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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:41
 
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CAPO 26 -- Chi i regni dispensa è Dio, che fu prima di tutti i tempi e alla cui volontd tutto è sottoposto.

[1] Vedete dunque se i regni non dispensi Colui, a cui si appartiene anche il mondo, sul quale regna, e l'uomo stesso, che regna; se non abbia nei tempi le successioni delle dominazioni ordinato nel mondo Colui, che prima di ogni tempo fu, e il mondo, quale corpo fatto di tempi, creò; se non sia Colui, che le città inalza o deprime, sotto il quale si trovò un tempo, senza città, il genere umano.

[2] Perché vivete nell'errore? La Roma delle selve prima viene di alcuni suoi dei; prima regnò che costruisse tanta ampiezza di Campidoglio. Avevano i Babilonesi regnato prima che ci fossero i pontefici, e i Medi prima che ci fossero i quindecemviri; e gli Egiziani, prima che ci fossero i Salii, e gli Assiri, prima che ci fossero i Luperci, e le Amazoni, prima che ci fossero le vergini Vestali.

[3] In fine, se sono le religioni romane che dànno i regni, mai per l'addietro non avrebbe regnato la Giudea, di codeste divinità comuni sprezzatrice; la Giudea, il cui Dio, anche, di vittime e il tempio di doni e il popolo di patti voi Romani avete per qualche tempo onorato: su la quale mai dominato non avreste, se, da ultimo, colpevole davanti a Dio resa non si fosse, mettendosi contro Cristo.

CAPO 27 -- I Cristiani potrebbero fingere di prestarsi ai riti pagani. Non lo fanno perché non vogliono rinnegare nemmeno apparentemente la loro fede; e sacrificandosi per essa riportano sul potere demoniaco la vittoria più splendida.

[1] Ma basti codesto contro l'accusa intentataci di lesa divinità, per difenderci dalla parvenza di offendere una divinità, che abbiamo dimostrato non esistere. Perciò invitati a sacrificare, ci rifiutiamo per serbar fede alla nostra coscienza, in base alla quale con sicurezza sappiamo a chi codesti servizi arrivino sotto le immagini esposte e sotto nomi di uomini deificati.

[2] Ma alcuni reputano pazzia il fatto che, potendo per il momento sacrificare e andarcene illesi, il nostro proposito nell'animo conservando, l'ostinazione preferiamo alla salvezza.

[3] Voi, è chiaro, un consiglio ci date, con cui illudervi; ma noi conosciamo onde codesti inviti provengano, chi tutto codesto diriga: e come, ora con l'astuzia del persuadere, ora con la durezza dell'incrudelire, lavori per abbattere la nostra costanza.

[4] è chiaro: è quello spirito di costituzione demoniaca e, a un tempo, angelica, che, divenuto nostro nemico per la sua rivolta, e invidioso per la grazia di Dio a noi concessa, contro di noi lotta servendosi delle vostre menti, con occulta inspirazione regolandole e subornandole ad ogni perversità di giudizio e iniquità di sevizie, come da principio abbiamo premesso.

[5] E invero, sebbene sia a noi sottoposta totalmente la potenza dei demoni, voglio dire di tali spiriti, tuttavia, come servi tristi, talvolta alla paura mescono la ribellione e di offendere bramano quelli, che in altri momenti temono. Ché anche la paura inspira l'odio.

[6] Senza dire che la loro condizione disperata, in seguito alla condanna in precedenza pronunciata, considera un conforto quello di trarre frattanto un profitto maligno dall'indugio del castigo. E tuttavia, messi alle strette, soggiogare si lasciano e soggiacciono alla loro condizione: e quelli, che da lontano combattono, da vicino supplicano.

[7] Pertanto, quando a mo' di quello che negli ergastoli ribellantisi avviene o nelle carceri o nelle miniere o in stati di schiavitù penale del genere, irrompono contro di noi, in cui potere si trovano, pur sicuri di essere impari e perciò maggiormente disperati, di mala voglia resistiamo loro come uguali, e per forza lottiamo persistendo in quello che essi attaccano; ma di essi mai maggiormente trionfiamo, come quando per la nostra fermezza nella fede veniamo condannati.

CAPO 28 -- Il culto prestato per costrizione, quale si esige dai Cristiani, è un non senso.

