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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:43
 
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CAPO 45 -- Noi soli possediamo la vera innocenza: perché nostro maestro è Dio, non, come per voi, un uomo; e la punizione della colpa sarà per noi eterna, non, come per voi, temporanea.

[1] E allora noi soli siamo innocenti. - Qua! meraviglia, se è inevitabile? E in verità è inevitabile. Avendo appresa l'innocenza da Dio, e la conosciamo perfettamente, come rivelataci da un maestro perfetto, e la custodiamo fedelmente, come impostaci da un giudice che non si può disprezzare.

[2] A voi, invece, un apprezzamento umano l'innocenza ha insegnato e, del pari, un dominio umano l'ha imposta: perciò né così completa, né tale da farsi altrettanto temere è la vostra disciplina, nei riguardi della innocenza vera. Quanta è la sapienza di un uomo a dimostrare un bene, tanta è la sua autorità a esigerlo: quanto è facile che la prima s'inganni, tanto è facile che la seconda venga disprezzata.

[3] E in verità, che è più completo, dire: 'Non ucciderai', - oppure insegnare: 'Nemmeno devi adirarti'? - Che è più per- fetto, proibire l'adulterio, oppure rimuovere perfino dalla solitaria concupiscenza dello sguardo? Che è più evoluto, interdire il maleficio, oppure anche la maldicenza?. Che è più sapiente, non permettere l'offesa, oppure nemmeno il contracambio dell'offesa consentire?.

[4] E dovete tuttavia sapere che anche le stesse vostre leggi, che aver di mira sembrano l'innocenza, la loro forma hanno derivato dalla legge divina, come più antica. Abbiamo parlato già dell'età di Mosè.

[5] Ma quanto scarsa è mai delle leggi umane l'autorità, se all'uomo spesso di eluderle capita, riuscendo a tener nascoste le sue colpe e, qualche volta, a non farne caso, rendendosi colpevole o volontariamente o costretto?

[6] Consideratela anche riguardo alla brevità del castigo, che, qualunque sia, tuttavia oltre la morte non durerà. Così anche Epicuro ogni tormento e dolore disprezza, dichiarandolo, se lieve, in verità, da non curarsene, se forte, di non lunga durata.

[7] E invero noi, che giudicati siamo sotto un Dio, che tutto scruta, e un castigo eterno da lui prevediamo, meritamente i soli siamo che l'innocenza raggiungiamo, e per la pienezza della sapienza e per la difficoltà del rimanere nascosti e per la grandezza del tormento, non di lunga durata, ma eterno; noi, che uno temiamo, cui dovrà temere anche colui che giudica, Dio, non un proconsole.

CAPO 46 -- Voi dite che nulla di diverso insegniamo da quello che insegnano i filosofi. - O perché, allora, non ci trattate come loro? Del resto non è vero che noi si sia uguali ai filosofi. Non abbiamo nulla di comune con loro.

[1] Abbiamo fronteggiato, come credo, gl'intentatori di tutte le accuse, che dei Cristiani il sangue reclamano. Abbiamo dimostrato tutta la nostra condizione, e in qual modo possiamo provare che è così come abbiamo dimostrato: vale a dire, in base all'autorità e antichità delle Scritture divine e, del pari, in base alla confessione delle potenze spirituali. Chi smentirci oserà, non con l'arte della parola, ma nella stessa forma con cui abbiamo stabilita la nostra dimostrazione, in base alla verità?

[2] Ma mentre a ognuno manifesta si rende la nostra verità, l'incredulità intanto, se ad ammettere la bontà s'induce di questa setta, resa ormai palese dall'esperienza e dai rapporti sociali, una cosa divina assolutamente non lo stima, ma, piuttosto, una specie di filosofia. 'Lo stesso - dicono - consigliano e professano anche i filosofi: innocenza, giustizia, toleranza, moderazione, pudicizia'. -

[3] O allora, se con quelli ci si compara circa la dottrina, perché del pari a loro non ci si uguaglia nella libertà e impunità della dottrina? Oppure, perché essi pure, come nostri pari, costretti non vengono a prestazioni, che noi con nostro pericolo di compiere omettiamo?

