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Vita ed opere di s.Leone Magno

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2014 14:54
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14/10/2014 14:46
 
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1.Nestorio ed Eutiche

Insieme, ma diametralmente opposti, gli errori di Nestorio e di Eutiche. La battaglia condotta da papa Leone, di gran lunga la più decisiva, fu quella combattuta contro le due eresie (che si elidevano a vicenda); alludiamo all’opera di pastore e di maestro che sostenne per la verità totale del Cristo contro Nestorio prima, contro Eutiche dopo.
S’è detto della diversa posizione delle due scuole (a rigore, solo quella di Alessandria si può definire «scuola») di Antiochia di Siria e di Alessandria di Egitto
15 . La prima esaltava tanto la natura umana del Verbo incarnato (la vera umanità di Cristo), quasi sino al punto di assorbire/annullare la divinità; il Cristo sarebbe stato semplicemente un uomo su cui si sarebbe posato lo Spirito di Dio. La preoccupazione – ad Antiochia – di salvare e affermare l’umanità del Verbo incarnato finiva quasi inevitabilmente per cancellarne (o quanto meno, sminuirne) la divinità dello stesso, ossia del Cristo. La scuola di Alessandria, invece, muoveva dalla preoccupazione opposta: intenta com’era ad affermare la divinità (la natura divina, dunque) del Verbo incarnato finiva per misconoscere, in qualche modo, la natura umana, «assorbita» dalla divinità.
È capitolo di estrema importanza per la fede, realtà essenziali l’una come l’altra: la natura divina, la natura umana; l’essere vero Dio, ed essere vero e perfetto uomo che si devono riconoscere al Cristo: diversamente tutta la fede crolla, se il Cristo non è vero Dio e vero uomo unitamente e insieme. La posta in gioco era enorme; non era da meno di quella scatenatasi cent’anni prima per l’eresia del prete Ario; anzi: ne era conseguenza che muoveva da quelle premesse. La difficoltà stava tutta nel riuscire a concepire un unico Dio, ma in tre persone eguali e distinte; di avvertire in Cristo Gesù un’unica persona sì, ma in due nature, la divina e l’umana, integre, complete, indivisibili 16 .
Si spiega. Anche a non tenere conto di una terza «scuola» – che si suole definire «asiana» e che, in qualche modo, si faceva risalire alla catechesi di Giovanni apostolo –, le due nominate sopra erano all’origine del cristianesimo. Alessandria era un «emporio» culturale e cultuale 17 . Ad Alessandria aveva operato il filosofo giudeo, ma anche platonico e pitagorico, Filone (25 ca. a.C. – 50 ca. d.C.). Ad Alessandria i culti pagani (come, del resto, in Siria) trovavano abbondante esca e rigogliosa espressione. Ad Alessandria – si disse – c’era stata la versione della Scrittura che va sotto il nome di «Bibbia dei settanta». L’allegoria (tipologia figurale per il cristianesimo) si avvaleva della scuola platonica, dando luogo ad interpretazioni della Scrittura che si collocavano su posizioni diametralmente opposte a quelle di Antiochia. Sempre ad Alessandria (e quanto sulla scia di Filone?) erano sorte delle figure straordinarie, quali Panteno (fiorito verso il 180), Clemente Alessandrino (150-215 ca.), Origene (185-253 ca.) «il padre dell’esegesi cristiana», Atanasio (295-373), Didimo il Cieco (ca. 313- 398), alla cui scuola furono anche san Girolamo e Rufino di Concordia, e poi Cirillo di Alessandria (370-444), e tanti altri. La scuola di Alessandria fu faro cui attinsero luce tante sedi e scuole vescovili dell’Occidente; Alessandria fu uno dei punti di riferimento obbligati: è un capitolo tutto a sé, e che va studiato nel rapporto fede/cultura 18 .
