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LA DIVINITA' DI CRISTO NEI VANGELI SINOTTICI

Ultimo Aggiornamento: 30/12/2020 15:32
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07/02/2014 14:55
 
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 traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection


 - ESAME DI ALCUNE DICHIARAZIONI SINOTTICHE SULLA DIVINITÀ' DI GESÙ'


Osservazioni generali. -

1. La Chiesa cristiana crede nella divinità di Gesù; questo è uno degli articoli più fondamentali del suo credo. Si può dire cristiano chi lo rigetta? Se tale articolo è un errore, la " grande illusione " di cui parlava Dielitzsch, dev'essere cercata nel Nuovo Testamento, non nell'Antica Legge, che da Abramo a Gesù, non durò di più della nuova, da Gesù a nói. Il suo campo d'azione si limitava a un popolo nel quale ci furono degli insubordinati; la fede cristiana invece vuoi conquistare il mondo e si presenta come l'ultima parola delle comunicazioni divine all'umanità. Se la Chiesa c'inganna su un punto tanto essenziale, essa bestemmia, e i caratteri di credibilità di cui è dotata, santità e unità, diffusione meravigliosa e stabilità, non sarebbero altro che appelli a un intervento divino per appoggiare l'errore. La prova della divinità di Gesù differisce da quella dell'esistenza di Dio, in cui, affidandoci al valore della nostra conoscenza, dal creato risaliamo all'increato, dal finito all'infinito, dal relativo all'assoluto.

Per la divinità di Gesù invece ammettendo l'esistenza di Dio, partiamo dall'asserzione di un uomo e gli chiediamo le prove della sua dichiarazione, perché Dio non può, senza rinnegarsi, autenticare la menzogna -e un uomo senza il soccorso divino non può fare miracoli e profezie, basi solide e semplici su cui Gesù poggiava la sua dichiarazione divina. La prova dell'esistenza di Dio è un appello alla filosofia, quella della divinità di Gesù è un appello alla storia.

2. Nel momento della redazione dei sinottici, gli scritti paolini provano che il cristianesimo, partito da una predicazione molto semplice, s'era ben presto reso conto della profondità del suo insegnamento. L'apostolo delle nazioni rappresenta uno stato della teologia, della cristologia e della soteriologia che alcuni vollero opporre al dato primitivo. Paolo o Gesù, Paolo contro Gesù, fu il tema d'una discussione molto viva che ormai si tende a riconoscere come molto vana. (Cfr. C. H. Dodd, The present Task in New Testament Studies, Cambridge, 1936). Ora si è generalmente d'accordo nell'ammettere che in Paolo l'evoluzione della credenza cristiana ha raggiunto lo stadio della fede nella divinità di Gesù. Perciò i critici devono risolvere il problema posto da loro stessi e che un autore protestante formula in questi termini: I critici " non si accorgono che il problema reale sta nello spiegare la data, relativamente tarda, che la tradizione ecclesiastica assegna a questi racconti ufficiali della vita del suo fondatore; e anche nel giustificare il carattere ingenuo e primitivo della presentazione di Cristo come viene fatta in Marco, essendo affermato che questo vangelo fu scritto dopo parecchi anni di sviluppo culturale e di speculazione teologica, supposti dalle epistole di San Paolo.

Ecclesiasticamente, anche se lo datiamo al 65, il Vangelo di Marco è, per così dire, già in ritardo di dieci anni sull'epoca in cui fu scritto. Se ne possono spiegare l'ingenuità e ls caratteristiche primitive da una tradizione antica e pura " (B. H. Streeter, The Four Gospel, Londra 1924, pp. 495-496; cfr. P. L. de Grandmaison, Jésus-Christ, t. ii, Parigi 1928, p. 76). Tale stato di fatto comporta una conseguenza di metodo per l'apologetica cristiana, l.o È facile far notare quanto sia vano il processo dei critici che vogliono cancellare dai sinottici ogni allusione alla divinità di Gesù. Siccome le comunità paoline avevano ricevuto un insegnamento esplicito, non c'è motivo di trovar difficile ammettere che Matteo, Marco, Luca abbiano condiviso questa fede e l'abbiano insegnata nel loro vangelo. 2.o Nello stesso tempo importa pure notare che, per rispondere alle obiezioni che dopo la scuola liberale troviamo identiche in tutti gli storici non credenti, bisogna dimostrare attraverso i sinottici che Gesù si dichiarò figlio di Dio nel senso metafisico e naturale della parola. Da parte loro i critici dovranno concedere che non occorreva, che non era necessario che tali dichiarazioni venissero fatte ad ogni pie sospinto durante il ministero. È necessario ma sufficiente dimostrare che Gesù ha emesso chiaramente questa affermazione in alcune circostanze. I critici ammetteranno pure che il silenzio di Cristo nelle narrazioni sinottiche non corrisponde a una sconfessione delle credenze paoline e giovannee, che resterebbero inspiegate. Gioverà leggere le assennate osservazioni del R. P. Benoit in Revue Biblique, t. xiv, 1947, pp. 606-612.

