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Vita di Mosè (di Gregorio Nisseno)

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2014 19:15
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07/04/2014 19:00
 
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Il mistero dell’Incarnazione

Per effetto di quella luce Mosè fu completamen­te trasformato, tanto da poter provvedere alla sal­vezza degli altri. Si diede allora a contrastare la tirannide prepo­tente e rovinosa con l’intento di ridare la libertà al suo popolo, sottomesso a una spietata schiavitù.
Ciò avvenne dopo che la mano mutò miracolosa­mente il suo colore naturale e dopo che la verga tau­maturgica si cambiò in serpente. A mio parere, questi fatti alludono al mistero dell’Incarnazione del Signore, con la quale la Divini­tà apparve tra gli uomini per debellare il tiranno e liberare quelli sottomessi al suo dominio.
Ci sono i testi dei Profeti e del Vangelo a suffra­gare queste mie dichiarazioni. Dice il Profeta: «La destra dell’Altissimo non è più la stessa» (Sal 76, 11). Il Profeta, pur continuando a considerare immu­tabile la natura divina, dice che essa si è esterna­mente mutata per accondiscendere alla nostra debo­lezza e ha assunto la somiglianza della nostra na­tura.
Secondo il racconto biblico, la mano del legisla­tore Mosè, non appena fu estratta dal seno, assun­se un colore non naturale; quando l’ebbe rimessa là donde l’aveva tolta, riacquistò la primitiva bellezza. Anche l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre (Gv 1, 18), è la destra dell’Altissimo.
Uscendo dal seno di Dio per apparire in mezzo a noi, egli assunse la nostra somiglianza. Ma dopo averci purificato dalle nostre debolezze, egli portò in cielo, nel seno del Padre, quella mano che la na­tura gli aveva dato simile alla nostra e allora non fu la sua natura divina, immune da alterazioni, che mutò, ma fu la nostra natura umana, mutevole e passibile, che divenne inalterabile al contatto con l’Essere immutabile.

Il serpente figura di Cristo

I credenti in Cristo vedendo che noi ora connet­tiamo l’esposizione del mistero con un animale che è il meno adatto a simboleggiarlo, cioè con il ser­pente nel quale si mutò la verga di Mosè, non devo­no sentirsi in imbarazzo.
La stessa Verità non disdegna simile accostamen­to quando dichiara nel Vangelo: «Come Mosè innal­zò il serpente nel deserto, così bisogna che sia in­nalzato il Figlio dell’uomo» (Gv 3,14).
La ragione è chiara: se l’autore del peccato ebbe dalla Scrittura il nome di serpente e se un serpen­te, come è evidente, non genera che serpenti, il pec­cato viene di conseguenza ad avere il i4ome stesso di colui che ne è stata la causa.
Ci sono le parole dell’Apostolo a testimoniare che Cristo è divenuto peccato per noi (2 Cor 5,21), dopo aver assunto la nostra natura peccatrice.
A ragione dunque viene applicato a Cristo il sim­bolo del serpente17, se teniamo ben presente che serpente e peccato sono la stessa cosa e che Cristo è diventato peccato.
Cristo, divenuto peccato, si fece serpente perché questo, come abbiamo visto, altro non è che il pec­cato. Fu per noi che Cristo divenne serpente onde di­vorare e distruggere i serpenti egiziani, chiamati a vita dai maghi. Dopo di ciò, egli torna a essere verga per l’emen­damento dei peccatori e per sostegno di coloro che salgono lungo l’erta della virtù, appoggiati alla spe­ranza e alla fede.
La fede infatti è sostanza di cose sperate (Eb 11,1). La comprensione di queste realtà fa di noi come degli dei rispetto agli oppositori della verità che si lasciano facilmente ingannare dalle apparenze, per­suadendosi che dare ascolto al vero Essere è cosa spregevole18.

La forza che deriva dalla conoscenza della verità

Il Faraone pensa appunto così, quando dice: «Chi è mai costui perché io lo ascolti? Io non co­nosco il Signore» (Es 5,2). Egli apprezza soltanto le cose materiali e carnali, oggetto delle sensazioni più irragionevoli. Mosè invece ricevette tanta forza dalla luce della verità che gli consentì di affrontare vigorosamente i suoi oppositori. Egli fece come l’a­tleta che, dopo il tirocinio con il maestro di ginna­stica, si accinge con coraggio e fiducia ad affronta­re l’avversario19.
Mosè con in mano la famosa verga, simbolo del­la dottrina della fede, riuscì a eliminare i serpenti egiziani.

