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MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
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27/11/2014 06:49
 
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Lc 21,20-28

Questo testo è il compimento apocalittico di Israele, della parola di Gesù e dell’esperienza della Chiesa. La completa disfatta di Israele nella guerra del 70 e l’angoscia generale contengono già in germe la distruzione del mondo.
La tragedia di Israele ha sconvolto il popolo di quel tempo, perché ha visto la terra dei suoi antenati devastata e ridotta a un cumulo di rovine. La caduta di Gerusalemme non fece che confermare le apprensioni di quelli che dicevano: il tempo di questa terra sarà presto compiuto (Lc 21,20-24) e le catastrofi sulle quali scenderà l’ombra minacciosa della morte dilagheranno sul mondo intero (Lc 21,25-26). Tuttavia, coloro che credevano nell’immortalità dell’anima umana sapevano bene che questi cataclismi non erano la fine del mondo, perché, se un individuo può morire, la sua anima è liberata e sale in cielo.
Questa verità è affermata chiaramente nella Nuova Alleanza; la Chiesa afferma inoltre: in mezzo alle rovine del mondo, si erge la presenza salvatrice di Dio, che ci offre asilo e salvezza. La venuta del Figlio dell’uomo renderà giustizia ad ogni uomo. Così, nello stesso tempo la parola misteriosa della devastazione ha una risonanza consolatrice: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).
Il senso della storia non sta nella distruzione dei popoli di questo mondo. Perciò in questa successione di massacri, in questa storia priva di significato e che annienta, stritola la vita dei suoi figli, dobbiamo ascoltare malgrado tutto le parole di Gesù: “Rallegratevi”. La vittoria non sta nel trionfo del male o della morte, ma nel Cristo che ci invita a conservare la sua parola, a stare in guardia e a camminare sulle sue orme. La risposta ai nostri interrogativi sulla vita e sul senso della vita si trova nella risurrezione di Cristo, che è la verità eterna. Ogni cosa acquista valore alla luce di Cristo, nel trionfo di Gesù sulla morte. Chi scopre Gesù nella propria vita ha trovato la pienezza assoluta della sua esistenza.
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28/11/2014 06:32
 
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Due riflessioni di carattere apocalittico costituiscono questo testo: una parabola sui segni premonitori della fine dei tempi (Lc 21,29-31), e una sentenza enigmatica sulla venuta prossima del regno di Dio (Lc 21,-32-33).
Come il germogliare degli alberi in primavera, gli eventi evocati da Luca nel capitolo 21 del suo Vangelo sono segni premonitori della fine del mondo: guerre, persecuzioni dei credenti, terrore e morte (Lc 21,26-27).
Una lettura attenta e approfondita ci permette di scoprire il segno della fine iscritto nella natura stessa dell’uomo. La vita dell’essere umano è un movimento che, da una parte va verso una comprensione e una scoperta sempre più grande del mondo, dall’altra va verso la morte e la sua disparizione.
La morte e la risurrezione di Cristo ci fanno comprendere che la vita umana e terrena va silenziosamente verso la sua rovina ed è precisamente dopo la morte di Cristo che rifulge il messaggio di una vita nuova in Dio, che si manifesta in maniera luminosa a Pasqua e che ci dà la gioia di vivere. Il segno della croce di Cristo è il segno dell’amore di Dio per l’uomo e della salvezza che gli viene accordata. Tutta la vita dell’uomo è circondata da misteri divini fondamentali. E oggi, che il nostro mondo si rivela in cattivo stato, la fiamma della speranza in Gesù Cristo - che ci ha salvato morendo sulla croce - deve continuare a brillare nei nostri cuori.
L’amore di Dio è più forte della morte! Dio non ci dimenticherà al momento della nostra morte. Egli ci promette la felicità che non avrà mai fine.
In questo mondo tutto passa come i fiori di primavera. Così avviene anche dell’uomo. Questo ci procura afflizione, ma la risurrezione di Gesù ci dà una speranza nuova: quella della vita eterna in Dio.
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29/11/2014 07:55
 
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Le parole di Gesù ci chiedono di essere pronti e vigilanti: l’ultimo giorno è vicino. Dunque bisogna prepararsi ad esso.
Questo avvertimento ci ricorda che esiste la Verità e che la nostra vita ha un senso profondo. Questa Verità è precisamente nostro Signore, che dà un fondamento alla nostra esistenza e che con la sua grazia illumina il nostro essere interiore. È a motivo di questo dono e del suo appello che è necessario che rimaniamo pronti e vigilanti.
Per questa ragione, il dovere della vigilanza è un imperativo primordiale in vista del mondo futuro. Ogni uomo ha il dovere di preoccuparsi della sua vita personale, in modo che la morte non lo colga in stato di peccato mortale. L’avvertimento, l’esortazione che costituisce questo brano di Vangelo si applica anche alla nostra situazione presente, all’importanza, al significato e al valore del tempo che viviamo.
Per comprendere nel modo giusto la fine del mondo, è necessario che non perdiamo di vista questo: il regno di Dio (il regno di Gesù) arriverà domani e la prossimità della sua venuta comporta un sovrappiù di tentazioni e un combattimento più grande; ma essa ci porta nello stesso tempo la speranza di avere parte alla risurrezione di Cristo. Nella nostra esistenza quaggiù, siamo simultaneamente portatori di segni di morte e di risurrezione. Per questo dobbiamo essere attenti alla parola di Gesù e impregnare di essa la nostra esistenza per non correre il rischio di essere condannati al momento del giudizio finale.
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30/11/2014 07:52
 
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don Luca Garbinetto
Vegliate!

