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Vita ed opere di s.Leone Magno

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2014 14:54
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14/10/2014 14:49
 
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5. Attila e Genserico
La pressione dei barbari (o, in altri termini, le trasmigrazioni dei popoli) è capitolo spettante alla storia civile e politica, più che argomento direttamente ecclesiale; ad essa perciò – per quanto concerne le vicende del tempo – si rinvia. Ma la Chiesa è immersa nella vicenda dell’uomo. La venuta in Italia di Attila, re degli Unni, è episodio che, per altro verso – nei suoi contorni leggendari –, è ancora legato alla maestà e alla sacralità di Roma: papa Leone avrebbe – nel nome grande e maestoso di Roma – fermato il popolo barbaro e intimorito forse il principe unno al ricordo della fine rapida di Alarico, dopo il saccheggio da lui compiuto contro Roma, caput mundi, nel 410. Che cosa in realtà abbia distolto Attila dal procedere verso Roma non è dato sapere. Fatto sta che l’ambasciata, della quale faceva parte anche Leone, sortì l’effetto di stornare dalla capitale la minaccia incombente. L’incontro con il re unno sarebbe avvenuto presso il Mincio. Ma molto, come s’è detto, è più affidato alla leggenda che non alla storia, che pure ha tramandato l’episodio. Correva l’anno 452. Altra grave iattura piombò su Roma pochi anni dopo, nel 455. Eudossia, la vedova di Teodosio II, anche dopo Calcedonia, non lasciò di favorire gli eutichiani. Ma sulla di lei famiglia si abbatté una serie impressionante di sventure. È storia complessa; qui si dà l’essenziale. Valentiniano III, suo consorte, fu ucciso da due soldati di Ezio, perché l’imperatore – a sua volta – aveva fatto uccidere Ezio (anni 454-455). La famiglia di Eudossia, che aveva chiamato dall’Africa i Vandali, finì per esservi portata in esilio ad opera del vandalo Genserico, dopo avere egli saccheggiato Roma (ne risparmiò le persone e i luoghi sacri, per quanto fu possibile controllare la turba scatenata dei Vandali); tale scempio durò per ben 15 giorni. La mitigazione del saccheggio si dovette all’intercessione, anche questa volta, di papa Leone. Era la seconda onta che subiva la Città eterna. Ormai il declino e l’agonia dell’Urbe erano inesorabili. Alarico nel 410, alla testa dei Visigoti; Attila, nel 452, radeva al suolo Aquileia, che era la quarta città della penisola e nona nell’impero; Genserico, alla guida dei Vandali, nel 455, espugnava Roma per la seconda volta. Poi sarà la volta di Odoacre con gli Éruli. La penisola italica, ormai, è in mano ai barbari. Non andrà molto (476) che la compagine dell’impero d’Occidente e l’ultima larva di imperatore, Romolo Augustolo (paradossi della storia, o ironia dei vincitori?), scompariranno; tale data, il 476 (ma chissà perché?), verrà assunta ad indicare gli inizi della cosiddetta «età di mezzo». Ma la storia non conosce soluzioni di continuità: per fini scolastici o didattici tale data sarà presa a significare il divario tra il mondo antico e quello di mezzo: età di una lunga, faticosa, lenta assimilazione dell’elemento barbaro ad opera della Chiesa 47 .
Tale è il secolo di papa Leone Magno, per il quale potrebbe valere l’aforisma del «già e non ancora». Tanto si dice, perché non sempre papa Leone trova entro le pagine della storia letteraria lo spazio che pure gli competerebbe e che gli sarebbe dovuto. Indiscussa (anche a giudicare da quel poco che s’è potuto vedere) la grandezza della sua personalità nella storia della Chiesa – tra ovest ed est – e nella storia civile dell’età che fu sua; meno rilievo – sembra – gli si è dato nella storia letteraria. Leone – come altri del suo tempo – trova difficile collocazione (o interesse) nell’àmbito più propriamente letterario. Colpa dell’età in cui visse? Il secolo V entra appena di striscio nella letteratura cristiana latina (e perché no? anche nella greca) antica, e non è ancora situato entro quella del Medioevo. Così testi di letteratura di indiscussa validità – pensiamo al Simonetti o al D’Elia 48 , ma anche all’Alfonsi 49 – non concedono grande spazio, nella loro considerazione letteraria, a Leone I. D’altro canto neppure le antologie di patristica, di solito, gli danno grande rilievo; solitamente ci si ferma alla lettera a Flaviano (la 28 a ) o a qualche testo dei sermoni. Ben altra consistenza concede al papa il Moricca nella sua Storia della letteratura latina cristiana 50 .
Ciò è assodabile anche per via storica. Leone ebbe il titolo di dottore solo a metà secolo XVIII, quando – curato dai fratelli Ballerini – uscì il primo volume dell’opera letteraria del papa Leone I. È evidente l’intento apologetico sia di Benedetto XIV (che attribuì il titolo di dottore a Leone), sia dei fratelli Ballerini che ne curarono la pubblicazione dell’opera, in quanto intendevano contrapporsi all’edizione di Leone Magno del giasenista P. Quesnel (1634-1719), che pure non si può dubitare che sia stato lavoro particolarmente serio, nonostante i mezzi di cui poteva disporre al suo tempo; si potrà – caso mai – discutere sulla «lettura» data dallo stesso, tenuto conto del fatto che il Quesnel era giansenista. I rilievi, la polemica, l’intento apologetico sono riscontrabili negli inserti assai ampi che sono riportati nei volumi del Migne relativi all’opera di san Leone Magno 51 .