[4] Chi infatti un filosofo forza a sacrificare o a giurare o ad esporre delle lampade inutili a mezzodì? Che anzi essi, i filosofi, i vostri dei publicamente tentano di distruggere, e le vostre superstizioni nei loro memoriali anche accusano, e voi li lodate. Parecchi pure contro i principi abbaiano, e voi li tollerate; e piuttosto con statue e salarii sono ricompensati, che non alle belve condannati.

[5] Ma è giusto: si chiamano filosofi, non Cristiani. Davanti a codesto nome di filosofi non fuggono i demoni. Qual meraviglia, dal momento che i filosofi i demoni considerano subito dopo gli dei? E' parola di Socrate: 'Qualora il demone lo permetta'. - Egli anche, che pur qualche parte della verità mostrava di conoscere, degli dei l'esistenza negando, già presso alla fine, di sgozzare tuttavia un gallo ordinava in onore di Esculapio, credo, per rendere onore al di lui padre, in quanto Apollo Socrate dichiarò il più sapiente di tutti.

[6] O Apollo sconsiderato! Testimonianza rese di sapiente a quell'uomo, che degli dei l'esistenza negava. In quanto la verità di odio ardente è circondata, in tanto colui, che sinceramente la professa, offende; chi, invece, la adultera e la simula, proprio a questo titolo il favore si accaparra presso i persecutori della verità.

[7] La verità, che i filosofi ingannatori e corruttori, alla maniera degli istrioni, simulano, e col simularla corrompono, come quelli che di guadagnarsi gloria cercano, i Cristiani per necessita la bramano e integralmente la professano, come quelli che della propria salvezza si preoccupano.

[8] Così né sul punto della scienza, né su quello della disciplina siamo, come credete, uguali. Che cosa di certo, infatti, rispose Talete, quel principe dei fisici, a Creso, che intorno alla divinità lo interrogava, ripetutamente le dilazioni concessegli per deliberare deludendo?

[9] Dio un qualunque operaio cristiano lo trova e lo prova e, in conseguenza di ciò, tutto quanto si cerca nei riguardi di Dio, anche col fatto conferma, sebbene Platone asserisca che il fattore dell'universo non è facile scoprirlo e, scopertolo, è difficile spiegarlo alla generalità.

[10] Del resto, se sul punto della pudicizia ci si sfida, leggo che in una parte della sentenza pronunziata dagli Ateniesi contro Socrate, costui fu dichiarato corruttore dei giovani: nonché il sesso, nemmeno la donna muta il Cristiano. Conosco anche una Frine, meretrice, bruciante di passione per Diogene distesole sopra. Sento dire che anche uno Speusippo, della scuola di Platone, però colto in adulterio: il Cristiano nasce maschio solo per la sua sposa.

[11] Democrito, accecando se stesso, per non poter guardare le donne senza concupiscenza e senza soffrire, qualora non le avesse possedute, col castigo inflittosi la propria incontinenza professa: [12] il Cristiano, invece, pur conservando gli occhi, le femmine non le vede: nei riguardi della libidine il suo animo è cieco.

[13] Se debbo sul punto della probità difendermi, ecco un Diogene, che con i piedi infangati con altra superbia i superbi tappeti di Platone calpesta: il Cristiano nemmeno verso un povero insuperbisce. Se sul punto della moderazione debbo battermi, ecco un Pitagora in Turii, un Zenone in Priene, che alla tirannide aspirano: un Cristiano nemmeno alla edilità aspira.

[14] Se la discussione debbo accettare su la imperturbabilità, Licurgo di morir di fame desiderò, perché i Laconi le sue leggi avevano modificato: il Cristiano, anche condannato, ringrazia. Se sul punto della lealtà debbo fare un confronto, Anassagora il deposito agli ospiti negò: il Cristiano anche dagli estranei è chiamato fedele.

[15] Se sul punto della lealtà debbo fermarmi, Aristotele fece in modo indegno dalla carica decadere l'amico suo Ermia: il Cristiano nemmeno il suo nemico danneggia. Lo stesso Aristotele tanto vergognosamente Alessandro adula, che doveva piuttosto guidare, quanto Platone da Dionisio vendere si fa per la sua ghiottoneria.

[16] Aristippo in porpora, sotto la parvenza di grande gravità, scialacqua e Ippia si fa uccidere, mentre alla città insidie prepara. Codesto nessun Cristiano mai tentò per difendere i suoi, con ogni atrocità perseguitati.

