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COMPENDIO DI TEOLOGIA SPIRITUALE

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2013 13:41
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22/10/2013 11:26
 
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III. Le qualita` dell'obbedienza.

L'obbedienza, a riuscir perfetta, dev'essere: soprannaturale
nell'intenzione, universale nell'estensione, integrale
nell'esecuzione.

1065. 1^ Soprannaturale nell'intenzione: vale a dire che dobbiamo
vedere Dio stesso o Gesu` Cristo nei superiori, procedendo da lui la
loro autorita`. Nulla rende piu` facile l'ubbidienza; perche` chi
vorrebbe rifiutare di ubbidire a Dio? E` cio` che S. Paolo raccomanda ai
servi: "Siate ubbidienti ai vostri padroni con riverente timore, nella
semplicita` del vostro cuore, come a Cristo, non facendo il vostro
dovere solo sotto gli occhi del padrone come chi vuol piacere agli
uomini, ma come servi di Cristo che fanno di buon grado la volonta` di
Dio: non ad oculum servientes, quasi hominibus placentes; sed ut servi
Christi, facientes voluntatem Dei ex animo" 1065-1.

Questo pure scriveva S. Ignazio ai suoi Religiosi del Portogallo:
"Desidero che vi diate con tutta la diligenza e con tutta
l'applicazione possibile a riconoscere Gesu` Cristo Nostro Signore in
qualsiasi superiore, e a rendere alla divina Maesta`, con un profondo
rispetto verso la sua persona, l'onore che le dovete... Non
considerino quindi mai la persona cui obbediscono, ma vedano in lei
Gesu` Cristo N. S. per rispetto al quale essi ubbidiscono. Infatti, se
si deve obbedire al Superiore, non e` gia` per riguardo alla sua
prudenza, alla sua bonta`, o ad altre qualita` che Dio potesse avergli
date, ma unicamente perche` e` luogotenente di Dio... Che se invece
paresse di minor prudenza e assennatezza, non e` questa una ragione di
obbedirgli con minore esattezza, perche`, nella sua qualita` di
superiore, rappresenta la persona di Colui la cui sapienza e`
infallibile, e che supplira` egli stesso tutto cio` che potesse mancare
al suo ministro, sia in virtu` sia in altre buone qualita`" 1065-2.

Nulla di piu` saggio di questo principio. Infatti, se oggi obbediamo al
superiore perche` ci piacciono le sue belle qualita`, che faremo domani
se avessimo un superiore che ci sembrasse sfornito di queste qualita`?
E non perdiamo il merito sottomettendoci a un uomo perche` lo stimiamo,
in cambio di sottometterci a Dio stesso? Non consideriamo dunque i
difetti dei nostri superiori, il che rende l'obbedienza piu` difficile,
e neppur le loro doti, il che la rende meno meritoria, ma Dio che vive
e comanda nella loro persona.

1066. 2^ Universale nell'estensione, nel senso che dobbiamo obbedire
a tutti gli ordini del legittimo superiore, quando comanda
legittimamente. Quindi, come dice San Francesco di Sales 1066-1,
l'obbedienza "amorosamente si assoggetta a far tutto cio` che le e`
comandato, alla buona, senza mai considerare se il comando e` bene o
mal dato, purche` colui che comanda abbia il potere di comandare, e il
comando serva all'unione della nostra mente con Dio". Aggiunge pero`
che se un superiore comandasse cosa manifestamente contraria alla
legge di Dio, si ha il dovere di non sottomettervisi; tale ubbidienza,
come insegna S. Tommaso, sarebbe indiscreta: "obedientia...
indiscreta, quae etiam in illicitis obedit" 1066-2.

Fuori di questo caso, il vero ubbidiente non erra mai, anche quando
erri il superiore e comandi cose meno buone di quelle che si
vorrebbero fare: allora infatti Dio, a cui si obbedisce e che vede il
fondo dei cuori, ricompensa l'obbedienza assicurando il buon esito di
cio` a cui ella pone mano. "Il vero ubbidiente, dice S. Francesco di
Sales 1066-3, commentando la sentenza: "vir obediens loquetur
victorias", rimarra` vittorioso in tutte le difficolta` in cui verra` a
trovarsi per obbedienza, e uscira` con onore dalle vie che per
ubbidienza battera`, per quanto possano essere pericolose". Insomma il
superiore comandando puo` errare, noi non erriamo mai obbedendo.

1067. 3^ Integrale nell'esecuzione, e quindi puntuale, senza
restrizione, costante e anche allegra.

a) Puntuale; perche` l'amore, che presiede all'obbedienza perfetta, ci
fa obbedire prontamente: "l'obbediente ama il comando, e appena lo
intravede, qual che si sia, gli vada a genio o no, l'abbraccia,
l'accarezza e l'ama teneramente" 1067-1.

