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07/04/2014 19:01 | |
PROVVIDENZA E LIBERTÀ
Non è Dio che causa l’indurimento del peccatore
Non ci si deve stupire quando la storia riferisce che i mali degli Egiziani furono causati dalla verga prodigiosa di Mosè e che Dio indurì il cuore del Faraone. Ci domandiamo tuttavia come è possibile che il Faraone meriti una condanna, se le cattive disposizioni del suo animo gli sono imposte da una forza superiore. Pare che anche il divino Apostolo, riferendosi a quanti commettono azioni vituperevoli, affermi la stessa cosa quando dice: «Perché non vollero riconoscere Dio, egli li abbandonò in balia di passioni ignominiose» (Rm 1,24).
Quando la Scrittura afferma che Dio abbandona in preda a passioni vergognose l’uomo sensuale, non vuole significare che l’indurimento del cuore del Faraone è causato dal volere di Dio né che la vita impura trova nella virtù la causa del suo consolidamento.
Se questi effetti dipendessero dal volere divino, le decisioni della nostra volontà sarebbero ridotte tutte conseguentemente allo stesso livello e verrebbe così annullata ogni distinzione tra virtù e vizio32.
Predominio della libertà
Non tutti vivono allo stesso modo, ma c’è chi progredisce nella virtù e chi s’abbandona al vizio.
A ben considerare, non possiamo attribuire questi modi diversi di vivere, a una imposizione ineluttabile della divina volontà, ma al potere di libera decisione posseduto da ogni uomo.
L’Apostolo ci fa sapere con chiarezza chi mai Dio abbandona in balia di passioni ignominiose.
Si tratta di chi non si è degnato di conoscere Dio per cui, ignorato da Dio e privo della sua protezione, viene a trovarsi alla mercé delle proprie passioni. La vera causa che fa precipitare l’uomo nella sensualità più vergognosa è il rifiuto di riconoscere Dio.
Sentendo che un tale è caduto in un fosso perché non è riuscito a vederlo, noi non penseremo mai che il sole abbia voluto castigare quell’uomo, facendolo cadere nel fosso, perché non guardava a lui.
Le nostre precedenti dichiarazioni vanno appunto intese nello stesso senso per cui cerchiamo la causa della caduta nel fosso di quell’uomo disattento, nella sua impossibilità a vedere.
Risulta perciò chiaro anche il pensiero dell’Apostolo là dove afferma che i misconoscitori di Dio vengono lasciati in preda a passioni vergognose.
Dio indurisce il cuore del Faraone non nel senso che il suo intervento produca nell’anima un atteggiamento di opposizione, ma nel senso che l’invito rivolto al buon volere del Faraone perché deponesse l’ostilità contro gli Ebrei, non ebbe accoglienza, perché egli era già propenso a malvagi propositi.
Così l’azione della verga prodigiosa procura agli Ebrei la liberazione da una vita ignobile, ma nello stesso tempo rivela che gli Egiziani sono affetti da simile malattia.
Lo sguardo al Crocifisso
Mosè con il gesto delle mani distese, fece scomparire le rane anche dalle case degli Egiziani. Ci è possibile osservare anche oggigiorno questo fatto. Colui che vede il Legislatore stendere le mani (questo gesto, come ben capisci, è in misteriosa relazione con quello del vero Legislatore che distese le mani sulla croce) e tiene fissi gli occhi sopra di lui, viene liberato dall’odiosa compagnia di pensieri luridi e impuri, così che la passione finisce per morire e imputridire. Il ricordo del passato causa un disgusto insopportabile in quelli che, con la mortificazione dei moti disordinati dell’anima, si sono liberati dal male.
L’Apostolo, quando accenna a coloro che hanno abbandonato le vie del male per seguire la strada della virtù, dice appunto che essi sentono vergogna del loro passato: «Quale frutto avevate allora nelle cose di cui ora vi vergognate?» (Rm 6, 21).
