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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 21:47
 
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5. Gregorio di Nissa: fondatore della teologia mistica


Il cervello del gruppo, il vero e proprio teologo e filosofo tra i Cappàdoci, fu Gregorio di Nissa (335-394), fratello minore di Basilio. Non eccelse nella politica ecclesiastica, o come il Nazianzeno nella retorica e nella poesia, ma occupa tuttavia un posto importante nella storia della teologia speculativa e di quella mistica in particolare.


Il Nisseno mantenne sempre particolari legami spirituali con la sorella Macrina, di cui scrisse una biografia, ma rimase all'ombra del piú celebre fratello (che lo aveva nominato vescovo di Nissa nel 371) per diversi anni, finché, morto questi, ne raccolse l'eredità teologica e monastica, impegnandosi chiaramente con opere di controversia antiariana e di esegesi biblica.


Affascinato, forse anche piú di Basilio, dalla lezione di Origene, Gregorio ne condivise alcune dottrine audaci come l'apocatastasi; tuttavia non esitò a prendere le debite distanze dalle piú contestate affermazioni del maestro alessandrino. Aderendo, infatti, al dettato biblico, Gregorio afferma che la creazione dell'uomo non è dovuta alla caduta delle anime nei corpi, ma che l'uomo intero è stato creato fin dall'inizio da Dio, cosí com'è raccontato nelle Scritture (Sulla creazione dell'uomo Grande discorso catechetico). Egli afferma decisamente l'immortalità dell'anima, della quale discute in uno splendido dialogo d'ispirazione platonica che si immagina tenuto fra Gregorio e la sorella Macrina sul suo letto di morte: Sull'anima e la resurrezione, che è alla base di tutta una teologia mistica che vede l'anima impegnata in una tensione di continua purificazione e di superamento degli ostacoli derivanti dalle passioni materiali sulla via della perfezione e dell'unione mistica con Dio.


Così, rigettando taluni estremismi dottrinali di Origene, Gregorio diviene il primo grande teologo mistico del cristianesimo, l'iniziatore della teologia mistica che avrà altri cultori in Oriente nello Pseudo-Dionigi o in Massimo il Confessore, tutti debitori della lezione del Nisseno. Nella teologia mistica, la meditazione sulla conformazione dell'uomo, meditazione che si nutre della migliore tradizione filosofica greca, sfocia in una dottrina spirituale che si confronta con l'esperienza cristiana basilare del monachesimo e della vita ascetica.


Dallo scritto giovanile Sulla verginità fino alle opere ascetiche della maturità sul fine e la perfezione del cristiano, Gregorio non cessa di meditare sul mistero cristiano della vita monastica e sulle implicazioni mistiche e cristologiche dell'unione dell'anima purificata con il Verbo divino: la figura di Mosè e il Cantico dei Cantici offrono il modello biblico del discorso spirituale attraverso l'esegesi allegorica ereditata da Origene. Tale dottrina ha tanto piú valore per il fatto che Gregorio di Nissa era sposato (allora i vescovi potevano essere scelti anche tra gli sposati) con la santa donna Teosebia, e svolse gran parte dell'approfondimento sul valore della verginità e sui fastidi del matrimonio ancor prima di restare vedovo!


Uomo di carattere ombroso e schivo, tutto compreso della sua alta missione di teologo e di predicatore, non poteva non provare un incontenibile fastidio ed esprimere critiche mordenti su certe forme di devozione popolare molto in voga ai suoi giorni, come ad esempio i pellegrinaggi in Terra Santa, che gli dovevano apparire come rumorose e futili kermesses.


D'altra parte, la sua propensione verso la solitudine monastica, trovava giustificazione nell'indole proclive al pessimismo e nelle interpretazioni ideologiche della sua vasta cultura di derivazione eminentemente platonica, ma ancor più alla luce delle sue meditazioni sul mistero del male e della libertà dell'uomo che può decidere di rifiutare la salvezza come in principio accadde nel Paradiso terrestre. La centralità di questa tematica nello sviluppo del suo pensiero ne esalta la grandezza di teologo e lo avvicina singolarmente al piú grande Padre della Chiesa latina, Agostino, con il quale rivela notevoli impressionanti somiglianze di carattere e di fisionomia interiore. Non è un caso che Gregorio di Nissa sla al nostri giorni uno dei personaggi preferiti nello studio dei Padri della Chiesa, un'autentica riscoperta di grandezze forse per troppo tempo ignorate o sottovalutate.


Gregorio di Nissa, Sull'ideale perfetto del cristianoIl cristiano è un altro Cristo


Paolo ha conosciuto chi è Cristo molto piú a fondo di tutti e con la sua condotta ha detto chiaramente come deve essere colui che da Cristo ha preso il suo nome. Lo ha imitato con tanta accuratezza da mostrare chiaramente in se stesso i lineamenti di Cristo e trasformare i sentimenti del proprio cuore in quelli del cuore di Cristo, tanto da non sembrare piú lui a parlare. Paolo parlava, ma era Cristo che parlava in lui. Sentiamo dalla sua stessa bocca come avesse chiara coscienza di questa sua prerogativa: «Voi volete una prova di colui che parla in me, Cristo» (2 Cor 13,3) e ancora: Non sono piú io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).