[17] Ma si dirà che anche dei nostri qualcuno dalla regola della disciplina si allontana. - è vero: però cessano di essere tra di noi considerati Cristiani. Invece quei filosofi, pur con tali fatti, a essere denominati sapienti e onorati come tali continuano.

[18] Che dunque di simile fra un filosofo e un Cristiano, fra un discepolo di Grecia e un discepolo del cielo, tra chi per la fama e chi per la vita traffica, fra un operatore di parole e un operatore di fatti, fra un edificatore e un distruttore, fra un amico e un nemico dell'errore, fra un adulteratore e un reintegratore e assertore della verità, fra chi n'è ladro e chi n'è custode?.

CAPO 47 -- Quello che di vero si trova detto dai filosofi, lo hanno attinto dall'antica Scrittura. Pur troppo l'hanno spesso frainteso o adulterato.

[1] Più antica di ogni cosa è la verità, se non m'inganno; or ancora mi torna utile l'antichità, sopra stabilita, della divina Scrittura, affinché facilmente si creda che essa il tesoro fu per ogni sapienza venuta dopo. E se non volessi limitare ormai la mole di questo lavoro, farei una scorsa anche nel campo di codesta dimostrazione.

[2] Qual dei poeti, qual dei filosofi, che alla fonte dei profeti non siasi per nulla abbeverato? Di qui pertanto i filosofi la sete della loro intelligenza irrigarono; talché è quello che hanno del nostro, che simili ci fa a loro. Perciò, penso, anche, da taluni la filosofia fu discacciata, dico da quei di Tebe e di Sparta e di Argo.

[3] Mentre di arrivare alla comprensione della verità in nostro possesso uomini solo di gloria però bramosi, come ho detto, e di eloquenza, si sforzavano, se nei Libri Santi s'incontrarono in qualche cosa che il loro istinto di curiosità appagasse, lo convertirono in proprio: né abbastanza credendo che si trattasse di roba divina, così da non doverla interpolare, né sufficientemente intendendola, come tuttora alquanto velata e oscura anche per gli stessi Giudei, di cui la credevano proprietà.

[4] E invero, anche se di verità semplici si trattava, tanto più l'umana sottigliezza, negandovi fede, tentennava, per cui con l'incerto mischiarono anche quello che trovato avevano di certo.

[5] Avendovi trovato, così senz'altro, che esiste un Dio, non ne disputarono come l'avevano trovato: talché della sua qualità e natura e sede si mettono a discutere.

[6] Altri incorporeo lo affermano, altri corporeo, come tanto i Platonici, quanto gli Stoici; altri da atomi costituito, altri da numeri, come Epicuro e Pitagora; altri da fuoco, come opinò Eraclito; e i Platonici pensoso dell'universo, gli Epicurei, invece, ozioso e inattivo e, per così dire; inesistente per il mondo degli uomini; [7] posto, poi, fuori del mondo gli Stoici, a far girare dal di fuori questa mole a mo' di vasaio; entro il mondo i Platonici, a mo' di pilota rimanendo in quello che egli guida.

[8] Così variamente nei riguardi del mondo stesso concludono: se sia nato o non nato, se destinato a finire o a restare. Così anche della condizione dell'anima: che altri divina ed eterna, altri affermano destinata a dissolversi. Come ognuno la intese, così aggiunse o riformò.

[9] Né fa meraviglia, se il vecchio strumento gl'ingegni dei filosofi snaturarono. Anche questo nostro documento alquanto recente alcuni individui, provenienti dalla semenza di quelli, hanno con le loro opinioni adulterato secondo le opinioni dei filosofi, e da una strada unica aperto molti obliqui e inestricabili sentieri. Il che per questo ho soggiunto, perché la nota varietà di questa nostra setta adeguarci anche in questo ai filosofi a qualcuno non paia, dalla varietà non concluda la deficenza di una verità.

[10] Ma ai nostri adulteratori alla svelta eccepiamo che la regola della verità è quella che viene da Cristo, attraverso coloro trasmessa che gli furono compagni, parecchio posteriori ai quali si proverà essere codesti diversi interpreti.

