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LA PRESCRIZIONE CONTRO GLI ERETICI di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2014 20:29
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21/03/2014 20:19
 
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III.

Le eresie non fanno che provare costanza e saldezza, di fede, la quale non può, nè deve essere abbandonata per alcuni che si allontanano dalla credenza vera cristiana

¶ Bastano alcuni individui, che siano rimasti presi dall'eresia, perche, con gran facilità, si abbandonino alla rovina di una credenza falsa questi ingenui creduloni. Perchè quella donna, queir uomo dalla fede così salda, persone dotate di tanta saggezza e che alla Chiesa avevano dato opera di tanto amore e di tanto zelo, passarono dalla parte degli eretici? Chi è che, ponendosi tale quistione, non risponderà a sè stesso che quelli che le eresie hanno |6 potuto far deviare dalla retta via, vuoi dire, che non erano da considerarsi veramente ne saggi, nè stretti da saldezza di fede, nè dediti con tutto l'animo loro alla Chiesa? Ma è proprio una cosa da far molta meravìglia, penso, che da uno, che per il passato sia stato riconosciuto uomo al dì sopra di ogni dubbio e di fede saldissima, dopo ne venga ad uscir fuori uno diverso? Saul, sopra tutti gli altri eccellente, finisce poi colf essere turbato e sconvolto dal sentimento della gelosia; David, la bontà del quale era secondo quanto il cuore del Signore desiderava (4), sì rese colpevole dì omicidio e di adulterio (5); Salomone ebbe pure da Dio ogni più grande dono di grazia e dì sapienza: ebbene: da donne venne spinto all'idolatria (6). Soltanto al Figlio di Dio fu riservato dì rimanere sempre senza colpa (7). Eppoi... anche se un vescovo, se un diacono, se una vedova, se una fanciulla, se un dottore, se perfino un martire si allontanano, ammettiamo, dalia regola di fede, basterà forse questo fatto perche l'eresie debbano acquistare carattere di verità? Dobbiamo noi dunque riconoscere il valore della fede dalle persone o le persone dalla fede che |7 esse professano? Non v' è nessuno che sia sapiente veramente, nessuno che possa dir di possedere purità di fede; nessuno si chiamerà grande, se non il Cristiano; ma nessuno potrà chiamarsi così, se non chi abbia perseverato in questo lume di fede fino agli ultimi giorni della sua vita (8). Tu, data la tua natura di uomo, conosci ciascuno, ma soltanto dalla esteriorità: credi ciò che vedi, ma vedi solo dove il tuo occhio giunge; lungi invece penetra lo sguardo del Signore: dicono i Sacri Libri (9): l'uomo guarda nella faccia del suo simile; è Iddio che penetra e intende l'intimo del cuore umano (10). Ed è così che il Signore conosce quelli che sono Suoi (11), e sradica la pianta che non ha piantato (12), e ci fa vedere come gli ultimi divengono i primi, e tiene in mano un ventilabro, perchè vuole che il terreno intorno a Lui sia lindo e puro (13). Prendano pure il volo e se ne vadano lontano, quanto lor piaccia, le pagliuzze di una fede inferma e leggera, appena che esse avranno sentito l'afflato caldo delle tentazioni; tanto più pulita e sana la massa del frumento s'accumulerà allora nel granaio del Signore (14). Non è pur vero che alcuni dei Discepoli dallo |8 stesso Signore si allontanarono quasi di Lui stesso turbati? (15). Ma non per questo gli altri pure crederono di doversi staccare dall'orme Sue: quelli che riconobbero che Costui era il Verbo delia vita e che da Dio Egli traeva l'origine Sua, Lo seguirono fedelmente, fino al termine della Sua vita, sebbene il Signore avesse loro offerto il modo di allontanarsi im-punemente da Lui, qualora essi l'avessero voluto (16). Non ha valore alcuno, se un Figello, un Ermogene (17), un Fileto, un Imeneo abbandonarono il loro Apostolo (18): appartenne proprio alla schiera degli Apostoli colui che si rese colpevole di tradimento verso il Signore. Ci meravigliamo noi, se da taluni vengono disertate le Sue Chiese, ma dobbiamo sapere che quello che ci fa veramente, chiaramente Cristiani, è appunto la capacità di perseverare e di soffrire secondo l'esempio che Cristo ci ha lasciato (19). Egli dice: Essi si sono allontanati da noi, ma non furono dei nostri; se alle nostre file avessero veramente appartenuto, costoro sarebbero rimasti fedelmente con noi (20). |9

