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La Chiesa Cattolica e Ortodossa

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2014 16:05
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05/02/2014 20:22
 
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CAPITOLO II - MUTUAZIONE DEI DOMMI FONDAMENTALI

Santissima Trinità e Incarnazione sono i due misteri essenziali della nostra fede. Chi dice mistero, dice la deficienza della ragione creata a spiegare pienamente una verità che la supera. Tuttavia i teologi possono sforzarsi di usare i concetti e le parole umane per rendere questi misteri più accessibili all'intelligenza. Simili sforzi non sono esenti da pericoli: in realtà c'è sempre da temere che uno degli aspetti del problema non venga forzato a detrimento dell'altro, e in generale soltanto dopo una serie di successive reazioni viene trovata la formula che, con un giusto equilibrio, s'avvicina di più alla verità. Le Chiese separate d'Oriente si sono arrestate agli stadi (per sé provvisori) d'una considerazione troppo esclusiva d'un solo punto di vista, e questo arresto, considerato volontariamente come un termine definitivo, diviene d'allora in poi una vera mutilazione.

La verità totale dell'Incarnazione viene mutilata quando s'esagera tanto la diversità, quanto l'unità di quanto c'è di divino e d'umano nel Verbo fatto carne: abbiamo cosi il nestorianesimo e il monofisismo. Le Chiese ortodosse hanno minimizzato la pienezza cosi diversa della vita divina delle tre persone nella Santissima Trinità, rifiutandosi di ammettere la relazione incessante e mutua che le unisce tutte e tre, e che in termini teologici si chiama processione.

§ 1. - L'Incarnazione.

Il Nestorianesimo. -I maestri del nestorianesimo. - II nestorianesimo prese il nome da Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 426 e deposto nel 431 dal Concilio d'Efeso perché ammetteva due persone in Cristo. Ma egli fu soltanto uno dei maestri del sistema: accanto, anzi prima di lui, bisogna ricordare Diodoro di Tarso (dal 378 al 391-392) e Teodoro vescovo di Mopsuestia, (dal 392 al 428). Verso il 360 Diodoro aveva fondato un asceterìum ad Antiochia e Teodoro fu uno dei suoi discepoli. Per quanto possiamo dire dal piccolo numero delle sue opere che ci rimangono, Diodoro intendeva il termine fisi nel senso di natura completa, distinta, sussistente. Quando attribuiva a Cristo due nature, egli insisteva sulla loro inseparabilità, senza fare le necessarie riserve sul carattere sussistenziale di queste nature complete. Gli scritti di Teodoro attestano esplicitamente che l'unità personale che egli insegnava tra le due nature era soltanto una relazione: " Quando noi consideriamo l'unione, scrive nel trattato Dell'Incarnazione del Verbo, diciamo che c'è soltanto una persona ". Negava la comunicazione degli idiomi o proprietà tra la natura divina e quella umana; riteneva che se la natura umana di Cristo non aveva mai peccato, era tuttavia soggetta alla concupiscenza e capace di progresso spirituale. Checché se ne sia scritto, Teodoro ammetteva che Maria era la Madre di Dio (Theotokos) per relazione.

Fu Nestorio ad attaccare apertamente quest'espressione, tanto cara al popolo cristiano, e a scatenare la tempesta.

Tuttavia la sua dottrina è più cauta di quella di Teodoro di Mopsuestia, o forse più vaga. Per mostrare l'unione esistente tra le due nature di Cristo,

Nestorio paragona rispettivamente l'umanità e la divinità al tempio e a colui che lo abita, a colui che porta e a colui che è portato, allo strumento e a chi lo adopera, a Maria concepì un uomo strumento della divinità ". Nestorio ammette egualmente la concupiscenza e il progresso morale nel Cristo. Perciò quando parla d'un prosopon unico in Cristo, vuoi dire persona d'unione, che non è né il prosopon del Verbo preesistente, né quello dell'uomo, ma quello del composto. Il nestorianesimo fu condannato a Efeso (431), ma i suoi partigiani vollero vedere, sebbene a torto, una rivincita nel concilio di Calcedonia (451), che usa alcune espressioni conformi alle loro. Il concilio le intende in un senso diverso e ammette invece il termine Theotokos.