[1] Ma poiché sembrerebbe facilmente ingiusto che uomini liberi venissero costretti a sacrificare contro lor voglia - ché anche in altri casi si prescrive un animo volonteroso per compiere un rito divino: certo sarebbe ritenuto sciocco, se uno costringesse un altro a onorare quegli dei, che il dovere avrebbe di placare spontaneamente nel proprio interesse; se non vuole, com'è naturale, sentirsi dire in nome della libertà: 'Non voglio che Giove mi sia propizio; tu chi sei? Giano mi si rivolga, adirato, con la faccia che vuole: che hai tu da fare con me?' -, è certo che per influsso dei medesimi spiriti voi siete indotti a costringerci a sacrificare per la salute dell'imperatore; ed è stata a voi imposta la necessità di costringerci, come a noi l'obligo di affrontare la prova.

[2] Eccoci dunque alla seconda imputazione arrivati, quella di offendere una maestà più augusta, dacché con maggiore paura e più astuto timore rispettosi vi mostrate verso Cesare, che verso Giove stesso dell'Olimpo. E giustamente, se siete in grado di capire. Chi, infatti, qualsiasi fra i vivi, non è a un morto preferibile?

[3] Ma voi nemmeno questo in seguito a un ragionamento fate: sì, piuttosto, per un riguardo a un potere di efficacia immediata. Così anche in questo vi fate cogliere irreligiosi verso i vostri dei, dal momento che un timore maggiore a un padrone umano dedicate. In somma tra voi più facilmente per tutti quanti gli dei si spergiura, che per il solo Genio di Cesare.

CAPO 29 -- Gli dei non sono in grado di proteggere l'imperatore. Sono essi, invece, e il loro culto alle dipendenze dell'imperatore.

[1] Risulti, dunque, prima, se questi dei, cui si fa sacrificio, di largire siano in grado la salute all'imperatore o a qualsiasi uomo; e poi sotto accusa metteteci di lesa maestà; se vuoi angeli, vuoi demoni, sostanze spirituali pessime, un qualche beneficio operano; se degli esseri perduti conservano, se degli esseri dannati liberano, se, in fine, per quanto siete consci, dei morti proteggono dei vivi.

[2] E invero non v'è dubbio che le loro statue e immagini e templi anzi tutto gli dei proteggerebbero, la cui incolumità, penso, garantiscono invece i soldati di Cesare con le loro guardie. Se non erro, poi, quegli stessi materiali dalle miniere di Cesare provengono, e i templi per volontà di Cesare interamente sussistono.

[3] In fine molti dei Cesare adirato ebbero: fa al mio proposito anche se l'hanno favorevole, quando usa ad essi qualche liberalità o privilegio. Così coloro che in potere sono di Cesare, al quale anche interamente appartengono, come avranno la salute di Cesare in loro potere, così da apparire di poterla garantire, mentre, invece, essi più facilmente da Cesare la ottengono?

[4] Per questo, dunque, noi verso la maestà degl'imperatori colpevoli ci rendiamo, perché non li mettiamo al di sotto delle cose loro, perché non ci prendiamo gioco dell'obligo di pensare alla loro salute, che non crediamo si trovi in mani saldate col piombo?

[5] Voi, invece, irreligiosi siete, che quella salute cercate dove non è, domandate a chi darla non la può, da parte lasciando Colui, in cui potere quella si trova: e per di più coloro perseguitate, che la sanno domandare, che in grado sono anche d'impetrarla, mentre sanno domandarla.

CAPO 30 -- I Cristiani soli pregano davvero per la salute dell'imperatore, in quanto lo collocano al di sotto di Dio, e Dio pregano nel modo come va pregato.

[1] Noi, infatti, per la salute degli imperatori il Dio eterno invochiamo, il Dio vero, il Dio vivo che anche gli imperatori stessi a sè propizio preferiscono piuttosto che tutti gli altri dei. Sanno essi chi l'impero ha dato loro; sanno, in quanto uomini, chi loro ha dato anche la vita; sentono che esso è il solo Dio, nella cui potestà, soltanto, essi si trovano, a partire dal quale sono essi secondi, dopo il quale primi: davanti a tutti e sopra tutti gli dei. E come no? dal momento che sono sopra tutti gli uomini, i quali in verità vivono e sono sopra i morti.

[2] Ripensano fino a che punto le forze valgano del loro impero, e così comprendono Dio; per opera di Colui conoscono essi di valere, contro il quale valere essi non possono. O in somma, si provi l'imperatore a debellare il cielo, a condurre nel suo trionfo prigioniero il cielo, a mandare sue guardie al cielo, a imporre tributi al cielo: non può.