IV.

Le eresie sono state preannunziate e siamo stati esortati a sapercene guardare

¶ Siamo piuttosto ricordevoli delle parole del Signore e delle Lettere Apostoliche, le quali ci hanno pur messo in avviso che l'eresie sarebbero nate, e ci dissero pure che avrebbero dovuto esser sfuggite da noi. E come per noi non costituisce ragione di timore alcuno la loro esistenza, così non dobbiamo affatto stupirci della forza che esse posseggono, a causa della quale siamo stati avvertiti di dovercene guardare. Molti lupi rapaci verranno sotto le spoglie di pecore miti e innocenti, ha detto il Signore (21). E che s'intende mai per l'espressione "sotto le spoglie di pecore„ se non la esterna e superficiale professione di fede del nome cristiano? E chi sono "i lupi rapaci„ se non i sostenitori di certe interpetrazioni subdole e capziose, che ìntimamente si nascondono e tentano di disgregare la compattezza della comunità cristiana? Chi sono gli pseudo profeti, se non i predicatori di una dottrina non rispondente a verità (22)? Chi sono gli pseudo apostoli se |10 non coloro che adulterano l'Evangelo? Chi sono gli Anticristi (23) se non gli spiriti ribelli, che così nell' età nostra, come in qualsiasi altro tempo, si schierano contro Gesù? E le eresie faranno proprio questo: con la falsità delle loro dottrine dilanieranno la Chiesa non meno di quanto l'Anticristo la sconvolgerà e la strazierà colla fierezza delle persecuzioni crudeli (24): ma pure una differenza esiste: la persecuzione almeno sa far sbocciare dal suo seno, dei Martiri; l'eresia crea soltanto degli apostati. Proprio per questo anche l'eresie erano necessarie dunque, perchè i giusti, i saldi, i costanti venissero in luce, tanto coloro che nel terrore delle persecuzioni hanno saputo tenere fermo e sicuro il loro spirito, quanto quelli che hanno offerto resistenza alle dottrine dell'eresia. E l'Apostolo non vuole che si consideri come gente ormai di fede provata e schietta chi s'è allontanato dalla retta fede, per seguire l'eresia, come invece i nostri avversarî vorrebbero, interpetrando a modo loro, falsamente, una espressione di lui: "Portate il vostro esame su ogni cosa e ritenete ciò che è buono (25) „. Ma io osservo: e non è forse possibile ad |11 ognuno, che proceda erroneamente in questo esame, abbandonarsi, per sbaglio, proprio alla scelta di quello che è appunto male?

V.

