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Vita di Mosè (di Gregorio Nisseno)

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2014 19:15
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07/04/2014 19:12
 
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LE TAVOLE INFRANTE E RESTAURATE


Il peccato di idolatria e la sua eliminazione

Abbiamo seguito Mosè passo passo nell’ascensio­ne verso le più alte cime e ora lo vediamo discen­dere con in mano le tavole che Dio stesso gli pro­curò e ne contenevano la legge. Ma esse si infransero contro il cuore duro e osti­le dei peccatori, che fabbricarono un idolo in for­ma di vitello tutto cesellato a opera di artisti idola­tri. Si trattava precisamente del peccato di idolatria.
L’idolo abbattuto da Mosè si sciolse in acqua e questa fu bevuta dai peccatori. La materia dell’i­dolo che era servita all’empietà fu così ridotta a nulla.
I fatti qui riferiti preannunciano profeticamente ciò che avviene al presente.
Il peccato di idolatria è stato eliminato dalla vi­ta sociale grazie alla preghiera di lode che, risuonan­do sulle labbra di persone pie, distrugge ogni resi­duo di empietà. Le cerimonie vigenti un tempo tra gli idolatri sono scomparse come acqua corrente e le lodi che allora si innalzavano agli idoli non esco­no più da nessuna bocca67.
Costatando come queste persone, un tempo vit­time di simili pazzie fino al punto di esserne per­suase, ora ne sono totalmente libere, non ti pare che il racconto di questi fatti della Scrittura sia come una voce che grida: ogni idolo un giorno verrà tra­volto, attraverso le lodi che innalzeranno a Dio quan­ti sono passati dall’idolatria alla vera religione?

Scopo medicinale, dei castighi divini

Mosè fa armare i leviti per colpire i compatrio­ti, che vengono passati a fil di spada. I leviti, per­correndo l’accampamento da un’estremità all’altra, colpivano a morte chiunque incontravano, non di­stinguendo tra il nemico e l’amico, l’estraneo e il congiunto, il compatriota o il forestiero.
Chi li incontrava era infallibilmente raggiunto dai loro colpi. Anche questi fatti possono offrirci qualche utile insegnamento68. Il castigo colpisce tutti indistintamente perché tutti hanno acconsentito al male o sono stati soli­dali. Avvenne allora ciò che capita quando qualcuno batte con le verghe un colpevole preso sul fatto. Egli sa benissimo che su qualunque parte del cor­po faccia cadere i colpi, tutto il corpo ne risente di modo che, castigando una parte, viene castigato l’in­tero corpo.
La verga costituisce perciò lo strumento di una punizione generale. Parimenti quando lo sdegno divino si fa sentire solo contro alcuni, risparmiando altri, colpevoli de­gli stessi falli, bisogna credere che il fine per cui Dio agisce in questa maniera è quello di correggere gli uomini secondo un disegno di amore.
È vero che il castigo non raggiunge tutti i colpe­voli ma tutti, vedendolo attuato, sono spinti al rav­vedimento e si staccano dal male. Questo insegnamento è pienamente conforme al senso letterale del racconto biblico. Ma dobbiamo chiederci quale è il senso spirituale, per trarne qual­che utilità.

Bisogna stare con Dio e la sua legge

Mosè ordina ai suoi: chi è per il Signore si met­ta dalla mia parte. È questa la voce della legge che a tutti comanda: se qualcuno vuoi essere amico di Dio diventi amico mio (nessun dubbio che, essen­do amici della legge, si è anche amici di Dio). A quel­li che si sono messi dalla sua parte, Mosè ordina di usare la spada contro i loro fratelli, amici e vicini. Se vogliamo stare in armonia con il carattere spiri­tuale delle nostre considerazioni, dobbiamo appren­dere da questo episodio che l’uomo, una volta pas­sato dalla parte di Dio e della legge, vede eliminate le cattive abitudini che prima si erano stabilite in lui.

Distruggere in noi il peccato

La Scrittura non usa sempre i termini di fratello, amico e vicino nel senso buono. A volte la medesi­ma persona è insieme fratello ed estraneo, vicino e lontano. Ci sono pensieri che, lasciati crescere dentro di noi, operano la nostra morte, ma estirpati permetto­no alla vita di svilupparsi. Questa riflessione concorda con ciò che abbia­mo detto a proposito di Aronne. Egli era venuto incontro a Mosè col compito di essere suo aiutante e suo angelo.
A lui si devono i prodigi che recarono tanti dan­ni agli Egiziani. Giustamente egli è ritenuto più an­ziano di Mosè perché l’Angelo, avendo una natura spirituale, ha il mandato di proteggerci. Aronne è ricordato e nominato come fratello di Mosè e giustamente, perché tra la natura spirituale dell’angelo e le facoltà del nostro spirito esistono come dei legami di parentela.
Il nome di fratello che la Scrittura usa quando nomina Aronne è in palese contraddizione con il fatto che egli diverrà ministro di un culto idolatri­co per gli Israeliti. Ci riesce perciò difficile pensare che il suo incontro con Mosè sia stato un bene.
Ma appunto perché usa questo termine di fra­tello, la Scrittura ci dice che esso può riferirsi a real­tà opposte. Il fratello che vince il tiranno d’Egitto è ben diverso da quello che fa modellare l’idolo per il popolo, eppure ambedue sono indicati con il me­desimo nome di fratello. Mosè fa assalire con la spada quei fratelli ai quali il termine si applica nel suo significato peggiore.
In realtà ciò che comanda agli altri lo impone a sé stesso. Sopprimere tali fratelli significa distrug­gere il peccato. Se poi distruggiamo il male semina­to dentro di noi dal nostro avversario, distruggiamo nel medesimo tempo anche colui che viveva dentro di noi in forza del peccato.

