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L'ESISTENZA di DIO E LA RAGIONE

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2022 15:37
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11/01/2014 17:08
 
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DIO ESISTE ?


demonstratio religiosa


perché occuparsi di Dio?


Perché ognuno di noi è desiderio di felicità piena e stabile, e questa non può trovarsi nella vita presente, che è per molti aspetti bella e attraente, ma è anche segnata dal male (ingiustizia, egoismi, violenze, sopraffazioni, menzogne, superficialità, solitudini) e finisce inevitabilmente, e imprevedibilmente (non sappiamo "né il giorno né l'ora"), con quella cosa non certo bella e gradevole che si chiama morte.



Non è questione di essere ricchi o poveri, fortunati o meno: tutti sono segnati dal male, e tutti devono morire. Dunque non regge l'idea che il rivolgersi a Dio sarebbe una consolazione per gli sfortunati o i poveri: esiste una comune sventura, un comune scacco, e solo una imperdonabile superficialità può non vederlo.

Dio esiste? la risposta della ragione

 

in positivo

 

nebulosa

 

In estrema condensazione, che Dio esista è attestato dall'esistenza della realtà, che è mescolanza di essere (e dunque non può essere ritenuta nulla) e di nulla (e dunque non può essere la pienezza dell'essere).

 

Se c'è la realtà, c'è la Realtà. C'è l'Origine della Realtà.

 

Se la realtà è ordinata, c'è l'Origine dell'ordine.

 

Se la realtà è bella, c'è la Bellezza piena e perfetta.

 

I filosofi cristiani hanno elaborato una serie di prove razionali dell'esistenza di Dio: si possono vedere le schede che ne presentiamo nel sito Cultura nuova, ad esempio la scheda su S.Tommaso d'Aquino, che ha dedicato particolare cura alla rigorizzazione dei tali argomenti razionali, ma più ancora la scheda sulle prove di Dio nel medioevo filosofico.

 

in negativo (se Dio non esistesse)

 

Si può avere una conferma della ragionevolezza della affermazione di Dio considerando a quali conseguenze vanno incontro coloro che ne negano l'esistenza.

 

implicazioni intrinseche

 

Dal punto di vista teorico negare Dio porta alle conseguenze che ben evidenziava il più lucido e coerente ateo che ci sia mai stato, Nietzsche: viene meno ogni centro, ogni punto di riferimento, ogni logica; risulta dunque impossibile, e questo lo aggiungiamo noi, qualsiasi autentico ragionamento, qualsiasi costruttività, qualsiasi affezione seria.

 

nota bene sul concetto di ateo

 

Come ricordava Maritain, non è detto che chiunque si definisca ateo lo sia davvero; come non è detto che chiunque dica di credere in Dio, ci creda davvero.

 

Che senso avrebbe ragionare se, non esistendo la suprema Razionalità, non esiste logica?

 

Che senso avrebbe costruire se, non esistendo il supremo Fondamento, tutto è a rischio continuo di totale, imprevedibilmente casuale, disgregazione?

 

Che senso avrebbe amare, in modo vero, quindi fedele e sincero, se l'altra persona non è che "un mucchietto di fosfati", un'ombra sul ciglio del nulla eterno?

 

Che ragione c'è, una volta negato Dio, di essere buoni, veri, giusti, fedeli, sinceri, se non per un calcolato tornaconto, che mina alla radice ogni possibilità di un legame autentico e profondo?

 

conferme storiche

 

Quello che una semplice riflessione rivela è stato tragicamente confermato dalla storia (collettiva) e ognuno lo può verificare anche nelle (piccole) storie quotidiane.

 

Quando l'umanità ha preteso di costruire una civiltà senza Dio e contro Dio, ha costruito una civiltà contro l'uomo, un inferno sulla terra, fatto di massacri in massa, di continua insicurezza e di sospettosità generalizzata, di violenze senza fine.

 

Il secolo senza Dio, il '900, è un tragico immenso cimitero di vittime dei presupposti atei della società: 10 milioni di morti per la Prima, 40 milioni di morti per la Seconda Guerra Mondiale, 200 milioni di morti "scientificamente" ammazzati dal comunismo. E non è ancora finita: l'attuale stretta del terrorismo, che colpisce un mondo sviluppato ancora abbarbicato al relativismo ateo, potrebbe rendere ancora più infernale questa "aiola".

