Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

L'EVOLUZIONE è STATA DIMOSTRATA?

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2021 14:54
Autore
Stampa | Notifica email    
05/12/2015 23:39
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

LE MUTAZIONI, ALLA FIN FINE TUTTE NEGATIVE

Per riassumere, praticamente ogni mutazione è deleteria: provoca malattie e morte. Quasi tutte le mutazioni infatti, come dimostra Lee Spetner, che insegò per molti anni la teoria dell’informazione al Johns Hopkins University, sono negative. Spetner mostra che quasi tutte le mutazioni causali producono cambiamenti che intaccano il codice del DNA facendo in modo che le sezioni del codice divengano meno utilizzabili, con effetti deleteri sull’intero organismo (Spetner, Not by Chance 85-160). Anche le mutazioni positive, che come abbiamo visto sono comunque distruttive, non hanno pressoché nessuna rilevanza dal punto statistico.

Questo è esattamente ciò che osserviamo accadere nel laboratorio. Come dice il professore di biologia H. Allen Orr dell’Università di Rochester: “la travolgente maggioranza di mutazioni casuali sono dannose; riducono la capacità di sopravvivere; solo una minuscola minoranza è benefica, aumentando la capacità di sopravvivere.

Per esempio, sezioni mancanti di geni e errori nelle duplicazioni DNA sono associati con una grande gamma di malattie, dalla fibrosi cistica, alla malattia di Huntington, al colesterolo alto di famiglia. Una lista di circa 10,000 esempi di mutazioni genetiche o di delezioni che sono sospette causare malattie genetiche umane è riportata sul sito online “Johns Hopkins Mendeleian Inheritance in Man”.

Nella ricerca sul cancro, si riscontra spesso che i tumori sono caratterizzati da mutazioni, e nelle cellule del cancro il tasso di mutazione è molto più alto che nelle cellule normali. Infatti la maggior parte degli organismi hanno geni il cui ruolo è quello di preservare l’informazione genetica contro mutazioni e di riparare il DNA danneggiato così da minimizzare le mutazioni stesse. Dove i geni riparatori del DNA sono in quantità ridotte per qualche fattore, il rischio di cancro e di altre malattie aumenta di molto.

Ciò che quindi riscontriamo e osserviamo negli organismi viventi, sono meccanismi funzionali a minimizzare le mutazioni. Questi meccanismi tendono a minimizzare la diversità fuori da ciò che è già codificato nel DNA. Quando avviene una mutazione, esse portano spesso alla malattia e alla morte nell’organismo; e nel prossimo articolo vedremo il perché di questo.

Quindi mentre la teoria neodarwinista vorrebbe spiegare con le mutazioni tutta l’enorme diversità degli essere viventi e la loro capacità di adattarsi, l’osservazione ci dice al contrario che sono proprio gli esemplari che non mutano che non vengono eliminati dalla selezione naturale e che quindi sopravvivono. Infatti, come sostiene lo scienziato anti evoluzionista Jerry Bergman, anche gli organismi con una mutazione positiva, in quanto in realtà comunque distruttiva, hanno il cosiddetto “fitness cost” ovvero l’effetto collaterale di tale mutazione positiva, che è sempre più grande dell’effetto benefico della mutazione. Se infatti i batteri “evoluti” dell’esperimento di Lenski fossero vissuti in natura e non in laboratorio, sarebbero stati presto eliminati, in quanto nel complesso sono diventati meno efficienti e adatti a sopravvivere.

Gli unici casi di mutazioni che provocano una reale sopravvivenza e miglioramento dell’individuo sono quei cambi epigenetici (quindi tutto già preesistente) che Lee Spetner elenca nel suo nuovo libro “The Evolution Revolution”.

L’osservazione ci dice quindi che gli organismi che non mutano sono più adatti a sopravvivere e generare una prole. Proprio l’opposto di ciò che l’evoluzionismo asserisce.

UN ESEMPIO DI PROBLEMA STATISTICO PER LA TEORIA DARWINISTA

Il famoso microbiologo anti evoluzionista Michael Behe, studiò il parassita della malaria, il Plasmodium, anche lui caratterizzato da popolazioni molto vaste. Il plasmodio infatti ha sviluppato una resistenza a tante medicine contro la malaria e alcuni umani hanno sviluppato una sorta di resistenza. Behe dimostra che tutti questi casi di adattamento, sia umani, che del Plasmodium sono dovuti ad una rottura delle strutture e non dalla nascita di strutture nuove. Per esempio la resistenza del Plasmodium alla clorochina è dovuta ad un guasto nella proteina trasportatrice che porta il veleno nel vacuolo. Behe analizza anche la resistenza del Plasmodium alla pirimetamina, la resistenza delle zanzare al DDT e la resistenza dei ratti alla warfarina. E provate a indovinare cosa è successo? Sono avvenuti tutti processi distruttivi che hanno portato ad effetti benefici.