Le eresie vengono a minare la compattezza e l'unità della Chiesa

¶ L'Apostolo, poi, ha parole di rimprovero per le discussioni e gli scismi (26), i quali, senza dubbio, son mali; ma nello stesso àmbito fa rientrare anche le eresie. Il fatto che le unisce a principi cattivi, dimostra all'evidenza che le considera un male e senza dubbio di maggiore entità. Dicendo S. Paolo che egli ha sempre creduto alla possibile esistenza di scismi e di dissensi, perchè sapeva pur che dopo sarebbero necessariamente sorte le eresie, dimostra che di fronte ad un male maggiore aveva facilmente creduto alla realtà di un male minore; e non tutto ciò significava, certamente, che egli, rilevando certi mali, avesse voluto affermare che contenessero alcunchè di buono nei loro principi; ma, colla prospettiva di tentazioni e di attacchi ancor più gravi, voleva ammonirci come non |12 bisognasse meravigliarci di quelle scissioni, che tendevano a far riconoscere le anime ormai salde e costanti in un principio di fede, cioè coloro che nessuno era riuscito a far deviare dalla retta strada. Se tutto il capitolo mira nel suo spirito a mantenere l'unità della credenza cristiana e a rafforzarla, reprimendo e distruggendo le differenze e i contrasti, dal momento che l'eresie tendono, non in minor misura certamente, a spezzare quella che sia l'unità della fede, come perfettamente gli scismi e gli altri dissensi nel seno di lei, non vi è dubbio che l'Apostolo abbraccia in un medesimo concetto di condanna tanto gli scismi e le discordie, come f eresie. E come egli non approvi affatto coloro che si siano piegati verso principi eretici, lo prova ogni sua parola di esortazione più vivace a che noi li fuggiamo, e l'insegnamento più reciso a che noi, tutti concordemente, affermiamo e sentiamo unità di fede: il che appunto è ciò che l'eresia impedisce.

VI.

Le eresie sono da fuggire in ogni modo

¶ Non è il caso d'insistere più lungamente |13 su tale argomento; sappiamo infatti che è lo stesso Paolo che, scrivendo ai Galati, enumera le eresie tra i peccati carnali (27), e suggerisce poi a Tito (28) di allontanare, di considerare come un reietto, chi sia eretico, e ciò dopo averlo una prima volta avvertito e ammonito, perchè un uomo che segue l'eresia è così fuori dalla retta strada, ed è così profondamente guasto, che egli stesso pronunzia da sè la sua condanna irrevocabile. Ma in quasi tutto il restante della lettera, parlando dell'opera da compiersi con ogni diligenza, per sfuggire le dottrine false e bugiarde, viene implicitamente a colpire le eresie: la falsità delle dottrine non scaturisce infatti direttamente dall'opera loro? Eresie (29), sono chiamate con parola greca che vuoi dire scelta; scelta che taluno fa allorchè o si volge a dar lor vita, oppure a seguirle. Ed è appunto per questo che Paolo disse che l'eretico trova la condanna in sè stesso, perchè egli stesso s'è scelto quel principio che poi è causa della sua condanna. A noi Cristiani non è concesso affatto, invece, di intromettere, di nostra testa, nessun altro principio ai fondamenti della nostra fede, e neppure seguire o indulgere quello che eventualmente taluno |14 potesse, di proprio arbitrio, avere escogitato nella mente sua. Noi invece abbiamo gli Apostoli, che hanno ripetuto le parole del Signore e non si sono permessi affatto d'aggiungere qualcosa di loro arbitrio: essi hanno accolto da Cristo Signore la dottrina Sua e l'hanno bandita fedelmente alle genti (30). Pertanto, se anche un Angelo, che dai Cieli scendesse, divenisse il banditore di un Vangelo diverso, noi chiameremmo tale predicazione anathèma (31). Già lo Spirito Santo aveva previsto che presso una vergine Filumene (32) sarebbe disceso un angelo di seduzione, ma che si sarebbe trasformato e apparso come un angelo di luce: A pelle, attratto ed ammaliato dai miracoli e dagli atti meravigliosi di lei, introdusse nel seno della Chiesa una dottrina eretica.

VII.