[11] Tutto ciò che contro la verità è stato ricostruito, è stato fatto valendosi della verità stessa; e quest'opera ostile gli spiriti dell'errore l'hanno compiuta. Da costoro gli adulteratori di questa salutare disciplina subornati furono; da costoro anche introdotte certe favole, che su la base della somiglianza la fede nella verità infirmassero o a se stessi piuttosto l'attirassero: talché per questo si stimi non doversi credere ai Cristiani, perché nemmeno s'ha da prestar fede néai poeti né ai filosofi; o perché piuttosto s'abbia a credere ai poeti e ai filosofi, perché prestar fede non si deve ai Cristiani.

[12] Perciò veniamo derisi, quando predichiamo che Dio ci giudicherà. Allo stesso modo, infatti, e poeti e filosofi un tribunale collocano presso gl'inferi. E se la gehenna minacciamo, che è un ambiente sotterraneo di fuoco arcano, destinato alla punizione, ugualmente si sghignazza. Allo stesso modo, infatti, fra i morti c'è il fiume Piriflegetonte.

[13] E se il paradiso nominiamo, luogo di divina bellezza, ad accogliere destinato gli spiriti dei Santi, dalla conoscenza dell'orbe comune separato per una specie di muro costituito dalla nota zona di fuoco, troviamo le menti occupate dalla credenza nei Campi Elisi. Onde, vi prego, tante somiglianze con i poeti e i filosofi? Non per altro se non perché derivate dai nostri misteri.

[14] Se dai nostri misteri esse sono derivate, come esistiti prima, più fedeli e credibili sono dunque questi nostri, le cui imitazioni anche trovano fede. Se sono derivate dalle fantasie di quelli, allora i nostri misteri si riterranno senz'altro immagini di cose venute dopo, ciò che la natura non comporta; ch mai l'ombra la presenza del corpo precede, né l'immagine quella della realtà.

CAPO 48 -- Gli uomini risorgeranno, riprendendo ciascun'anima il proprio corpo. Nulla è impossibile a Dio, che l'universo fece dal nulla. La risurrezione è richiesta dalla necessità che ciascuno sia retribuito secondo il suo merito.

[1] Orsù, se un filosofo affermi, come Laberio dice in base al pensiero di Pitagora, che da un mulo si forma un uomo, un serpente da una donna, e, a conferma di quella opinione, tutti gli argomenti scagli con l'efficacia della sua eloquenza, non riscuoterà l'assenso, radicando di ciò la credenza, talché uno si persuada anche ad astenersi dagli animali per questo, per non cibarsi, alle volte, di una vitella proveniente da un qualche suo avo? Ma se un Cristiano promette che da un uomo ritornerà un uomo, anzi da Gaio Gaio in persona, non solo a calci, ma piuttosto a sassate sarà dal popolo cacciato.

[2] Se un qualunque motivo regge l'opinione che le anime umane passino d'uno in altro corpo, perché non dovrebbero nella medesima sostanza ritornare, codesto significando 'essere richiamato in vita', 'essere quello che si era stati'? E invero, se non sono quello che erano state, vale a dire di un corpo umano, anzi di quello stesso corpo rivestite, non saranno più quelle ch'erano state. O allora quelle che non saranno più le stesse, come si dirà che sono ritornate? O, divenute altro, non saranno più le stesse, o perdurando le stesse, non saranno provenienti da altra parte.

[3] Molti passi di scrittori anche avrei bisogno di citare con comodo, se su codesto punto divertirmi volessi, in quale bestia uno paresse doversi trasformare. Ma più conformemente alla credenza da noi sostenuta, affermiamo - certo molto più degno di essere creduto - che da un uomo un uomo ritornerà, un uomo per ogni uomo, ma sempre uomo: talché la medesima qualità di anima nella medesima condizione venga rimessa, se non nella medesima figura.

[4] Vero è che, poiché il motivo della restaurazione è la destinazione derivante dal giudizio, necessariamente proprio quello stesso si ripresenterà, che prima era stato, per riportare da Dio il giudizio delle azioni buone e delle contrarie. Perciò anche i corpi saranno ricostituiti, perché nemmeno può patir nulla l'anima da sola, senza una materia stabile, cioè la carne; e perché quello che, per giudizio di Dio, le anime patire debbono, non lo meritarono affatto senza la carne, entro la quale ogni loro atto compirono.

