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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 21:41
 
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Ilario durante e dopo l'esilio (356-360)


La vicenda dell'esilio segnò una svolta significativa nel pensiero di Ilario che, proprio grazie ad essa, fu il primo padre latino ad entrare in diretto contatto con i protagonisti e con il linguaggio teologico della controversia ariana orientale. Riuscí in tal modo a comprendere per primo come veramente stessero le cose, con una sicurezza fino ad allora ignota al cristianesimo occidentale.


Il mutamento intervenuto nella mente e nel cuore di Ilario si delinea chiaramente anche nella produzione letteraria: alCommento a Matteo scritto prima dell'esilio, nelle lontane contrade della Gallia, fa ora riscontro il poderoso trattatoSulla Trinità, in 12 libri, la prima grande opera sistematica scritta sull'argomento in Occidente (dopo il tentativo di Novaziano nel sec. III); per valore speculativo cede solo all'opera omonima di Agostino. Ilario dimostra piena padronanza della terminologia greca e, quindi, dei reali problemi ad essa sottesi. La sua sintesi trinitaria è un modello di chiarezza e di profondità che supera le incertezze della teologia latina precedente e apre la via alle ulteriori acquisizioni di Agostino.


Tornato in Gallia dall'esilio, dopo aver lottato contro gli ariani, Ilario si dedica intensamente alla attività di vescovo lottando sempre contro le resistenze ariane in Gallia e nell'Italia Settentrionale. Si distingue anche per la protezione data a Martino, il primo grande asceta della Gallia romana, che poi sarà vescovo di Tours, inaugurando in Occidente la serie dei vescovi-monaci. Sulpicio Severo, un aristocratico convertito agli ideali della vita monastica, ne scrive nel 397 una biografia, la Vita di san Martino, che entra in concorrenza addirittura con la Vita di Antonio scritta quarant'anni prima da Atanasio.


Ricordando dall'Oriente l'importanza che nelle liturgie locali possiede il canto del popolo Ilario commenta anche i salmi ai fedeli e compone inni per introdurli nella liturgia della sua chiesa, che però non ebbero fortuna. Probabilmente Ilario, uomo di pensiero innanzitutto, e secondo le necessità uomo d'azione e pastore attento alle esigenze della cura d'anime e della disciplina ecclesiastica, non possedeva una felice vena poetica e gli inni composti da lui erano troppo elaborati per riuscire accessibili all'orecchio e al cuore dei fedeli. Forse in questo volle seguire l'esempio di Ario in esilio, autore di Thalia, prosa ritmica. Restano solo tre inni autentici, di cui il I e il II sono alfabetici, ma il linguaggio teologico è complesso e poco perspicuo, motivo per cui non potevano avere successo.


Molto piú celebri e giustamente importanti sono gli inni che compose Ambrogio, vescovo di Milano, altro grande campione della lotta ariana in Occidente.


Secondo la testimonianza di Girolamo scrisse numerose lettere, delle quali resta solo quella scritta alla figlia Abram.


De Trinitate o De Fide L.XII


Aprici dunque l'autentico significato delle parole, e donaci luce per comprendere, efficacia di parola, vera fede. Fà che possiamo esprimere ciò che crediamo, che proclamiamo te, unico Dio Padre, e l'unico Signore Gesù Cristo, secondo quanto ci è stato trasmesso dai profeti e dagli apostoli. Fà che contro gli eretici, che lo negano, sappiamo affermare che tu, o Padre, sei Dio insieme al Figlio, e sappiamo predicarne la divinità senza errori.


1. Luci e ombre del secolo quarto


La libertà conferita da Costantino nel 313 alla Chiesa rappresentava una novità assoluta gravida di conseguenze per la vita e l'organizzazione delle comunità, e anche per la produzione letteraria.


La gerarchia ecclesiastica stringe con le strutture dell'Impero una serie di legami molto intensi che non sempre giovano alla chiarezza e alla correttezza dei rapporti reciproci. Se i vescovi ottengono agevolazioni e donazioni da parte dell'imperatore, questi si sente investito di una particolare autorità ecclesiastica che gli consente addirittura di convocare concili ecumenici e di intervenire fattivamente nelle questioni teologiche condizionando personalmente l'evolversi delle discussione e le decisioni finali.