Varie dichiarazioni di Nostro Signore. - Questo studio si propone di esaminare i tre casi principali in cui i sinottici prestano a Gesù la rivelazione della sua filiazione divina e di mostrare che la testimonianza sinottica ha in se stessa garanzia di fedeltà e corrispondenza alle asserzioni di Gesù. Non trascuriamo il valore delle altre dichiarazioni del Signore di cui bisogna pure tener conto e che occorre richiamare prima di studiare i tre testi in questione. Gesù si dichiarò più grande dei profeti (Mt. 12, 41; cfr. 11, 9), di Giovanni Battista (Mt. 11, 9), di Davide (Mt. 22, 43), del tempio (Mt. 12, 6), degli angeli (Mt. 13, 41; 16, 27; 24, 31. 36); ha una potenza che opera miracoli e che può dare agli altri (Mt. 10, 8; Me. 3, 15; 6, 7; Le. 9, 6) che la eserciteranno riferendosi a Cristo anziché a Dio (Me. 16, 17; Le. 10, 17); Egli è padrone del sabato (Mt. 12, 8), legislatore supremo che porta perfezionamenti sostanziali alla legge di Iahvè (Mt. 5, 21. 27. 33. 34. 38); rimette i peccati (Mt. 9, 1 ss.; Me. 2, 5 ss.; Le. 5, 20 ss.; 7, 47 ss.) con un potere riservato a Dio (Me. 2, 7; Le. 10, 21) e attribuisce la stessa virtù purificante all'amore verso la sua persona, come a quello verso Dio (Le. 7, 47); delega la sua autorità senza fare appello a Dio, né a una qualsiasi procura (Mt. 16, 18; 18, 18); è il giudice del mondo (Mt. 7, 22. 23; 13, 41. 49; 16, 27; 19, 28; 24, 27; 25, 31), lo scopo, il centro d'ogni vita morale e religiosa (Mt. 5, 11; 10, 17 ss. 32. 37; 16, 24 ss.; 19, 16 ss.; 24, 9. 13). Gesù non si dice mai espressamente "figlio di Dio ", ma usa formule equivalenti: "È il figlio " (Mt. 11, 27; 24, 37; 28, 19; Me. 13, 32; Le. 10, 22); Dio è suo Padre (Mt. 7, 21; 10, 32; 11, 27; 12, 50 ecc), Gesù e gli uomini non hanno la stessa relazione verso questo Padre; Gesù non si include in una formula come " nostro Padre ", ma dice " il vostro Padre " (Mt. 5, 16. 45; Le. 6, 36; 12, 30. 32); altri gli danno il nome di Figlio (Mt. 3, 17; 17, 5; 14, 33; 16, 16; 26, 63; 27, 54); infine c'è un insegnamento più esplicito nella parabola allegorizzante del padre che manda il figlio a prender possesso della sua vigna (Mt. 21, 33); e nell'ordine dato agli apostoli di battezzare " nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo " (Mt. 28, 19). Queste le grandi linee desunte dagli apologisti nei sinottici per dimostrare la divinità di Gesù. Il riassunto che ne ho dato si trova in L. Kasters, art. Jesus Christus, nel Lexikon fui Theologie und Glaube, t. v, col. 349-350; di esso ho tralasciato i passi che saranno oggetto d'un esame più approfondito, la confessione di Cesarea, il logion giovanneo, la confessione al gran sacerdote.


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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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