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Supplica per i cristiani ( di Atenagora )

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2014 20:58
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08/04/2014 15:13
 
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CAPO XIII

Ci rimproverano di non offrire sacrifici e di non riconoscere gli dei ammessi dalle varie città. Alla prima di queste accuse rispondiamo che Iddio non ha bisogno di sangue né dell’odore delle vittime arrostite né di profumi; il miglior sacrificio é riconoscerlo come creatore dell’universo e levare a lui sante le mani.

1. Ma poiché la maggior parte di quelli che ci accusano di ateismo (mentre non sanno neppur per sogno chi sia Dio, ignoranti e senza cognizione alcuna delle dottrine naturali e divine, e misurano la pietà dall’uso dei sacrifici) ci incolpano di non offrire sacrifici e di non tenere per dei quelli che anche le città riconoscono, vogliate considerare, o imperatori, e l’una e l’altra cosa a questo modo: e prima di tutto quella del non fare sacrifici.

z. Il creatore e padre di questo universo non ha bisogno né di sangue, né di odore di carni rosolate, né della fragranza dei fiori e degli aromi, mentre egli è la perfetta fragranza che di nulla necessita in sé né fuori di sé; ma il più grande sacrificio che gli si renda è di conoscere chi distese a mo’ di sfera i cieli e stabilì la terra come centro, chi radunò le acque nei mari e divise la luce dalle tenebre, chi ornò l’etere di astri, e fece si che la terra producesse ogni semenza, chi fece gli animali e plasmò l’uomo.

3. Quando noi pertanto, riconoscendo Dio creatore, che conserva e governa con scienza e arte per cui regge tutte le cose, leviamo a lui sante le mani , di qual ecatombe ha egli ancor bisogno?

4. E coloro con vittime e amabili voti e libami e profumi di carni libando li placa il mortale, se trasgredì giustizia e in fallo una volta è caduto. Ma che ho io a fare con olocausti di cui non abbisogna Dio? Sebbene è pur necessario offrire un sacrificio incruento e cioè prestare il culto razionale.

CAPO XIV

Non meno infondata l’accusa di ateismo quando prende a pretesto il nostro rifiuto di riconoscere gli dei nazionali. Per tale motivo tutte le città e popoli sarebbero atei, poiché gli uni non ammettono le divinità degli altri; particolarmente ridicole le credenze religiose degli Egiziani, che piangono gli dei come morti e frattanto li onorano.

1. E quel parlar ch’essi fanno, che noi non c’inchiniamo e non ammettiamo per dei quei medesimi che le città ammettono, è affatto sciocco. Ma nemmeno quei che c’incolpano di ateismo perché non riconosciamo gli del in cui essi credono, s’accordano fra di loro sulle divinità. Gli Ateniesi collocano fra gli dei Cèleo e Metanira , i Lacedèmoni Menelao e gli fanno sacrifici e feste, quei d’Ilio, che non ne vogliono udire neppure il nome, celebrano Ettore, quelli di Ceo Aristeo, che reputano lo stesso che Zeus e Apollo, quelli di Taso Teagene, che commise persino un omicidio nelle gare Olimpiche, quelli di Samo Lisandro, dopo tante stragi e tanti mali da lui perpetrati [Alcmane ed Esiodo], Medea o Niobe i Cilici, i Siciliani Filippo figliolo di Butacide, Onesilao quei di Amatunte , Amilcare i Cartaginesi: e non mi basterebbe il giorno se facessi il catalogo di tanta moltitudine!

2. Se dunque fra di loro non s’accordano sui propri dei, perché ci accusano se non andiamo d’accordo con loro? Quello poi che avviene fra gli Egiziani, non è anche una cosa ridicola? Nei loro templi si battono il petto durante le sacre adunanze come si fa per i morti e offrono sacrifici come si fa per gli dei. Né ciò reca meraviglia, almeno per costoro, che credono dei persino le bestie, e si radono quando muoiono e le seppelliscono nei templi e intimano pubblico lutto!

3. Pertanto, se noi siamo empi, perché non onoriamo la divinità allo stesso modo che loro, empie sono tutte le città e tutte le nazioni, ché non venerano tutte gli stessi dei.