 

inconsistenza delle obiezioni contro l'esistenza di Dio

 

si riducono a due grandi temi: uno, in negativo, a) l'esistenza del male e l'altro, in positivo, b) il desiderio di indipendenza assoluta.

 

a) l'esistenza del male

 

"Si Deus est, unde malum?" si chiedeva S.Agostino. Certo, la sofferenza e le contraddizioni sono una apparentemente grave obiezione alla esistenza di un Essere creatore, che sia al contempo infinitamente buono e onnipotente.

 

primo livello di risposta, metodologico

 

Tuttavia una ragione che si concepisca, come soltanto è sano si concepisca, come coscienza di ciò che esiste, come apertura alla realtà (una ragione, ad esempio, che vedendo arrivare un leone nella giungla non gli dica: "tu non puoi esistere, perché non rientri nei miei criteri"), una ragione sana, anche psicologicamente sana, non antepone degli a-priori, ma parte dal dato, dal reale.

 

E dunque il dato fondamentale che la realtà esiste, non può essere scalzato da un ragionamento che, se svolto con coerenza, porterebbe a dire che la realtà non esiste.

 

Non è evidente che l'esistenza del male sia incompatibile con l'esistenza di Dio.

 

E' evidente invece che se Dio non esistesse, non esisterebbe la realtà, che invece esiste.


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11/01/2014 17:09
 
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secondo livello di risposta, contenutistico


Che ci sia il male non è obiezione alla esistenza di Dio:

    1. primo perché c'è un male in qualche modo inevitabile, quello che S.Agostino chiamava male metafisico, che non potrebbe mancare in una creazione che è imperfetta (non è l'Essere) e variegata al suo interno in vari gradi di perfezione (alcuni enti creati sono meno perfetti di altri);

    2. secondo, perché quel male che invece è evitabile è dovuto non alla Volontà del Mistero, ma alla volontà della creatura: è l'uomo a scegliere il male (quello che S.Agostino chiamava male morale), e da tale scelta derivano come conseguenza altri tipi di male, ossia la sofferenza, in tutte le sue forme, e la morte.


domande e risposte


Obiezione n.1: ma perché Dio non impedisce all'uomo di commettere il male morale?
Perché Egli ha voluto creare un essere che fosse "a Sua immagine e somiglianza", dunque libero, e non un automa che eseguisse automaticamente delle operazioni ripetitive. Il Mistero ha accettato il rischio della libertà. Lo ha fatto perché solo così il valore della sua creatura umana è davvero pieno. Ma creare un essere libero vuol dire necessariamente creare un essere che può dire non solo sì, ma anche no, cioè può commettere il male.

In ogni caso nella Sua infinita sapienza Egli sa "trarre del bene anche dal male", così che S.Paolo ha potuto dire che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio": anche la crudeltà dei cattivi, anche le disgrazie. Così il peccato di Adamo viene chiamato Felix culpa, perché "ci ha meritato un Redentore così grande", perché nella Croce risplende l'amore infinito di Dio per l'uomo, e al contempo la straordinaria stima per la nostra libertà.

Obiezione n.2: ma perché Dio, a cui la natura obbedisce, causa terremoti, inondazioni, uragani e altre sciagure?
Anche questa non è una obiezione: in parte perché alcune sciagure naturali sono ascrivibili al male dell'uomo (come spesso capita nel nostro tempo), ma soprattutto perché, stante la condizione di lontananza dell'uomo da Dio e dunque di rischio gravissimo per l'uomo di dannazione eterna, Dio si trova per così dire costretto a richiamare l'uomo al suo limite (morale e ontologico) anche mediante questi mezzi estremi. L'uomo si crede Dio, e così rischia la dannazione eterna: Dio lo richiama a riconoscere di essere invece una creatura fragile, e così a volgersi a Colui che, Solo, può salvarlo. Che cosa è peggio: una sofferenza limitata nella vita presente, o l'eterna infelicità? Dio dunque opta per il "male minore", un piccolo castigo temporaneo, per evitarne uno maggiore, la dannazione eterna.

b) il desiderio di indipendenza assoluta

Lo ha detto benissimo Nietzsche: se Dio esiste, non può esistere il SuperUomo, cioè l'uomo non può essere SuperUomo, cioè non può essere lui stesso Dio. La filosofia dell'800 e del '900 ha appunto perseguito la via della autodivinizzazione dell'uomo: da Fichte a Hegel, da Comte a Feuerbach e Marx, per giungere aNietzsche, il delirio della presunta divinità dell'uomo ha incantato le menti di molti uomini del XIX e XX secolo, per venire alla fine scossa dalle tragedie del '900: le due guerre mondiali, i campi di concentramento e gli altri bei frutti dell'antropocentrismo ateo. Quando l'uomo ha voluto farsi come Dio, ha finito per distruggere sé stesso.