L’esegesi di Alessandria si fondava (è stato anticipato) sul metodo allegorico, che era già stato applicato dai filosofi (di solito di estrazione platonica) per spiegare miti e poeti, a cominciare da Omero 19 . Quanto ad Antiochia non si sa bene se lì i cristiani siano stati chiamati con tale epíteto, per la prima volta, o per dileggio o per altro (cf. Atti 11, 26). Sfuggito miracolosamente alle mene del re Erode (cf. Atti 12), prima di venire a Roma, l’apostolo Pietro aveva inizialmente posto la sua sede ad Antiochia. Dopo Pietro, vescovo della città era stato un innamorato straordinario dell’umanità del Cristo: sant’Ignazio martire esposto alle fiere nel circo di Roma verso il 110 20 . L’esegesi della scuola di Antiochia procedeva in base ad un criterio rigorosamente scientifico, nonché storico-grammaticale. Da Antiochia vennero l’irridente scrittore sofista Luciano, nativo di Samosata (120 ca. e morto dopo il 180); Eustazio vescovo della città († 337), strenuo avversario dell’arianesimo a Nicea, morto in esilio; Diodoro di Tarso, nato ad Antiochia, uno dei protagonisti del concilio ecumenico di Costantinopoli del 381; da lui, in qualche modo prende avvio la cosiddetta «scuola» di Antiochia; tra i suoi discepoli furono Teodoro di Mopsuestia (350 ca.-428), altra notevole figura, e il massimo oratore cristiano dell’antichità san Giovanni Crisostomo (344- 407), patriarca di Costantinopoli e che l’invidia relegò in esilio; Giovanni era nativo di Antiochia. Questa dunque la serie delle grandi figure che onorarono Antiochia o direttamente o indirettamente 21 . Ma l’influsso delle due scuole (allegoristica l’una, scientifica l’altra) non si chiude entro le cerchie delle rispettive mura. Origene 22 era stato costretto a lasciare Alessandria; così aveva aperto una scuola a Cesarea di Palestina. Tra gli allievi, il martire Panfilo (secc. III-IV), maestro di Eusebio vescovo di Cesarea (263 ca.-339); vescovo «palatino» nella corte della «nuova Roma», poté esercitare un grande influsso su Costantino I; tra i discepoli di Origene va annoverato pure san Gregorio detto il Taumaturgo († ca. 270). Poi c’è la serie dei tre grandi cappàdoci: san Basilio Magno (330-379), il suo amico san Gregorio di Nazianzo (329-390 ca.), il fratello di san Basilio, Gregorio di Nissa (335-395 ca.). Costoro cercavano di conciliare Alessandria con Antiochia, temperandone le punte estreme. Edessa, nella Mesopotamia, accolse l’influsso della scuola di Antiochia; la più prestigiosa personalità è sant’Efrem Siro (Nisibi 306 – Edessa 373 ca.).
In Occidente prevalse l’influsso della scuola di Alessandria; così è di sant’Ilario di Poitiers (315-367 ca.), il più grande teologo dell’Occidente prima di sant’Agostino; di sant’Ambrogio (339-397), nel quale si rende evidente la mediazione teologica dei tre cappàdoci. Ma sarebbe stato necessario parlare degli apologeti africani, in particolare di Tertulliano (160 ca. - † dopo il 220), per la sua robustissima concezione «incarnazionista», ed al quale – forse – si deve far risalire il primo latino nella Chiesa dell’Occidente; di san Cipriano vescovo di Cartagine e martire (200/10-258). A parte andrebbe collocato Ippolito romano, presbìtero di Roma, morto martire verso il 235. Difficile rannodare tutti i fili dell’ampliamento della fede, del deposito dottrinale che si fa pure cultura e che si diffonde per vie spesso non controllabili.