Tanto dice pure S. Bernardo 1067-2: "Il vero obbediente non
conosce dilazioni, ha in orrore il domani; ignora i ritardi; previene
il comando; tiene gli occhi attenti, le orecchie tese, la lingua
pronta a parlare, le mani disposte a operare, i piedi svelti a
slanciarsi; e` tutto raccolto per cogliere subito la volonta` di colui
che comanda".

b) Senza restrizione; fare una scelta, obbedire in certe cose e
disobbedire in altre, e` perdere il merito dell'obbedienza, e` mostrare
che uno si sottomette in cio` che piace, e che quindi questa
sottomissione non e` punto soprannaturale. Ricordiamoci dunque di cio`
che dice Nostro Signore: "Un solo iota o un solo apice della Legge non
passera` senza che tutto sia compito, iota unum aut unus apex non
praeteribit a lege donec omnia fiant" 1067-3.

Ci vuole pure costanza; e` uno dei grandi meriti di questa virtu`:
"perche` fare lietamente cio` che viene comandato, per una volta sola,
finche` piacera`, e` cosa che costa poco; ma quando vi si dice: Farete
questo sempre e per tutto il tempo della vita; qui sta la virtu` ed e`
qui il difficile" 1067-4.

c) Allegra: "Hilarem enim datorem diligit Deus" 1067-5. Non puo`
essere allegra l'obbedienza nelle cose penose se non e` ispirata
dall'amore; nulla infatti riesce penoso a chi ama, perche` allora non
si pensa al patimento ma a colui per cui si patisce. Ora quando si
vede Nostro Signore nella persona di chi comanda, come non amarlo,
come non fare di gran cuore il piccolo sacrificio richiesto da Colui
che mori` vittima di ubbidienza per noi? Ecco perche` bisogna rifarsi
sempre al principio generale che abbiamo stabilito: veder Dio nella
persona del superiore; allora s'intendono pure meglio l'eccellenza e i
frutti dell'obbedienza.
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22/10/2013 11:26
 
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IV. L'eccellenza dell'obbedienza.

1068. Discende da quanto abbiamo detto l'eccellenza dell'ubbidienza.
S. Tommaso non esita a dire che dopo la virtu` della religione, e` la
piu` perfetta delle virtu` morali, perche` ci unisce piu` di tutte le
altre a Dio, nel senso che ci distacca dalla nostra volonta` che e` il
piu` grande ostacolo all'unione divina 1068-1. Ed e` pure la madre
e la custode delle virtu` e transforma gli atti ordinari in atti
virtuosi.

1069. 1^ L'obbedienza ci unisce a Dio e ci mette in abituale
comunione con la sua vita.

a) Infatti sottomette direttamente alla volonta` divina la volonta`
nostra e quindi pure tutte le altre nostre facolta`, in quanto queste
sono soggette alla volonta`. Sottomissione tanto piu` meritoria perche`
libera: le creature inanimate obbediscono a Dio per necessita` di
natura, ma l'uomo obbedisce per libera scelta della sua volonta`. Offre
cosi` al Supremo Padrone cio` che ha di piu` caro e gl'immola la piu`
eccellente delle vittime: "per obedientiam mactatur propria
voluntas" 1069-1. Entra pure in comunione con Dio, non avendo piu`
altra volonta` che la sua e ripetendo gli eroici accenti di Gesu`
nell'ora dell'agonia: "non mea volontas, sed tua fiat" 1069-2.
Comunione grandemente meritoria e grandemente santificatrice, perche`
unisce la nostra volonta`, che e` il piu` prezioso nostro bene, alla
sempre buona e santa volonta` di Dio.

b) Ed essendo la volonta` regina di tutte le facolta`, unendola noi a
Dio, uniamo a lui tutte le potenze dell'anima. Sacrificio maggiore di
quello dei beni esterni che facciamo con la poverta` e di quello dei
beni del corpo che facciamo con la castita` e la mortificazione;
l'ottimo dei sacrifici: melior est obedientia quam
victimae 1069-3.

c) Ed e` pure il piu` costante e il piu` durevole; con la comunione
sacramentale non restiamo uniti a Dio che pochi istanti, ma
l'obbedienza abituale forma tra l'anima nostra e Dio una specie di
comunione spirituale permanente, che ci fa restare in lui come egli
resta in noi, volendo noi tutto cio` che vuol lui e null'altro fuori di
cio` che vuol lui: "unum velle, unum nolle"; or questa e` veramente la
piu` vera, la piu` intima, la piu` pratica di tutte le unioni.

1070. 2^ L'obbedienza quindi e` madre e custode di tutte le virtu`,
secondo la bella espressione di S. Agostino: "Obedientia in creatura
rationali mater quodammodo est custosque virtutum" 1070-1.

a) L'obbedienza si confonde praticamente con la carita`, perche`, come
insegna S. Tommaso, l'amore produce prima di tutto l'unione delle
volonta`: "In hoc caritas Dei perfecta est quia amicitia facit idem
velle ac nolle" 1070-2. E non e` questo l'insegnamento di
S. Giovanni? Dopo aver dichiarato che chi pretende d'amar Dio senza
osservarne i comandamenti, e` un mentitore, aggiunge: "Ma chi osserva
la sua parola, in lui l'amor di Dio e` veramente perfetto e da cio`
sappiamo che siamo in lui, qui autem servat verba ejus, vere in hoc
caritas Dei perfecta est, et in hoc scimus quoniam in ipso
sumus" 1070-3. E non e` pur questo l'insegnamento del divino
Maestro, quando dice che nell'osservanza dei suoi comandamenti sta
l'amore per lui? Si diligitis me, mandata mea servate" 1070-4. La
vera ubbidienza e` dunque in fondo un ottimo atto di carita`.