Del resto la rovina dell'umanità è cominciata proprio con quel peccato originale che è consistito esattamente nel voler essere come Dio: "eritis sicut dei".

Eppure ogni essere umano coltiva un po' questo assurdo sogno (assurdo non perché l'uomo desideri trascendere la propria natura: che infatti è chiamata a diventare come Dio, ma per grazia, mentre la assurdità è pretendere di possedere da subito e con le proprie forze quello che Dio ci ha promesso di dare come dono). E per questo si ribella a Dio. E il modo più radicale per ribellarsi a Lui è negarne l'esistenza.

difficoltà di una "fede razionale"

La ragione dunque può arrivare con certezza a dire che Dio esiste. Ma nessun essere umano ha mai potuto vivere di una pura certezza razionale dell'esistenza di Dio: tale certezza, semmai uno ci arrivasse con l'uso della pura ragione si rivelerebbe fragile, perché senza una rivelazione Dio resterebbe talmente avvolto nella tenebra, e così poco di Lui potremo sapere, che in pratica nessuno resisterebbe nell'atteggiamento di una "incondizionata obbedienza a Lui".

In tale situazione o si rinuncerebbe all'idea di Dio, in vista di un nichilismo di fondo, oppure si torcerebbe la apertura originaria, fatta di stupore e di disponibilità alla verità come più grande noi, ad una chiusura che ridurrebbe il Mistero a una propria misura limitata: si arriverebbe così all'idolatria, nel senso più ampio. Ognuno cioè si creerebbe un suo dio, secondo le proprie voglie e i propri schemi. Contraddicendo così la stessa essenza di Dio come Altro e Mistero.

Prova storica

Non a caso pochissimi sono stati nella storia coloro che hanno teorizzato una "religione naturale", puramente razionale. E quei pochissimi hanno totalmente fallito: nessuno li ha seguiti, e probabilmente nemmeno loro sono riusciti a mettere in pratica la loro idea. Ad esempio Voltaire, che credeva di avere finalmente scoperto chissà che geniale idea, arrivò, dopo il terremoto di Lisbona, a dubitare della stessa esistenza di Dio.

Per questo, l'unica possibilità che l'uomo ha per conoscere davvero e adeguatamente il Mistero è che questi si riveli a lui.


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19/03/2021 10:53
 
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L'ESISTENZA DI DIO E CONFRONTO CON LA SCIENZA



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19/03/2021 11:00
 
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19/03/2021 11:08
 
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LA SCIENZA DI FRONTE ALLA FEDE

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19/03/2021 11:12
 
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11/03/2022 16:58
 
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'L'a-teismo, escludendo una Ragione eterna e creatrice, fonda tutto ciò che esiste su una totale assenza di logica e razionalità, compresa la razionalità umana. Su una natura che è "nessuno", che si muove in modo cieco, senza nessun senso e scopo. Ebbene su questo modo di intendere la natura si baserebbe costantemente la logica e la razionalità umana.

L'ateismo è, logicamente, una contraddizione in termini, una posizione razionalmente insostenibile."

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "έν άρχη ήν ό λόγος (Gv1,1) 1) 1,1"
 
 
 