Cresce il numero dei neoconvertiti, attirati dal messaggio evangelico della salvezza, ormai liberamente proclamato, ma non mancano le ombre di conversioni immature, superficiali, e talora opportuniste. La creazione di una corte cristiana nella nuova capitale Costantinopoli, lontana dall'antica capitale del paganesimo sconfitto, dava all'imperatore maggiore libertà nei confronti del vescovo di Roma e creava le premesse per la mondanizzazione di una parte del clero, sensibile ai richiami del potere, e per una spaccatura sempre piú profonda tra le due Rome anche sul piano della comunione ecclesiale.


Le energie sane della Chiesa reagiscono vivacemente di fronte ai rischi e ai pericoli che potrebbero compromettere i frutti luminosi di una libertà faticosamente conquistata. Si intensifica la preparazione dei catecumeni, i vescovi declamano le loro istruzioni teologiche e liturgiche e le loro «catechesi» nelle basiliche che ormai ornano da Oriente a Occidente il mondo cristiano. Molti preferiscono prendere la via del deserto, che in quest'epoca si popola «come una città».


Il monachesimo nascente si esprime in diverse e suggestive forme letterarie, dai «detti dei padri del deserto» e dalle «vite» dei santi eremiti, fino alle «regole»; la lotta contro il paganesimo, che ancora resiste, malgrado tutto, dà luogo a scritti di tono apologetico sempre piú aggressivo. Ma il sec. IV vide soprattutto svolgersi una lunga e dolorosa controversia che prese origine negli anni di Costantino e che impegnò le migliori energie intellettuali del tempo: la crisi ariana.


La crisi ariana e il concilio di Nicea


Prende nome dal prete Ario di Alessandria d'Egitto il movimento teologico noto come «arianesimo»: esso affermava che il Figlio non partecipa della divinità del Padre, ma è subordinato al Padre; è soltanto la prima e piú grande creatura del Padre, poiché «vi fu un tempo in cui non esistette».


La predicazione di Ario suscitò vaste reazioni contrarie ma anche prese di posizione favorevoli all'interno dell'episcopato orientale. Occorreva ricomporre l'unità della fede e, per Costantino, l'unità religiosa dell'Impero, bisognoso dell'unità del mondo cristiano. Pertanto l'imperatore convoca a Nicea, in Asia Minore, nel 325, il primo concilio ecumenico per risolvere definitivamente la questione.


A Nicea, Alessandro di Alessandria, vescovo e acerrimo nemico di Ario, sostenuto dall'autorità indiscussa dell'imperatore, fa approvare la formula secondo la quale il Figlio è consostanziale (homoousios), cioè della stessa sostanza divina del Padre, generato, non creato dal Padre. Ancora oggi, nel Credo, usiamo questa terminologia!


Tuttavia, chiuso il concilio con l'unanimità almeno apparente dei Padri che vi avevano partecipato, seguirono, per parecchi decenni, interminabili lotte tra i difensori del credo niceno e gli ariani, lotte complicate da avversioni personali, incomprensioni, scomuniche ed esili. In tutta la vicenda campeggia la figura di Atanasio, che da semplice diacono di Alessandro al concilio di Nicea, tre anni dopo, nel 328, divenne vescovo della metropoli egiziana, erigendosi a campione nella lotta in difesa dell'ortodossia «nicena».


Atanasio, il lottatore della fede


Atanasio s'era già dimostrato buon teologo e apologista nell'operetta giovanile Discorso contro i pagani - Sull'incarnazione del Verbo. In essa utilizza i noti argomenti tradizionali sul monoteismo contro l'idolatria pagana e si sofferma sul concetto, centrale per tutti gli sviluppi posteriori della sua cristologia e della sua spiritualità, che soltanto l'incarnazione del Verbo divino avrebbe potuto redimere l'umanità decaduta a causa del peccato delle origini.