CAPO XV

Anche se i pagani venerassero gli stessi dei, il loro culto sarebbe egualmente falso, perché reso a immagini materiali della divinità, mentre fra Dio e la materia la distanza è infinita, e Dio solo, che la materia plasmò, merita lode, come si loda il vasaio e non l’argilla da lui lavorata.

1. Ma ammettiamo che venerino gli stessi dei. E che per ciò? Perché, il volgo, non capace di distinguere che sia materia e che sia Dio, e quanta distanza v’è tra essi, s’inchina agli idoli fatti di materia, dovremo anche noi, per fargli piacere, rivolgerci alle statue e adorarle, noi che distinguiamo e separiamo l’increato dal creato, l’ente dal non ente, l’intelligibile dal sensibile, e diamo a ognuno il nome che gli conviene?

2. Che se Dio e materia sono la stessa cosa, cioè due nomi d’una stessa realtà, noi che non riconosciamo come dei la pietra e il legno, l’oro e l’argento, siamo empi; ma se immensamente si distanziano l’uno dall’altra, e tanto quanto l’artefice e il materiale dell’arte sua, di che ci si fa colpa? A quel modo che il vasaio e la creta (materia è la creta e artefice il vasaio) tosi Dio è il demiurgo , e la materia è quella che a lui obbedisce a seconda dell’arte. Ma come la creta è incapace di per se stessa di divenire vaso senza l’arte, tosi anche la materia di tutto ricettiva senza Dio artefice non avrebbe preso né distinzione né forma né ornamento.

3. E in quella guisa che noi non riteniamo la creta più pregevole di chi l’ha lavorata, né le fiale e il vasellame d’oro di chi l’ha fabbricato, ma, se vi scorgiamo un qualche pregio artistico, lodiamo l’artefice ed è costui che raccoglie lode per i suoi vasi, così anche quando si tratta della materia e di Dio, non la materia ha diritto alla gloria e all’onore della disposizione e del bell’ordinamento delle cose, ma il suo artefice, Dio.

4. Sicché se ritenessimo per dei le figure della materia, sembreremmo di non aver nessun sentimento del vero Dio, uguagliando all’eterno ciò che è soggetto a dissolversi e a corrompersi.

CAPO XVI

Bello è il mondo, ma non esso é da adorare, bensì il suo artefice, come i vostri sudditi ammirano la vostra reggia ma solo a voi dànno gloria, come si onora non lo strumento ma l’artista che lo suona. Comunque i filosofi definiscano il mondo, non si debbono adorare la materia e gli elementi, opere di Dio; così tanto meno le statue degli dei, opere degli uomini.

1. Sì, bello è il mondo ed eccellente per la sua grandezza e per la disposizione così dello zodiaco come del settentrione e per la sua figura sferica; ma non esso, bensì il suo artefice è da adorarsi.

2. Ché neppur i sudditi che vengono alla vostra presenza, tralasciando di mostrarsi ossequiosi a voi, principi e padroni da cui potrebbero ottenere ciò che loro abbisogna, ricorrono alla magnificenza della vostra dimora; essi, se s’imbattono nel palazzo imperiale, ne ammirano sì di passaggio la sontuosità, ma a voi soprattutto ogni onore tributano.

3. E voi, o imperatori, per voi stessi ornate la sede imperiale; mentre il mondo non fu fatto quasi che Dio ne avesse bisogno, poiché Dio è tutto a se stesso, luce inaccessibile, mondo perfetto, spirito, potenza, ragione. Se pertanto il mondo è uno strumento ben intonato che ritmicamente viene mosso, non lo strumento io adoro, ma chi lo armonizzò, e ne trae le note, e canta su di esso la concorde melodia (né, infatti, nelle gare, i giudici trascurando i citaredi incoronano le loro cetre); o sia esso mondo, come dice Platone, arte di Dio, io ammirandone la bellezza saluto il suo artefice; o sia sostanza e corpo come vogliono i Peripatetici trascurando di adorare la causa del movimento di questo corpo, non scendiamo a prostrarci ai meschini e deboli elementi , adorando per l’aria, secondo essi, impassibile, la passibile materia; o sia che si reputino potenze di Dio le parti del mondo, non queste potenze, ma il loro fattore e signore noi c’inchiniamo a venerare.