Vegliate!'. In quattro versetti, ritorna per quattro volte questo verbo, e tre volte come imperativo. ?Vegliate!': all'inizio del tempo di Avvento, all'ingresso nel nuovo anno che percorre tutta la storia della salvezza, Gesù ci esorta, con decisione, a un atteggiamento fondamentale: la vigilanza!

In che contesto ci viene indicato questo atteggiamento?

In primo luogo, Gesù ci ricorda che ci è stato dato un compito nella grande casa del nostro Signore. Dio ha creato il mondo e l'ha voluto affidare a noi, perché ne custodissimo la bellezza e la ricchezza, facendoci a sua immagine e somiglianza, perché potessimo essere segno e strumento per tutte le creature della misericordia del Padre. Il mondo, dunque, è stato pensato da Dio come sua casa, da gestire nell'ottica della salvezza. È la logica dell'economia trinitaria: l'economia è proprio la gestione della casa, e le nostre mamme ne sono le migliori esperte. La cura e l'utilizzo delle risorse del creato, a cominciare dai rapporti tra di noi e con ogni essere vivente, sono volute da Dio al fine di portare ogni uomo alla salvezza e di fare di ogni creatura una traccia del suo progetto di amore.

Purtroppo, il calore e la bellezza della casa di Dio sono stati sfigurati dall'irruzione del peccato nel mondo. È scesa la notte. Notte di dolore e di morte, notte di lacerazione e di violenza, notte di menzogna e di paura. Quanta notte nella nostra vita e nella vita dell'umanità! La libertà donata all'uomo, come creatura prediletta da Dio, è stata ferita dalla seduzione del Maligno, e così l'economia della salvezza ha avuto bisogno di una rinnovata presenza da parte della Trinità creatrice. È la presenza redentrice del Figlio: Egli deve venire, a squarciare la notte, a illuminare il buio, a restituire alla casa di Dio l'originaria bellezza e luminosità.

Ecco che Egli verrà, verrà di nuovo, nel bel mezzo della notte del male che ferisce la dignità dell'uomo, dell'umanità, del creato. Gesù ci annuncia così la Buona Notizia, e in Se stesso la realizza. Egli infatti è già la presenza sfolgorante della Trinità che salva. Egli è, nel suo corpo e nel suo sangue, anticipo e realizzazione della promessa di salvezza da parte di Dio.

Vegliare, dunque, ha un molteplice significato.

Innanzitutto, vuol dire aprire gli occhi per riconoscere la vera identità di noi stessi e di quanto ci circonda. Siamo frutto della bellezza feconda di Dio, generati dal cuore della Trinità per esserne presenza vivente nel mondo; e il mondo stesso è frutto di un'azione di amore gratuito da parte di Dio. Vegliare vuol dire quindi vincere la sottile tentazione di ?vedere tutto nero', di demonizzare e condannare a priori la realtà in cui ci troviamo, di catalogare ogni essere vivente e noi per primi come irrimediabilmente perduti. Vegliare significa alzare lo sguardo verso il Cielo, per riconoscere lì la radice dell'esistenza della terra e di chi la abita, accogliendo la Buona Notizia di un originario amore fedele e benevolo con cui Dio ha creato il mondo e ci ha fatti suoi figli.

In secondo luogo, vegliare significa non cadere nella ingenuità di nascondere a noi stessi la profonda ferita da cui sanguinano le vene dell'umanità. Significa riconoscere che il male e il peccato esistono, e che non sono frutto del caso o di un incidente di percorso nella spirale di maturazione progressiva della persona e del creato. Il Maligno ha impresso una piaga terribile nel cuore di ognuno, e chi si addormenta pensando che ciò riguardi solo miti del passato, ne rimane mortalmente infettato.

Ma vegliare vuol dire, poi, avere già sfiorato con stupore e riconoscenza la venuta del Figlio, che sana la ferita e restituisce a noi la bellezza delle origini. La vigilanza è l'atteggiamento di colui che attende con fede e trepidazione il compimento di quanto ha già percepito come vero e sicuro. Si tratta di una relazione, per ora vissuta come liberante e vera, ma non ancora goduta in pienezza: ne sgorga così una infinita nostalgia di compimento. Avviene allora che la veglia di chi attende si configura come una instancabile ricerca dei segni della sua presenza, come un appassionato sguardo verso le tracce del suo passaggio, come un fervente sospiro di gioia nel coglierne il profumo e l'ombra di luce.

L'uomo vigilante, dunque, non è il cacciatore terrorizzato di poter essere sorpreso dalla fiera feroce, né il timido agnello che sfugge ogni traccia del predatore pericoloso. L'altro, il mondo, il futuro, non sono minaccia e rischio, bensì opportunità e chiamata. Sono un kairos, di cui il presente contiene l'annuncio e la potenzialità di vita. L'uomo vigilante - il cristiano - è il figlio che corre incontro al Padre, perché ha intuito che il Padre sta facendo il tratto di strada più lungo e più duro, e non lo vuole far stancare di attesa e di nostalgia. L'uomo vigilante è il fratello che ha riconosciuto dentro di sé i segni della risurrezione donati in un soffio dal Crocifisso Risorto, e ?non sta nella pelle' fintantoché non gode in pienezza della gioia incontenibile della vita eterna.

In questo atteggiamento di speranza attiva, di cui è tanto bisognoso il mondo contemporaneo, la ferita del peccato viene guarita e rimarginata senza finzioni né sconti. E la sofferenza dei fratelli più poveri diviene il luogo privilegiato in cui riconoscere e rendere presente il raggio di luce che squarcia il buio della notte.
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04/12/2014 07:14
 
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Terminano qui i commenti biblici relativi all'anno liturgico A 

Proseguiamo a inserire i commenti del nuovo anno nella seguente sezione:

COMMENTI ALLE LETTURE BIBLICHE
DELLA LITURGIA QUOTIDIANA

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