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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 22:27
 
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Maria, madre di Dio


Il riconoscimento di Maria «theotokos» è attestato abbondantemente a partire dal Concilio di Nicea. La prima testimonianza sicura è offerta dal vescovo Alessandro d'Alessandria (+ 325) in una lettera indirizzata ad Alessandro di Costantinopoli, dove precisa che il Signore Gesù «non ebbe soltanto l'apparenza, ma portò una vera carne assunta dalla Theotokos Maria [Epistula ad Alex. XII: PG, 18,568]. Verosimilmente l'espressione non è stata coniata da Alessandro. Se la preghiera Sub tuum praesidium attestata dal papiro 470 della John Rylands è della fine del III secolo, sarebbe una testimonianza ancor più antica dell'uso della theotòkos, comunque appartenente alla stessa area culturale.


E' però certo che dal III sec. le testimonianze sulla «deipara» si riscontrano presso autori appartenenti a diversi orientamenti dottrinali: Eusebio di Cesarea, Atanasio, Didimo il Cieco, ma anche Efrem il Siro, i Cappadoci, Cirillo di Gerusalemme, Apollinare di Laodicea, Teodoro di Mopsuestia, Giovanni Crisostomo e presso autori latini dalla metà del IV sec. (Cf Enchiridion marianum, a cura di D.Casagrande, Roma 1974). La controversia suscitata al Concilio di Efeso (431) intorno alla qualifica di theotòkos contestata da Nestorio, che preferiva «madre di Cristo» o «madre dell'Uomo», è stata preceduta da un secolo in cui questo titolo s'era pacificamente imposto. Ecco perché i Padri conciliari si appellarono ai «Padri» anteriori. Il concilio del resto è più cristologico che mariologico. La Lettera di Giovanni d'Antiochia a Nestorio 4, precisa che theotòkos è un nome che «è stato concepito e detto e scritto da molti Padri... Non v'è alcun pericolo nel dire e pensare le stesse cose di quei dottori che nella Chiesa hanno avuto una buona fama (doc. 14, Schwartz I, 1, 95).


La verginità di Maria


L'affermazione della verginità di Maria in partu e post partum trova nella Chiesa dei primi secoli voci discordanti. La riconoscono autori come Ireneo e Origene, ma si oppongono altri, come Tertulliano ed Elvidio, che dovevano fronteggiare la strumentalizzazione di queste prerogative. In effetti la verginità «in partu» trovava favorevole il docetismo gnostico che attribuiva a Cristo una nascita apparente. La verginità «post partum» era sostenuta dal manicheismo che trovava in essa un appoggio al disprezzo per le realtà matenali e, nella fattispecie, per il matrimonio. Occorreva svincolare la verginità «in partu» e «post partum» dai falsi principi ai quali erano state vincolate, ma si dovevano conciliare pure in ambito cristiano due esigenze della fede inconciliabili: la maternità fisica e reale di Maria con la sua verginità fisica e reale. La risposta dei Padri muove dalla cristologia e non rappresenta un panegirico dei «privilegi» di Maria. E' piuttosto legata all'idea della nascita di Dio, il quale non abolisce o rinnega la carne, ma le comunica il pegno del suo rinnovamento escatologico. Come Ambrogio dichiara: «Nello stesso (Cristo) troverai molte cose secondo natura e ai di sopra di essa... ma soprattutto il fatto che la vergine concepì e generò perché tu credessi che era Dio a rinnovare la natura ed era uomo lui che, secondo la natura, nasceva dall'uomo» (De Incarnatione 54).


Ad offrire un supporto alla verginità «in partu» e «post partum» ha concorso l'idea, presente nei Padri, delle tre nascite del Verbo: nascita dal Padre, nascita dalla vergine, nascita nel cristiano. La seconda nascita dalla vergine partecipa tanto della prima che attesta e replica temporalmente, quanto della terza per la quale diviene pegno ed esemplare. Maternità e verginità divengono così l'ideale del cristiano.


