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LA LAICITA' DEI CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2014 10:57
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08/11/2013 12:15
 
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Perché laicità fa rima con cristianesimo




Solo gli atei possono partecipare alla vita pubblica perché «la democrazia è atea, imprescindibilmente», spiega Flores D’arcais. Il credente, se vuole parteciparvi, deve accettare l’«esilio dorato nella sfera privata» di Dio. L’autore ha l’obiettivo dichiarato di confutare la posizione del celebre filosofo tedesco Jürgen Habermas, secondo il quale invece la democrazia ha bisogno di un presupposto religioso. Tuttavia a leggere le parole di Salvatore Veca, filosofo, docente universitario e vicedirettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, sembra che l’intento non sia affatto riuscito.


Alla domanda su chi sceglie tra chi apprezza il ruolo delle religioni nello spazio pubblico, come Jürgen Habermas, e chi invece identifica la democrazia con l’ateismo, come Paolo Flores d’Arcais, il prof. Veca è chiaro«Se per spazio pubblico s’intende l’agorà, un contesto sociale dove si parteggia, si cerca di convertire gli altri, si misurano proposte alternative, Habermas ha ragione. Qui le fedi hanno piena cittadinanza: ciascuno deve essere preso sul serio e non si deve chiedere a nessuno di revocare le proprie lealtà. La libertà democratica del resto nasce quando, dopo la tragedia delle guerre di religione, a ciascuno viene riconosciuto il diritto di adorare Dio come preferisce. Ma ciò comporta appunto la laicità dello Stato, il divieto di usare il potere coercitivo per favorire un singolo credo».


Salvatore Veca ha appena pubblicato il libro “Un’idea di laicità” (il Mulino 2013) ed intervistato da “Avvenire” ha spiegato: «Al contrario di quanto si pensa solitamente la libertà religiosanon deriva dall’insieme dei diritti politici, ma li genera e li fonda, per tutta una serie di ragioni storiche e concettuali». Le varie religioni possono fermarsi all’indifferenza reciproca, oppure arrivare all’«atteggiamento che, invece, Francesco sta testimoniando con le sue parole e con i suoi gesti: non l’indifferenza, ma l’attenzione, una curiosità verso l’altro che diventa apertura, passione, disponibilità a imparare. Sempre nel contesto della laicità, si badi bene, e senza mai venir meno alle proprie credenze».


«La laicità», ha proseguito il filosofo, «intesa nel suo significato più autentico, appartiene al cristianesimo in modo irrinunciabile e costitutivo. Per rendersene conto basta ascoltare l’esperienza di tanti parroci, di tanti sacerdoti che stanno vicini alle persone nei loro drammi e nei loro bisogni più profondi. È l’esempio dato da Francesco, appunto: non esporre agli altri la dimostrazione delle ragioni per cui sarebbe legittimo o sensato credere, ma rendere evidente che c’è una vita spesa e vissuta, in concreto, sulle ragioni della fede».  «L’insistenza di papa Francesco sulla verità», ha concluso, «vissuta come relazione, e non imposta come astrazione, conduce verso questo orizzonte di serietà, oltre che di precisione concettuale. Ecco, esattamente questo è lo stile di Francesco, lo stile della laicità»


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08/11/2013 12:20
 
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Laico credente


     Ripeto con Simone Weil: "Se ci si allontana da Gesù per andare incontro alla verità, non si farà molta strada prima di cadere nelle sue braccia".
     Queste non sono parole infallibili, perché non sono Parola di Dio. Però sono una semplice deduzione da una parola di Gesù: "Io sono la verità". 

     Che cosa dire allora di tutti quelli che si sono allontanati da Gesù e dalla sua Chiesa autentica, per cercare liberamente - o, come oggi si dice, laicamente - la verità, e non sono ancora caduti nelle braccia di Gesù? Sono davvero andati incontro alla verità? Oppure sono caduti nell'autoinganno di scambiare la verità con il proprio ombelico, o con il proprio tornaconto? 

     Il vero laico, l'autentico ricercatore, se non cade nelle braccia di Gesù, deve ancora percorrere una lunga strada per raggiungere la verità. Il vero laico, senza Gesù, non è un autentico laico. Egli potrà anche fare a meno di una religione, ma non potrà fare a meno di Gesù. 

     Il laico può anche rifiutare (e talvolta ragionevolmente!) i riti di una chiesa o l'etica di una religione, ma non può non imbattersi in Gesù, se cerca con attenzione e con passione la verità della cose e del mondo.
     Quale fisionomia avrà per lui questo necessario imbattersi in Gesù?
     Le facce di Cristo sono molte. Cristo maestro, o Cristo scolaro. Gaudioso o sofferente. Chiaro come sul Tabor, o nascosto nell'affamato e nell'ignudo. Mortale o risorto. Pronunciato o intimo. Però un incontro deve avvenire. 

