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IL PRIMATO durante il primo millennio

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2017 10:47
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03/12/2013 10:40
 
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Il primato del Papa



Il Primato del Vescovo di Roma nel primo millennio

di N. Cipriani

Il primato del vescovo di Roma è oggi al centro del dibattito teologico, per il suo enorme impatto nel dialogo ecumenico. Certamente la dottrina e l'esercizio di questo primato trovano il loro fondamento nei libri del Nuovo Testamento, che permettono di risalire alla volontà stessa di Cristo. Ma tali testi scritturistici non sono stati intesi in maniera omogenea nella Chiesa. Lo sviluppo della coscienza ecclesiale su questo, come su altri punti dottrinali, è legato inevitabilmente alle circostanze storiche e geografiche. Ciò impone un approccio storico-critico al tema, alle fonti letterarie e ai fatti tramandati. Noi qui ci limitiamo a esaminare le risonanze o le letture che di tali testi sono state fatte nella chiesa del primo millennio: la coscienza sempre più chiara delle responsabilità primaziali da parte dei successori di Pietro, e le contestazioni o la ricezione più o meno ampia e convinta nelle altre parti della Chiesa.


La chiesa romana nell'età sub-apostolica

Le prime ed esplicite rivendicazioni del primato non incominciano ad affiorare se non verso la fine del I e durante il II secolo. Sono due i documenti più significativi al riguardo: la lettera di Clemente Romano ai Corinzi e la lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani. La prima lettera si presenta non tanto come un intervento personale di Clemente quanto come un intervento della chiesa romana:"La chiesa di Dio che è pellegrina in Roma alla chiesa di Dio che è pellegrina in Corinto". I mittenti si rammaricano di essere intervenuti troppo tardi a sedare la contesa ecclesiale di Corinto, a causa di circostanze avverse(1,1); essi preferiscono esortare fraternamente alla concordia e all'unità, ma non rinunciano a richiamare all'ordine, ricordando le norme stabilite dalla tradizione circa la successione dei ministeri nella chiesa(40-44) e usando un tono perfino minaccioso(57,1-2; 59,1-2); per essere certi dei buoni risultati della loro iniziativa, affidano la lettera ad alcuni inviati, "che saranno testimoni tra voi e noi", affinché si conosca "che tutta la nostra sollecitudine è stata ed è che raggiungiate al più presto la pace"(63,3-4). La lettera, quindi, più che la coscienza di un primato personale del vescovo di Roma, attesta la consapevolezza di una precisa responsabilità della chiesa di Roma nei confronti di quella di Corinto. Tale consapevolezza sembra condivisa dai cristiani della città greca, che accolse la lettera con rispetto e venerazione. La stessa coscienza sembra riflettersi nella lettera di S.Ignazio di Antiochia ai Romani. Il suo saluto iniziale alla chiesa di Roma è assai diverso da quello rivolto alle altre chiese: essa non è soltanto "la chiesa amata e illuminata per volontà di colui che ha voluto tutte le cose che sono secondo la carità di Cristo"; è ancora la chiesa "che presiede nel luogo della regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, degna di beatitudine, degna di lode, bene ordinata, casta e che presiede alla carità, avendo la legge di Cristo e il nome del Padre". Gli studiosi si sono impegnati a decifrare soprattutto le espressioni: "presiede nel luogo della regione dei Romani", e "presiede alla carità". Chi ci vede affermata una preminenza solo morale, dovuta alla generosa attività caritativa di quella chiesa, e chi un riconoscimento della sua autorità. E' uno dei tanti testi, concernenti il nostro tema, che difficilmente si possono leggere senza farsi influenzare dalle proprie convinzioni previe. E' interessante comunque notare da un lato il rispetto manifestato da Ignazio verso la Chiesa di Roma, alla quale non osa dare ordini, perché essa li ha ricevuti dagli Apostoli Pietro e Paolo (IV,3) e essa stessa ha insegnato e comandato agli altri (III,1), dall'altro il suo assoluto silenzio circa la presenza di un vescovo a Roma, mentre l'accenno non manca nelle sue lettere dirette alle chiese dell'Asia minore. A Roma in questo tempo non era ancora avvenuto il passaggio dal collegio dei presbiteri all'episcopato monarchico nella direzione della chiesa, anche se Clemente, l'autore della lettera, doveva ricoprire un ruolo eminente. La posizione di preminenza della chiesa romana nel II sec. è testimoniata anche dal gran numero di cristiani, ortodossi e eretici, che vi accorrono: il martire Giustino vi istituì una scuola di filosofia; Policarpo, vescovo di Smirne, martirizzato nel 167, vi venne a consultare il papa Aniceto sulla questione della Pasqua[1]; il giudeo-cristiano Egesippo vi dimorò a lungo allo scopo di stabilire l'ordine della successione apostolica dall'inizio fino al papa Eleuterio[2]. Soprattutto le visite di questi ultimi mostrano che la preminenza della chiesa romana non era legata tanto al fatto di essere nella capitale dell'impero, quanto a motivi religiosi. Ciò appare confermato dalle testimonianze di diversi autori del II secolo, riferite da Eusebio di Cesarea: sia Papia di Gerapoli che Clemente Alessandrino nei loro scritti avrebbero parlato della predicazione romana di Pietro, associandogli l'evangelista Marco[3]; Dionigi di Corinto verso il 170 avrebbe attestato la missione apostolica e il martirio sia di Pietro che di Paolo a Roma[4]; il presbitero romano Gaio, nei primi anni del III secolo, si diceva in grado di mostrare sul colle Vaticano e sulla via Ostiense le tombe dei due Apostoli, "che hanno fondato questa chiesa"[5]. La preminenza della chiesa di Roma nel II sec., insomma, appare legata non tanto a fattori politici, quanto al ricordo della dimora, dell'insegnamento e del martirio di Pietro e di Paolo nella città.
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Lu 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà A CAPO della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
 
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