[5] 'Ma come - dirai - una materia caduta in dissoluzione ripresentarsi potrà?' - Considera te stesso, o uomo: e la cosa credibile troverai. A quello che eri, prima di essere, ripensa. Certo eri niente. Te ne ricorderesti, infatti, se qualche cosa fossi stato. Orbene, tu che nulla, prima di essere, eri stato e nulla, del pari, sei divenuto, quando hai cessato di essere, perché non potresti essere nuovamente dal nulla, per volontà proprio di quello stesso autore, che volle che tu fossi dal nulla?.

[6] Che ti accadrà di nuovo? Tu che non eri, sei stato fatto; quando di nuovo non sarai, sarai fatto. Spiega, se puoi, il modo, con cui sei stato fatto; e poi ricerca in qual modo sarai fatto. E tuttavia, certo, più facilmente quello che una volta sei stato ridiventerai, perché del pari senza difficoltà una volta sei divenuto quello che non fosti mai.

[7] Si dubiterà, credo, della potenza di Dio, che codesto gran corpo del mondo da ciò che non era costituì, non altrimenti che se si fosse trattato di trarlo dalla morte del vuoto e del nulla: animato da uno spirito che tutte le cose animò, esempio anch'esso palese per testimoniare a voi la resurrezione degli uomini.

[8] La luce, ogni giorno uccisa, risplende; e le tenebre con pari vicenda decedono e succedono; le stelle muoiono e ritornano in vita, le stagioni dove hanno fine cominciano, i frutti si consumano e ritornano, i semi certo solo dopo la corruzione e la dissoluzione in forma più feconda risorgono; tutte le cose col perire si conservano, tutte col morire si ricostituiscono.

[9] Tu, uomo, così gran nome, se te stesso conosca apprendendolo almeno dall'iscrizione della Pithia, padrone di tutte le cose che muoiono e rinascono, per codesto fine morrai, per perire?. Dovunque in dissolvimento sarai caduto, qualunque materia ti avrà distrutto, assorbito, annientato, ridotto al nulla, ti restituirà. A Colui si appartiene pur il nulla, a cui anche il tutto.

[10] 'Dunque - voi dite - si dovrà continuamente morire e continuamente risorgere?'. - Se così il Signore dell'Universo stabilito avesse, anche tuo malgrado la legge della tua condizione sperimenteresti. Sennonché ora non altrimenti stabili da come predisse.

[11] Quella Intelligenza, che dalla diversità l'università compose, così che tutte le cose da contrari elementi in unità risultassero, di vuoto e di solido, di animato e di inanimato, di afferrabile e di inafferrabile, di luce e di tenebre, della vita stessa e della morte, quella stessa Intelligenza il tempo anche collegò secondo una condizione distinta: talché questa prima parte, quella in cui dal principio del mondo noi abitiamo, con durata temporanea verso la fine defluisca, la seguente, che noi attendiamo, nell'eternità infinita si continui.

[12] Quando, dunque, la fine sarà venuta e il limite, che si spalanca in mezzo alle due età, talché anche del mondo stesso si trasformi l'aspetto, ugualmente temporaneo, che, a mo' di sipario, si stende davanti a quella eternità da Dio stabilita, allora tutto il genere umano sarà restituito, per regolare il conto di quello che di bene o di male commise in questa età e, quindi, averne la retribuzione per l'immensa perpetuità dell'eternità.

[13] Perciò non morte più, né di nuovo resurrezione ci sarà; ma saremo gli stessi che ora, né altri in seguito: gli adoratori di Dio presso Dio sempre, della sostanza propria dell'eternità rivestiti; gli empi, invece, quelli non irreprensibili davanti a Dio, nel castigo del fuoco ugualmente perenne, dalla natura stessa di questo divina, è chiaro, ricevendo la partecipazione dell'incorruttibilità.

[14] Sanno anche i filosofi la diversità tra un fuoco arcano e quello comune. Pertanto di gran lunga diverso è quello che all'uso comune serve, diverso quello che al giudizio di Dio obbedisce: sia che dal cielo esso fuoco i fulmini scagli, sia che dalla terra attraverso le vette dei monti erutti. Infatti non consuma quello che brucia, ma mentre annienta, ricostituisce.

[15] Pertanto i monti permangono, pur sempre ardendo; e chi dal fulmine è colpito, resta intatto, talché da nessun fuoco più in cenere è ridotto. Or questo sarà testimonio del fuoco eterno, questo, esempio del giudizio eterno che alimenta il castigo: i monti sono bruciati e permangono. Che sarà dei colpevoli e dei nemici di Dio?
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