In questo scritto cerco di spiegare perché l'a-teismo, declinazione diretta del naturalismo, anche dal punto di vista razionale è una posizione logicamente contraddittoria e insostenibile.
Si tratta di una riflessione rivolta soprattutto a chi è abitato e interessato a riflettere, porsi domande, approfondire il significato della propria esperienza di vita.
"IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS" (Gv 1, 1)
Natura e ragione,
naturale e soprannaturale.
1. Il naturalismo è inconciliabile con la razionalità.
2. Il naturalismo è inconciliabile con la coerenza logica.
3. Il naturalismo è inconciliabile con la conoscenza della realtà.
4. Il naturalismo è inconciliabile con la conoscenza scientifica.
5. Il naturalismo è inconciliabile con il concetto di progresso.
6. Il naturalismo è inconciliabile con il giudizio morale.
7. Il naturalismo è inconciliabile con la libera scelta.
Conclusione.
1. Il naturalismo è inconciliabile con la razionalità.
Il termine "naturale" è un'espressione il cui significato non si riferisce soltanto alla natura in sé, ma anche al suo movimento. Il "naturale" è ciò che semplicemente accade, che procede spontaneamente, senza che qualcuno, oltre il medesimo processo naturale, intervenisse consapevolmente per modificarlo. Anche nel linguaggio comune si esprime questo significato, ad esempio quando si dice: "natura incontaminata", "sii naturale", "è naturale (cioè spontaneo) comportarsi così", ecc. Per questo occorre distinguere tra natura e ragione", tra naturale e razionale, ovvero tra la gran massa degli eventi naturali i quali procedono spontaneamente, e ciò che è distinto e non riducibile a questo genere di movimento: ragionare, ordinare, capire, ecc. Queste facoltà umane interagiscono con la natura ma, come osservato, non ne sono totalmente immedesimate. In questo senso si può dire che la ragione umana si comporta in modo "innaturale", cioè in modo diverso rispetto a tutto il resto dell'universo fisico conosciuto.
La natura infatti non ha una mente, è priva di ragione: non conosce, non pensa, non riflette, non sceglie, non ha senso critico, non progetta, non ha la coscieza dello scopo. Esattamente il contrario della ragione e della logica, proprietà assolutamente eterogenee rispetto al movimento spontaneo e involontario della natura.
(Cè una sola motivazione in base alla quale si può logicamente affermare che la natura si muova razionalmente, ovvero che sia mossa da una "Ragione" che la trascende).
2. Il naturalismo è inconciliabile con la coerenza logica.
Secondo la concezione naturalistica quella stessa ragione umana che dovrebbe stabilire ciò è razionalmente attendibile oppure no, sarebbe scaturita da una totale assenza di razionalità (vedi punto 1). Questa posizione però contraddice la base stessa che rende valido o no qualsiasi ragionamento, che si fonda invece su una cosciente coerenza logica. Se qualcuno affermasse qualsiasi cosa come conseguenza di un ragionamento a caso, insensato e senza cognizione di causa, è ovvio che subito quell'affermazione perderebbe di validità per chi l'ascolta.
In altri termini, da una parte non si riconosce attendibile una singola affermazione, qualora fosse emersa da un ragionamento illogico e irrazionale, ma nello stesso tempo si ritiene che la ragione umana nel suo insieme, dalla quale deriva ogni affermazione, sia figlia dell'irrazionalità, il risultato finale di un insensato divenire. Si adotta il criterio della razionalità per poter giudicare qualsiasi affermazione, non accorgendosi che quello stesso criterio scredita lo "strumento" (la ragione umana) che sta giudicando. La misura che si utilizza invalida il metro che sta misurando.
Come rileva giustamente C.S. Lewis: "Nessun ragionamento può essere valido se non lo si può interamente spiegare come risultante di un processo razionale". La questione quindi riguarda lo statuto stesso della razionalita, e quindi della coerenza logica, la quale non può prevedere alcuna soluzione di continuità.
In sintesi, la palese contraddittorietà del naturalismo, è ritenere che la ragione umana, da cui deriva ogni valida affermazione logica, non faccia parte di un percorso logico, essendo considerata l'epifenomeno emerso a sua insaputa all'interno di un accadere cieco e insensato, totalmente privo di razionalità.
3. Il naturalismo è inconciliabile con la conoscenza della realtà.
