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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:41
 
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CAPO 36 -- La lealtà e l'amore per gl'imperatori non consiste nelle vostre, spesso false, dimostrazioni. Noi amiamo veramente e rispettiamo gl'imperatori: verso di loro abbiamo gli stessi doveri che verso il nostro prossimo.

[1] Se le cose stanno così, cioè, che si scoprono dei nemici che si chiamano Romani, perché si nega che noi, che nemici siamo ritenuti, si sia Romani? Non possiamo essere noi Romani e, al tempo stesso, nemici, dal momento che si scoprono dei nemici, che sono ritenuti Romani?

[2] In verità la pietà e la religione e la fedeltà dovuta agl'imperatori non in codesti ossequi consiste, dei quali anche i nemici possono servirsi per nascondere piuttosto se stessi; ma in quei costumi, con i quali la divinità a noi ordina di manifestarla tanto sinceramente, quanto, com'è necessario, verso tutti.

[3] Ché codesti tratti di animo affezionato noi non li dobbiamo ai soli imperatori. Nessuna differenza fra le persone facciamo noi nel compiere un buon ufficio, perché lo prestiamo a noi stessi, che non la retribuzione di lode o di ricompensa da un uomo cerchiamo, ma da Dio, che pondera e rimunera la bontà, imparziale.

[4] Noi siamo per l'imperatore gli stessi che per i nostri prossimi. Ché voler male, far male, dir male, pensar male di chi che sia a noi è ugualmente vietato. Tutto ciò che nei riguardi dell'imperatore non lice, nei riguardi non lice di nessuno; e quello che non lice nei riguardi di nessuno, tanto meno, forse, nei riguardi di colui lice, che grazie a Dio è tanto grande.

CAPO 37 -- Ingiuste sono la persecuzioni contro di noi, su cui nulla avete da riprendere; e di cui avreste ben da temere, se volessimo vendicarci.

[1] Se, come sopra si è detto, l'ordine abbiamo di amare i nemici, chi possiamo odiare? Del pari se, offesi, di rendere il contracambio ci è vietato, per non essere di fatto pari ai nostri offensori, chi possiamo offendere?

[2] Riconoscetelo infatti voi da codesto. Quante volte infatti contro i Cristiani non infierite, parte per animosità vostra, parte in obbedienza alle leggi! Quante volte, anche, indipendentemente da voi, come fosse un suo diritto, il volgo ostile a colpi di pietra ci assale e con incendi! Con furie proprio da Baccanali nemmeno i Cristiani morti risparmiano, ma dalla requie del sepolcro, dall'asilo, per così dire, della morte, già decomposti, già non più integri li strappano, li fanno a pezzi, li disperdono.

[3] E tuttavia che avete mai da riprendere sul conto di persone così unite, da ripagare, per ingiurie patite, individui così disposti fino ad affrontare la morte, quando anche sola una notte con pochi focherelli potrebbe la nostra vendetta largamente attuare, se il male con il male ricambiare fosse tra di noi permesso? Ma lunge da noi vendicare una setta divina con fiamme umane, o dolerci di patire per ciò con cui essa è provata.

[4] Se infatti comportarci volessimo da nemici scoperti, non soltanto da vendicatori occulti, mancherebbe a noi la forza del numero e dei soldati? Già, più numerosi sono Mauri e Marcomanni e i Parti stessi o quante si vogliano genti, contenute tuttavia in un sol luogo, entro propri confini, che un popolo di tutto il mondo! Noi siamo di ieri, e tutto il vostro abbiamo riempito, città, isole, castelli, municipi, borgate, gli accampamenti stessi, tribù, decurie, il Palazzo, il Senato, il foro: solo i templi vi abbiamo lasciato.

[5] A qual guerra non saremmo stati preparati e pronti, anche se impari per numero di soldati, noi che così volentieri trucidare ci lasciamo, se tra gli appartenenti a questa setta non fosse lecito piuttosto farsi uccidere, che uccidere?

[6] Avremmo potuto anche solo inermi, senza ribellarci, ma soltanto con la nostra separazione, con l'odiosità del solo allontanamento contro di voi combattere. Se, infatti, noi, così grande numero di uomini, l'avessimo rotta con voi, in qualche angolo lontano del mondo ritirandoci, la perdita di tanti cittadini, quali che siano, avrebbe indubbiamente coperto di rossore voi, dominatori: anzi anche col solo fatto di avervi abbandonati, vi avrebbe puniti.

[7] Non v'è dubbio: avreste di fronte alla vostra solitudine paventato, di fronte al silenzio delle cose, allo stupore, per così dire, del mondo quasi colto dalla morte; avreste cercato a chi comandare: più nemici che cittadini sarebbero a voi rimasti.

[8] Ora infatti avete un numero di nemici minore per causa della moltitudine dei Cristiani, quasi tutti cittadini; ma, pur avendo in quasi tutti i Cristiani dei cittadini, nemici del genere umano avete preferito chiamarli, piuttosto che dell'umano errore.