[3] Perciò è egli grande, perché al cielo sottostà; a Colui infatti appartiene egli, a cui il cielo e ogni creatura appartiene. Da Colui è egli imperatore, onde anche uomo, prima che imperatore; di là a lui il potere, onde anche la vita.

[4] Colà alzando gli occhi noi Cristiani, con le mani distese, perché innocenti, col capo nudo, perché senza rossore, in fine senza suggeritore, perché preghiamo di cuore, a pregare ci troviamo sempre per tutti gli imperatori vita ad essi lunga, impero tranquillo, casa sicura, eserciti forti, senato fedele, popolo onesto, mondo tranquillo: tutto quanto nei voti rientra di un uomo e di un Cesare.

[5] Codesto pregarlo non posso da un altro, se non da chi so di poterlo ottenere: poiché egli è Colui che solo concede, ed io sono colui, cui spetta l'ottenere, il suo servo, che solo lo rispetto, che per la sua disciplina mi faccio uccidere, che un'ostia opima gli offro e di maggior valore, quella che egli ordinò, vale a dire un'orazione uscente da carne pudica, da anima innocente, da spirito santo;

[6] non grani d'incenso del valore di un asse, lacrime di una pianta arabica, né due gocce di vino, né sangue di bove avariato, bramoso di morire, e, dopo tutte le sozzure, anche una coscienza sporca: talché, quando tra voi da sacerdoti viziosissimi le vittime si esaminano per l'approvazione, mi meraviglio come mai i precordi delle vittime si esaminino, piuttosto che quelli degli stessi sacrificanti.

[7] Così, dunque, con le mani verso Dio distese, ci lacerino le unghie, ci sospendano le croci, ci lambiscano le fiamme, ci tronchino le gole le spade, ci balzino sopra le belve: ad ogni supplizio è pronto l'atteggiamento stesso del Cristiano orante. Fatelo pure, o buoni governatori, strappate un'anima intesa a supplicare Dio per l'imperatore. Il crimine sarà là, dov'è la verità e la devozione a Dio!

CAPO 31 -- I Cristiani Pregano, come n'hanno l'obligo, per la salute degl'imperatori.

[1] Ma, si dice, ora noi abbiamo adulato l'imperatore e mentito nei voti che abbiamo espresso, è chiaro, per sfuggire alla violenza. - Ci giova assai questo inganno! Difatti di provare ci consentite ogni nostra asserzione! Or dunque, tu che hai creduto che noi della salute dei Cesari non ci si curi punto, da' un'occhiata alle parole di Dio, alle nostre Scritture, che né noi nascondiamo e molti casi in mano di estranei fanno giungere.

[2] Apprendete da queste che a noi, per sovrabbondanza di bontà, è stato ordinato di pregare Dio anche per i nostri nemici e implorare benefici per i nostri persecutori. Or quali più nemici e persecutori dei Cristiani di coloro, la cui maestà veniamo accusati di violare?

[3] Ma anche si fanno con chiarezza i nomi: 'pregate - è detto - per i re e i principi e i potenti affinché tutto sia per voi tranquillo'. E invero, quando l'Impero delle scosse subisce, anche le altre membra dell'Impero tutte vengono scosse, e indubbiamente noi pure, sebbene fuori dei turbamenti, ci troviamo ad aver qualche parte nella disgrazia.

CAPO 32 -- Anche per un'altra ragione noi preghiamo per la salute degl'imperatori: perché Iddio prolunghi la durata del loro impero, differendo la fine del mondo. Non giuriamo per il loro Genio, perché i Geni sono dei demoni.

[1] Ma c'è per noi anche un'altra necessità maggiore di pregare per gl'imperatori, anzi per la stabilità di tutto l'Impero e per la potenza romana, noi che sappiamo che col prolungamento dell'Impero romano viene ritardata la più grande catastrofe che stia sopra tutto il mondo, anzi la fine stessa del mondo minacciante orrende sofferenze. Pertanto noi non vogliamo farne l'esperienza: e mentre che questa fine sia differita preghiamo, alla durata del romano Impero gioviamo.

[2] Ma giuriamo anche, se non per il Genio dei Cesari, per la loro salute, che è più augusta di tutti i Geni. Non sapete che i Geni si chiamano demoni e, con diminutivo di qui derivato, demonii? Noi negli imperatori il giudizio di Dio rispettiamo, che li ha messi a capo delle genti.

