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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 21:37
 
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Prime forme di apologia e dottrina mariana


Contro gli Ebrei - Clemente, Ignazio, Policarpo, e altri anonimi predicatori scrivevano per i fedeli. Ma, dopo la metà del s.II, si scrive per giustificare davanti alla classe colta pagana la nuova religione cristiana e insegnare il culto del vero Dio, fatto uomo per salvarci.


La lettera di Barnaba è un'aspra polemica antigiudaica, che raggiunge toni molto aspri non lontani da quelli di certi passi dei vangeli. Si tratta di uno scritto anonimo della fine del s.I o inizi del s.II, forse di ambiente siriaco, come laDidache, con la quale condivide la «catechesi delle due vie». Non sembra potersi attribuire a Barnaba compagno di Paolo. La lettera è una lunga omelia sull'uso cristiano dell'Antico Testamento, con cui l'autore rimprovera ai Giudei l'incapacità di intenderlo correttamente soprattutto in relazione alla venuta del Messia, e il rifiuto totale della predicazione di Cristo.


L'unico modo esatto di leggerlo, secondo Barnaba, consiste nell'individuazione del significato spirituale, non semplicemente carnale, del testo mediante l'appropriata utilizzazione dell'esegesi allegorica, che ricerca i sensi nascosti delle parole, che solo lo Spirito può rivelare al credente.


La catechesi delle due vie era d'obbligo nella preparazione al battesimo (catecumenato): la via della vita (della luce, della libertà) era contrapposta alla via della morte (delle tenebre, della schiavitú), la via dell'amore di Dio e del prossimo, alla via dei mali che rovinano l'uomo nella sua dignità, libertà e verità.


Rilevante è l'esigenza della carità radicale nella condivisione dei beni: "Metterai in comune con il tuo prossimo tutto quello che hai e nulla chiamerai tua proprietà; infatti se siete compartecipi dei beni incorruttibili, quanto piú dovete esserlo in ciò che si corrompe?".


Contro i cattivi cristiani - Uno spaccato dei problemi della prima metà del s.II è offerto nel Pastore di Erma. Nella corrotta capitale dell'Impero i cristiani che compongono la piccola comunità del luogo non sempre vivono con coerenza, e anche dopo aver ricevuto la remissione dei peccati nel Battesimo, cadono in peccato. I rigoristi affermano che chi ha tradito le promesse battesimali non ha più via di scampo ed è destinato alla dannazione eterna. Erma nella comunità lacerata porta la rivelazione comunicatagli dall'angelo della penitenza, il Pastore appunto, il quale annuncia per coloro che hanno peccato dopo il battesimo un'ultima possibilità di fare penitenza prima della fine del mondo che è ormai prossima. La soluzione di Erma, a quanto pare fratello del vescovo di Roma, si impose: il sacramento della penitenza diverrà prassi stabile della Chiesa nei secoli seguenti per offrire la salvezza ai peccatori pentiti, e non una volta sola nella vita, ma tutte le volle che il desiderio della riconciliazione lo richiederà.


Contro i pagani - Gli Atti dei martiri si possono considerare una forma indiretta di apologia del Cristianesimo, in quanto non si esibiscono discorsi ma fatti. Il Martirio di Policarpo, tramandato dalla comunità cristiana di Smirne, costituisce un esempio di ricostruzione storica dell'ambiente pagano e di esortazione alla conversione cristiana: «Tutto il popolo di pagani ed ebrei abitanti in Smirne, con rabbia incontenibile e con furore, proruppe nelle grida: E' lui il maestro dell'Asia, il padre dei cristiani, è lui il distruttore dei nostri dèi, che insegna a tutti di non venerarli e di non fare sacrifici!». Gli autori di questi scritti parlano con l'autorità che essi sentono loro conferita direttamente dallo Spirito, e proprio perché prendono la parola non in nome della propria persona, non provano il bisogno di «firmare» le loro opere. Solo Ignazio trabocca ad ogni rigo delle sue lettere, gli altri Padri Apostolici, nascondono in un certo modo la loro individualità dietro l'autorità della Tradizione Apostolica, della Chiesa o dello Spirito rivelatore. Per questo a volte sono entrati nel Canone delle Sacre Scritture.


Con le lettere di Barnaba e di Ignazio, tuttavia, emergono anche altre due dimensioni dell'esperienza cristiana delle prime generazioni, relative a difficoltà provenienti dall'esterno: Barnaba si confronta con le resistenze del giudaismo, attivo e aggressivo, in piena espansione missionaria e, quindi, pericoloso concorrente del cristianesimo nascente; Ignazio, invece, si scontra con la persecuzione scatenata dal potere politico contro le giovani comunità cristiane dell'Asia Minore e della Siria. Sono chiari i tre fronti sui quali il cristianesimo dovette combattere per raggiungere la sua autonomia ideologica e la sua libertà politica: la polemica con il giudaismo, che contribuirà in maniera determinante ad affinare gli strumenti dell'interpretazione delle Scritture; il confronto, spesso sanguinoso, con l'autorità imperiale di Roma, che tiene desta la coscienza dell'alterità del Regno di Dio e costringe i cristiani a confrontarsi con la tradizione politica e culturale dell'antichità classica greca e romana; le controversie contro le eresie, il fronte interno e il piú pericoloso, che stimola l'elaborazione di un pensiero teologico sempre piú raffinato e consapevole delle insondabili profondità del dato rivelato.