La cultura profana e la fede

Sua moglie, che era forestiera, volle accompa­gnarlo. Essa è simbolo della cultura profana, ser­vendoci della quale noi potremmo anche riuscire a far maturare, in noi i frutti della virtù. La filosofia morale e la filosofia fisica potrebbero realmente fa­vorire un’autentica vita spirituale, qualora riuscis­simo a purificare i loro dati dottrinali dalle deturpa­zioni di errori profani.
Siccome Mosè non aveva provveduto a distrugge­re totalmente ciò che era impuro e dannoso, gli mosse incontro un Angelo a minacciargli la morte. Sua moglie allora procurò di eliminare i segni che facevano riconoscere il loro figlio come uno stranie­ro e lo presentò, così purificato all’Angelo, cui rivol­se le sue suppliche. Dovrebbe risultare chiaro da ciò che ho detto a chi è iniziato al simbolismo del­la storia, che la virtù progredisce gradualmente; ciò appare nel significato simbolico delle vicende che la Scrittura va a mano a mano raccontando.
In realtà gli insegnamenti delle dottrine filosofi­che contengono qualcosa come di carnale e di in­circonciso. Se lo togliamo, esse splendono di quel nobile decoro che è tutto israelitico. La filosofia pagana insegna che l’anima è im­mortale e si tratta indubbiamente di un insegnamen­to buono.
Essa però torna alla condizione degli stranieri in­circoncisi e carnali, quando dichiara che l’anima passa da un corpo all’altro, trasformandosi in una natura irrazionale20.
Simili esemplificazioni si potrebbero moltiplica­re. Così essa afferma che Dio esiste, ma poi lo con­cepisce come un essere materiale21. Lo ricono­sce creatore, ma dice contemporaneamente che non può creare se gli manca la materia22. Concede che egli sia buono e potente, ma ammette che spes­so è soggetto alla forza del fato23.
Troppo lungo sarebbe passare in rassegna a una a una le dottrine lodevoli della filosofia profana, cui sono congiunti insegnamenti assurdi. Se li togliamo, ci apparirà benevolo l’Angelo di Dio a mostrarci ciò che di buono contengono tali dottrine.



L’INCONTRO CON L’ANGELO


L’aiuto dell’Angelo custode

Fissiamo ora la nostra attenzione sui fatti suc­cessivi, affinché anche noi, in procinto di scendere in lotta contro i nostri nemici egiziani, possiamo in­contrarci con chi ci offra un aiuto fraterno.
Ben ricordiamo che Mosè agli inizi della vita di perfezione si trovò immischiato in un episodio di violenza e in una lite, allorché l’Egiziano uccise l’Ebreo e poi un Ebreo si scagliò contro un proprio connazionale.
Egli però si volse a propositi di vita più perfet­ta, sostenuto oltre che da questi propositi anche dal­la visione soprannaturale che ebbe in cima al mon­te e meritando la grazia che Dio gli mandasse in­contro il fratello, animato da sentimenti amichevoli.
Noi non pensiamo di scostarci dal nostro inten­to, se diamo a questi fatti un’interpretazione sim­bolica. Il soccorso divino non manca in realtà a colo­ro che si applicano a vivere virtuosamente ed è un soccorso accordato da Dio già fin dalla nascita na­turale24. Esso diventerà più tangibile e visibile quando, applicandoci con maggior diligenza e impegno nel­la vita spirituale, ci sentiremo in mezzo a lotte più aspre. Per non dare l’impressione di dare spiegazioni di cose oscure attraverso spiegazioni altrettanto o­scure, cercherò di chiarire il mio pensiero.
Un insegnamento fondato sulla tradizione patri­stica asserisce che Dio non abbandona l’uomo a sé stesso dopo che è stato assoggettato al peccato, non per colpa personale, ma in forza di quella che ha coinvolto tutto il genere umano. Dio assegna a ciascun uomo l’aiuto di un Ange­lo, che è una creatura non fornita di corpo. Il guastatore della nostra natura da parte sua cerca di ostacolarci per mezzo di un demone male­fico, intento solo al nostro danno25.
L’uomo si trova pertanto in mezzo a due esseri che lo accompagnano con intenti contrari: l’Ange­lo buono che lo spinge a riflettere sui beni della vir­tù, oggetto della speranza di quelli che la praticano e l’Angelo cattivo che spinge ai piaceri sensuali, in­capaci di suscitare la speranza dei beni futuri per­ché, dando un godimento immediato, sottomettono a schiavitù i sensi di coloro che vi si abbandonano.
Solo se ci liberiamo dagli allettamenti del male e se fissiamo la nostra mente verso le mete più al­te, lasciando ogni atto cattivo e mettendoci davan­ti come uno specchio la speranza dei beni eterni26, potremo riflettere nella limpidezza della nostra anima l’immagine delle cose celesti e sentiremo vi­cino l’aiuto di un fratello.
L’uomo infatti, considerando la parte spirituale e razionale del suo essere, è come un fratello del­l’Angelo mandato ad assisterci quando stiamo per avvicinarci al Faraone.

