonia si erge contro Dio, Gerusalemme discende da Dio. L’architettura della città di Dio dà la netta sensazione della completezza, della definitività e dell’armonia. Così il simbolismo del numero dodici, il numero della pienezza (le dodici porte, i dodici basamenti), e il simbolismo del quadrato ("la città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza"). Tutto è compiuto, armonico, simmetrico: non vi si può aggiungere né togliere nulla. È chiaro che Giovanni non sta descrivendo il piano di una città, ma il volto della comunità salvata e purificata da Dio. Sono cadute tutte le contraddizioni che ora caratterizzano la convivenza, è caduta la frammentarietà, la disarmonia, la provvisorietà.

Inoltre Giovanni accumula immagini che creano il senso dell’armoniosità, della trasparenza e della preziosità: lo splendore della città è come quello delle gemme ed è tutta costruita con oro e pietre preziose. Ma a differenza di Babilonia, che ostenta i suoi gioielli per mostrare la propria gloria, la nuova Gerusalemme risplende della gloria di Dio.

Ed è proprio questo il tratto più importante: la nuova città è in comunione con Dio, una comunione diretta, trasparente, senza veli e mediazioni: "Non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, l’Agnello sono il suo tempio". Dio non è più incontrato attraverso qualcosa, ma faccia a faccia, e questo è il grande sogno dell’uomo, l’ansia profonda di ogni sua ricerca. Sono caduti i veli, e Dio è di fronte.

Notiamo che è solo con l’aiuto di un angelo di Dio che Giovanni ha compreso l’idolatria di Babilonia e ha contemplato la nuova Gerusalemme. Al di là del simbolo, l’insegnamento è chiaro: è alla luce della parola di Dio, cioè nell’ascolto, nella preghiera, nella fede, che la comunità cristiana trova lucidità per scoprire l’idolatria del mondo presente e per ritrovare la certezza del mondo futuro. Senza l’aiuto della parola di Dio la lettura della storia perde lucidità e si confonde con la lettura mondana: la comunità credente finisce col ragionare come il mondo. Oppure smarrisce la speranza, vede il fallimento e non scorge, nel profondo, il germe carico di promessa delle novità di Dio.

*****

vv. 9–17. Gli angeli stanno a guardia delle dodici porte (Is 62,6) che si aprono verso i quattro punti cardinali per permettere il libero accesso alla città (Ez 48,30ss). Ciascuna delle porte porta scritto il nome di una delle dodici tribù d’Israele (Ez 48,31ss) poiché Gerusalemme è la città del popolo di Dio. Però questo non è più limitato al popolo dell’antica alleanza, ma è la comunità di Gesù Cristo di cui sono stati chiamati a far parte giudei e pagani (7,4ss). Perciò Giovanni aggiunge che i dodici basamenti portano scritto il nome dei dodici apostoli; la chiesa infatti è costruita sul fondamento degli apostoli e dei profeti (Ef 2,20; Mt 16,18), che formano la base su cui poggia l’intero edificio. L’angelo, che con la sua canna d’oro misura la città, ne comunica a Giovanni le enormi dimensioni. La città ha una pianta quadrata. Nell’antichità il quadrato e il cubo erano considerati immagini della perfezione e, secondo le notizie trasmesseci dalla tradizione antica, anche Babilonia era una città a pianta quadrata. La misura di dodicimila stadi, che corrisponde a circa 2.400 km, riguarda non solo la lunghezza e la larghezza, ma anche l’altezza. Questo cubo dalle dimensioni colossali richiama alla mente la concezione che si aveva nel mondo antico della volta celeste; le dimensioni del cubo e la frequente ripetizione del numero dodici vogliono simboleggiare la massima perfezione. I 144 cubiti indicati per le mura, presumibilmente devono riferirsi al loro spessore (= 70 metri circa) e non alla loro altezza.

vv. 18–27. La descrizione della bellezza indicibile della città prosegue con la menzione del ricchissimo materiale usato per costruirla (Is 54,11; Tb 13,16-17). La città è d’oro puro e trasparente e le sue fondamenta sono adornate di sfavillanti pietre preziose (4,3), i cui nomi sono indicati in una successione molto simile a quelle delle analoghe liste dell’Antico Testamento (Es 28,17ss; 39,10ss; Ez 28,13).

Le porte della città sono formate da dodici perle meravigliose. La strada che attraversa la città celeste è anch’essa d’oro purissimo. Le materie preziose ricordate in questa lista non vanno interpretate separatamente, ma viste tutte insieme come un modo per descrivere la luminosa e risplendente bellezza della nuova Gerusalemme, colma della presenza di Dio. Lo sguardo di Giovanni si rivolge ora all’interno della città. Nel mondo antico il santuario era considerato il luogo nel quale era presente la divinità, e di conseguenza si immaginava anche l’esistenza di un tempio nel cielo (11,19; 14,15.17; 15,5ss); ma nel nuovo mondo non ci sarà più bisogno di un santuario, perché Dio e l’Agnello abiteranno in mezzo alla città. Non si adorerà più in un edificio a ciò consacrato, ma soltanto in spirito e verità (Gv 4,24). La luce eterna che emana dalla presenza di Dio illumina la nuova Gerusalemme. Perciò non c’è più la notte, e non occorre più la luce del sole e della luna; infatti solo Dio stesso e l’Agnello sono la luce (1Gv 1,5) che espelle definitivamente ogni oscurità (22,5). Ormai il giorno luminoso non ha più fine, perciò le porte della città non si chiudono, ma rimangono ininterrottamente aperte e permettono in ogni tempo un libero accesso. Accorrono dunque da ogni parte gli adoratori che camminano alla luce della nuova Gerusalemme. Su questo punto Giovanni si ricollega a certe promesse dell’Antico Testamento che in origine non si riferivano a una città celeste, ma alla futura gloria di Sion e della Gerusalemme della terra (Is 60). Quelle profezie si sono ora miracolosamente adempiute: accorrono alla città i popoli pagani, che però non sono più pagani perché ricevono il diritto di cittadinanza della città. I re portano regali e doni preziosi in segno di omaggio. Tutto ciò che è impuro è bandito dalla città: nelle sue mura abitano solo i cittadini del cielo, i cui nomi sono scritti nel libro della vita (3,5; 13,8; 17,8).

 


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