Tu devi interpretare alla luce di queste considerazioni anche il fatto che, per effetto della verga di Mosè, l’aria si ottenebrò sotto gli occhi stessi degli Egiziani.
Predominio della volontà
Esaminando questo fatto, vedrai confermata la tesi da noi esposta, che non si deve attribuire a una forza superiore ineluttabile il trovarsi nelle tenebre del male o nella luce del bene. Gli uomini hanno dentro di sé, nella direzione delle loro libere scelte, la vera causa delle tenebre o della luce in cui vivono.
Essi diventano tali quali vogliono essere. La storia non ci dice che gli occhi degli Egiziani erano impossibilitati a vedere perché avevano davanti qualche muro o qualche montagna che intercettasse i raggi del sole o protendesse su di loro la sua ombra.
In realtà il sole spandeva ovunque i suoi raggi, ma solo gli Ebrei ne godevano i benefici, mentre gli Egiziani neppure potevano accorgersi della loro presenza.
A tutti è data la possibilità di una vita piena di luce, ma alcuni per la loro cattiva condotta vanno avanti fra le tenebre sempre più intense del male, altri invece vivono nella splendida luce della virtù.
Salvezza universale?
Basandosi sul fatto che dopo tre giorni di oscurità gli Egiziani ritornano a godere la luce, qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a interpretare questo fatto come restaurazione finale (apocatastasis) nel regno dei Cieli dei dannati all’inferno33.
Effettivamente le espressioni «tenebre profonde» venute sopra l’Egitto e «tenebre esteriori», presentano affinità di termini e di concetto. Ma abbiamo visto che le tenebre vengono dissipate per effetto delle mani, stese da Mosè sopra gli Egiziani, che ne erano stati colpiti.
Se guardiamo al significato del termine fornace presente in quella «cenere di fornace» che causò tante dolorose pustole alla pelle degli Egiziani, esso potrebbe indicare il castigo del fuoco della geenna minacciato a coloro che imitano gli Egiziani nel loro modo di vivere.
Il vero Israelita, figlio ed imitatore di Abramo, associato alla famiglia degli eletti per merito delle sue libere decisioni, resta immune dalle pene della fornace. Ma anche gli Egiziani e i loro imitatori potrebbero essere guariti dai mali che li affliggono e ottenere la liberazione dal castigo, se Mosè ripetesse su di loro il gesto di stendere la mano, di cui già ho spiegato il recondito significato.
Ciascuno è causa dei propri mali
Tutti gli altri castighi che ho ricordato nella parte narrativa: i piccolissimi insetti dalle dolorose morsicature, gli scarabei pari ai primi nel recar danno, le cavallette che distrussero i raccolti della campagna, i fulmini scesi insieme alla grandine, tutti questi castighi hanno un particolare simbolismo, non difficile da trovare con il metodo di interpretazione usato fin qui.
Già abbiamo avuto modo di costatare che questi castighi sono una conseguenza degli atti liberi degli Egiziani. Questi atti hanno provocato l’intervento dell’incorruttibile giustizia di Dio, perché moralmente cattivi.
Bisogna dunque ritenere che, secondo il senso letterale dei fatti narrati, certe sofferenze da noi patite, sono meritate da noi e non causate da Dio.
Ciascuno con le decisioni della propria volontà è causa dei propri mali, proprio come afferma l’Apostolo quando si rivolge a coloro che si trovano in questa situazione: «Per la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli per te ira nel giorno dell’ira, della rivelazione e del giusto giudizio di Dio, il quale darà a ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2,5 6).
Il medico che con i mezzi dell’arte provoca il vomito al paziente per estrargli dalle viscere intossicate le sostanze dannose, frutto di una vita sregolata, non può certo essere accusato di aver prodotto quelle sostanze nocive, causa di malattie. Si dovrà piuttosto accusare l’uso smoderato del cibo, mentre l’opera del medico si è limitata a espellerle.