Precisazioni sul metodo esegetico

Se nel corso delle nostre riflessioni sui fatti del­la storia di Mosè, si riscontrasse che qualcuno di quei fatti non concorda con le nostre spiegazioni, nessuno deve prendere motivo da ciò per rifiutare in blocco le applicazioni da noi date.
Bisogna che sia sempre tenuto presente lo sco­po del nostro scritto mirante, come abbiamo spie­gato nell’introduzione, a proporre la vita di uomini grandi come modello di virtù per i posteri27.
Evidentemente non è possibile che gli emuli del­le virtù di quei grandi si trovino nelle loro identi­che materiali situazioni. (Ci si dovrebbe trovare an­cora nel caso di un popolo che cresce sotto la schia­vitù degli Egiziani, trovarsi davanti a un persecutore che fa uccidere i neonati maschi, lasciando vivere il sesso più debole e gentile, ripetersi gli altri partico­lari narrati dalla storia). Risulta perciò impensabi­le che le loro gesta possano essere ripetute tali e quali.
Conviene invece ricavare dalle loro imprese un insegnamento spirituale, utile per quelli che mirano a condurre una vita simile alla loro nella pratica della virtù. Tralasceremo perciò come inutile al no­stro scopo quegli avvenimenti che risultassero com­pletamente estranei all’ordine delle nostre conside­razioni, non volendo creare una frattura nell’esposi­zione della dottrina della virtù, attinta da noi a quei fatti che ce ne offrono la possibilità.
Questa precisazione era necessaria per risponde­re in anticipo a chi avesse da obiettare circa le ap­plicazioni che farò delle vicende di Aronne.
Qualcuno infatti potrebbe fare osservare che, se il compito di aiutare chi combatte contro i nemici, affidato all’Angelo, è in armonia con la sua natura spirituale e intelligente (sotto questo aspetto la na­tura angelica è pari a quella dell’anima umana, pur avendo però un’esistenza anteriore alla nostra), non si può invece accettare di porre su un piano di iden­tità l’Angelo e Aronne.
Risponderemo a questa obiezione partendo dal principio già esposto che l’incontro difatti estranei al nostro intento non deve comportare uno sconvol­gimento nell’ordine della trattazione e costatando come i termini di angelo e fratello siano in certo senso sinonimi e si possono ugualmente applicare a due esseri tra loro in contrasto.
Anche nella Scrittura si accenna a un Angelo di Dio e a un angelo di Satana (2 Cor 12,7). Anche noi chiamiamo fratello tanto quello buono come quello cattivo. La Scrittura si esprime in questo senso quando parla di fratelli buoni, premurosi dei biso­gni altrui (Pro 17,7) e di fratelli cattivi, che pren­dono a calci i propri fratelli (Ger 9, 3).