[3] Noi sappiamo che in essi c'è quello che Dio ha voluto: per cui noi salvo vogliamo quello che Dio ha voluto e in conto lo teniano di un grande giuramento. Del resto i demoni, vale a dire i Geni, noi sogliamo scongiurarli, per cacciarli dagli uomini, non giurare sul loro nome, per conferire loro l'onore dovuto alla divinità.

CAPO 33 -- La maniera più efficace per ottenere la protezione di Dio su l'imperatore, è di collocarlo al suo giusto posto: il primo ma dopo Dio.

[1] Ma perché a parlare mi dilungo io più a lungo della religione e della pietà dei Cristiani verso l'imperatore, che necessariamente rispettiamo come colui che il Signor nostro ha eletto, talché dire giustamente potrei: 'Cesare è maggiormente nostro, perché dal Dio nostro costituito?'.

[2] Perciò, come mio, maggiormente per la sua salute io mi adopero, non solo perché a colui la domando che la può accordare, o perché io, che gliela domando, tale sono da poterla impetrare: ma anche perché la maestà di Cesare al di sotto di quella di Dio riducendo, più efficacemente lo raccomando a Dio, a cui solo lo sottometto. Lo sottometto, infatti, a uno, a cui non lo uguaglio.

[3] Ché io non chiamerò Dio l'imperatore, sia perché mentire non so, sia perché ridere di lui non oso, sia perché nemmeno lui essere chiamato dio vorrà. Se è un uomo, è nell'interesse dell'uomo cedere a Dio, di essere chiamato imperatore si tenga contento: grande è anche questo nome, che da Dio viene concesso. Nega che egli sia imperatore chi lo dice dio: se non è uomo, non è imperatore.

[4] Che egli è un uomo, ricordato gli viene anche quando trionfa su quel cocchio altissimo. Gli si ripete, infatti, da tergo: 'Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo'. E in verità a codesto modo egli gode maggiormente di risplendere di tanta gloria, da rendere necessario che gli si ricordi la sua condizione. Sarebbe egli minore, se in quell'occasione fosse chiamato dio, perché tale secondo verità non sarebbe chiamato. Più grande è chi a non reputarsi un dio viene richiamato.

CAPO 34 -- Più conforme a verità, più onorevole, più gradito torna all'imperatore non chiamarlo dio.

[1] Augusto, il fondatore dell'impero, nemmeno essere chiamato signore voleva. Anche questo, infatti, è un appellativo di Dio. Certo signore chiamerò l'imperatore, ma secondo l'uso comune, ma quando a chiamarlo signore non sono costretto al posto di Dio. Del resto io sono per lui un libero: ché signore mio è uno solo, Dio onnipotente ed eterno, il medesimo che di lui.

[2] Chi è padre della patria, come n'è signore? Ma anche più gradito torna l'appellativo dedotto dall'affetto, che dal potere. Anche i capi di famiglia padri si chiamano, piuttosto che signori: tanto è lontano l'imperatore dal doversi chiamare Dio, cosa che non potrebbe essere creduta, trattandosi di un'adulazione, non solo turpissima, ma anche dannosa.

[3] Gli è come se, avendo un imperatore, con questo nome tu chiamassi un altro: non incorrerai in una gravissima e imperdonabile offesa verso colui, che come tale avesti, motivo di timore anche per colui, che con tal nome chiamasti? Sii religioso verso Dio, tu che propizio lo vuoi verso l'imperatore. Cessa di credere dio un altro; e perciò anche di chiamar dio costui, che di Dio ha bisogno.

[4] Se un adulatore di tal genere non arrossisce per la sua menzogna, chiamando dio un uomo, tema almeno del cattivo augurio. Espressione di cattivo augurio è chiamare dio Cesare prima dell'apoteosi.

CAPO 35 -- Alle solennità in onore dei Cesari non prendono parte i Cristiani, perché si svolgono in forma scostumata e immorale. Del resto assai discutibile è la sincerità e la fedeltà di coloro che vi prendono parte.

[1] Dunque per questo sono i Cristiani nemici pubblici, perché néonori vani, né menzogneri, né sconsiderati agl'imperatori dedicano; perché uomini di una religione vera, anche le solennità di quelli con omaggio interiore celebrano piuttosto che con la sfrenatezza.

[2] Grande omaggio, si capisce, trarre in pubblico fornelli e divani, banchettare per quartieri, trasfigurare la città dandole l'aspetto di un'osteria, far rapprendere il fango col vino, scorrazzare in bande per abbandonarsi alle ingiurie, alla sfrontatezza, ai divertimenti libidinosi. Così la publica gioia col disonore pubblico si esprime? Ai giorni solenni dei principi si conviene quello che agli altri giorni non si conviene?