Giustino, l'uomo del dialogo


Il piú grande e il piú famoso apologista di questo periodo è il filosofo Giustino. Originario di Sichem (oggi Naplus), in Palestina, trascorre gran parte della vita in una lunga, febbrile ricerca della verità. Passato attraverso numerose esperienze filosofiche, che lo lasciarono insoddisfatto, approdò al cristianesimo, che un misterioso vegliardo gli rivela essere l'unica, vera e definitiva filosofia che salva l'uomo, la filosofia totale incarnatasi in Gesù di Nazareth.


A Roma, divenuto cristiano, apre una scuola di filosofia dove intrattiene persone desiderose di approfondire la comprensione del cristianesimo. In quegli anni di intensa attività speculativa (verso il 155) rivolge all'imperatore Antonino Pio la sua esemplare Apologia: con essa presenta la nuova religione in termini filosofici, che avrebbero certamente attirato l'attenzione e la simpatia di un imperatore che si vantava di essere un cultore della filosofia, ed un invito rivolto in termini perentori all'autorità imperiale perché si comporti in maniera giuridicamente piú corretta verso i cristiani. Non mancano informazioni importanti sullo svolgimento della vita interna della comunità cristiana, specialmente per quanto concerne l'iniziazione liturgica e le polemiche contro l'eresia gnostica. Giustino, per l'invidia del filosofo pagano Crescente, finì con il martirio la sua esistenza di fedeltà al cristianesimo (a.167). Egli si dimostra nel complesso abbastanza comprensivo nei confronti dei valori piú alti espressi dalla civiltà greca: per lui, se l'incarnazione di Cristo ha rivelato tutta la verità nella sua definitiva globalità, resta pur sempre vero che gli spiriti piú grandi del paganesimo antico, come Socrate e Platone, hanno intravisto almeno delle verità parziali, dei «semi» del Verbo. Tra filosofia antica e cristianesimo, dunque, esiste secondo Giustino un rapporto di parziale a totale, nella sostanziale continuità della rivelazione della verità da parte del medesimo Verbo divino.


Con l'Apologia, Giustino cerca di gettare un ponte tra il cristianesimo e la civiltà antica nelle sue forme piú accettabili, ma nello stesso tempo ha l'audacia di avanzare precise proposte di carattere pratico: all'imperatore pagano Giustino fa balenare la possibilità, e in un certo senso la necessità, che i cristiani, lungi dal costituire un elemento di turbamento nella vita sociale della compagine romana, diventino i piú sicuri e fidati alleati del potere, nella misura in cui la loro morale rigida e severa costituisce il cemento spirituale di cui la società pagana dimostra di avere assolutamente bisogno. I cristiani si presentano, cosí, come i veri garanti dell'ordine stabilito, i sudditi migliori dell'Impero, all'unica condizione che l'imperatore, a sua volta, rinunci all'assurda pretesa di sostituirsi alla divinità e di esigere onori divini.


La stessa fermezza, accompagnata dal medesimo senso di rispetto, Giustino rivela nell'altra grande opera che di lui ci è pervenuta, il Dialogo con il giudeo Trifone, nel quale è sviluppata una serrata discussione sull'interpretazione dei testi messianici dell'Antico Testamento. L'imperatore era il «sacerdote supremo» e con questa realtà dovettero misurarsi i cristiani. Lo Stato, nella persona del suo capo, l'imperatore, si arrogava il diritto di regolare la vita religiosa dei cittadini. A ciò si aggiunse il cuIto dell'imperatore, l'adorazione del capo dello Stato come salvatore. I cristiani sono leali verso lo Stato romano, ma rifiutano si adorare l'imperatore come un dio e di giurare sul suo «genio», cioè sulla sua capacità di regnare. Dio solo è l'Assoluto e a lui solo è dovuta l'adesione totale del cuore. L'autorità politica è riconosciuta, ma ridimensionata. ll riconoscimento di Dio Padre è il fondamento dell'uguaglianza e della libertà di tutti gli uomini.


Giustino nella I Apologia: "Noi infatti crediamo che Gesù Cristo, nostro Salvatore, si è fatto uomo per l'intervento del Verbo di Dio. Si è fatto uomo di carne e sangue per la nostra salvezza. Cosí crediamo pure che quel cibo sul quale sono state rese grazie con le stesse parole pronunciate da lui, quel cibo che, trasformato, alimenta i nostri corpi e il nostro sangue, è la carne e il sangue di Gesù fatto uomo. Gli apostoli nelle memorie da loro lasciate e chiamate vangeli, ci hanno tramandato che Gesù ha comandato così: Preso il pane e rese grazie, egli disse: «Fate questo in memoria di me. Questo è il mio corpo». E allo stesso modo, preso il calice e rese grazie, disse: «Questo è il mio sangue» e lo diede solamente a loro".


In un contesto di esorcismo Giustino attesta: «Ogni demonio è esorcizzato, vinto e sottomesso nel nome di colui che è il Figlio di Dio e primogenito di ogni creatura, nato per mezzo di una vergine e divenuto uomo soggetto a patire, crocifisso sotto Ponzio Pilato dal vostro popolo, morto e risorto dai morti e salito al cielo» (Dialogo con Trifone 85,2).


Di tono radicalmente diverso è il Discorso ai Greci di Taziano, discepolo di Giustino a Roma e originario anch'egli della Siria. Ma Taziano è un'eccezione nel panorama dell'apologetica greca del s.II, eccezione che conferma la regola di un atteggiamento apologetico sempre rigido ed intransingente nei principi, ma anche pronto a tentare le vie della pacificazione e della collaborazione con l'Impero. In tale direzione si muovono unanimemente autori come Aristide, Atenagora, Teofilo di Antiochia, che hanno composto opere di propaganda in favore del riconoscimento del cristianesimo

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