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LA MARIOLOGIA nella Chiesa fino al sec. VI

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2013 22:27
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15/11/2013 21:34
 
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LECTIONES MONOGRAPHICAE
 
LA MARIOLOGIA NELLA TRADIZIONE ECCLESIALE FINO AL SEC. VI
[B.AMATA sdb: Marianum 1996]

 

Lettura funzionale della tradizione ecclesiale e del pensiero cristiano antico

La lettura funzionale mariana dei Padri deve comprendere non solo le loro testimonianze verbali e scritte, ma anche quelle non verbali e monumentali. Tra le prime sono significative: Ignati Antiocheni Epistuale, Tertulliani De carne Christi, Athanasi De incarnatione Verbi, Gregori Nysseni Oratio catechetica magna, Ambrosi De incarnationis dominicae mysterio [sacramento], Hieronymi Adversus Helvidium, Epistulae, Augustini Contra sermonem Arianorum, In Ioannis evangelium, Leonis I Tractatus, Cassiani De incarnatione Domini contra Nestorium; Gregori I,XL Homiliarum in evangelia. Tra le seconde ricordiamo almeno le pitture delle catacombe e le sculture dei sarcofagi. E' indispensabile ridimensionare quanto oggi si dice autorevolmente sullo sforzo culturale del cristianesimo all'interno per sculturalizzarsi dall'ebraismo, all'esterno per inculturarsi nel mondo ellenistico e romano.

LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLA MARIOLOGIA
[sintesi scolastica]

I testi e i monumenti disponibili - greci, orientali e latini - che fanno riferimento alla presenza della 'vergine' Maria nel mistero della salvezza e nella vita cristiana, si possono e si debbono inquadrare nei relativi generi letterari e nelle espressioni dei loro maggiori rappresentanti.(1)

Una grande confusione e altrettanta incoerenza si avverte nell'uso e nell'abuso di tali fonti se si si rapportano al mistero di Cristo, che di esse accetta solo quanto è conforme ad una certa esegesi, rigettando inesorabilmente quanto la contraddice.

Si pensa che per la mariologia i secoli I e II siano stati decisivi e si colloca il pullurare di scritti autentici e apocrifi nel bisogno di soddisfare il bisogno popolare di conoscere qualcosa di più della vita e dell'attività di Cristo. In realtà La nascita di Maria (fine del s.II), detto anche Protovangelo di Giacomo, e quant'altro lo segue non è lontano dal genere letterario del romanzo greco, che proprio nello stesso tempo conobbe il più grande successo. Le leggende-romanzo passate nella tradizione cristiana, dal punto di vista storico, non differiscono dalle mirabolanti concezioni e nascite degli eroi pagani, dalle loro avventure e disavventure, fino al ricomporsi di sentimenti e diritti, violati e calpestati o semplicemente rivendicati. Antistorico quindi e antiscientifico risulta la pretesa di ordinare tali testi a livello teologico, o tematico, per ricavarne affermazioni e ruoli di Maria o su Maria nella fede della Chiesa delle origini.

L'esegesi biblica dei Padri ed Elementi di mariologia nel primo kerygma: ex Virgine natus

In generale si può affermare che i modi di accostarsi alla Scrittura dei Padri (leggi dei filologi ellenistici ed alessandrini) si possono ridurre a tre categorie interpretative (o ermeneutiche): la prima si può definire esegesi filologica (letterale e storica), in quanto tende a spiegare il contenuto del testo sacro e ad inquadrarlo nel suo contesto storico; la seconda si può chiamare esegesi retorica (parafrasi espositiva e dimostrativa secondo i canoni dell'oratoria); la terza si potrebbe definire esegesi aberrante (tipologica, allegorica, morale).

I padri della Chiesa, fra la fine del s.I e la prima metà del s.II, per il contatto più o meno diretto con gli apostoli, vengono chiamati padri apostolici, e costituiscono una insostituibile testimonianza della vita della prima e della seconda generazione cristiana, eco dell'insegnamento apostolico e primi passi della teologia. La denominazione convenzionale «Padri Apostolici» quindi designa un gruppo di autori cristiani antichi, che si presentano come diretti continuatori dell'opera degli apostoli. Essi offrono un quadro autentico ed immediato della vita e delle idee delle prime comunità cristiane sparse nel bacino orientale del Mediterraneo tra il primo e il secondo secolo d.C.