     E il credente in Gesù si inchinerà in gioiosa adorazione, quando percepirà, anche soltanto sommessamente, che l'incontro sta attuandosi. 

GCM           11.06.01

http://sanlorenzosperi.altervista.org/

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08/11/2013 12:23
 
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Laicità non significa indifferenza e neutralità…




di Marco Fasol*saggista e professore di storia e filosofia 


 L’articolo di Stefano Colombo sulla laicità dello Stato e sulla libertà di coscienza è ricco di suggerimenti e di riflessioni importanti. Con le mie considerazioni seguenti mi propongo di arricchire la discussione con il mio punto di vista di credente.


Dopo secoli di intolleranze, abbiamo tutti paura dei fanatici, della violenza aggressiva di chi vuole imporre agli altri la propria visione del mondo. Abbiamo tutti paura di un potere stataleche vuole imporre ai cittadini il senso della vita. Allora cerchiamo di difenderci, cerchiamo nuove vie di dialogo, pronti a rinunciare ad una parte della nostra identità, perché non vogliamo imporla agli altri.


Tutto questo è molto ragionevole, ma rischiamo di scivolare nel pericolo opposto, che è quello di diventare tutti “irenisti”. Per il bene della pace, molti cristiani sinceri, preferiscono il quieto vivere dell’indifferenza di fronte ai valori. Così lasciamo che il mondo sia organizzato e regolato dagli altri, perché noi credenti ci rinchiudiamo come clandestini nelle nostre case sempre più piccole e sempre più anonime.C’è qualcosa di umiliante in questa rinuncia a noi stessi. E’ come se noi soffrissimo di un complesso di inferiorità, come se avessimo vergogna della nostra tradizione, della nostra cultura, della nostra arte, della nostra storia. Un patrimonio straordinario che è nato e si è sviluppato dall’incontro della civiltà greco-romana con quella giudeo-cristiana. Se noi rinunciamo a questi tesori, diventiamo tutti più poveri. Se l’essere “laici” significa rinunciare alla nostra identità cristiana, se significa essere indifferenti e neutrali di fronte ai valori, allora siamo diventati tutti molto poveri.


Il cardinale Angelo Scola ha pubblicato di recente il testo Non dimentichiamoci di Dio (Milano, Rizzoli, 2013) per aiutarci a riscoprire l’autentico concetto di laicità. Questo tema era già stato approfondito nel suo precedente Una nuova laicità (Marsilio, Venezia, 2007). Scola ci spiega che essere laici non significa essere indifferenti ed amorfi.


Noi non possiamo vivere senza un’etica, senza una concezione dell’uomo e della vita! Se la “laicità” viene intesa come indifferenza o neutralità è un recipiente vuoto, un’idea astratta ed impossibile. Immaginare un “pensiero laico”, un “uomo laico” come “neutrale”, indifferente ai valori, equivale ad immaginare un uomo senza qualità, senza personalità. Un uomo che non esiste né in cielo, né in terra. Invece, l’uomo in carne ed ossa è un uomo che ama, che pensa, che sceglie continuamente il bene e rifiuta o combatte il male in base alla sua visione del mondo. Una laicità amorfa esiste solo nel mondo dei sogni.


Il cardinale ci aiuta a comprendere un nuovo e più completo concetto di laicità che non significa certo indifferenza ai valori, rinuncia alla propria identità, ma testimonianza consapevole della propria visione del mondo e della vita. Non possiamo vivere senza una nostra identità, senza un progetto, una visione del bene e del male, una concezione dei diritti dell’uomo. Essere laici non può significare dunque un abdicare a se stessi, uno spogliarsi della propria personalità e delle proprie convinzioni religiose. Non esiste nessun momento della nostra vita in cui noi siamo neutrali ed indifferenti ai valori.
Essere laici significherà piuttosto accettare che il bene comune non sia deciso per autorità, nè per un ordine esterno alla competizione democratica. La nuova laicità richiede che la scelta del bene comune non venga imposta da un’autorità dogmatica che prescinda dalla competizione elettorale.

Come scrive A. Scola: “Lo stato non è indifferente al risultato del confronto democratico tra le parti… non si deve confondere la non confessionalità dello stato con la neutralità nei confronti dei soggetti civili e della loro identità culturale. Invece queste identità diventano statualmente rilevanti in virtù della loro espressione democratica”. Il “laico” non è dunque la persona senza fede! Perché una qualche fede è presente in ciascuno di noi, sia essa trascendente o immanente, materialista o scientista, edonista ecc. Diciamo piuttosto che il laico è una persona disponibile a sottoporre alle regole della democrazia le proprie scelte politiche, culturali, sociali.

