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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 21:40
 
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Origene: il tormento della perfezione


Un uomo dall'ingegno brillante


Più celebre di Clemente è il suo discepolo Origene (185-252/253), il cui padre mori martire quando egli aveva 17 anni. Era poco più che trentenne e laico, quando, durante un soggiorno in Palestina, fu invitato a parlare in chiesa dai vescovi. Qualche anno dopo fu ordinato sacerdote per i suoi grandi meriti. Dovette soffrire per le sue interpretazioni spirituali della Scrittura, ma il suo amore alla croce, imparato dai martiri, ci permette di capire la sua geniale penetrazione teologica, che è anche l'elemento equilibratore del suo stesso genio, incline alla rottura di ogni argine dogmatico. Origene rimase fedele fino alla fine e la persecuzione di I)ecio, durante la quale subì la tortura, non riusci a scalfire la sua fede.


A1 centro della vita e della teologia di Origene, è l'amore e l'imitazione di Gesù e di Maria. Gesù - egli scrive - è la Volontà viva del Padre; quando si eclissa, l'anima è un deserto; in lui ci sono tutti i beni che l'uomo può sperare e che Dio può dare. E se Gesù è nato dalla Vergine, la maternità di Maria è il tipo di maternità che deve avere ogni cristiano per generare Gesù in se stesso e negli altri. « Ogni anima vergine e non corrotta, dal momento che ha concepito dallo Spirito Santo - per generare la volontà del Padre - è madre del Cristo » [Origene, «In Giovanni» l,9-10].


Discepoli di Origene furono Gregorio Taumaturgo, vescovo di Neocesarea nel Ponto, grande missionario e Dionigi il Grande, amico di papa Dionigi e vescovo di Alessandria. Costui è famoso per la sua dottrina trinitaria, prima tappa delle precisazioni future del concilio di Nicea. Si schierò contro il « sabellianismo » dei vescovi di Cirenaica e affermò la distinzione personale del Padre e del Figlio, pur essendo unico il loro eterno e infinito atto di essere. Il sabellianismo, dal nome di Sabellio, iniziatore di questa eresia, predicava che il Figlio è solo un altro «modo» di essere dell'unico Padre, perciò si chiama anche «modalismo».


Tertulliano, maestro di letteratura e di dottrina


Nonostante le posizioni estremistiche, espresse in diversi trattati del periodo montanista--Tertulliano finirà per staccarsi anche dal montanismo e fonderà una setta ancora piú rigorista quella dei «tertullianisti» che sopravviverà fino ai tempi di Agostino, egli ha lasciato molte opere ricche di dottrina e di autentica fede cristiana come il piú antico commento latino al «Padre Nostro», uno scritto sul battesimo e uno sulla penitenza.


L'attività di Tertulliano non si esaurisce nei suoi interessi morali, liturgici e disciplinari; egli dispiega un grande sforzo teologico anche nella lotta antieretica e nella elaborazione dottrinale vera e propria, ispirandosi soprattutto, lui, buon conoscitore della letteratura cristiana in lingua greca, alle opere di Melitone e di Teofilo, di Ireneo e di Ippolito.


Scrive contro i valentiniani e contro Marcione: l'opera Contro Marcione è praticamente l'unica fonte, o almeno la piú preziosa in nostro possesso, che ci consenta di formarci un'idea abbastanza precisa della dottrina dell'eretico. Contro il docetismo gnostico ribadisce il valore e la forza salvifica dell'incarnazione reale di Cristo, e spende un trattato specifico per difendere la dottrina ortodossa della resurrezione finale della carne.


Tertulliano - ed è forse l'aspetto piú importante della sua attività dottrinale - getta le fondamenta della teologia trinitaria della chiesa latina. I concetti e la terminologia tecnica che egli espone nei trattati teologici eserciteranno una grande influenza sul pensiero degli autori posteriori. La formula che definisce la Trinità come «una natura in tre persone» rappresenta un'acquisizione definitiva. Tertulliano fu condotto ad approfondire le questioni concernenti la divinità dalla polemica contro un certo Prassea, il quale sosteneva che in Dio vi è solamente la monarchia, cioè l'unicità senza la distinzione delle singole persone. La parola greca indica l'unicità del principio che governa; nel linguaggio teologico indica l'unicità di Dio. Il suo contrario, in questo contesto, è oikonomìa, cioè piano salvifico nel quale ognuna delle persone della Trinità svolge il suo ruolo specifico. Questa eresia prenderà appunto il nome di «monarchianesimo», ma sarà conosciuta anche come «modalismo», in quanto sostiene che il Padre, il Figlio e lo Spirito in realtà sono soltanto dei «modi» dell'unica divinità; di conseguenza la si potrà chiamare anche «patripassianesimo», in quanto sostiene che il Padre, identico al Figlio, ha patito sulla croce...