Il compito di guida spirituale esige una preparazione

Ma proseguiamo l’esposizione, rimandando a do­po l’esame particolareggiato di questi punti ed esa­minando ora i fatti che successivamente il racconto ci propone.
Mosè, ricevuta la forza necessaria nell’apparizio­ne luminosa, assistito e protetto dal fratello, può parlare con sicurezza al popolo della liberazione vi­cina, ricordare a tutti la comune nobiltà di stirpe, indicare come sottrarsi alle gravose imposizioni del­la raccolta di argilla e della fabbricazione di mat­toni.
Che cosa ci insegna qui la storia? Che non biso­gna presumere di parlare al popolo senza un’oppor­tuna preparazione.
Sebbene Mosè già al tempo della sua giovinezza fosse avanzato nella virtù, come ben sai, tuttavia quando volle intromettersi come paciere, tra due li­tiganti, non fu ben accolto. Ora invece affronta una intera moltitudine, quasi in contrasto con la riser­vatezza del suo carattere.
La storia sottolinea questo particolare per dirci che è azzardato esporci al giudizio di tanti ascolta­tori, se non possediamo una preparazione adeguata.



LE PRIME TENTAZIONI


Mosè usa le parole più adatte per proporre al popolo la prospettiva della liberazione, riuscendo a suscitare in tutti una brama così ardente di liber­tà che i loro oppressori reagiscono duramente, de­cidendo di aggravare le sofferenze di quanti hanno ascoltato le parole di Mosè.
Questo si ripete esattamente anche adesso. Mol­ti, dopo aver dato ascolto a colui che ci libera dal­la tirannide spirituale, udendone da vicino la paro­la, subiscono ancora da parte del nemico gli assalti delle tentazioni. Ora, di fronte a tali assalti c’è chi diviene più buono e più forte nella fede, perché sa premunirsi contro i colpi avversi, ma c’è chi, più debole, cede alle difficoltà e alle accresciute fatiche.
Costoro allora affermano che è cosa più vantag­giosa fare i sordi alle promesse di liberazione che non intraprendere a lottare per ottenerla28.
Si verificò appunto questo tra gli Israeliti i qua­li, diventati pusillanimi, si misero ad accusare co­lui che aveva loro proposto la liberazione dalla schiavitù. Non bisogna invece cessare di esortare e stimolare al bene chi, preso dallo spavento per l’ine­sperienza della tentazione, è rimasto bambino e im­perfetto nell’anima. Il demonio fa di tutto per per­derci, ottenendo che gli uomini, una volta a lui sot­tomessi, non guardino più verso il cielo, ma si pie­ghino sulla terra a fabbricare mattoni.

Insaziabilità delle passioni

In questo atteggiamento sono simboleggiate le soddisfazioni materiali, formate di terra e di acqua, come è dato vedere nei piaceri del ventre e della tavola e nelle altre soddisfazioni procurate dalla ricchezza.
Terra e acqua mescolate insieme formano il fan­go. In verità, tutti quelli che si abbandonano alle soddisfazioni impure si riempiono di fango, senza mai riuscire a saziarsi, perché non appena svuota­no il materiale versato prima, subito lo sostituisco­no con dell’altro. Proprio così fa il costruttore di mattoni, quando vera altro fango nella forma vuota.
Chi ha appagato un desiderio, si sente sospinto verso un altro oggetto da una nuova brama ancora insoddisfatta. Quando l’anima, ottenendo ciò che desiderava, ha riempito questo suo vuoto, altri de­sideri sorgono in lei a. creare altri vuoti. Il succedersi di desideri inappagati continuerà in noi fino al termine della vita.

La tattica ingannatrice di Satana

La divina voce del Vangelo e quella autorevole dell’Apostolo ci fanno osservare (Mt 3,12; 1Cor 3,12) che la canna e la paglia raccolta dagli Ebrei per ordini tirannici e mescolate con il fango per farne mattoni, costituiscono materia del fuoco.
La persona virtuosa che intende liberare chi è vittima dell’errore e condurlo a una vita libera e saggia, sa dal Vangelo (Mt 4,1 11) che il demonio usa ogni mezzo per irretire con l’inganno le nostre anime, opponendo alla legge del Signore i sofismi dell’errore.
Dico questo fissando l’attenzione sui serpenti egiziani di cui ci parla il racconto e che rappresen­tano le malvagie arti dell’inganno.
Ma i serpenti sono stati distrutti dalla verga di Mosè e su ciò abbiamo già fatto appropriate rifles­sioni.
Armato di questa prodigiosa verga che, rimasta illesa, fu in grado di distruggere quelle degli Egizia­ni, Mosè avanza sul cammino di una vita spirituale ricca di eventi miracolosi.