Se la ragione umana fosse totalmente immedesimata al divenire della natura, anche la sua capacità conoscitiva sarebbe soggetta, come tutta la natura, ad un continuo e imprevedibile cambiamento, non solo riferito all'oggetto che si conosce, ma anche alla stessa ragione che conosce. Il funzionameto cognitivo umano (inclusi gli strumenti epistemologoci adottati) dovrebbe essere del tutto estemporaneo e sempre condizionato da possibili e casuali mutazioni. È chiaro però che, modificandosi il funzionamento conoscitivo umano (che per il naturalista è collegato solo al meccanicismo naturale degli atomi del cervello), cambierà anche la percezione di ciò che si conosce. Ne risulta che anche la conoscenza non potrà mai essere in rapporto con la verità, ma solo con una sua provvisoria e variabile rappresentazione soggettiva.
Eppure constatiamo che non è cosi, l'uomo si pone domande e acquisisce conoscenze che oltrepassano il qui e ora; conosce quello che è accaduto molto tempo prima e fa previsioni su ciò che accadrà molto tempo dopo. La conoscenza umana con le sue domande non è diacronica, confinata nel momentaneo e nel particolare, ma sincronica e olistica: la comprensione del singolo avvenimento avviene all’interno di un ampio orizzonte conoscitivo spazio-temporale, che può interessare addirittura miliardi di anni luce. Ebbene, Questo fatto mostra come la conoscenza umana trascende, nel tempo e nello spazio, l'accadere meccanicistico e contingente che invece, per il naturalista, caratterizza la natura.
4. Il naturalismo è inconciliabile con la conoscenza scientifica.
Il conoscere scientifico attribuisce alla natura lo stesso schema logico corrispondente a quello della ragione umana, mediante il quale la natura è conosciuta. E non potrebbe essere altrimenti, perché tutto ciò che si conosce, passa inevitabilmente per le categorie mentali umane.
Ma questo presuppone che la ragione umana sia un "assoluto", cioè capace di "contenere" nella sua struttura conoscitiva la natura e le sue leggi, altrimenti non le potrebbe né conoscere né spiegare. In questo senso si può dire che la mente umana "contiene" l'universo, ma l'universo non "contiene" la mente umana.
C.S. Lewis osserva se non abbiamo le prove sicure che la realtà della più lontana nebulosa nella parte più remota dell'universo obbedisce alle leggi dello scienziato umano che le formula in questo momento e in questo luogo nel suo laboratorio, in altre parole se la ragione non è un assoluto, tutto cade in rovina. Però quelli che mi chiedono di prestar fede a questa concezione del mondo, mi chiedono nello stesso tempo di credere che la ragione unana sia semplicemente il prodotto repentino e involontario della materia inanimata in una fase particolare del suo interminabile e insensato divenire. Qui siamo chiaramente in contraddizione. Mi chiedono di accettare la conclusione e nello stesso tempo di screditare la sola prova sulla quale si può basare quella conclusione.
In sintesi la contraddizione che Lewis evidenzia è che da una parte il naturalismo non può fare a meno di applicare una corrispondenza assoluta, logico-razionale, tra il conoscente e tutto l'universo conosciuto, e nel medesimo tempo la nega, considerando la ragione umana un estemporaneo prodotto della natura irrazionale, sorto in una infinitesimale e insignificante regione dell'universo.
5. Il naturalismo è inconciliabile con il concetto di progresso.
Dal punto di vista naturalistico ciò che si definisce "progresso" è sia un'illusione sia un concetto filosoficamente insensato.
Un'illusione poiché in realtà, naturalisticamente parlando, da quando si nasce, ciascuno di noi e l'intera umanità non sta procedendo verso il miglioramento della vita, ma al contrario verso il disfacimento e la morte. Giorno dopo giorno. Quindi, se l'andamento di fondo come anche il risultato finale del proprio divenire coincide (oggi come ieri) con la propria distruzione e quella dei propri cari, dove sarebbe il progresso?
Solo per il fatto che che oggi si resta vecchi qualche anno in più (tra l'altro non tutti), per poi comunque sparire per sempre? O perché possiamo utilizzare una nuovo ritrovato tecnologico? È chiaro che questa visione di progresso "a scadenza", è una tragicomica sciocchezza.
Un concetto filosoficamente insensato, poiché il termine progresso implica che vi sia un riferimento oggettivo in vista del quale si possa dire di progredire o regredire. Ma il naturalismo nega proprio questo, sostenendo che la natura nel suo complesso procede senza scopo e senza riferimenti. Quindi, se il divenire è privo di riferimento verso il quale ci si dirige, anche il concetto di progresso non ha alcun senso.