In conclusione, una laicità reale, concreta e non astratta, assume con tutta evidenza e con piena legittimità l’identità religiosa. Per questo un partito laico, un pensiero laico può ispirarsi esplicitamente alla tradizione cristiana. Ed anche la comunità politica, in quanto comunità che progetta e realizza un bene comune, dovrà rispettare e realizzare la domanda religiosa dei cittadini. Il nuovo Concordato definito in Italia nel 1984 riconosce la laicità dello stato che non è più confessionale, (come lo era nello Statuto Albertino e nella precedente Costituzione) tuttavia riconosce la rilevanza sociale ed educativa dell’identità cristiana come qualificante la stragrande maggioranza del popolo italiano. Quindi legittimamente e doverosamente garantisce l’insegnamento religioso nelle scuole, su richiesta dei cittadini, e più in generale un’assistenza religiosa nelle pubbliche istituzioni. E’ vero che lo stato è laico nel senso che non impone nessun credo religioso, perché il bene non può essere imposto, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II. tuttavia è uno stato che tutela e garantisce la dimensione religiosa dell’essere umano e pertanto risponde alle domande dei suoi cittadini mediante l’istruzione religiosa, le opere assistenziali ed educative e così via. In questo concordo pienamente con il pensiero di Stefano Colombo.

Questo riconoscimento e questa sussidiarietà dello stato laico nei confronti delle associazioni religiose non significa però accettazione indiscriminata di qualsiasi credo religioso. E qui vorrei introdurre una precisazione o un’integrazione alle riflessioni di Stefano Colombo. Può infatti insorgere un’incompatibilità tra i principi costituzionali dello stato ed i contenuti etici di una determinata fede. In questo caso viene confermato il discorso precedente sull’imprescindibilità di una identità etica e culturale dell’istituzione statuale. La laicità ritrovata ci permette dunque dievitare la degenerazione in un caotico multiculturalismo incapace di distinguere i valori ed i diritti umani fondamentali. Ci garantisce invece il riconoscimento della centralità della persona e dei suoi diritti umani. Per questo la nostra Costituzione, che si presenta come manifesto di laicità dello stato, riconosce in primis i diritti umani della persona, della famiglia, della libertà religiosa, della pace, come scelte etiche irrinunciabili, non negoziabili. Siamo ben lontani dall’indifferentismo e dalla neutralità! Alla luce della Costituzione abbiamo piuttosto recuperato il concetto originario di “laico” che include il grande patrimonio della nostra identità, della nostra storia, della nostra tradizione bimillenaria, quella che riconosce a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio.

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22/03/2014 10:57
 
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Fede e Laicismo




Tale visione negativa del concetto di laicità è sostenuto da una minoranza di popolazione apertamente anti-religiosa e fortemente militante, osservando la quale non si può fare a meno di osservare che l’ateismo moderno si è fatto chiesa.


Non si tratta più, infatti, dell’ateismo teoretico e riflessivo di Nietzsche, Stirner, Feuerbach, in parte Marx, o l’Ivan Karamazov di Dostoevskij. Si è davanti ad un ateismo che per certi aspetti ha perso i suoi tratti di maturità ed è regredito ad uno stato infantile nello stesso istante in cui è diventato militante, prasseologico, attivo. Da ateismo negativo, cioè fondato su un rifiuto di Dio e dell’idea di Dio, si è, con il tempo, sfociati (soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino) in un ateismo positivo, cioè una lotta contro tutto ciò che si riferisce a Dio. L’ateismo nazional-popolare, quindi, è imploso in una sua variante più ingenua, cioè l’anti-teismo. E’ una vera e propria fede, sempre più organizzata come chiesa, con ministri, riti, azioni di proselitismo, dogmi (come quello della infallibilità della scienza). L’assurdità dell’anti-teismo contemporaneo (in Italia rappresentato benissimo dall’associazione UAAR e da personaggi come Piergiorgio Odifreddi) sta nella pretesa di combattere la religione divenendo esso stesso una fede.


Riteniamo, tuttavia, che l’uomo per sua natura difficilmente possa essere davvero ateo. Infatti, o si lascia spazio a Dio oppure inevitabilmente Egli verrà sostituito con un idolo, con un feticcio: lo scientismo, il politicismo, l’attivismo, l’anticlericalismo ecc. Qualcosa, insomma, in cui riporre tutta la salvezza e la speranza necessaria agli uomini. Non dovremmo quindi chiamarli atei ma “diversamente credenti”, e ne capiamo il motivo leggendo le parole di uno dei filosofi principali del ’900, Fëdor Dostoevskij«Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei». Uno dei maggiori idoli che hanno preso il posto di Dio nel cuore di molti uomini nelle nostre società secolarizzate è proprio la scienza, concepita come unica fonte di risposta a tutte le domande umane. Il filosofo della scienza Vittorio Mathieu ha spiegato: «Al fondo dell’ateismo attuale c’è proprio il senso dell’avvento di un nuovo Dio in terra. Di un Dio che non c’è ancora, o, meglio, che non c’è ancora esplicitamente, ma che si aspetta, e la cui venuta bisogna preparare. Questo Dio può essere chiamato in tanti modi, ma oggi ha un nome soprattutto: la scienza».



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