E, si deve dire, la scuola di Alessandria, pur con i suoi limiti (che tendevano – magari – ad enfatizzare l’allegoria, anziché condurre una «lettura» tipologico/figurale; l’allegoria è nelle idee; la tipologia è nei fatti, nei personaggi, negli avvenimenti), fu di gran lunga superiore e immensamente più ricca di quella di Antiochia. Alessandria – in sostanza – si poneva idealmente nella linea esegetica tracciata da Cristo stesso (cf. Lc. 24 o Gv. 5, 39) e della prima catechesi apostolica (cf., ad es., Atti, i primi capitoli: così 1, 15-26; 2, 14-36; ecc.). Ma si deve pure aggiungere che la teologia antiochena ha concorso a moderare la tendenza di un eccessivo allegorismo proprio di Alessandria.
Questa, dunque, la diversa impostazione sostanziale della esegesi e della cristologia nelle due scuole, che però – come s’è detto – non sono le uniche, e la cui articolazione e sottolineature varia secondo sensibilità, tempi, modalità dei singoli autori. In qualsiasi caso il “luogo” di incontro e di confronto resta sempre la Scrittura (AT/NT) e, di solito, la Tradizione. Ma il luogo immediato di confronto (più spesso terreno di scontro) delle due scuole non fu l’una o l’altra città, presso le quali si erano sviluppate le differenti visioni teologiche; fu invece, piuttosto, la «nuova Roma». Nestorio, rinomato predicatore di Antiochia, cresciuto forse alla scuola di Teodoro di Mopsuestia (350 ca.-428), nel 428, fu consacrato vescovo di Costantinopoli. Nella sua predicazione Nestorio aveva imprudentemente sostenuto delle tesi estremiste sulla cristologia, urtando – tra l’altro – anche contro la pietà semplice dei fedeli; per esempio, quando affermava che Maria poteva essere detta soltanto madre di Cristo (cristotovko¦) e madre dell’Uomo, ma non madre di Dio (qeotovko¦). Lo scalpore sollevato da affermazioni tanto ardite portarono ben presto alla convocazione del concilio di Efeso (431); un concilio ecumenico, di taglio cristologico, nel contesto del quale è però affermato anche il rapporto di Maria con il Cristo: Maria fu definita madre di Dio (qeotovko¦).
Antesignano e propugnatore della divina maternità di Maria fu san Cirillo di Alessandria (370-444).
Difendendo la divina maternità di Maria, Cirillo intendeva richiamarsi al suo grande predecessore, Atanasio (295- 373), che – per l’ortodossia di Nicea – aveva subìto ripetuti esilii. In realtà la formula di cui Cirillo fece ampio e fondamentale uso (una sola natura del Logos di Dio fatta carne) 23 non era di Atanasio, ma – all’insaputa di Cirillo – apparteneva ad Apollinare di Laodicea (310-390 ca.), amico intimo di sant’Atanasio, ed altro grande assertore dell’ortodossia di Nicea. Formula ambigua e che poteva facilmente prestarsi ad una interpretazione eterodossa. Tale fu, di fatti, immediatamente visibile in Eutiche (378 ca. – morto dopo il 454). Eutiche era un monaco di Costantinopoli, che intendeva opporsi a tutta forza a Nestorio, ma che finiva per cadere però nell’errore esattamente opposto a quello di Nestorio. Non solo Eutiche negava che nel Verbo incarnato ci fossero due persone (ed era nel giusto), ma negava anche che ci fossero in lui le due nature, la divina e l’umana, del Cristo. Eutiche non faceva altro che tirare le ultime estreme conseguenze della formula che Cirillo aveva attinto da Apollinare di Laodicea. Altro scalpore, altra convocazione di concilio. Avrebbe dovuto tenersi ad Efeso, ed essere il secondo ecumenico celebrato nella città che aveva visto trionfare Cirillo ed asserita ivi energicamente la divina maternità di Maria contro Nestorio. Tralasciando di accennare alle altre tappe che avevano preceduto l’assise, ad Efeso (Efeso due) Eutiche trovò l’appoggio di Dioscoro (†454), patriarca di Alessandria dal 444 al 451 (e poi deposto), nipote e successore, dunque, di Cirillo. Efeso finiva per essere la netta inconciliabile contrapposizione delle due scuole, di cui s’è detto, nelle loro rigide conclusioni. La posta in gioco era enorme: da una parte (Nestorio) un Cristo «duplicato» (quasi due persone, perfetto uomo sì, ma con la natura divina in qualche modo «assorbita» dalla umana); dall’altra (Eutiche) un Cristo «dimidiato» (un’unica persona, un’unica natura – la divina –, perché la natura umana sarebbe stata assorbita dalla divinità).