La santità di Maria


Superando l'idea quasi magica di una santità per contatto, taluni Padri, come il Crisostomo, rilevano che a Maria la sola maternità divina non sarebbe servita molto, dal momento che Dio aspetta una risposta libera e responsabile: «Se a Maria non avrebbe valso a niente l'aver partorito il Cristo qualora non fosse stata interiormente ricca di virtù, tanto meno gioverà a noi» (Commento in Gv. - Discorso XXI, 3; Agostino, De virginitate 3,3].


In questa prospettiva di risposta libera e responsabile a Dio, le parole di Gesù «chiunque fa la volontà del Padre mio... è mio fratello, sorella e madre» (Mt 12,50) si riferiscono principalmente a Maria e rilevano quel che conta per Cristo: la parentela spirituale che si costituisce nella comunione delle volontà. «Essa (Maria) - commenta Agostino - fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo» (Sermone LXXII A 7; De virginitate 5,5). Questo adeguamento, se a livello di disponibilità appare totale sin dall'annunciazione, con l'andar del tempo si rivela sempre più consapevole e segue un cammino di progressività che, secondo alcuni Padri comporta la presenza e il superamento di imperfezioni umane quali la vanagloria, il dubbio, la presunzione. Basilio presenta Maria presa dal dubbio e scandalizzata al momento della passione [Lettera CCLX, 9]. Giovanni Crisostomo osserva: «Se Cristo si preoccupava degli altri e non trascurava niente perché avessero di lui un opinione adeguata, a maggior ragione doveva comportarsi così con sua madre» (Commento in Gv - Discorso XXI, 2).


La «santità» di Maria divenne oggetto di polemica nel V secolo, quando il monaco irlandese Pelagio, reagendo al pessimismo manicheo, prese ad affermare la bontà naturale dell'uomo non compromessa dal peccato originale. Contro Pelagio intervenne Agostino, il quale pur non negando la santità di Maria, ne riconobbe però il carattere eccezionale (De natura et gratia 42). La posizione di Pelagio venne ulteriormente approfondita dal vescovo Giuliano d'Eclano, che contestava la dottrina agostiniana secondo cui l'atto generativo non è mai esente da peccato a causa dellaconcupiscentia che l'accompagna. Cristo dunque non poteva nascere che da una «vergine». In questa visuale i motivi cristologici a base della mariologia primitiva si fondono con quelli ascetici, prima distinti e per i quali la verginità di Maria non appare tanto una prova della «eccezionalità» di Gesù quanto espressione di una latente disistima della realtà sessuale.


Giuliano, vescovo coniugato, reagì sostenendo la bontà naturale del matrimonio e della concupiscenza e negando l'esistenza del peccato originale. In questo contesto Maria è assunta ad esempio di creatura non macchiata dal peccato d'origine. Tale affermazione dell'«immacolata concezione» sostenuta da Giuliano contro Agostino, il quale insisteva piuttosto sul dominio universale del peccato originale, rende ragione delle difficoltà che questa dottrina ha trovato ad affermarsi entro la Chiesa medievale d Occidente fortemente improntata dal pensiero dell ipponense.


Questo «excursus» fa rilevare come le attribuzioni mariane, per la loro risonanza dottrinale, ebbero un cammino laborioso nella riflessione teologica. Anche la mariologia è stata costretta ad un notevole approfondimento dalla polemica, che ha fissate delle piste non certo uniche, come dimostra l'Enciclica Redemptoris Mater, sempre feconde (L. PADOVESE, Prospettive della tradizione patristica nella Redemptoris materin Redemptoris mater - contenuti e prospettive dottrinali e pastorali (Atti) a cura della Pont. Acc. Mariana Intern., Roma 1988, 89-103).


1. Ottima guida è l'opera, in quattro volumi, a cura di G.Gharib, E. Toniolo, L.Gambero, G. Di Nola, Testi mariani del primo millennio, edita da Città Nuova, Roma 1988; cf L. MORALDI, Introduzione Apocrifi del Nuovo Testamento,TEA, Milano 1991.

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