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Vita di Mosè (di Gregorio Nisseno)

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2014 19:15
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07/04/2014 19:01
 
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PROVVIDENZA E LIBERTÀ


Non è Dio che causa l’indurimento del peccatore


Non ci si deve stupire quando la storia riferisce che i mali degli Egiziani furono causati dalla verga prodigiosa di Mosè e che Dio indurì il cuore del Fa­raone. Ci domandiamo tuttavia come è possibile che il Faraone meriti una condanna, se le cattive disposizioni del suo animo gli sono imposte da una forza superiore. Pare che anche il divino Apostolo, riferendosi a quanti commettono azioni vituperevo­li, affermi la stessa cosa quando dice: «Perché non vollero riconoscere Dio, egli li abbandonò in balia di passioni ignominiose» (Rm 1,24).
Quando la Scrittura afferma che Dio abbandona in preda a passioni vergognose l’uomo sensuale, non vuole significare che l’indurimento del cuore del Faraone è causato dal volere di Dio né che la vita impura trova nella virtù la causa del suo consoli­damento.
Se questi effetti dipendessero dal volere divino, le decisioni della nostra volontà sarebbero ridotte tutte conseguentemente allo stesso livello e verreb­be così annullata ogni distinzione tra virtù e vi­zio32.

Predominio della libertà

Non tutti vivono allo stesso modo, ma c’è chi progredisce nella virtù e chi s’abbandona al vizio.
A ben considerare, non possiamo attribuire que­sti modi diversi di vivere, a una imposizione inelut­tabile della divina volontà, ma al potere di libera decisione posseduto da ogni uomo.
L’Apostolo ci fa sapere con chiarezza chi mai Dio abbandona in balia di passioni ignominiose.
Si tratta di chi non si è degnato di conoscere Dio per cui, ignorato da Dio e privo della sua protezio­ne, viene a trovarsi alla mercé delle proprie passio­ni. La vera causa che fa precipitare l’uomo nella sensualità più vergognosa è il rifiuto di riconosce­re Dio.
Sentendo che un tale è caduto in un fosso per­ché non è riuscito a vederlo, noi non penseremo mai che il sole abbia voluto castigare quell’uomo, facen­dolo cadere nel fosso, perché non guardava a lui.
Le nostre precedenti dichiarazioni vanno appun­to intese nello stesso senso per cui cerchiamo la causa della caduta nel fosso di quell’uomo disatten­to, nella sua impossibilità a vedere.
Risulta perciò chiaro anche il pensiero dell’Apo­stolo là dove afferma che i misconoscitori di Dio vengono lasciati in preda a passioni vergognose.
Dio indurisce il cuore del Faraone non nel senso che il suo intervento produca nell’anima un atteg­giamento di opposizione, ma nel senso che l’invito rivolto al buon volere del Faraone perché depones­se l’ostilità contro gli Ebrei, non ebbe accoglienza, perché egli era già propenso a malvagi propositi.
Così l’azione della verga prodigiosa procura agli Ebrei la liberazione da una vita ignobile, ma nello stesso tempo rivela che gli Egiziani sono affetti da simile malattia.

Lo sguardo al Crocifisso

Mosè con il gesto delle mani distese, fece scom­parire le rane anche dalle case degli Egiziani. Ci è possibile osservare anche oggigiorno questo fatto. Colui che vede il Legislatore stendere le mani (que­sto gesto, come ben capisci, è in misteriosa relazio­ne con quello del vero Legislatore che distese le ma­ni sulla croce) e tiene fissi gli occhi sopra di lui, viene liberato dall’odiosa compagnia di pensieri lu­ridi e impuri, così che la passione finisce per mori­re e imputridire. Il ricordo del passato causa un disgusto insop­portabile in quelli che, con la mortificazione dei mo­ti disordinati dell’anima, si sono liberati dal male.
L’Apostolo, quando accenna a coloro che hanno abbandonato le vie del male per seguire la strada della virtù, dice appunto che essi sentono vergogna del loro passato: «Quale frutto avevate allora nelle cose di cui ora vi vergognate?» (Rm 6, 21).
Tu devi interpretare alla luce di queste conside­razioni anche il fatto che, per effetto della verga di Mosè, l’aria si ottenebrò sotto gli occhi stessi degli Egiziani.

