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Vita di Mosè (di Gregorio Nisseno)

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2014 19:15
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07/04/2014 18:49
 
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INTRODUZIONE


 


 


In certo qual modo, anch’io, stimatissimo tra i miei amici e fratelli, mi comporto come i tifosi nelle corse ippiche. Costoro levano grida incomposte verso quei cavalli che essi stessi hanno allenato accuratamente per le gare.


Ora, mentre i cavalli rispondono alle richieste di ve­locità, i tifosi non tralasciano di gridare, seguendo da­gli spalti dello stadio, con occhio attento, lo svolgersi della corsa: incitano l’auriga ritenendo di accelerarne la velocità; piegano le ginocchia nello stesso istante che le piegano i cavalli; protendono e agitano contro di essi le mani, come se fossero una frusta. Fanno così, non perché quei loro atti possano con­tribuire in qualche modo ad ottenere la vittoria, ma perché vogliono dimostrare, con la voce e i gesti, la passione che li lega ai contendenti.


Pare che anch’io dunque, faccia qualche cosa di si­mile. Proprio mentre tu stai sostenendo, con lodevoli risultati, la gara di una corsa divina nello stadio della virtù e ti lanci a passi veloci e leggeri, verso il premio al quale Dio dall’alto ti chiama, ecco che io mi metto a gridarti contro e a incitarti e ti impongo di accrescere lo sforzo di velocità.


Così facendo, non sono spinto da cieca passione, ma voglio soltanto offrirti, come a un figlio amato, ciò che ti possa essere di gradimento. Pertanto, la lettera che recentemente mi hai fatto pervenire, avrà soddisfatto la richiesta con uno scritto di esortazione alla vita per­fetta che a te indirizzo. Probabilmente tu non ricaverai nessuna utilità dalle cose che ti dico, ma questo fatto ti sarà esempio non inutile di lodevole obbedienza.


Se noi, posti in prima fila nell’ufficio di padri di tan­te anime, pensiamo non sconveniente alla nostra età ac­cogliere l’invito di un giovane virtuoso quale sei tu, ben possiamo aspettarci da ciò un rafforzamento della tua virtù di docilità. Cosa del resto che ci siamo sempre preoccupati di coltivare in te, abituandoti a volonterosa sottomissione. A questo punto occorre por mano al nostro propo­sito, prendendo il Signore a guida di questa esposizione.


Tu ci hai chiesto che ti venga delineato in esempi pratici la vita perfetta, con il preciso intento di appli­care alla tua vita personale il dono delle nostre paro­le, caso mai vi scoprissi quanto ci hai domandato. Ma qui io mi trovo in difficoltà di fronte a due com­piti del tutto diversi.


Anzitutto ritengo superiore alle mie forze il compito di dare una definizione teoretica della perfezione e poi quello di mostrare nella vita pratica le conclusioni cui arriveranno le mie riflessioni. Del resto non io solo, ma molti dei grandi che eccellono nella virtù, non avranno difficoltà ad ammettere l’impossibilità di una impresa simile. Tuttavia intendo esporti chiaro il mio pensiero per non sembrare di temere là dove non c’è da temere. Così, almeno, dice il Salmo.


Tutta la realtà oggetto di percezione sensibile, è cir­coscritta da certi aspetti ben determinati e precisi, qua­li la quantità continua e discontinua. Infatti ogni unità di misura applicabile alla quantità, risulta fissata in li­miti precisi e chi voglia considerare o una squadra o il numero dieci, conosce il loro punto di inizio e il loro punto di arrivo. In questo fatto pare consistere la per­fezione di tali entità misurabili. L’Apostolo, invece, ci ha appreso che la perfezione della virtù ha il solo limite di non avere limiti.


Il divino Apostolo, mente acuta e profonda, che ha sempre corso nella gara della virtù, non ha mai cessa­to di incalzare e superare nella corsa quelli che lo pre­cedevano, così che anche un puro ritardo lo rendeva tormentato. Questo, perché ciò che per natura sua è bene, non ha limiti e, se subisce limitazioni, avviene so­lo per la presenza del suo contrario, come la vita che viene distrutta dalla morte; oppure la luce, dalle te­nebre.


In generale, ogni bene subisce una limitazione se rapportato al suo contrario: cioè la fine della vita è l’i­nizio della morte, e la sosta nella corsa della virtù è inizio della corsa verso il male. Pertanto la mia affermazione circa la impossibilità di definire la perfezione della virtù è tutt’altro che falsa.


Stabilito che non appartiene alla virtù quanto è com­preso in limiti definiti, cercherò ora di chiarire l’altra affermazione da me fatta, che cioè, è impossibile rag­giungere la perfezione anche per quelli che già posseg­gono una vita virtuosa.