[3] Quelli che la disciplina per riguardo a Cesare osservano, per causa di Cesare la violeranno? E la licenza del mal costume sarà pietà? E l'occasione di abbandonarsi alla lussuria si reputerà religione?

[4] O noi meritamente degni di condanna! Perché infatti i voti e le dimostrazioni di allegrezza riguardanti i Cesari, casti e sobrii e probi compiamo? Perché in un giorno di allegrezza gli usci con allori non adombriamo, né il giorno con lampade superiamo? è cosa onorevole, quando una solennità publica lo esige, la tua casa rivestire del sembiante di un nuovo lupanare?.

[5] Tuttavia anche nel campo di questa religione riguardante la seconda maestà, a proposito della quale di un secondo sacrilegio accusati veniamo noi Cristiani, perché insieme con voi le solennità dei Cesari non celebriamo in un modo che né la modestia né la verecondia né la pudicizia permettono di celebrare, alla cui celebrazione vi induce l'occasione di abbandonarvi alle voluttà, più che un giusto motivo: anche, dico, in questo campo provare vorrei la vostra sincerità e verità, se alle volte anche costi non si facciano cogliere come peggiori dei Cristiani coloro, che non vogliono che noi siamo ritenuti Romani, ma nemici dei principi romani.

[6] Chiamo in causa proprio i Quiriti, proprio la plebe indigena dei sette colli, e domando se vi è un Cesare, cui quella loro lingua romana risparmi. N'è testimonio il Tevere e la scuola dei bestiarii.

[7] Certo se la natura i petti di una qualche materia diafana ricoperto avesse, in modo da lasciar trasparire l'interno, si troverebbe egli un uomo, i cui precordi non presentassero scolpita la scena di un sempre nuovo Cesare, nell'atto di procedere alla distribuzione del congiario, anche proprio in quell'ora in cui acclamano: 'A te gli anni accresca, dai nostri togliendoli, Giove'?. Queste parole il Cristiano pronunciare non sa, al modo stesso che non sa il desiderio esprimere di un nuovo Cesare.

[8] 'Ma si tratta del volgo' - dici. - Si, del volgo, tuttavia di Romani: né più accaniti accusatori dei Cristiani vi sono del volgo. Certo gli altri ordini, data la loro posizione elevata, sono religiosi sinceramente: nessun soffio di ostilità dalla parte proprio del senato, dei cavalieri, del campo, del palazzo stesso!

[9] Onde i Cassii e i Negri e gli Albini? Onde coloro che fra i due laureti assediano Cesare?. Onde coloro che nell'arte della palestra si esercitano, comprimendogli la gola?. Onde coloro che armati nel palazzo irrompono più audaci di tanti Sigerii e Partenii?. Provengono dai Romani, se non m'inganno, vale a dire, dai non cristiani.

[10] Che anzi costoro tutti, mentre la loro empietà era presso a prorompere, il rito sacro celebravano per la salute dell'imperatore, e per il suo Genio giuravano, altri palesemente, ben altri dentro di sé; e naturalmente ai Cristiani il nome davano di nemici pubblici.

[11] Ma anche coloro che ora, tutti i giorni, complici o fautori si scoprono di partiti scelerati - raccolta di grappoli superstiti di una vendemmia di parricidi - di che freschissimi e ramosissimi allori gli usci adornavano, di che altissime e lucentissime lampade i vestiboli annuvolavano, con che elegantissimi e sontuosissimi divani lo spazio del foro si dividevano, non per celebrare il pubblico gaudio, ma per apprendere, in occasione di una festività altrui, voti pubblici diretti a sé, e inaugurare l'esempio e l'immagine che era nelle loro speranze, mutando in loro cuore il nome del principe.

[12] Omaggi dello stesso genere pagano coloro che astrologhi e aruspici e àuguri e maghi consultano su la vita dei Cesari: le quali arti, perché dagli angeli disertori insegnate e da Dio proibite, i Cristiani non adoperano nemmeno quando si tratta di interessi loro.

[13] Chi poi di scrutare ha bisogno intorno alla conservazione di Cesare, se non colui che qualche cosa contro di essa ha in mente o desidera, o spera e si attende quando essa sia venuta meno? Ché non con la stessa intenzione si fanno consultazioni circa i propri cari e circa i propri signori. Altrimenti sollecita è la preoccupazione del sangue, altrimenti quella della servitù.
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