Nella contrapposizione Alessandria/Antiochia non entrava in gioco solo una questione di natura teologica di tale rilevanza; entrava in causa pure una ragione politica, fatta di rivalità, di prestigio, di contrapposizioni di sedi patriarcali, complicate dall’ambizione di Costantinopoli di costituirsi seconda città dell’impero, dopo Roma, come «nuova Roma» 24 . Da una parte Alessandria con Teofilo, Cirillo, Dioscoro; dall’altra Giovanni Crisostomo (ma al di fuori e al di sopra di qualsiasi ambizione, che non fosse quella del suo servizio pastorale, con gli unici torti e di venire da Antiochia, e di essere vescovo di Costantinopoli), e Nestorio con le sue mire ed ambizioni, con la sua spericolata predicazione. Le ambizioni dei vescovi di Costantinopoli non mancheranno di farsi vive; lasceranno il segno, giungendo là dove avevano spesso mirato, nel canone 28 del concilio di Calcedonia (451), di cui si dirà quanto è necessario alla comprensione delle lettere di papa Leone.
Qui si inserisce appunto, a più livelli, l’operato di san Leone Magno. Durante il pontificato di Celestino I (422- 432), sotto il quale venne celebrato il concilio di Efeso del 431 (è il terzo ecumenico, dopo Nicea, 325 e Costantinopolitano I, del 381), che aveva affermato – contro Nestorio – la divina maternità di Maria, come conseguenza dell’ unione ipostatica (un’unica persona, in due nature) 25 , il diacono Leone aveva sollecitato sant’Agostino perché approntasse un’opera che confutasse l’errore di Nestorio. Ma Agostino – come s’è detto – era ormai anziano e in una città assediata dai Vandali; così non poté assecondare la richiesta di Leone, pur pressante ed urgente quale si richiedeva. Leone allora si rivolse a Cassiano (360 ca.– 430/35), di origine, forse, scitica, vissuto quale monaco inizialmente in Palestina e successivamente in Egitto; nel 304 era andato a Costantinopoli dove Giovanni Crisostomo lo aveva ordinato diacono; poi, a Roma, fu consacrato presbitero. Di qui era passato a Marsiglia, riconosciuto ormai come autorità indiscussa in Occidente, dove – verso il 415 – diede inizio alla fondazione di due monasteri, l’uno maschile, l’altro femminile. Alla vigilia del concilio di Efeso (431), per conto del diacono Leone, Cassiano compose – era l’anno 430 – lo scritto che porta il titolo De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII. L’opera, non molto nota, ma abbastanza consistente 26 , era destinata a rendere un duplice servizio sia per rispondere a quanto allora si agitava intorno a Nestorio (e – se si vuole – alla cosiddetta scuola antiochena), sia – un decennio appena dopo – intorno ad Eutiche. Tale fu l’utilizzazione che ne ricavò Leone diacono e Leone papa. È stato giustamente osservato che Leone avrebbe trovato, in Agostino, «materiale» migliore che non in Cassiano; ma – s’è visto – Agostino non era in grado – in quelle situazioni – di offrire alla Chiesa di Roma, che gliene faceva richiesta, un’opera sistematica sull’incarnazione del Signore. Ma – d’altra parte – non si può nemmeno asserire che Cassiano non abbia saputo ben rispondere alla duplice esigenza che stava alla base della domanda di Leone, su una questione che era vitale per la fede e che – dopo Ario – poneva di nuovo in gravissimo pericolo l’ortodossia 27 .
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Lu 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà A CAPO della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
 
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