Il bene primo e sommo, quale è concepibile dall’u­mana natura, è quello che possiede la bontà per natu­ra: Dio. Ma siccome la virtù non soffre limiti se non quelli della presenza del male e poiché questo non può intac­care la divinità, ne consegue essere la natura divina illi­mitata e infinita. Ora, chi persegue la vera virtù, non mira ad altro che possedere Dio, la Virtù per eccellenza.


Inoltre, la conoscenza di ciò che per natura è bello ne implica il desiderio e, se questa bellezza, come è quel­la di Dio, non ha limiti, genera in chi vuol esserne par­tecipe, un desiderio che dura all’infinito e non conosce sosta.


È dunque impossibile raggiungere la perfezione ap­punto perché, come fu detto, essa non è (chiusa in con­fini determinati) circoscritta e il suo unico limite è l’in­finito. Chi mai renderebbe finita una ricerca se non ne potrà mai raggiungere il termine?


Ma allora, visto che la ragione ha dimostrato la ir­raggiungibilità dell’oggetto ricercato, sarà esonerata dal prendere in considerazione il comando del Signore: «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli...»?


Il parere dei saggi si è, invece, che la impossibilità a ottenere tutta intera la bellezza delle cose, le quali la posseggono per natura, non preclude l’ascesa alla vir­tù, che anzi non esserne privi neppure in minima parte costituirebbe già un grande vantaggio. Bisogna dunque impegnarsi con ogni sforzo a non allontanarci da quel grado di perfezione a noi possibile e farne graduale acquisto nella misura dei progressi fat­ti sul cammino della sua ricerca.


Nella natura umana le cose sono state disposte in modo che spesso trova nel bello il bene più grande. E questa è senz’altro una perfezione. Nel campo del bene e del bello è cosa buona seguire i consigli della Scrittura. «Guardate ad Abramo, vostro Padre, e a Sara, vo­stra genitrice», è l’invito che il Signore per meno del Profeta Isaia, rivolge agli erratici dalle virtù. Esso mira a ricondurre al porto della divina virtù i naufraghi del mare della vita: le anime che non hanno una guida.


È la storia dei marinai allontanatisi dalla giusta rot­ta verso il porto che, avvedutisi dello sbaglio, tornano indietro alla vista di qualche chiaro segnale, sia fuoco di altura o cima ben visibile di promontorio. Ambedue i sessi, cioè i maschi e le femmine, in cui si distingue il genere umano, hanno pari facoltà di decidersi al be­ne o al male. È la ragione per cui la divina parola ha presentato loro un corrispettivo esempio di virtù, per­ché l’uno e l’altro, guardando al modello connaturale al proprio sesso   ad Abramo gli uomini e a Sara le donne   fossero sospinti, da congeniale esempio, alla vi­ta virtuosa. Per me stesso, anche il ricordo di uno solo di quan­ti rifulsero in questa vita per virtù, sarebbe sufficiente,


qual faro, a mostrare all’anima la possibilità di appro­do nel tranquillo porto della virtù, evitando di essere investita dalle gelide raffiche di questa vita o di subire naufragio dentro gli abissi del male, per effetto delle violente ondate delle passioni.


Prendersi cura, pertanto, di studiare la vita di anime superiori risponde al desiderio di vedere gli uomini, per il residuato tempo di loro vita, intraprendere, a imita­zione degli esempi di rettitudine di quelli, la strada che porta al Signore.


Si potrebbe obiettare: io non sono un caldeo, come Abramo, né sono stato nutrito da donne egiziane, come Mosè, né trovo nella mia vita punti di contatto con quel­la degli antichi. E allora, come posso considerarmi uno di loro, quasi ne avessi lo stesso genere di vita? Non vedo come debba imitare chi è tanto lontano dalle mie abitudini.


La risposta è che non è un bene, né un male essere caldeo. Non si rimane estranei alla virtù perché si vi­ve in Egitto o a Babilonia. Dio non si fa conoscere sol­tanto in Giudea a quelli che ne sono degni. Sion non è per definizione il solo luogo della dimora di Dio. Affer­ma, invece, che occorre aperta intelligenza e acuto sguardo allo scopo di individuare, con la guida della storia, i caldei e gli egiziani dai quali fuggire per con­seguire vita beata.


È cosa buona, pertanto, che questa mia trattazione ti presenti Mosè, quale modello di vita perfetta. Esposte sommariamente le vicende della sua vita, se­condo le risultanze della Scrittura, concentreremo i no­stri sforzi alla ricerca di una dottrina utile a spronare alla virtù e così per suo mezzo conoscere quale vita per­fetta sia possibile agli uomini.


 


 


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