6. Il naturalismo è inconciliabile con il giudizio morale.
Il naturalismo non riconosce nessuna finalità morale al processo della natura. Vige solo la legge della contingenza, determinata da una varietà di fattori genetici e ambientali. Ne deriva che secondo il naturalismo non può esistere un principio morale di riferimento oltre il mero accadimento, in base al quale si possa stabilire ciò che è bene o male, giusto o ingiusto. I sistemi morali di una società non sarebbero altro che convenzioni per regolare il vivere civile, che si possono mettere o togliere, come il codice della strada regola la circolazione delle auto. Se fosse così però, se non esistesse alcun riferimento oggettivo cui tendere, di conseguenza nessuna civiltà (o singola persona) potrebbe essere considerata moralmente "migliore" o "più avanzata" di un' altra. Eppure anche il naturalista, subito dopo che ha sostenuto questo, si mette a giudicare le idee e i comportamenti che ritiene non solo diversi, ma "peggiori" dei suoi. Anche lui, contraddicendosi, si mette a fare "la morale" agli altri, accusando la cultura nazista o comunista, statalista o liberista, nazionalista o mondialista e, sottolineo, non solo contrastando, ma dando giudizi morali su ogni cosa: religione, politica e leggi statali.
7. Il naturalismo è inconciliabile con la libertà di scelta.
La libertà di scelta non si riferisce tanto al numero di scelte che l'uomo è in grado di fare o non fare, ma alla facoltà dell'io di poter scegliere tra più opzioni possibili. Significa avere la capacità di agire in un modo piuttostosto che in un altro, di poter decidere di obbedire o disobbedire ad un determinato stimolo. Ciò è realizzabile soltanto se nell'uomo esiste una dimensione che trascenda e non sia totalmente soggetta (sottolineo totalmente) al determinismo della natura e al condizionamento della cultura in cui vive. Affinché ci possa essere la scelta, l'io deve poter trascendere e governare le opzioni di scelta, poche o molte che siano, e non identificarsi totalmente con nessuna di esse. Se non fosse così, l'atto della persona non sarebbe una scelta ma una necessità, determinata da una varietà di combinazioni genetiche e culturali. La persona non sarebbe altro che il prodotto degli input che si ritrova ad eseguire. Di fatto un automa.
Se fosse così però, se cioè non esistesse la libertà di scelta, allora bisognerebbe cancellare anche la responsabilità morale (morale non causale), perché qualsiasi atto che la persona compie sarebbe determinata a compierlo, e non potrebbe scegliere di non compierlo. Eppure anche gli stessi naturalisti, non solo giudicano gli atti, ma anche la persona che li esegue. Anche loro elogiano e accusano, premiano e puniscono, come se quella persona avesse potuto compiere una scelta diversa da quella che ha compiuto. Quindi da una parte il naturalista coerente sostiene che la libera scelta non esiste e che è solo un'illusione, ma nello stesso tempo si rapporta con le persone come se questa capacita ce l'avessero.
Conclusione.
Per questi motivi (e non solo) si può arrivare a capire che la ragione e la conoscenza umana, come anche l'agire morale e la libera scelta, non possono essere considerati il mero prodotto di un cieco e insensato divenire naturale, ma solo frutto di un "Principio" razionale, riflessi di una "Ragione" creatrice che trascende il tempo, la contingenza e la causalità fisica della natura. "Se la Ragione viene "prima" della materia e se la luce di quella Ragione originaria illumina le menti finite, posso capire come gli uomini siano giunti, tramite l'osservazione e la deduzione a conoscere molte cose riguardo all'universo in cui vivono. Se invece le intelligenze dipendono solo dai cervelli, e i cervelli dalla biochimica, e la biochimica (alla lunga) dal divenire insensato degli atomi, non riesco a capire come il pensiero di quelle menti abbia più significato del frusciare del vento fra gli alberi". (C.S.Lewis)
Ne risulta che concezioni come naturalismo, positivismo, ateismo, panteismo, e ogni qualsivoglia posizione filosofica o religiosa che consideri la ragione umana come mero epifenomeno della natura, e che quindi la faccia derivare da un processo privo di razionalità, è logicamente insensata.
"In Principio era il Logos" (Gv 1,1). Scartata l'ipotesi naturalistica, questa espressione racchiude l'unica verità, non solo di fede, ma anche razionalmente e logicamente sostenibile. A mio avviso, non possono esistere altre possibilità.