Atanasio dedicò quasi tutta la sua attività letteraria a combattere, con intento eminentemente pastorale, l'eresia ariana, da lui sentita come un pericolo mortale per la fede cristiana. La negazione della divinità del Figlio, infatti, comprometteva ai suoi occhi in maniera radicale il vero significato salvifico dell'incarnazione e, di conseguenza, la realtà, anzi la possibiltà stessa della redenzione dell'umanità peccatrice. La sua meditazione teologica, in termini sempre piú polemici e duri, fino all'invettiva e allo scherno, è contenuta in opere come i Discorsi contro gli ariani o laStoria degli ariani.


In realtà egli è autentico «padre della vera fede cristiana», come lo chiama Pacomio, uno dei grandi fondatori del monachesimo antico, ma non è impegnato ad approfondire concettualmente il dato rivelato, quanto piuttosto a difendere i punti fermi della dottrina ricevuta. Piú che teologo egli è pastore e uomo di Chiesa, coinvolto, fino alla polemica violenta e aspra, in una esistenza che fu tutta una professione di fede, rude, travolgente, totale. Nessun rovescio, nessun fallimento, temporaneo, per quanto grave e pericoloso, riuscì a fermarlo o a farlo deviare dal cammino intrapreso.


La fermezza nella difesa del credo di Nicea, aliena da qualsiasi cedimento o compromesso, rispecchiava esattamente il carattere indomito dell'uomo, ma gli costò prezzi molto alti. Dei 46 anni di episcopato, fu costretto a passarne 20 in esilio, e per ben cinque volte prese la via che lo condusse lontano da Alessandria, in un tempo in cui gli eredi di Costantino non nascondevano le loro aperte simpatie e non lesinavano il loro appoggio al partito ariano.


Le origini del monachesimo


In uno di questi forzati esili, Atanasio, sulla via dell'Occidente, passò anche per l'Italia Settentrionale, ad Aquileia e a Padova. Ma piú spesso trovò rifugio nel deserto egiziano dove venne accolto da quella strana popolazione residente che era composta di monaci avvezzi alle lunghe solitudini della separazione dal mondo: «monachòs» significa «solitario, celibe, persona slegata dai rapporti sociali e familiari». Chi erano costoro?


Già dalla fine del sec. IlI, le desolate lande del deserto egiziano, abitacolo di belve, scorpioni e serpenti, avevano incominciato a popolarsi di uomini e di donne che fuggivano dalle città alla ricerca della via della salvezza da un mondo nel quale la vita era particolarmente difficile e violenta. Si chiamano «eremiti»: «èremos» è il deserto ed Eremita è colui che conduce vita solitaria nel deserto. Gli eremiti affrontano la dura lotta della vita solitaria, lontano dal consorzio umano, in preda agli assalti delle tentazioni. Alcuni, chiamati «stiliti» [stylos=colonna], trascorrono anche la vita intera in cima ad alte colonne, altri incominciano ad organizzarsi in forme di vita comune, dette «cenobitiche» [koinòs bìos = vita in comune]. Il creatore del cenobitismo fu l'egiziano Pacomio, che per primo stese anche una Regola per la sua comunità. Ma l'attenzione di Atanasio fu rivolta al campione della vita eremitica, che indubbiamente dovette esercitare su di lui un fascino particolare: Antonio, del quale compose la Vita immediatamente dopo la morte (357).


Questa Vita di Antonio è un'opera di importanza straordinaria, sia per la rapida diffusione, sia perché fu presto tradotta anche in latino e influì notevolmente su Agostino al momento della conversione definitiva! La Vita di Antonio scritta da Atanasio, può essere considerata l'inizio di un genere letterario del tutto nuovo, preceduta solo in ambito cristiano dallaVita di Cipriano, scritta dal diacono Ponzio nel 258. Essa divenne il modello per innumerevoli agiografie che hanno arricchito la letteratura cristiana antica e la storia della spiritualità ascetica e monastica.


Atanasio si dimostra sensibile anche verso le incipienti forme di ascetismo femminile: famosa è la sua Lettera alle vergini di cui si ricorderà Ambrogio qualche decennio piú tardi.

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