Predominio della volontà

Esaminando questo fatto, vedrai confermata la tesi da noi esposta, che non si deve attribuire a una forza superiore ineluttabile il trovarsi nelle tenebre del male o nella luce del bene. Gli uomini hanno dentro di sé, nella direzione delle loro libere scelte, la vera causa delle tenebre o della luce in cui vi­vono.
Essi diventano tali quali vogliono essere. La sto­ria non ci dice che gli occhi degli Egiziani erano im­possibilitati a vedere perché avevano davanti qual­che muro o qualche montagna che intercettasse i raggi del sole o protendesse su di loro la sua ombra.
In realtà il sole spandeva ovunque i suoi raggi, ma solo gli Ebrei ne godevano i benefici, mentre gli Egiziani neppure potevano accorgersi della loro presenza.
A tutti è data la possibilità di una vita piena di luce, ma alcuni per la loro cattiva condotta vanno avanti fra le tenebre sempre più intense del male, altri invece vivono nella splendida luce della virtù.

Salvezza universale?

Basandosi sul fatto che dopo tre giorni di oscu­rità gli Egiziani ritornano a godere la luce, qualcu­no potrebbe sentirsi autorizzato a interpretare que­sto fatto come restaurazione finale (apocatastasis) nel regno dei Cieli dei dannati all’inferno33.
Effettivamente le espressioni «tenebre profon­de» venute sopra l’Egitto e «tenebre esteriori», presentano affinità di termini e di concetto. Ma ab­biamo visto che le tenebre vengono dissipate per ef­fetto delle mani, stese da Mosè sopra gli Egiziani, che ne erano stati colpiti.
Se guardiamo al significato del termine fornace presente in quella «cenere di fornace» che causò tante dolorose pustole alla pelle degli Egiziani, es­so potrebbe indicare il castigo del fuoco della geen­na minacciato a coloro che imitano gli Egiziani nel loro modo di vivere.
Il vero Israelita, figlio ed imitatore di Abramo, associato alla famiglia degli eletti per merito delle sue libere decisioni, resta immune dalle pene della fornace. Ma anche gli Egiziani e i loro imitatori po­trebbero essere guariti dai mali che li affliggono e ottenere la liberazione dal castigo, se Mosè ripetes­se su di loro il gesto di stendere la mano, di cui già ho spiegato il recondito significato.

Ciascuno è causa dei propri mali

Tutti gli altri castighi che ho ricordato nella par­te narrativa: i piccolissimi insetti dalle dolorose morsicature, gli scarabei pari ai primi nel recar danno, le cavallette che distrussero i raccolti della campagna, i fulmini scesi insieme alla grandine, tut­ti questi castighi hanno un particolare simbolismo, non difficile da trovare con il metodo di interpreta­zione usato fin qui.
Già abbiamo avuto modo di costatare che que­sti castighi sono una conseguenza degli atti liberi degli Egiziani. Questi atti hanno provocato l’inter­vento dell’incorruttibile giustizia di Dio, perché moralmente cattivi.
Bisogna dunque ritenere che, secondo il senso letterale dei fatti narrati, certe sofferenze da noi pa­tite, sono meritate da noi e non causate da Dio.
Ciascuno con le decisioni della propria volontà è causa dei propri mali, proprio come afferma l’Apostolo quando si rivolge a coloro che si trovano in questa situazione: «Per la tua durezza e il tuo cuo­re impenitente accumuli per te ira nel giorno dell’i­ra, della rivelazione e del giusto giudizio di Dio, il quale darà a ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2,5 6).
Il medico che con i mezzi dell’arte provoca il vo­mito al paziente per estrargli dalle viscere intossi­cate le sostanze dannose, frutto di una vita sregola­ta, non può certo essere accusato di aver prodotto quelle sostanze nocive, causa di malattie. Si dovrà piuttosto accusare l’uso smoderato del cibo, men­tre l’opera del medico si è limitata a espellerle.
Parimenti noi non possiamo affermare che il ca­stigo per un atto libero della nostra volontà si deve attribuire a Dio, ma dobbiamo convincerci che la sua origine e causa è in noi. Le tenebre, i vermi, la geenna e tutti gli altri spaventosi castighi non col­piscono chi è vissuto senza peccato, proprio come gli Ebrei non subirono le piaghe abbattutesi sull’E­gitto.
Il fatto che l’Egiziano è sottoposto al castigo e l’Ebreo no, dimostra che diversi furono gli atteggia­menti della loro volontà e che nessun male può col­pirci senza che sia in rapporto con le deliberazioni da noi prese.