Parimenti noi non possiamo affermare che il castigo per un atto libero della nostra volontà si deve attribuire a Dio, ma dobbiamo convincerci che la sua origine e causa è in noi. Le tenebre, i vermi, la geenna e tutti gli altri spaventosi castighi non colpiscono chi è vissuto senza peccato, proprio come gli Ebrei non subirono le piaghe abbattutesi sull’Egitto.
Il fatto che l’Egiziano è sottoposto al castigo e l’Ebreo no, dimostra che diversi furono gli atteggiamenti della loro volontà e che nessun male può colpirci senza che sia in rapporto con le deliberazioni da noi prese.
LA MORTE DEI PRIMOGENITI
Eliminare il male dagli inizi
Applichiamo la nostra riflessione alle vicende successive per ricavarne un ammaestramento.
Mosè e chiunque voglia imitarlo nell’ascesa verso la virtù, dopo aver ricevuto forza nell’esercizio di una vita austera e dall’illuminazione soprannaturale scesa su lui dal cielo, si ritiene in dovere di mettersi a capo del popolo per guidano verso la libertà. Si presenta a loro ad avvertirli che i mali di cui sono vittime potrebbero aggravarsi, sapendo così destare in tutti un acceso desiderio di liberazione. Per ottenerla, fa in modo che la morte colpisca ogni primogenito tra gli Egiziani. Così agendo egli ci ammonisce che il male va sradicato fin dal suo primo apparire.
Mi pare opportuno approfondire questa considerazione perché, tenendo conto soltanto dei fatti puri e semplici, si verrebbe a sopprimere ogni conveniente interpretazione del loro significato. Mentre i colpevoli sono gli Egiziani adulti, il castigo si abbatte sui loro figli appena nati, privi ancora della capacità di discernere il bene. Nella vita di un infante non hanno posto le passioni cattive. Egli non sa neppure distinguere la sinistra dalla destra e l’unica cosa di cui s’accorge sono le poppe della madre. Per farsi capire quando sta male, non ha altro mezzo che le lacrime e per esprimere la contentezza, quando ha ottenuto ciò di cui sentiva istintivo bisogno, non ha che il riso. Ma se il figlio subisce il castigo per la colpa del padre, dov’è la giustizia, la religione, la santità? Perché Ezechiele va gridando: «L’anima che ha peccato subirà la morte» e ancora: «Non erediterà il peccato del padre il figlio nato da lui»? (Ez 18,20).
È ovvio allora che nei fatti presentati dalla Scrittura dobbiamo vedere un significato spirituale e ritenere che il divino Legislatore abbia voluto presentarci in quei fatti un insegnamento nascosto.
Qui ci insegna dunque che bisogna eliminare il male ai suoi inizi quando noi, incamminati sulla strada della virtù, ci troviamo impegnati a debellare qualche nostra cattiva tendenza.
Se eliminiamo il male non appena si manifesta, viene automaticamente eliminata ogni sua conseguenza.
Ce lo insegna il Signore nel Vangelo, quasi ad’ ammonirci di tagliare alla radice il mal degli Egiziani, là dove ci comanda di sopprimere i. moti convulsi della passione, affinché non abbiamo più a temere né l’ira, né l’adulterio, né l’omicidio (Mt 5,22).
Se l’ira conduce al delitto e la passione impura all’adulterio, ciò significa che sono i moti delle passioni la causa di quelle colpe.
Prima della generazione di un figlio adulterino, c’è stata la generazione del desiderio che porterà all’adulterio e similmente prima dell’omicidio, è avvenuta un’esplosione di ira nell’animo di chi l’ha commesso.
Se elimini sul nascere un desiderio cattivo, già hai eliminato tutto ciò che da quel desiderio può derivare e fai allora come colui che, schiacciando il capo del serpente, causa la morte di tutto il lungo corpo che esso si trascina dietro.
Il sangue dell’agnello, garanzia di salvezza
Ma non si arriva a questo risultato, se l’uscio delle nostre case non è stato contrassegnato con il sangue che tiene lontano l’Angelo sterminatore.