La Scuola di Edessa. - Non tanto la condanna della Chiesa, quanto l'attaccamento cieco alla dottrina d'alcuni maestri fu la causa per cui il nestorianesimo si mantenne vivo fino ai nostri giorni. Infatti nella scuola teologica di Edessa, che per ovvia ragione geografica era il seminario in cui venivano formati numerosi giovani persiani, Diodoro e soprattutto Teodoro di Mopsuestia godevano di grande autorità. Alcuni professori di questa scuola, come Barsauma e Narsai, emigrarono nella Persia e il 457 organizzarono a Nisibi una grande scuola, erede di quella di Edessa, dopo che questa fu chiusa per ordine di Zenone (489). Essa divenne il vero baluardo del nestorianesimo, forza di prim'ordine della Chiesa persiana.

Il Nestorianesimo persiano. - Un sinodo di questa Chiesa, tenuto nel 486 sotto il catholicós Acacio, emanò una dichiarazione dommatica che è l'eco della dottrina di Teodoro di Mopsuestia: " La nostra fede nell'Incarnazione di Cristo deve confessare le due nature della divinità e dell'umanità... dimorando la divinità e persistendo nelle sue proprietà, e l'umanità nelle proprie ". Questa dottrina divenne moneta corrente, specie ad opera dei maestri della scuola di Nisibi, e non suscitò nessuna discussione, fino a quando Henana, capo di quella scuola alla fine del sesto secolo, insegnò una dottrina che s'avvicinava assai a quella di Calcedonia: egli ammetteva la parola Theotokos, l'unione ipostatica nel senso di Calcedonia, e pare si sia attaccato agli scritti di Teodoro di Mopsuestia. Egli finì col coallzzare contro di sé tutti i teologi dei quali il più celebre fu il monaco Babai il grande (morto verso il 628), che codificò la dottrina persiana nel suo trattato Sull'unione, e col suo influsso dominò tutta la teologia posteriore. Mentre fino allora tra i nestoriani la nozione d'ipostasi era stata un po' fluttuante, Babai la definì nel senso di sostanza singolare sussistente, e si orientò in senso nettamente opposto alla dottrina di Henana, insegnando che in Cristo vi sono due ipostasi. Babai scrive esplicito: a Se nel Cristo la divinità s'unisse ipostaticamente all'umanità, o l'umanità diverrebbe divinità, oppure la divinità diverrebbe umana: o Gesù sarebbe un dio apparente, oppure il Verbo sarebbe un uomo in apparenza ".

Situazione attuale. - Stavolta tra la vera dottrina e il nestorianesimo il fosso diventava invalicabile. Non si trattava più di difendere, anche esagerandola, la separazione tra la divinità e l'umanità di Cristo, ma di opporsi a priori, per spirito di sistema, a ogni altra interpretazione del domma, perché era d'importazione straniera e non rispettava le idee tradizionali della Scuola. I Persiani separati s'attengono sempre alle antiche formule: nel Cristo ammettono un prosopon, che nella loro lingua traducono parsopa, non chiamano Maria Madre di Dio, sebbene le professino la massima venerazione. Essi non si rendono conto che il dualismo che ammettono in Cristo distrugge la stessa nozione d'un Dio che solo può salvare la natura umana perché s'unisce ipostaticamente ad essa.