Malgrado l'uscita dall'ortodossia, Tertulliano, grazie agli apporti fondamentali del suo pensiero alla costruzione della teologia e della morale cristiana, godette ancora di grande considerazione nella chiesa africana del sec.III e oltre. Cipriano, vescovo di Cartagine di lí a qualche tempo, si nutrirà della lettura delle sue opere: quando le cercherà se le farà dare chiedendo «il maestro», semplicemente.


Tertulliano, Alla moglie 2, 6-9: Ricchezze spirituali del matrimonio cristiano


Il trattato Alla moglie è una specie di testamento spirituale per la sposa, dove esprime la sua stima per il matrimonio cristiano e il suo valore, prima di essere influenzato da tendenze montaniste, che esaltavano la verginità a scapito del matrimonio.


Come descrivere la felicità del matrimonio celebrato davanti alla Chiesa, confermato dal sacrificio eucaristico e sigillato dalla benedizione, al quale assistono gli angeli e il Padre celeste accorda la sua grazia? Che bella coppia formano due credenti che condividono la stessa speranza, lo stesso ideale, lo stesso modo di vivere, lo stesso spirito di servizio! Ambedue fratelli, ambedue al servizio del Signore, senza alcuna divisione nella carne e nello spirito. Sono, infatti, due in una sola carne. Essendo una sola carne, sono altresí un solo spirito: insieme pregano, insieme si prostrano, insieme fanno penitenza; a vicenda si istruiscono e si esortano, a vicenda si sostengono. Ambedue intervengono alla santa assemblea e insieme partecipano alla mensa divina. Sono uniti nella prova e nella gioia. Uno non si nasconde all'altro, non sfugge all'altro, non è di peso all'altro.


Volentieri visitano chi è malato, aiutano chi ha bisogno. Donano con generosità, si prodigano con sincerità, attendono agli impegni quotidiani con serietà, non sono muti quando si tratta di lodare il Signore. Cristo, che tutto vede e ascolta, gioisce; e invia la sua pace. Dove sono loro due, ivi è Cristo; e dov'è lui, non c'è posto per il maligno.


Cipriano campione dell'unità della Chiesa


A differenza di Tertulliano, piú che teologo o polemista, è figura soave di pastore della comunità, di vescovo sollecito dei problemi pratici, della vita morale e religiosa dei credenti, con una forte tensione pedagogica. Quando si scatenò la persecuzione di Decio, si produssero numerose e profonde lacerazioni nella comunità cristiana. Molti abiurarono, cedendo all'imposizione di sacrificare alla statua dell'imperatore per paura di dover affrontare il martirio. Questi sono noti con l'appellativo di lapsi [coloro che sono scivolati, apostati]. Altri tentarono di aggirare l'ostacolo comprando di nascosto dalla polizia imperiale falsi certificati, biglietti che attestassero l'avvenuta prestazione del sacrificio richiesto. A questi fu dato il nome di libellatici [possessori del libello o certificato di aver sacrificato].


Passata la tempesta, si pose in tutta la sua gravità il problema della riammissione di tutte queste persone nella Chiesa: i rigoristi volevano impedire la reintegrazione degli apostati nella comunione ecclesiale, i moderati parteggiavano per una sanatoria generale, facendo ricorso all'intercessione dei confessori della fede, che avevano affrontato coraggiosamente i tormenti del martirio, e, sopravissuti, godevano nella comunità di grande prestigio morale e spirituale, che poteva talora rivaleggiare con quello del vescovo, i lassisti ricorrevano anche a manovre poco chiare e a tentativi di corruzione.


Anche Cipriano fu accusato di essere fuggito di fronte al pericolo, anziché affrontare il martirio. Il suo intervento fu decisivo per ristabilire l'autorità gerarchica del vescovo, messa in discussione, e per indicare la soluzione giusta: la penitenza avrebbe consentito agli apostati di rientrare nell'unità della Chiesa, «fuori della quale non si dà salvezza per nessuno».