LA MORTE DEI PRIMOGENITI


Eliminare il male dagli inizi

Applichiamo la nostra riflessione alle vicende successive per ricavarne un ammaestramento.
Mosè e chiunque voglia imitarlo nell’ascesa ver­so la virtù, dopo aver ricevuto forza nell’esercizio di una vita austera e dall’illuminazione soprannatu­rale scesa su lui dal cielo, si ritiene in dovere di mettersi a capo del popolo per guidano verso la li­bertà. Si presenta a loro ad avvertirli che i mali di cui sono vittime potrebbero aggravarsi, sapendo co­sì destare in tutti un acceso desiderio di libera­zione. Per ottenerla, fa in modo che la morte colpisca ogni primogenito tra gli Egiziani. Così agendo egli ci ammonisce che il male va sradicato fin dal suo primo apparire.
Mi pare opportuno approfondire questa conside­razione perché, tenendo conto soltanto dei fatti pu­ri e semplici, si verrebbe a sopprimere ogni conve­niente interpretazione del loro significato. Mentre i colpevoli sono gli Egiziani adulti, il ca­stigo si abbatte sui loro figli appena nati, privi an­cora della capacità di discernere il bene. Nella vita di un infante non hanno posto le passioni cattive. Egli non sa neppure distinguere la sinistra dalla de­stra e l’unica cosa di cui s’accorge sono le poppe del­la madre. Per farsi capire quando sta male, non ha altro mezzo che le lacrime e per esprimere la con­tentezza, quando ha ottenuto ciò di cui sentiva istin­tivo bisogno, non ha che il riso. Ma se il figlio subi­sce il castigo per la colpa del padre, dov’è la giusti­zia, la religione, la santità? Perché Ezechiele va gri­dando: «L’anima che ha peccato subirà la morte» e ancora: «Non erediterà il peccato del padre il fi­glio nato da lui»? (Ez 18,20).
È ovvio allora che nei fatti presentati dalla Scrit­tura dobbiamo vedere un significato spirituale e ri­tenere che il divino Legislatore abbia voluto presen­tarci in quei fatti un insegnamento nascosto.
Qui ci insegna dunque che bisogna eliminare il male ai suoi inizi quando noi, incamminati sulla strada della virtù, ci troviamo impegnati a debella­re qualche nostra cattiva tendenza.
Se eliminiamo il male non appena si manifesta, viene automaticamente eliminata ogni sua conse­guenza.
Ce lo insegna il Signore nel Vangelo, quasi ad’ ammonirci di tagliare alla radice il mal degli Egi­ziani, là dove ci comanda di sopprimere i. moti con­vulsi della passione, affinché non abbiamo più a te­mere né l’ira, né l’adulterio, né l’omicidio (Mt 5,22).
Se l’ira conduce al delitto e la passione impura all’adulterio, ciò significa che sono i moti delle pas­sioni la causa di quelle colpe.
Prima della generazione di un figlio adulterino, c’è stata la generazione del desiderio che porterà al­l’adulterio e similmente prima dell’omicidio, è av­venuta un’esplosione di ira nell’animo di chi l’ha commesso.
Se elimini sul nascere un desiderio cattivo, già hai eliminato tutto ciò che da quel desiderio può de­rivare e fai allora come colui che, schiacciando il ca­po del serpente, causa la morte di tutto il lungo cor­po che esso si trascina dietro.