È la filosofìa che favorisce le credenze eretiche

¶ Sono queste le dottrine di uomini e di demoni sorte da quel che sia lo spirito della pretesa sapienza mondana, per le orecchie che non sanno trovar pace e tranquillità (33). Il Signore, l'ha chiamata follia tale saggezza, |15 e la stoltezza del mondo ha scelto appunto, per confonder quella che sia l'umana filosofia (34). È la filosofia stessa, invero, che dà materia a quella che si chiama mondana saggezza, dal momento che, con molta libertà e pretesa arroganza, interpetra la natura divina, i suoi disegni e i suoi procedimenti. Diciamolo francamente: le eresie stesse sono quelle che attingono forza e consistenza da tali principi filosofici. È dalla filosofia infatti, che Valentino (35) prende la concezione degli Eoni e di una quantità di forme, di cui non saprei dire neppure il numero: infinite esse sono; e il concetto di una Trinità umana: o non era costui stato discepolo di Platone? E non è da quella stessa fonte, che scaturisce il dio di Marcione (36), preferibile agli altri? almeno ha un carattere di tranquillità; e anche ìa sua dottrina deriva dagli Stoici. Sono stati gli Epicurei (37) quelli che hanno sostenuto il principio che l'anima è soggetta alla morte, e se tu vuoi negare il principio della resurrezione della carne, tu potrai attingere per questo punto dai dettami di tutti quanti gli antichi filosofi: dove trovi che la materia è uguagliata colla natura di Dio, quivi potrai |16 riconoscere la dottrina di Zenone; ed ecco invece che ti vien fuori Eraclito (38), quando si parli di una divinità che abbia in sè natura ignea; è la stessa materia, in fondo, che viene trattata, agitata, e da eretici e da filosofi: donde il male e perchè? donde l'uomo e come egli è sorto? Ed ecco il problema che ultimamente Valentino s'è posto: donde Iddio? Deriva dall'Entimesi o dall'Ectroma (39) ? O Aristotele, mal facesti, tu, che hai loro insegnato la dialettica, arte abile ugualmente e a costruire e a distruggere, diversa e sfuggevole nelle sue asserzioni, immoderata, sforzata nelle sue congetture; aspra, difficile nelle sue argomentazioni, che crea con facilità contrasti; laboriosa e molesta talvolta a sè stessa, che tutto pone in discussione sottile, perchè appunto nulla sfugga all'attento e minuzioso esame di lei! Di qui proprio derivano quei racconti favolosi (40), quelle genealogie interminabili, quelle questioni lunghe ed oziose, quelle discussioni sottili, che s'insinuano negli animi come qualcosa di malefico che ti consuma e ti uccide.

L'Apostolo, quando vuole preservarci da quello che è male, ci avverte appunto di star bene in guardia contro l'opera della filosofia: egli |17 la ricorda chiaramente, espressamente: scrive ai Colossesi: Guardatevi, perchè non vi sia qualcuno che non v'inganni colla filosofia, che, con vane apparenze di verità, non vi tragga fuori dalla retta strada, secondo l'umana tradizione e contrariamente alla provvidenza dello Spirito Santo (41). Paolo era stato in Atene (42), e questa specie di umana sapienza l'aveva ben conosciuta colle relazioni che aveva avuto coi filosofi: pretende essa alla verità, ma non fa che impedire il raggiungimento di questa, e, divisa com'è in una quantità di sette contrastanti intimamente fra loro, da luogo a credenze varie e contradittorie. Può esservì forse qualcosa di comune fra Atene e Gerusalemme? quale relazione potrà stabilirsi fra la Chiesa e l'accademia (43)? fra gli eretici e i Cristiani? È dal portico di Salomone che la nostra dottrina trae l'origine sua (44); fu lui stesso che ci ha insegnato che Iddio si deve cercare nella semplicità e nella bontà del nostro cuore. Se la vedano un po' coloro che hanno messo fuori un Cristianesimo stoico, platonico, dialettico. Che bisogno abbiamo noi di ricerche, dopo Gesù Cristo? che cosa dobbiamo richiedere noi, dopo che abbiamo avuto |18 il Vangelo? Noi fermamente crediamo, e non sentiamo più desiderio di credere oltre: perchè questo soprattutto è il canone fondamentale delia dottrina nostra: il non esservi altra cosa da credere, al di là di ciò che già noi sinceramente crediamo.
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