Finalità del miracolo

Egli possiede il potere dei miracoli e ne usa non per suscitare l’ammirazione dei curiosi29, ma per l’utilità dei salvati.
La forza derivante dai miracoli abbatte gli avver­sari e contemporaneamente dà sostegno ai fedeli.
Se teniamo presente lo scopo generale dei mira­coli nella vita spirituale, saremo poi in grado di co­gliere le finalità particolari di ciascuno di essi.
Però la comprensione dell’insegnamento della verità è in stretto rapporto con le disposizioni d’a­nimo di quelli che l’ascoltano. Il Verbo presenta a tutti indistintamente il bene e il male, ma c’è chi, docile al suo insegnamento, accoglie la luce nella sua mente e c’è chi non vuole esporre la propria anima ai raggi della verità, per cui rimangono in lui le tenebre dell’ignoranza30.

I contrasti di opinione in materia di fede

Se le riflessioni da noi fatte su questi punti non sono false, neppure lo saranno le applicazioni ai sin­goli fatti, perché lo studio dei particolari è già pre­sente nella visione dell’insieme.
Non c’è da meravigliarsi che gli Ebrei restino immuni dalle disgrazie degli Egiziani, pur vivendo in mezzo a costoro. Il fatto si ripete identico anche adesso. Nelle grandi città dove la gente si trova in mezzo a opi­nioni contrastanti, l’acqua della fede si offrirà lim­pida e buona a coloro che l’attingono dall’insegna­mento divino, ma si presenterà alterata in sangue a quelli che, danneggiati da dottrine malvagie, imita­no gli atteggiamenti degli Egiziani.
L’orditore di inganni, con le arti della corruzio­ne e della falsità, si adopera per far apparire san­gue anche l’acqua degli Ebrei, tenta cioè di mostra­re che la nostra non è la vera dottrina.
Egli potrebbe certo riuscire in questo tentativo di dare alle limpide acque della vera dottrina il co­lore apparente del sangue, cioè mescolarvi l’errore, ma non riuscirà mai a ottenere un’adulterazione completa. In realtà gli Ebrei bevono acqua genuina, anche se i loro nemici hanno procurato apparenze capaci di trarli in inganno.

L’impurità e i suoi segni

Quegli animali anfibi e schifosi che sono le rane (esse passano la vita ora in acqua ora sulla terra, saltano e strisciano, sono nauseanti d’aspetto e ma­leodoranti) penetrano in massa nelle case, nei letti, nei ripostigli degli Egiziani, ma lasciano immuni gli Ebrei.
L’uomo che conduce una vita intemperante, af­fogata nel fango, se esternamente riesce a conser­vare la sua natura di uomo, in realtà viene abbassa­to dalla passione al livello di una bestia, trasfor­mandosi così in un essere anfibio e indefinibile31.
Egli è preso da una malattia vera e propria, del­la quale scoprirai i segni non nel suo letto soltanto, ma sulla sua tavola, nei suoi armadi, in tutta la sua casa. Essi sono i contrassegni della dissolutezza.
Negli oggetti che uno tiene in casa si rivela se egli conduce una vita viziosa o una vita pura. Sulle pareti della casa del vizioso sono visibili le eccita­zioni al piacere sensuale, poiché l’artista vi ha raf­figurato figure ignobili che esprimono in certo mo­do la malattia di cui l’anima è affetta e la cui vista costituisce un continuo eccitamento alla passione.
Nella casa della persona pura noti invece la vigile preoccupazione di sottrarre alla vista qualsiasi og­getto sensuale.
Lo stesso dicasi della tavola. Mentre la persona virtuosa sa renderla pura, il vizioso che è avvoltola­to nel fango, la rende immonda e carnale.
Introduciti nei ripostigli della casa dei dissolu­ti, cioè nelle pieghe nascoste e misteriose della lo­ro esistenza e lì troverai più che altrove un vero esercito di rane.
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