La Didaché, o Insegnamento (dei dodici apostoli), scoperta per caso poco piú di un secolo fa dal Metropolita Filoteo Bryennios in un codice greco di Costantinopoli (ora a Gerusalemme), fu composta tra l'80 e il 120, forse ad Antiochia, e raccoglie talune istruzioni morali degli apostoli in un piccolo e anonimo manuale di insegnamento cristiano. Essa può essere definita un vero e proprio abbozzo di manuale di diritto canonico e di istruzioni liturgiche, che non a caso verrà inglobato, nel corso dei secoli seguenti, in collezioni sempre piú vaste di Costituzioni ecclesiastiche.

La lettera di Clemente Romano, terzo successore di Pietro (92-100), è inviata ai Corinzi «per esortarli alla pace e ravvivare la loro fede e la tradizione ricevuta dagli apostoli » [Ireneo, «Contro le eresie» III 3,3]. Sotto il nome di Clemente è stata tramandata anche un'omelia, da attribuire a un autore di area siriaca, risalente al 150 d.C., da ritenere la piú antica omelia cristiana pervenutaci. E' un'esortazione all'esercizio della castità, rivolta ai neo-convertiti nel quadro della liturgia battesimale.

Le sette lettere di Ignazio, vescovo di Antiochia (70-107), scritte durante le tappe del suo viaggio da Antiochia a Roma, è l'epistolario cristiano più antico dopo quello degli apostoli. L'unità perfetta ed eterna tra le divine Persone, l'unità della natura umana e della natura divina nella persona del Verbo, la realtà dell'incarnazione e della sofferenza sulla croce - vera carne - contro gli gnostici «docetisti», per i quali Gesù si era incarnato soltanto a apparentemente» [«Ai Magnesii» VII e «Agli Smirnesi» III e IV], sono i capisaldi della dottrina ignaziana. Sul piano ecclesiale afferma vigorosamente il ruolo insostituibile del vescovo, segno dell'unità della chiesa locale e promotore della santità dei suoi membri: è il primo teorico dell'episcopato «monarchico». Sul piano ascetico raccomanda ai cristiani di Roma di non far nulla per impedire che egli affronti il supplizio finale, per diventare vero «discepolo» e vero «imitatore» del Signore, offrendo se stesso come «frumento di Dio» alle fauci delle belve: Teoforo, «portatore di Dio» , messaggero di Gesù Cristo, principio e centro della vita del cristiano.

La lettera di Policarpo, discepolo di Giovanni e vescovo di Smirne, fu indirizzata ai Filippesi nel 108, come risposta alle loro richieste di avere ulteriori notizie di Ignazio e dei suoi compagni prigionieri, che erano passati per Filippi, diretti a Roma.

La «Lettera a Diogneto» (anonima) è un'apologia del cristianesimo, del 160 circa, e fa da anello di congiunzione con gli apologeti.

L'iscrizione di Abercio (Asia Minore, fine s.II, conservata nei Musei vaticani), testimonia, tra l'altro, la fede nell'eucarestia e la verginità di Maria, adombrata dalla casta vergine che ha pescato distribuisce il pesce.

Il centro essenziale dell'annuncio cristiano di tali Padri è costituito dalla fede in Cristo, Figlio di Dio, divenuto kyrios «Signore» attraverso la morte e la resurrezione. Cristo ha portato la salvezza ed è morto per noi, pro nobis, per ciascuno di noi, per ogni uomo. Risale a quest'epoca subapostolica l'aggiunta nel credo cristologico del Nuovo Testamento del ricordo della nascita di Cristo da Maria vergine. Tale convinzione di fede rimase fissata per sempre nelle successive catechesi e formulazioni per i fedeli, i catecumeni, gli esorcismi, la polemica contro gli eretici (O. CULLMANN La fede e il culto della Chiesa primitiva, trad. dal francese, Roma 1974, 77-92).

Ignazio Agli Smirnesi (1-4) scrive: "Ho visto che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe di David secondo la carne» (Rm 1,3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell'unico corpo della sua Chiesa. Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; ed ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso. Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua care e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre. Vi ricordo queste cose, o carissimi, sebbene sappia che voi vi gloriate della stessa fede mia". E nella lettera ai Romani ancora: "Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c'è piú in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto piú di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile".

[Modificato da Credente 15/11/2013 21:35]
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