Perché mai un evoluzionista usi esempi di distruzione per provare costruzione o meglio complessificazone ancora nessuno lo sa. Le mutazioni distruggono sempre, e per la maggior parte delle volte hanno effetti deleteri. Radiazioni ionizzanti non ti trasformeranno in un X-men, ma solamente in una massa tumorale.

Behe, in seguito, in base alle sue precise osservazioni è stato in grado di stilare alcuni calcoli probabilistici che non fanno altro che mettere ancora in più in difficoltà i darwinisti. Per motivi di spazio, non possiamo trattare qui in modo completo le sue analisi statistiche, ma questo l’analisi precisa del suo argomento avverrà negli successivi articoli.

Come commenta Don Batten sugli studi di Behe, Il Plasmodium, come microbo, raggiunge popolazioni enormi e il farmaco clorochina è utilizzato contro il plasmodio ormai da molti anni. Questo vuol dire che il parassita ha avuto tantissime opportunità per “evolversi”, in quanto più è il numero totale degli organismi e più mutazioni possono verificarsi per poi essere sottoposte alla selezione naturale. Però la resistenza alla clorochina si è verificata in modo abbastanza infrequente: passarono infatti dieci anni prima che apparisse la prima resistenza. Questo contrasto con la resistenza nei confronti di altri anti-malarici è uno dei punti principali del libro di Behe “The Edge of Evolution”. Infatti il motivo per il quale la resistenza alla clorochina avrebbe messo così tanto tempo ad apparire è che essa necessita dai 4 agli 8 amminoacidi in un trasportatore di membrana (in parole povere una pompa). Sembra infatti che la resistenza sia comparsa in quattro occasioni separate. Due particolari cambi di amminoacidi sembrano essere in comune (residuo 76 e 220), quindi due mutazioni sembrano essere necessitate in un gene. Una mutazione apparentemente non genera alcuna resistenza alla clorochina, o deve essere compensata da una seconda mutazione per limitare i danni deleteri, mentre resistere alle altre anti-malarie necessitava solamente una mutazione per ognuna di esse. Questo sembra una spiegazione ragionevole per il come mai la resistenza alla clorochina ci abbia impiegato così tanto a venire rispetto agli altri anti-malarici. Da questa osservazione Behe calcola, usando le stime dei numeri di popolazione del Plasmodio e le generazioni prese dagli evoluzionisti, la probabilità di una resistenza richiedente due mutazioni in cui solamente una non basterebbe a creare tale resistenza. Un parassita su 1020 avrà la resistenza alla clorochina. Una persona molto malata avrà 1012 parassiti e se mezzo miliardo di persone fossero infettate, avremmo 1021 parassiti, che vuol dire che ci aspetteremmo di trovare almeno una persona all’anno infettata da un parassita che ha acquistato la resistenza alla clorochina. Questi calcoli sono consistenti con le osservazioni sulla clorochina. Rispetto al Plasmodium gli umani sono estremamente più noiosi e impediti dal punto di vista delle possibilità evoluzionistiche, data la loro relativamente piccola popolazione e i lunghi tempi generazionali. Behe calcola, usando le assunzioni temporali dell’evoluzione, il numero massimo totale degli essere umani dalla supposta separazione dalle scimmie, che è 1012 individui.

Quindi ci vorrebbe un miliardo di anni per avere la possibilità di avere una mutazione doppia come quella necessitata dal Plasmodio per la resistenza alla clorochina. In altre parole, niente di più difficile di questo potrebbe accadere un organismo umanoide. Il tratto dell’anemia drepanocitica, che richiede solamente una mutazione specifica (un cambiamento di nucleotide), è comparsa de novo solo un paio di volte nella storia umana. D’altro canto, la talassemia, che richiede semplicemente la rottura di un gene dell’emoglobina, cosa che può essere ottenuta in molti modi, è comparsa centinaia di volte. Ancora queste frequenze sono consistenti con le probabilità di mutazione in una popolazione umanoide. L’evoluzione è infatti abbastanza capace di fare ciò. Uno su 1020 parassiti della malaria avrà una mutazione doppia, le probabilità per ottenere due di queste doppie mutazioni e di una su 1040. Ma questo eccede il numero totale di cellule che sono esistite sulla terra a partire da 4 miliardi di anni fa. In altre parole l’evoluzione non sarebbe mai riuscita a giungere a questo punto. Ed è proprio questo il limite dell’evoluzione che dà il nome al libro di Behe “The Edge of Evolution”. L’evoluzione dal punto di vista statistico è quindi impossibile, poiché enormi quantità di caratteristiche necessitano ancora più mutazioni di quelle necessarie per sviluppare la resistenza alla clorochina come dimostra Behe nel suo libro.

Per i calcoli di Behe l’evoluzione è quindi impossibile. Per motivi di spazio non possiamo né citare e né rispondere alle critiche ai calcoli di Behe.
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:53. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com