Il sangue dell’agnello, garanzia di salvezza

Ma non si arriva a questo risultato, se l’uscio delle nostre case non è stato contrassegnato con il sangue che tiene lontano l’Angelo sterminatore.
Sia l’uccisione dei primogeniti come l’immunità per le porte segnate con il sangue, sono due fatti che conducono alle medesime considerazioni da noi espresse, chiunque voglia comprendere con maggior precisione le interpretazioni che abbiamo dato fin qui.
Nell’uccisione dei primogeniti costatiamo come il male sia distrutto subito agli inizi, mentre nell’im­munità delle porte troviamo che gli viene proibito l’accesso dentro di noi in virtù del sangue del vero Agnello. Infatti noi non ci accingiamo a scacciare colui che vuole il nostro sterminio, quando ci accor­giamo che ormai è entrato in noi ma, sorretti dalla legge, vigiliamo perché non vi si introduca fin dagli inizi. Gli Ebrei infatti, contrassegnando gli stipiti e i battenti delle loro case con il sangue dell’agnello, ebbero una sicura garanzia di salvezza.

L’anima e le sue parti

Questo fatto della Scrittura contiene significati­ve allusioni circa la dottrina dell’anima. Di questo argomento si è interessata anche la filosofia paga­na, distinguendo l’anima in tre parti: la razionale, l’irascibile e la concupiscibile. Da queste due ultime parti provengono, secondo i filosofi, i moti dell’ira e i desideri. Tuttavia né la parte concupiscibile né l’irascibile restano prive della presenza dell’attività dell’anima razionale. Quei filosofi precisano infatti che la parte razionale giunge a vivificare la parte irascibile e concupiscibile. Le tiene legate a sé ed è a sua volta come sostenuta da esse34.
La razionale si determina e si muove sotto la spinta dell’appetito irascibile e raggiunge il posses­so di un bene sotto la spinta dell’appetito concupi­scibile. Finché l’anima rimane salda in questa struttura, saldi rimangono anche i suoi intenti virtuosi, quasi fossero tenuti fermi da chiodi, così che in tutte le sue parti si attua una reciproca spinta verso il be­ne: la parte razionale per sua natura è portata a te­ner salde le parti inferiori e tuttavia riceve da que­ste un aiuto non indifferente.
Ma quando questa struttura venisse sconvolta e la parte che deve stare in alto è portata in basso, quando cioè si riduce la parte razionale dal suo ruo­lo direttivo a quello proprio dell’appetito irascibile o concupiscibile, allora il suo nemico mortale riesce a invaderla. Non c’è più il segno del sangue che gli proibisce l’ingresso, cioè manca a essa, ridotta in quello stato, il soccorso della fede in Cristo.
Chi riceve il comando di segnare con il sangue lo stipite e i due battenti, come potrebbe contrasse­gnare la parte alta, cioè l’anima razionale, se essa non si trova più al suo posto?

Ancora sulla necessità di estirpare il male fin dall’inizio

Anche se i due fatti considerati, ossia lo stermi­nio dei primogeniti e l’aspersione del sangue sulle porte, non sono avvenuti simultaneamente tra gli Israeliti, tu non devi trarne una difficoltà per riget­tare la dottrina esposta circa l’eliminazione del ma­le, come se fosse il risultato di false deduzioni.
Nei nomi di ebreo e di egiziano abbiamo visto indicata la distinzione tra virtù e vizio. Poiché dun­que la riflessione ci suggerisce di riconoscere in Israele il simbolo della virtù, nessuno di noi, se è sano di mente, si metterebbe a eliminare le primizie dei frutti della virtù, simboleggiati nei figli degli Israeliti. Bisognerà invece preoccuparci di far scom­parire quei frutti dalla cui conservazione potrà de­rivare un danno. Per questo abbiamo appreso dal Signore a togliere perfino la possibilità che nascano ancora dei figli agli Egiziani.
In altre parole, il male deve essere distrutto ap­pena accenna a comparire. Conclusione questa che si accorda perfettamente con gli avvenimenti da cui è ricavata. I figli d’Israele, con l’aspersione del sangue, ottengono di essere difesi, affinché il bene possa svi­lupparsi fino alla sua perfezione. Ma i primogeniti che un giorno, fatti adulti, potrebbero portare van­taggio al popolo egiziano, sono eliminati prima che raggiungano la piena capacità di operare il male.
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