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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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17/05/2014 10:29
 
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Quello che tu mi dici non è poi così differente da quello che cerco di portare avanti io.
Sul fatto che dobbiamo diventare figli di Dio, per cui siamo, in un certo senso, figli adottivi di Dio, sono senz’altro d’accordo.
Il mio sforzo è semplicemente quello di rendere coerenti fra loro diverse parti del messaggio evangelico.
Vedo per esempio che non mi hai controbattuto sul tema dell’Eucarestia: quello che ci viene offerto nella S.Messa è il corpo di Cristo, è veramente il corpo di Cristo, non metaforicamente.
Devo quindi dare per condiviso che un elemento spirituale, ovvero, la nostra Fede in Cristo, può compiere il miracolo di assimilare una semplice ostia al vero corpo di Cristo.
Questo, a mio avviso, perché la Fede ci può dare quell’umiltà, quella modestia, quella povertà di spirito che è la sola (Gesù lo ribadisce in più punti) in grado di farci comprendere che Dio può essere in ogni cosa se solo la si riesce a vedere con l’occhio puro di chi lo cerca sinceramente, per un interesse che è solo conoscitivo e non anche appropriativo.
E questo è un elemento squisitamente spirituale, dove emerge la nostra purezza, la nostra apertura verso il prossimo e verso Dio.
Se fossi panteista riterrei inutile questo percorso spirituale conoscitivo, annettendo di per se stessa alla carne, alla materia, la sostanzialità divina: e questo sarebbe un errore.
Perciò noi per Fede crediamo nella capacità che ha lo Spirito di trasformare la materia e di renderla eterna, come eterna sarà la carne che ci rivestirà se saremo stati degni di approdare al Regno dei Cieli.
Il discorso che faccio io è soltanto cercare di capire come questo elemento conoscitivo possa compiere questo miracolo.
Per questo sostengo che la materia, isolata dallo spazio-tempo, sia comunque in se stessa eterna e che l’elemento conoscitivo ha in se stesso la capacità di dare una sintesi positiva ad una materia che altrimenti, considerata semplicemente nel suo muoversi nello spazio durante il tempo, apparirebbe solo come caotica e “peccaminosa”.
Conoscere nello Spirito, per me, ha quindi una grande importanza in quanto crea le premesse affinché un insieme di “fotogrammi” strutturati in massa che si muove nello spazio durante il tempo possa trovare nel soggetto conoscente quell’elemento di sintesi logica in grado di riscattarla dalla caoticità e ripristinarne l’armonicità divina.
Non per nulla Cristo è il Verbo per eccellenza, ovvero, l’elemento conoscitivo in grado di indicarci la Via affinché la nostra Vita possa diventare Vera, ovvero, eterna nello Spirito Santo.
Il modo in cui ciò possa avvenire è e deve essere libera espressione di ciascuno di noi, libera interpretazione in grado di caratterizzare la nostra individualità. L’azione non deve scaturire dalla conoscenza, dalla presa di coscienza, ma la presa di coscienza dell’elemento spirituale deve darci la vista su una ampia gamma di scelte aventi tutte la stessa capacità di dare forma alle nostre funzionalità, alle nostre potenzialità.
La presa di coscienza del potersi muovere in un insieme di alternative comportamentali deve però anche accompagnarsi con la consapevolezza che la scelta di una di queste implica la rinuncia ad un’altra in quanto avrebbe la stessa valenza sostanziale: cambierebbe soltanto la forma che da alle mie funzionalità, ma, in sostanza, sarebbe ripetitiva e, quindi, inutile, tautologica, contraddittoria in un’ottica incrementativa di senso.
Per questo ritengo vera espressione di libertà il comportamento di colui che arriva a lasciare che siano altri ad attualizzare forme, magari all’apparenza più piene, più soddisfacenti, ma che lui stesso ha già attualizzato sostanzialmente con comportamenti più sobri, più semplici ma proprio per questo anche più vicini a Dio, meno soggetti alla moda del momento.
Questo io lo definisco l’atteggiamento donativo di colui che ha raggiunto l’atarassia: e soltanto colui che ha raggiunto un pieno distacco dalla formalità, dalla materialità, è in grado di donare agli altri senza secondi fini, come ha fatto Gesù con i suoi miracoli. Donare cosa? Donare le altre forme con cui realizzare sostanzialmente la stessa combinazione di potenzialità, in quanto ciascuno ha una diversa forma delle potenzialità stesse, ciascuno la sua propria ed è quindi sbagliato invidiare in altri quello che noi possiamo realizzare in modo diverso ma in modo a noi formalmente più adeguato.
La rinuncia alla formalità non deve essere quindi rinuncia alla sostanzialità di una vita incrementativa di senso. Quando questa vita è riuscita a toccare tutta la combinatoria delle proprie potenzialità dando una forma ad ognuna, allora può dirsi compiuta, può dirsi che ha svolto fino in fondo il suo ruolo e la morte sarà solo apparente, in quanto, di fatto, non implica sostanzialmente la rinuncia a nulla.
Ricordando la parabola dei talenti, si deve ammettere che Gesù ci sprona a mettere a frutto le nostre potenzialità, a realizzarle, a trovare un giusto spazio a loro in modo che tutte possano aver vita: solo così possiamo infatti accedere alla vita eterna, al Regno dei Cieli: avendo sempre un “fotogramma” di riferimento sulla nostra persona, un “fotogramma” di vita vissuta da noi, che ci metta alla pari con qualsiasi altra vita, perché anche noi abbiamo sviluppato fino al massimo tutte le nostre potenzialità.
Solo la Fede può indicarci come si articolino nella nostra persona queste potenzialità, che forma esse hanno: ma possiamo essere sicuri che tutti hanno sempre le stesse potenzialità sostanziali, quello che cambia è solo il loro aspetto, non la loro completezza. Si tratta solo di riconoscerle: e, per arrivare a ciò possono essere utili sistemi come quelli illustrati negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, che mira proprio a trovare lo scopo nella vita di ciascuno, la vocazione di ciascuno (S. Ignazio la definisce: la propria elezione).
Concluderei dicendo:
“Beato colui che fa qualcosa non perché se non la facesse non potrebbe più farla, ma perché è arrivato a capire che, in qualsiasi altro modo in cui potrebbe essere fatta, sarebbe sostanzialmente sempre la stessa cosa, realizzerebbe sempre la stessa cosa: solo così potrà raggiungere la consapevolezza che quell’azione gli apparterrà per sempre, in eterno”
Questo è, a mio avviso, il modo con cui si raggiunge il Regno dei Cieli, già in questa vita, fissando un percorso storico in grado di mantenere una coerenza logica che va al di la di spazio e tempo.
Spero di aver chiarito qualcosa, anche se mi rendo conto che il messaggio etico sottostante lascia a ciascuno ampia libertà nel modo di realizzare questo obiettivo. Ad ognuno il compito arduo di trovare la sua strada verso la Redenzione in Cristo.
Un caro saluto.
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