6. Dopo Calcedonia (451)
Ma l’attività di guida e di magistero di papa Leone non chiude qui. Era il momento di fare i conti con il partito degli eutichiani, che usciva sconfitto – a loro modo di vedere – dal concilio di Calcedonia. Essi avevano riportato l’impressione che Calcedonia avesse smentito per di più il 1° concilio di Efeso (del 431), ossia il «perdente» sarebbe stato – in ultima analisi – san Cirillo di Alessandria. E ad Alessandria appunto iniziarono veri e propri tumulti causati dai monaci monofisiti, ossia di coloro che difendevano «l’unica natura» del Verbo incarnato. Anche in questo caso le vicende sono complesse e arruffate assai. Si dirà qualcosa. Dioscoro, cui si doveva imputare la leadership del conciliabolo di Efeso (secondo), a Calcedonia, venne deposto dalla sede vescovile di Alessandria; in sua vece fu scelto il suo arcidiacono, però di specchiata fede ortodossa; portava il nome di Proterio. Fu eletto non senza contrasti tra gli alessandrini. Gli si contrappose addirittura un certo Timoteo, che venne consacrato vescovo di Alessandria da due eutichiani. In una sollevazione popolare – quando il governatore di Alessandria, Dionigi, era assente – Proterio venne assassinato mentr’era in preghiera; il suo corpo fu orrendamente mutilato, smembrato, arso e le ceneri disperse. Altri gravissimi avvenimenti scuotevano la pace di Alessandria, come l’altro tragico fatto dei soldati arsi vivi entro il Serapeo. L’imperatore Marciano, che intrattenne molteplice relazione epistolare con Leone (si veda nell’epistolario) 52 , morì nel 457. Morto lui – che aveva sostenuto la necessità della convocazione calcedonese del 451 e ne aveva curato l’esecuzione – la setta degli «eutichiani» rialzò di nuovo la testa sotto il successore di Marciano, dal nome di Leone pure lui. Il vescovo di Costantinopoli, Anatolio, invitò papa Leone a intervenire presso il nuovo imperatore. Ci fu un fitto scambio epistolare anche con altri personaggi 53 . Quanto all’imperatore, costui fu evasivo. È in questo contesto complicato di rapporti che nasce la lettera 165 all’imperatore Leone e che riprende, in qualche modo, la traccia di quella a Flaviano; lettera pure assai rilevante, e per più motivi: in quanto riprende la precedente, dopo Calcedonia; e perché ripropone la dottrina del papa e del concilio di Calcedonia in un nuovo agitato contesto dogmatico, e perché denota tutta l’attenzione del papa alla questione monofisita. La riportiamo in traduzione, ritenendola una delle più significative.
La crisi, molto complessa – come s’è detto –, trovò una soluzione pacifica quando a Costantinopoli, ad Anatolio, successe il vescovo Gennadio, molto più deciso a chiudere la partita con l’eterodossia monofisita, quando venne – finalmente – messo da parte il Timoteo, soprannominato Eluro (ossia «gatto»), per le pressanti cure di papa Leone, anch’esse documentate da una serie di interventi epistolari 54 . Un altro Timoteo, chiamato Solafaciolo (= «dal turbante bianco»), che degnamente successe al martire Proterio, riportò la pace nella Chiesa di Alessandria. A questo periodo si riferiscono le ultime lettere del papa che chiudono l’epistolario leoniano. Altri problemi che Leone dovette prendere in considerazione e che si riferiscono al suo magistero pontificio riguardano la data della celebrazione della Pasqua, ad esempio, o un’altra serie di relazioni che sono riscontrabili nell’epistolario leoniano, come potrà apparire dai titoli riassuntivi che daremo più avanti. Si aggiunga poi l’infinita serie dei guai provocati dalle invasioni e dalle scorrerie dei barbari, e si avrà un quadro sufficientemente esauriente dell’attività svolta ai più diversi livelli da papa Leone. Il grande pontefice chiuse la sua operosa esistenza il 10 novembre del 461, dopo un pontificato durato ben 21 anni, uno dei più lunghi e in tempi calamitosi, di cui s’è cercato di dire qualcosa.
La memoria liturgica del pontefice ricorre nella data del suo trapasso: il dies natalis di un Grande, che è l’appellativo che la posterità gli attribuì, ricorre al 10 novembre 55 .
Un altro capitolo che qui non trattiamo – esulando per buona parte dal lavoro che intendiamo svolgere – riguarda il cosiddetto Sacramentarium leonianum, per il quale esistono eccellenti trattazioni ad hoc, e alle quali perciò rinviamo 56 .
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Lu 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà A CAPO della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
 
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