Egli ci ha mostrato quale forza abbia questo nome di Cristo, quando ha detto che è la forza e la sapienza di Dio, quando lo ha chiamato pace e luce inaccessibile, nella quale abita Dio, espiazione e redenzione, e grande sacerdote, e Pasqua, e propiziazione delle anime, splendore della gloria e immagine della sostanza divina, creatore dei secoli, cibo e bevanda spirituale, pietra e acqua, fondamento della fede, pietra angolare, immagine del Dio invisibile, e sommo Dio, capo del corpo della Chiesa, principio della nuova creazione, primizia di coloro che si sono addormentati, esemplare dei risorti e primogenito fra molti fratelli, mediatore tra Dio e gli uomini, Figlio unigenito coronato di onore e di gloria, signore della gloria e principio di ogni cosa, re di giustizia, e inoltre re della pace, re di tutti i re, che ha il possesso di un regno non limitato da alcun confine...


La bontà del Signore nostro, dunque, ci ha resi partecipi di questo nome che è il primo e piú grande e piú divino fra tutti, e noi, fregiati del nome di Cristo, ci diciamo «cristiani». Ne consegue necessariamente che tutti i concetti compresi in questo vocabolo, si possono ugualmente vedere espressi in qualche modo nel nome che portiamo noi. E perché allora non sembri che ci chiamiamo falsamente «cristiani» è necessario che la nostra vita ne offra conferma e testimonianza.


Eusebio e la «teologia politica»


L'entusiasmo per il primo imperatore cristiano raggiunge in Eusebio (vescovo di Cesarea di Palestina dal 313 al 340) toni mai piú superati di celebrazione senza riserve, che prende forma letteraria nella Vita di Costantino, una biografia vicina in piú d'un punto alla narrazione agiografica [«vita di un santo»: la biografia di Costantino scritta da Eusebio assomiglia a una vita di san Costantino!]. Con quest'opera Eusebio esalta in maniera encomiastica, come si usava nei panegirici imperiali dell'epoca, i meriti acquisiti da Costantino non tanto nelle imprese politiche e militari, quanto piuttosto nell'opera di difesa e di propagazione della religione cristiana.


La figura e l'opera di Costantino sono in effetti al centro della speculazione teologica e politica di Eusebio che in lui vede compiersi la realizzazione di un sogno lungamente coltivato dalle precedenti generazioni cristiane e apertamente prefigurato da apologisti come Melitone di Sardi, già nel sec. II, e Origene: la creazione di un Impero romano-cristiano nel quale la coincidenza della nascita di Cristo con il regno di Augusto ricevesse pieno riconoscimento e adeguata valorizzazione, come segno della profonda identità di interessi che lega la Chiesa e l'Impero nella creazione e nel mantenimento di un nuovo ordine di pace universale in qualche modo anticipatore su questa terra del regno escatologico di Dio.


La prima «Storia della Chiesa»


Eusebio aveva vissuto di persona l'esperienza drammatica della lunga persecuzione di Diocleziano, e ne aveva visto tutti gli inenarrabili orrori, dei quali dà un saggio nell'opuscolo sui Martiri della Palestina, per cui non era forse in grado di rendersi completamente conto dei rischi inevitabili insiti nella nuova situazione di abbraccio troppo stretto tra Chiesa e Impero, un abbraccio che spesso sarebbe divenuto soffocante. Di fatto, nella sua opera di teologo, storico e apologista, Eusebio si rende l'interprete e l'ideologo ufficiale della nuova collocazione nella quale si è venuto a trovare il cristianesimo.


La sua Storia della Chiesa intende appunto descrivere il cammino percorso dalla comunità dei credenti sparsa per il mondo dalle origini, attraverso le persecuzioni e le lotte interne, verso l'immancabile trionfo finale dovuto proprio al provvidenziale e salvifico intervento di Costantino. Ed è di importanza enorme almeno per due ragioni:


- innanzitutto perché è la prima Storia della Chiesa in senso assoluto, se si prescinde dagli Atti degli Apostoli, e inaugura un genere letterario completamente originale e radicalmente diverso, pur nell'analogia dell'impianto narrativo, dalle opere della storiografia classica greca e latina; ad essa si ispireranno tutti gli storici ecclesiastici della Tarda Antichità e dell'Alto Medioevo: la traduzione latina dell'opera fu eseguita da Rufino di Aquileia, che ne assicurò il successo anche presso gli occidentali;


- in secondo luogo, perché introduce la grande innovazione di citare direttamente stralci piú o meno estesi di documenti antichi originali: ciò consente ancora oggi di conoscere aspetti, figure e avvenimenti del cristianesimo orientale dei primi tre secoli altrimenti ignoti.


La Storia ecclesiastica di Eusebio è come un grande mosaico di materiali preziosi; c'è soltanto da rimpiangere che non sia stato ancora piú generoso nel trascrivere documenti, e il fatto che le citazioni siano parziali e selezionate in base all'ottica teologica e apologetica che ispira la stesura della Storia nella sua unità, che rende talora problematica la stessa interpretazione dei documenti riportati.

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