Lattanzio, il «Cicerone cristiano»


Noto come ii «Cicerone cristiano» per la purezza della sua prosa latina, Lattanzio, originario dell'Africa romana, dove fu discepolo di Arnobio, insegnò retorica nella capitale imperiale di Nicomedia (in Asia Minore: a.290-305). Lo scoppio dell'ultima persecuzione anticristiana, ordinata dall'imperatore Diocleziano nel 303, lo costrinse a fuggire e a perdere posto e stipendio. Qualche anno piú tardi, passato l'uragano durato una decina d'anni, è a Treviri (a.317), in Gallia, alla corte dell'imperatore Costantino, come precettore del principe Crispo, reinserito definitivamente nel suo posto ufficiale di professore di corte.


Cristo è il maestro di giustizia


Lattanzio è autore del primo tentativo di comporre una summa teologica della dottrina cristiana a carattere apologetico:Divine Istituzioni in sette libri. Con quest'opera Lattanzio si inserisce d'autorità nel momento dello scontro decisivo tra cristianesimo e paganesimo, che egli conoscere forse meglio del cristianesimo stesso. Il suo discorso, di natura eminentemente apologetica, è finalizzato a presentare la nuova religione alle classi colte della società imperiale, tra le quali vuole aprire una breccia instaurando un dialogo e un confronto in termini culturali accessibili alla mentalità e alla preparazione del pubblico pagano: cristianesimo come la vera sapienza che opera la salvezza mediante la rivelazione della via della misericordia e della giustizia. Cristo è il rivelatore e il maestro che comunica all'umanità errante nelle tenebre dell'errore il modo per praticare quella giustizia che è a fondamento dei corretti rapporti dell'uomo con Dio e con il prossimo e che quindi, unica, può costituire la premessa necessaria per formare una società veramente umana, dove non ci sia piú l'ignoranza delle verità divine e la violenza che ne scaturisce.


Lattanzio, Epitome [edizione abbreviata, composta dopo il 315] delle divine istituzioni 36-37:


Il mondo è stato creato da Dio perché nascesse l'uomo


Si edifica una casa, non solo perché semplicemente vi sia una casa, ma perché essa accolga e protegga chi la abita. Si costruisce una nave, non con l'intenzione che si possa vedere una nave, ma perché gli uomini su di essa attraversino il mare. Cosí non si producono vasi perché semplicemente vi siano dei vasi, ma per riporre in essi il necessario ai nostri usi. Anche Dio ha creato il mondo per qualche scopo...


Il mondo è stato creato da Dio, perché nascesse l'uomo. Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne il premio dell'immortalità. Ricevono poi il premio dell'immortalità, per servire Dio in eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il mezzo con il fine?


Consideriamo dunque le singole asserzioni, e vediamo se le prove reggono. Dio ha creato il mondo per l'uomo. Chi non vede ciò, non si distingue molto dagli animali. Chi guarda su in cielo, fuori che l'uomo? Chi ammira il sole, le stelle e tutte le altre opere di Dio, fuori che l'uomo? Chi coltiva la terra? Chi ne raccoglie i frutti? Chi naviga sul mare? Chi ha in suo potere i pesci, gli uccelli e i quadrupedi, se non l'uomo? Dunque Dio ha fatto tutto in vista dell'uomo, perché tutto è stato lasciato in uso all'uomo. Ciò hanno riconosciuto rettamente anche i filosofi pagani; ma la conseguenza che ne risulta, non l'hanno vista: che cioè Dio ha creato l'uomo stesso per Dio. Eppure questa sarebbe stata la conclusione ovvia, doverosa e necessaria.


Dopo che Dio ha fatto cosí grandi opere per l'uomo, dopo che gli ha concesso tanto onore e potenza da dominare il mondo, l'uomo deve ravvisare in lui l'autore di tanti benefici, deve riconoscerlo come creatore, che ha fatto il mondo per l'uomo, e deve degnamente adorarlo e onorarlo...


E' necessario dunque adorare Dio, perché cosí l'uomo, per la religiosità che è insieme giustizia, riceva da lui l'immortalità. E non vi è anche nessun'altra ricompensa possibile per lo spirito religioso: esso è invisibile, perciò solo da Dio invisibile può essere ricompensato, e solo con un premio invisibile.

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