II Monoflsismo. - Orìgine ed evoluzione. - Anche il monofisismo usci da una teologia di scuola, e fu una reazione contro il nestorianesimo. Nella considerazione di Cristo, la scuola d'Alessandria è attratta prima di tutto dal lato divino; l'Incarnazione è l'opera dello stesso Verbo, secondo la formula di San Cirillo alessandrino: a Una è la fisi del Verbo incarnato ". Cirillo si pone sul terreno dell'avversario e qui intende la parola fisi egualmente nel senso di una natura completa e sussistente; nel 433 rinunciò a questa formula che si prestava all'equivoco e accettò l'espressione delle due fisi nel Cristo, indicando con la parola natura semplicemente te due forme reali che l'analisi distingue nella persona del Verbo incarnato. Quest'espressione fu consecrata dal Concilio di Calcedonia nel 451: "Un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito da riconoscersi in due nature, senza confusione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione ". I partigiani rigidi della dottrina di San Cirillo si ribellarono, e tra loro ci sono anche dei patriarchi ad Antiochia l'ultimo della serie è Severo, e ad Alessandria Timoteo n, deposti l'uno nel 518 e l'altro nel 548. Tutti e due aiutarono l'organizzazione d'una gerarchla dissidente e la costituzione delle Chiese monofisite, (siriaca e copta) i cui patriarchi hanno continuato fino ai nostri giorni.

Infatti si tratta realmente di vere Chiese monofisite, non solo scismatiche cioè ribelli per malcontento o insubordinazione, ma eretiche per lo meno nell'espressione della loro dottrina. Severo d'Antiochia infatti le aveva dato questo sistema: Cristo è composto di due nature, ma non ebbe due nature, che in lui ne formano una sola, egli a è disceso dal cielo, ha preso un corpo reale dal corpo della Vergine e non ha subito nessun cambiamento in ciò che egli era". Vi sono due categorie di opere compiute da Cristo, ma unica l'operazione e unica la volontà. Siamo di fronte a un monofisismo verbale, che volontariamente si allontana dalle definizioni di Calcedonia.

Anche l'Armenia aderì al monofisismo per spirito d'opposizione a questo concilio, al quale non aveva potuto mandare delegati. La Chiesa d'Etiopia poi, fondata da quella d'Egitto, quando si trattò di fare la scelta tra le due gerarchie alessandrine, si legò al patriarcato copto e ai suoi errori.

Situazione attuale. - Cirillo d'Alessandria e Severo d'Antiochia rimasero sempre i grandi dottori riconosciuti dalle Chiese monofisite. Teologi e intellettuali laici continuarono ad esaltare in libelli la a loro n dottrina dell'unica natura di Cristo. Come i nestoriani, ma in un senso opposto, essi rimangono vittime dei pregiudizi di scuola. I preti e i fedeli delle campagne s'astengono dalle discussioni e s'attengono alle grandi formule: " Cristo è Dio; Dio s'è incarnato " per timore di diventare ridicoli agli occhi dei musulmani loro vicini, che altrimenti li avrebbero accusati d'introdurre una divisione in Cristo, distinguendo due nature e di giungere così a quattro persone nella Trinità. La maggior parte degli attuali monofisiti si trova molto vicino al cattolicesimo, e la loro liturgia esalta insieme l'umanità e la divinità di Cristo. Pio XII nella Enciclica deU'8 settembre 1951 per il XV centenario di Calcedonia, riconosce apertamente che " sembrano deviare dal retto sentiero piuttosto con parole " e si sono allontanati " a causa di alcune espressioni di antichi mal comprese ", ossia " per un iniziale equivoco di parole ".

Se fossero sormontati gli altri ostacoli all'unione, bisognerebbe mostrare loro che la definizione di Calcedonia è la formula teologica più adeguata, che spiega tutti questi testi liturgici; bisognerebbe aggiungere, per quelli che ancora polemizzano, che lo stesso Cirillo alessandrino rese possibile questa definizione, accettando l'espressione delle due nature di Cristo, e che seguire fino in fondo l'esempio del glorioso dottore significa non regredire, ma progredire.
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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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