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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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15/05/2014 20:18
 
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Penso che bisognerà provare ad essere più specifici.
Il passaggio da te ricordato della lettera di S.Paolo agli Efesini, fa a sua volta riferimento al Vangelo secondo Giovanni, dove, nel prologo, si dice: "A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Poco avanti si dice che costoro sono stati generati (non creati!) da Dio. A me sembra evidente che questa indicazione non sia così metaforica.
Il mistero eucaristico trasforma l'ostia consacrata in corpo di Cristo: sarebbe blasfemia parlare di metafora! Ma allora, in che senso possiamo dire l'ostia consacrata "corpo di Cristo"? Nello stesso senso con cui possiamo dire noi stessi generati, grazie allo Spirito Santo, in Dio.
A mio avviso, quindi, nel senso che dobbiamo credere che ogni sostanza corporea ha in se i presupposti per essere armonizzata a Dio, e, pertanto, ad esserne sostanza. Basta prenderne coscienza: si tratta di un passaggio del tutto spirituale, proprio dell'uomo.
Il problema fondamentale che ci impedisce di comprendere come si possa essere nello stesso tempo individui e sostanza divina senza scadere nel panteismo, consiste nel nostro rapporto con le categorie spaziotemporali.
Se non ci fossero le categorie di spazio e tempo non vedremo una molteplicità di corpi individuali ma vedremo soltanto Dio, l'essere, il divino, l'uno di Parmenide.
Le categorie di spazio e tempo sono le più efficienti per dare un'attualizzazione coerente alla sostanza divina, che, così, può manifestarsi, può realizzarsi, dando corpo concreto alla sua infinitezza.
Ci si potrebbe anche limitare a dire che senza quelle categorie non ci sarebbe il molteplice e, quindi, neppure l'uomo. Come ho già accennato in altri punti deve essere preservata una quota di indeterminazione nel modo in cui cogliamo Dio nell'universo: per questo vediamo la realtà proiettata spaziotemporalmente: per renderci conto che rimane una parte di potenzialità inattualizzabili in presenza di altre e che quindi esiste una certa liberà d'azione, e l'azione migliore è proprio quella che minimizza le possibilità che vengono compromesse da essa.
Ma per ottenere ciò occorre allargare la propria coscienza a tutto il molteplice, affinchè ciò che viene compromesso dall'azione pur ottimale di un individuo possa comunque essere recuperato da altri.
Ecco come il sapersi inseriti nel corpo unico di Cristo ci permette di raggiungere la vita eterna della nostra individualità in quanto prendiamo coscienza di essere modi di Cristo, sue possibilità, alla stregua di tutti gli altri appartenenti al corpo di Cristo.
La vita eterna, quindi, non la devi vedere come un'altra possibilità derivante da una nostra reincarnazione: questo era l'errore degli indù, non il mio. La vita eterna è costituita da tutti gli attimi della nostra vita in cui abbiamo sperimentato un atto di grazia, di armonia pura e divina.
Questi attimi sono stati quindi già vissuti nella vita reale ma ciò non impedisce che possano mantenersi in eterno una volta che il tempo sia stato abolito. Mantenuti come attimi eternati nello Spirito Santo, dotati dello stesso corpo che li aveva fatti originariamente: il nostro.
Come ho già detto in altri passaggi: noi, come facenti parte del molteplice, siamo il modo con cui Dio conosce se stesso nello spazio-tempo: è vero che esiste il peccato, la corruzione, la morte, ma, proprio in quanto riusciamo a trovare una quadratura fra input ed output, fra produzione e consumo, fra entropia e sintropia, allora riusciamo a prendere coscienza dell'atto di grazia che mantiene costante l'armonia solo apparentemente persa nel tempo recuperandola in sempre nuove potenzialità che diventano attualizzabili.
Ma non sono sicuro che questa mia precisazione di oggi possa essere considerata un chiarimento: esistono molti punti che meriterebbero maggior spazio di trattazione. Ti chiedo di avere pazienza e di continuare a propormi domande che stimolino un dialogo proficuo spero per entrambi.
Un saluto.
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