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10/04/2022 15:37
 
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Solo i credenti possono fidarsi della ragione



Se il naturalismo è vero, siamo solo un incidente casuale di un’evoluzione cieca ed i nostri pensieri equivalgono a mere reazioni chimiche. Perché dovremmo fidarci dei prodotti della mente? Per i cristiani, invece, la ragione è un dono di Dio e ha un’origine evolutiva non casuale.


 
 
 

Le nostre capacità cognitive sono affidabili?

Se il naturalismo fosse vero, l’essere umano sarebbe solo un incidente casuale dell’evoluzione e la risposta sarebbe negativa.

Lo stesso celebre naturalista Charles Darwin lo intuì quando scrisse: «Mi sorge sempre l’orrido dubbio se le convinzioni della mente umana, che si è sviluppata dalla mente degli animali inferiori, siano di qualche valore o in qualche modo attendibili. Chi riporrebbe la sua fiducia nelle convinzioni della mente di una scimmia – se pure esistono delle convinzioni in una tale mente?» (1881).

Dal momento che la selezione naturale si limita a premiare i comportamenti che aumentano l’adattamento, non ha alcuna importanza se le convinzioni che stanno alla base di quei comportamenti siano vere o false.

Se si accetta il riduzionismo materialista, implicito nel naturalismo, ogni comportamento umano è causato esclusivamente da processi cerebrali deterministici, i quali sono l’unica fonte delle nostre convinzioni.

Perché il cristiano può fidarsi della ragione.

Nel febbraio scorso ne ha parlato anche Michael Egnore, rinomato neurochirurgo della State University di New York.

Egnore è partito dalla constatazione che gli atei comunemente affermano che esisterebbe una profonda dicotomia tra fede e ragione, ma egli obietta che la validità della ragione non può essere convalidata dalla ragione stessa.

Il cristiano è legittimato a fidarsi della sua ragione in quanto la ritiene un dono di un Dio creatore per aiutarlo ad accedere alla conoscenza del mondo. «Questa è una giustificazione coerente per fidarci della nostra capacità di ragione», scrive  il neurochirurgo.

La massima apertura della ragione si verifica infatti quando quest’ultima percepisce il presentimento di un significato profondo nell’esistenza, quando diventa cosciente di un’incompiutezza ultima per cui solo un Infinito può darvi risposta e culmina nel sospiro di una rivelazione.

«Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano», scriveva Pascal.

I filosofi: «I naturalisti non possono credere alla ragione»

Ma se davvero fossimo il prodotto casuale di un’evoluzione cieca? Con quale garanzia potersi fidare della nostra capacità intellettiva? In base a cosa si può essere convinti che vi sia qualcosa di assolutamente vero o falso?

Ne abbiamo già parlato in passato, riprendendo il famoso argomento del filosofo statunitense Alvin Plantinga.

«Gli atei hanno la stessa fede dei cristiani: credono di avere accesso anche loro alla verità», osserva oggi Michael Egnore.

«Ma l’ateismo non fornisce alcuna garanzia coerente per fidarsi della capacità di ragione. In questo senso, la fede atea è molto più radicale e molto meno coerente della fede dei cristiani».

E ancora: «La fede atea nella validità della ragione è infondata e ingiustificabile, ed è quindi una fede molto più radicale e molto meno credibile».

Se i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre speranze sono semplicemente il risultato di reazioni chimiche, come indica il naturalismo, perché dovremmo fidarci di essi? Quanto è probabile che le nostre capacità cognitive siano affidabili, data la loro origine puramente casuale? Molto poco.

Ecco la riflessione dell’eminente matematico di Oxoford, John Lennox: «Il riduzionismo ontologico si riduce al tentativo di sollevarsi tirandosi su per i lacci delle scarpe. In fin dei conti, è l’uso dell’intelletto umano ad aver indotto alcune persone ad adottare il riduzionismo ontologico, il quale comporta il corollario che non vi è motivo di fidarci del nostro intelletto quando ci dice qualcosa; tanto meno, in particolare, quando ci dice che tale riduzionismo sia vero»1.

Lo ha spiegato molto bene anche J.P. Moreland, docente di Filosofia presso la Biola University (California):

«Se la mente fosse emersa casualmente dalla materia senza l’input di un’Intelligenza superiore, sorgono immediatamente due problemi. Primo, perché dovremmo fidarci e ritenere veri o razionali i prodotti della mente? In secondo luogo, se il pensiero implica il formulare entità astratte (proposizioni, leggi della logica ecc.) stanziate nella propria mente, allora sembra incredibilmente improbabile che una proprietà emersa dalla materia in una lotta per la sopravvivenza possa produrre pensieri. Che questa proprietà emergente possa contenere e produrre entità astratte sarebbe un’incognita irrisolvibile».

L’affidabilità “cieca” alla propria ragione, dunque sembra giustificarsi ed adattarsi meglio solo all’interno di un contesto teistico in cui si presuppone l’origine non casuale della nostra mente e della coscienza.

fonte UCCR


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