Sia l’uccisione dei primogeniti come l’immunità per le porte segnate con il sangue, sono due fatti che conducono alle medesime considerazioni da noi espresse, chiunque voglia comprendere con maggior precisione le interpretazioni che abbiamo dato fin qui.
Nell’uccisione dei primogeniti costatiamo come il male sia distrutto subito agli inizi, mentre nell’immunità delle porte troviamo che gli viene proibito l’accesso dentro di noi in virtù del sangue del vero Agnello. Infatti noi non ci accingiamo a scacciare colui che vuole il nostro sterminio, quando ci accorgiamo che ormai è entrato in noi ma, sorretti dalla legge, vigiliamo perché non vi si introduca fin dagli inizi. Gli Ebrei infatti, contrassegnando gli stipiti e i battenti delle loro case con il sangue dell’agnello, ebbero una sicura garanzia di salvezza.
L’anima e le sue parti
Questo fatto della Scrittura contiene significative allusioni circa la dottrina dell’anima. Di questo argomento si è interessata anche la filosofia pagana, distinguendo l’anima in tre parti: la razionale, l’irascibile e la concupiscibile. Da queste due ultime parti provengono, secondo i filosofi, i moti dell’ira e i desideri. Tuttavia né la parte concupiscibile né l’irascibile restano prive della presenza dell’attività dell’anima razionale. Quei filosofi precisano infatti che la parte razionale giunge a vivificare la parte irascibile e concupiscibile. Le tiene legate a sé ed è a sua volta come sostenuta da esse34.
La razionale si determina e si muove sotto la spinta dell’appetito irascibile e raggiunge il possesso di un bene sotto la spinta dell’appetito concupiscibile. Finché l’anima rimane salda in questa struttura, saldi rimangono anche i suoi intenti virtuosi, quasi fossero tenuti fermi da chiodi, così che in tutte le sue parti si attua una reciproca spinta verso il bene: la parte razionale per sua natura è portata a tener salde le parti inferiori e tuttavia riceve da queste un aiuto non indifferente.
Ma quando questa struttura venisse sconvolta e la parte che deve stare in alto è portata in basso, quando cioè si riduce la parte razionale dal suo ruolo direttivo a quello proprio dell’appetito irascibile o concupiscibile, allora il suo nemico mortale riesce a invaderla. Non c’è più il segno del sangue che gli proibisce l’ingresso, cioè manca a essa, ridotta in quello stato, il soccorso della fede in Cristo.
Chi riceve il comando di segnare con il sangue lo stipite e i due battenti, come potrebbe contrassegnare la parte alta, cioè l’anima razionale, se essa non si trova più al suo posto?
Ancora sulla necessità di estirpare il male fin dall’inizio
Anche se i due fatti considerati, ossia lo sterminio dei primogeniti e l’aspersione del sangue sulle porte, non sono avvenuti simultaneamente tra gli Israeliti, tu non devi trarne una difficoltà per rigettare la dottrina esposta circa l’eliminazione del male, come se fosse il risultato di false deduzioni.
Nei nomi di ebreo e di egiziano abbiamo visto indicata la distinzione tra virtù e vizio. Poiché dunque la riflessione ci suggerisce di riconoscere in Israele il simbolo della virtù, nessuno di noi, se è sano di mente, si metterebbe a eliminare le primizie dei frutti della virtù, simboleggiati nei figli degli Israeliti. Bisognerà invece preoccuparci di far scomparire quei frutti dalla cui conservazione potrà derivare un danno. Per questo abbiamo appreso dal Signore a togliere perfino la possibilità che nascano ancora dei figli agli Egiziani.
In altre parole, il male deve essere distrutto appena accenna a comparire. Conclusione questa che si accorda perfettamente con gli avvenimenti da cui è ricavata. I figli d’Israele, con l’aspersione del sangue, ottengono di essere difesi, affinché il bene possa svilupparsi fino alla sua perfezione. Ma i primogeniti che un giorno, fatti adulti, potrebbero portare vantaggio al popolo egiziano, sono eliminati prima che raggiungano la piena capacità di operare il male.
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