4. Io non chiedo alla materia ciò che non ha, né, trascurando Dio, venero gli elementi, cui non è dato di fare nulla più di quanto fu loro prescritto; ché, sebbene siano belli a vedersi per l’arte del demiurgo, pur sono soggetti a dissolversi per la natura stessa della materia. E fa testimonianza a questo discorso anche Platone: "Quello che infatti, dice egli, abbiamo denominato cielo e mondo fu reso partecipe dal padre di molta felicità, ma pure partecipò anche del corpo; donde è impossibile che non sia soggetto a mutazione".

5. Se io dunque ammirando il cielo e gli elementi dell’arte non li adoro come dei, poiché ne riconosco la legge della dissoluzione che è loro imposta, come mai potrò chiamar dei queste cose che io so essere opere d’uomini?

CAPO XVII

I nomi degli dei sono recenti; tosi le immagini, conoscendosi gl’inventori delle varie arti e gli artefici delle singole divinità, che, appunto perché fatte dall’uomo, non sono tali.

1. E vogliate brevemente considerare questo (ché mi è necessario, mentre difendo la mia causa, di far vedere con maggior accuratezza che i loro nomi sono molto recenti, e che le loro immagini sono state fatte, per modo di dire, ieri o ieri l’altro. E ciò voi lo sapete ancor meglio, perché in tutti i campi e più di tutto conoscete gli scrittori antichi. Dico dunque ché Orfeo e Omero ed Esiodo sono quelli che con le genealogie diedero i nomi a coloro che essi chiamano dei.

2. E anche Erodoto ne fa testimonianza: "Poiché io credo che Esiodo e Omero siano più vecchi di me di quattrocento anni e non più: e costoro fecero la teogonia per i Greci e diedero i nomi agli dei e ne distinsero gli onori e le arti e ne indicarono le figure".

3. Le immagini poi, fino a che non furono inventate la plastica, la pittura e la statuaria, neppur si conoscevano. Ma, sopravvenuti Sauria di Samo e Cratone di Sicione e Cleante di Corinto e quella fanciulla, pure di Corinto, l’arte del disegnare a contorni fu trovata da Sauria quando disegnò l’ombra d’un cavallo nel sole, 1a pittura fu inventata da Cratone che dipinse in una tavola imbiancata le ombre di un uomo e di una donna (e da quella fanciulla fu trovata l’arte di modellare figurine in terracotta: ché essendo costei innamorata di un tale, ne segnò nel muro i contorni dell’ombra mentre dormiva, poi il padre, che era vasaio, piaciutagli la somiglianza perfetta della figura, intagliò il contorno e lo colmò di creta: e ancora oggi si conserva a Corinto questa forma); dopo costoro vennero Dedalo, Teodoro e Smilide, i quali inoltre inventarono la statuaria e la plastica.

4. Ora l’età delle immagini e della lavorazione dei simulacri è tanto recente, che possiamo nominare l’artefice di ciascun dio. Il simulacro infatti di Artemide in Efeso e quello di Atena, (o piuttosto di Atela, perché Atele veniva detta la statua antica di legno d’olivo da coloro che usavano un linguaggio più misterioso) e la Atena seduta furono fatti da Endeo scolaro di Dedalo, e l’Apollo Pitio è opera di Teodoro e di Telecle , e l’Apollo di Delo e l’Artemide sono lavori di Tecteo e di Angelione , e l’Era di Samo e quella di Argo sono opera delle mani di Smilide, e l’Afrodite di Cnido è altra fattura di Prassitele, e 1’Asclepio di Epidauro opera di Fidia; e di Fidia sono altri simulacri.

5. Per dirla in una parola, non ce n’è uno di questi simulacri che non sia stato fatto dalla mano dell’uomo. Se dunque sono dei, perché non esistettero fin da principio? e perché sono più recenti dei loro artefici? che bisogno avevano di uomini e dell’arte dell’uomo per esistere? Terra sono essi, e pietra, e materia e inutile artificio.
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