[9] Chi, inoltre, voi a quei nemici occulti e incessanti devastatori delle vostre menti e della vostra salute strapperebbe, voglio dire dagli assalti dei demoni, che noi scacciamo da voi senza premio, senza compenso? Sarebbe bastato solo questo alla nostra vendetta, che rimaneste quind'innanzi, libero possesso, alla mercè degli spiriti immondi.

[10] Eppure, senza pensare a compensarci per così grande difesa, noi, gente non solo non molesta a voi, ma anzi necessaria, avete preferito giudicarci nemici, noi, che effettivamente nemici siamo, non tuttavia del genere umano, ma piuttosto dell'errore umano.

CAPO 38 -- I Cristiani non costituiscono una setta pericolosa all'ordine pubblico. E se si astengono dai vostri spettacoli, lo fanno perché li ritengono immorali.

[1] Pertanto nemmeno - provvedimento un po' meno severo - si dovrebbe considerarla tra le fazioni vietate codesta setta, da cui nulla si commette di quello che da parte delle fazioni vietate temere si suole.

[2] Se non m'inganno, infatti, la causa del divieto delle fazioni dalla preoccupazione risulta dell'ordine pubblico, per impedire che la città in partiti si scindesse, cosa che facilmente avrebbe i comizi turbato, le adunanze, le curie, le concioni, gli spettacoli anche, sotto la spinta di passioni contrastanti, quando già gli uomini a trarre un guadagno avevano cominciato dall'uso della loro violenza, vendendosi e facendosi pagare.

[3] Ma per noi, cui ogni brama di onori e di gloria lascia freddi, non v'è di conventicole necessità alcuna; e nulla è più alieno che la cosa publica. Una sola republica di tutti noi riconosciamo, l'universo.

[4] Del pari dai vostri spettacoli ci asteniamo, in quanto ci asteniamo dalle loro origini, che derivate sappiamo da superstizioni, mentre estranei siamo anche ai fatti stessi che vi si compiono. Nulla abbiamo che dire, vedere, udire con la follia del circo, con l'oscenità del teatro, con l'atrocità dell'arena, con la futilità del xisto.

[5] In che vi offendiamo, se piaceri diversi presumiamo? Se saperne non vogliamo di divertirci, il danno è, se mai, nostro, non vostro. 'Ma noi riproviamo quello che piace a voi'. - Nemmeno a voi piacciono le cose nostre. Ma fu ben lecito agli Epicurei di stabilire una voluttà verace, vale a dire la tranquillità dello spirito.

CAPO 39 -- Di che genere sono le riunioni e le attivittà dei Cristiani: preghiere, lettura della Santa Scrittura, giudizi, contribuzione volontaria per aiutare i bisognosi, atti di amore fraterno, pasti innocenti in comune.

[1] Ed ora esporrò io stesso l'attività della fazione cristiana, affinché, dopo averne confutato quella trista, ne dimostri quella buona. Siamo una corporazione, che ha per base la consapevolezza di una religione comune e l'unità di una disciplina comune e il patto di una speranza comune.

[2] Ci raccogliamo in adunanze e riunioni, per circondare, pregando, Dio con le suppliche, come con un manipolo serrato. Questa violenza è a Dio gradita. Preghiamo anche per gl'imperatori, per i loro ministri e magistrati, per la stabilità del mondo, per la tranquillità della vita, per la dilazione della fine.

[3] Ci raccogliamo per la lettura della Scrittura divina, se qualche caratteristica del tempo presente a preannunziare c'induce un fatto o a riconoscerne il compimento. Almeno con le parole sante la fede nutriamo, la speranza confortiamo, la fiducia consolidiamo, serriamo la disciplina non foss'altro inculcandone i precetti. Ivi stesso anche hanno luogo esortazioni, correzioni e punizioni in nome di Dio.

[4] E invero vi si giudica con grande ponderatezza, come tra persone che di trovarsi sono certe al cospetto di Dio; ed è una ben grave anticipazione del giudizio futuro, se uno colpevole siasi reso al punto da essere dalla comunione della preghiera allontanato e delle riunioni e di ogni santa relazione. Presiedono i più anziani, tutti approvati, che codesta carica non pagando hanno conseguito, ma testimonianza rendendo: ché nessuna cosa di Dio costa danaro.

[5] Anche se c'è una specie di cassa, il danaro che vi si raccoglie non da contributi onorari deriva, quasi prezzo d'acquisto della carica religiosa. Ognuno versa una monetuzza in un giorno del mese, o quando vuole e soltanto se vuole e soltanto se può. Ché nessuno vi è costretto, ma il contributo è spontaneo. Sono questi, per così dire, i depositi della pietà.

[6] E invero non per provvedere a banchetti vi si attinge, né a bicchierate, né a gozzoviglie oltre il desiderio spinte: ma per nutrire i poveri e seppellirli, per nutrire i fanciulli e le fanciulle rimasti privi di mezzi e di genitori, anche i servitori vecchi e, del pari, i naufraghi e quelli che, nelle miniere condannati o nelle isole o nelle prigioni soltanto per appartenere alla setta di Dio, pupilli diventano della religione da loro confessata.