Il peccato originale e le sue conseguenze

Se riflettiamo e mettiamo a confronto alcune no­tizie riferite dal racconto, scopriremo che esse con­tengono un precetto destinato a noi in modo parti­colare. Nel testo infatti si dice che Aronne impose l’obbligo di consegnare gli orecchini, usati poi per la costruzione dell’idolo. Dunque costatiamo che mentre Mosè offrì agli Israeliti lo splendido dono della legge simboleggiata negli orecchini, il suo falso fratello, istigando alla disobbedienza, fece togliere questo ornamento dalle loro orecchie e ne ricavò un idolo.
Colui che ha istigato a disobbedire al comanda­mento divino facendo comparire per la prima volta il peccato, ci ha precisamente sottratto un orec­chino. Egli era il serpente di cui i nostri progenitori, seguendone il consiglio, si fecero amici e vicini. Egli li istigò a togliersi l’orecchino del precetto cioè ad allontanarsi da Dio, quasi fosse cosa buona e utile.
Chi uccide fratelli, amici e vicini di tal genere udrà dalla legge le parole stesse che il racconto met­te sulle labbra di Mosè all’indirizzo delle persone che operarono quelle uccisioni: «Voi veniste oggi insieme con i vostri figli e fratelli, con le mani pie­ne davanti al Signore perché scenda su di voi la sua benedizione».
Abbiamo accennato nella nostra esposizione a coloro che hanno voluto il peccato di idolatria, per apprendere in quale modo Mosè riporta le tavole nuove, in sostituzione di quelle cadutegli di mano e spezzate contro il terreno.
Le prime tavole erano opera di Dio, che vi ave­va inciso la sua legge. Nelle altre, erano identiche le lettere incise, ma la materia era diversa. Essa proveniva dalla terra e fu presentata a Dio perché vi scrivesse le parole della legge. Mosè otteneva così che insieme alla legge scritta sulle tavole di pietra tornasse anche la grazia di Dio. Secondo l’indicazione che ci viene da queste ta­vole noi possiamo giungere a conoscere l’azione del­la divina Provvidenza nei nostri riguardi.
Il divino Apostolo, che ha scrutato con l’aiuto dello Spirito le profondità di Dio (1 Cor 2, 10), non può sbagliare quando parla delle tavole del cuore, che sono la cima dell’anima69.
Da questo riferimento apprendiamo che all’ini­zio la nostra natura fu plasmata dalle mani di Dio integra e immortale. Dio l’abbellì con leggi non scrit­te, che dirigevano le nostre volontà nel costante ri­fiuto del male e nel timore di Dio.
Ma il tuono del peccato scoppiò sopra di noi in voce di serpente. È l’espressione usata dalle prime pagine della Scrittura, ma il testo che parla delle tavole di pietra la definisce voce di avvinazzati (Gn 3, 4).

L’incarnazione

Il vero legislatore di cui Mosè era figura ripla­smò di sua iniziativa, con materiale preso dalla ter­ra, la nostra natura, raffigurata nelle tavole di pietra. La carne, nella quale scese la divinità, non pro­viene da unione maritale, ma fu da lui stesso pre­parata, come facendo sopra di sé il lavoro del taglia­pietre.
Il dito di Dio vi incise poi le sue lettere. Lo Spi­rito Santo infatti discese sulla Vergine e la virtù dell’Altissimo la copri con la sua ombra (Lc 1, 35).
Dopo questo evento la natura umana riebbe l’an­tica infrangibile compattezza e ritornò immortale in virtù delle lettere che vi incise il dito di Dio, che. è lo Spirito Santo, secondo una espressione frequen­temente usata dalla Scrittura.
È allora che avviene in Mosè la meravigliosa trasformazione che lo circonfuse di luce gloriosa e insostenibile da occhi mortali. A chi è pienamente istruito nei misteri della fe­de, non sfuggirà l’esatta corrispondenza tra il sen­so letterale di questi fatti e la loro interpretazione in senso spirituale.
Il Restauratore dell’umana natura che giaceva spezzata (devi vedere indicato in queste parole co­lui che si è dato pensiero di rimediare alle nostre fratture), dopo averle ridato l’antica bellezza, ser­vendosi del dito di Dio, è diventato inaccessibile agli occhi degli indegni, poiché da lui emana tanta luce di gloria da abbagliare la vista.
Dice il Vangelo che quando egli apparirà nella sua gloria e gli Angeli con lui, solo i giusti a mala pena potranno accoglierlo e contemplarlo (Mt 25, 3). L’empio e chiunque volontariamente si fa si­mile ai giudei, non saranno ammessi a quella visio­ne, come afferma Isaia (Is 26, 10).
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