[7] Ma è particolarmente la pratica di una dilezione di tal genere che fra certa gente il noto biasimo ci procura. 'Vedi - dicono - come si amano tra loro (essi, infatti, fra loro si odiano), e come sono pronti a morire l'uno per l'altro (essi, infatti, ad ammazzarsi tra loro sono più pronti)'.

[8] Ma anche per il fatto che ci chiamiamo fratelli, non per altro motivo, penso, perdono la testa, se non perché tra di essi ogni termine di consanguineità, quanto all'affetto è una finzione. Inoltre anche fratelli vostri siamo noi, per legge di natura, unica madre, se pur voi siete troppo poco uomini, perché tristi fratelli.

[9] Ma quanto più degnamente fratelli si dicono e si ritengono coloro, che un unico Dio hanno come padre riconosciuto, che a un unico spirito di santità si sono abbeverati, che da un unico grembo della medesima ignoranza, con un pauroso stupore, a un'unica luce emersero di verità.

[10] Ma forse per questo siamo fratelli meno legittimi ritenuti, perché nessuna tragedia su l'argomento della nostra fraternità declama, o perché fratelli siamo quanto alle sostanze familiari, che tra di voi di solito i fratelli dividono.

[11] Perciò noi, che siamo nell'animo e nella vita uniti, a mettere in comune le sostanze non esitiamo. Tutto è tra noi indiviso, tranne le mogli.

[12] In codesto punto sciogliamo la comunanza, nel quale soltanto gli altri uomini la comunanza praticano, essi che, non solo le mogli degli amici si appropriano, ma anche le proprie con tutta sopportazione a disposizione di quelli mettono: in conformità, credo, a quella disciplina dei maggiori e de' più grandi filosofi, del greco Socrate e del romano Catone, che le proprie mogli in comune misero con gli amici, le quali avevano essi sposate per mettere al mondo figli anche in casa altrui.

[13] E forse non contro il volere di queste. Che preoccupazione, infatti, potevano esse avere della loro castità, della quale i mariti avevano così facilmente fatto dono ad altri? O esempio di attica saggezza, di romana gravità! Un filosofo e un censore diventano mezzani.

[14] Qual meraviglia, pertanto, se un tanto amore col mangiare insieme si esprime? Ché anche i nostri poveri pranzi, oltre che per infami delitti, voi anche per le loro prodigalità condannate. Si capisce: a noi si riferisce il detto di Diogene: "I Megaresi banchettano come se dovessero morir domani, e invece costruiscono, come se non dovessero morire mai ". Sennonché ognuno più facilmente la pagliuzza vede nell'occhio altrui, che la trave nel proprio.

[15] In seguito ai rutti di tante tribù e curie e decurie l'aria si corrompe; quando i Salii devono un pranzo celebrare, sarà necessario un creditore; le spese per le decime di Ercole e i relativi banchetti calcolarle dovranno dei computisti; per le Apaturie, le feste dionisiache, i misteri attici una leva s'indice di cuochi; al fumo del banchetto in onore di Serapide dovranno essere messi in allarme i pompieri: solo intorno al pasto dei Cristiani si trova a ridire.

[16] Il nostro pranzo rende ragione di sè dal suo nome: si chiama con un termine, che in greco vale 'amore'. Per quanto grandi siano le spese che costa, è guadagno fare una spesa in nome della pietà, ché tutti i bisognosi aiutiamo con questo ristoro; non al modo con cui tra voi i parasiti alla gloria aspirano di asservire la loro libertà, a condizione di rimpinzarsi la pancia sotto gl'insulti; ma al modo che davanti a Dio è maggiore il riguardo per gli umili.

[17] Se onesto è del banchetto il motivo, dal motivo il rimanente ordine apprezzate che lo disciplina. Derivando da un dovere religioso, nessuna bassezza ammette, nessuna intemperanza. Non ci si siede a tavola prima di pregustare una preghiera a Dio; si mangia quanto la fame ne cape; si beve quanto a persona sobria è utile.

[18] Così ci si sazia, come persone che di dover adorare Dio si ricordano anche durante la notte; così si conversa, come chi sa che il Signore le ascolta. Dopo data l'acqua alle mani e accesi i lumi, secondo che uno si sente di farlo, a cantare qualche cosa in onore di Dio è invitato nel mezzo, attingendola dalla Scrittura santa o dal proprio ingegno: di qui in qual misura ha bevuto si ha la prova. Ugualmente una preghiera i convitati discioglie.

[19] Di là ci si diparte non per costituire caterve di assassini, né schiere di vagabondi, né per abbandonarci alla sfrenatezza, ma per continuare la stessa cura della modestia e della pudicizia, come quelli che hanno pranzato non tanto un pranzo, quanto un insegnamento. Codesta adunata di Cristiani è certo meritamente illecita, se è pari alle cose illecite; meritamente da condannarsi, se ci si lagna di essa allo stesso titolo che delle conventicole.

[20] Per la rovina di chi ci aduniamo qualche volta? Adunati quello stesso siamo che separati; tutti insieme quello stesso che singoli, nessuno offendendo, nessuno contristando. Quando persone si adunano oneste, buone, quando persone si riuniscono pie, caste, non è il caso di parlare di fazione, ma di assemblea.
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