1071. b) L'obbedienza ci fa pur praticare le altre virtu` in quanto
che sono tutte comandate o almeno consigliate: "ad obedientiam
pertinent omnes actus virtutum, prout sunt in praecepto" 1071-1.

Ci fa praticar la mortificazione e la penitenza, cosi` spesso
prescritte nel Vangelo, la giustizia, la religione, la carita` e tutte
le virtu` contenute nel Decalogo. Ci fa perfino somigliare ai martiri
che sacrificano la vita per Dio; come infatti spiega
S. Ignazio, 1071-2 "per lei la propria volonta` e il proprio
giudizio sono continuamente immolati e stesi come vittime sull'altare,
cosicche` nell'uomo, al posto del libero arbitrio, non vi e` piu` che la
volonta` di Gesu` Cristo N. S. intimataci da colui che comanda; e non e`
solo il desiderio di vivere, come avviene nel martire, che e` immolato
con l'obbedienza, ma tutti insieme i desideri. Tanto pure diceva
S. Pacomio a un giovane religioso che desiderava il martirio: "Muore
abbastanza martire chi ben si mortifica; e` maggior martirio
perseverare tutta la vita nell'ubbidienza che morire tutt'a un tratto
di spada" 1071-3.

1072. c) L'ubbidienza ci da` cosi` sicurezza perfetta: lasciati a noi
stessi, ci chiederemmo che cosa sia piu` perfetta; l'ubbidienza,
segnandoci il dovere di ogni istante, ci mostra la via piu` sicura per
santificarci; facendo cio` che prescrive, adempiamo piu` pienamente
possibile la condizione essenziale richiesta dalla perfezione, cioe`
l'adempimento della santa volonta` di Dio: "quae placita sunt ei facio
semper".

Quindi un sentimento di pace profonda ed inalterabile: "pax multa
diligentibus legem tuam, Domine"; chi non vuol altro che la volonta` di
Dio espressa dai superiori, non si da` pensiero ne` di cio` che occorra
fare ne` dei mezzi da adoperare: non ha che da ricevere gli ordini di
colui che tiene il posto di Dio ed eseguirli meglio che puo`: al resto
pensa la Provvidenza. Non ci si chiede la buona riuscita ma
semplicemente lo sforzo per compiere gli ordini dati. Si puo` per altro
star sicuri sul risultato finale: e` chiaro che se noi facciamo la
volonta` di Dio, egli pensera` a fare la nostra, cioe` ad esaudire le
nostre richieste e assecondare i nostri disegni. Pace quindi in questa
vita; e, giunti al termine, l'obbedienza ci apre pure la porta del
paradiso: perduto per la disubbidienza dei nostri progenitori,
riconquistato con l'ubbidienza di Gesu` Cristo, il paradiso e` riserbato
a coloro che si lasciano guidare dai rappresentanti di questo
Salvatore divino. Niente inferno pei veri obbedienti: "Quid enim odit
aut punit Deus praeter propriam voluntatem? Cesset voluntas propria, et
infernus non erit" 1072-1.

1073. 3^ In fine l'ubbidienza trasforma in virtu` ed in meriti le piu`
comuni occupazioni della vita, i pasti, le ricreazioni, il lavoro;
tutto cio` che e` fatto in spirito d'ubbidienza partecipa al merito di
questa virtu`, piace a Dio e sara` da lui ricompensato. Invece tutto cio`
che e` fatto in opposizione alla volonta` dei Superiori, fosse pure in
se` ottima cosa, non e` in fondo che un'atto di disubbidienza. Ecco
perche` si paragona spesso l'ubbidiente a un viaggiatore salito su una
nave guidata da abile nocchiero; ogni giorno, anche quando riposa,
egli avanza verso il porto, giungendo cosi`, senza fatica e senza
pensieri, alla bramata meta, al porto della beata eternita`.

1074. Concludiamo colle parole che Dio rivolge a santa Caterina da
Siena 1074-1: "Oh quanto e` dolce e gloriosa questa virtu` in cui
sono tutte le altre virtu`! Perche` ella e` concepita e partorita dalla
carita`; in lei e` fondata la pietra della santissima fede; ella e` una
regina; e colui di cui ella e` sposa non sente verun male ma sente pace
e quiete. L'onde del mare tempestoso non gli possono nuocere, cosi` che
l'offendano per alcuna sua tempesta nel midollo dell'anima sua... Non
ha pena che l'appetito non sia pieno, perche` l'obbedienza gli ha fatto
ordinare e desiderare solamente me, che posso, so e voglio compire i
desideri suoi e lo ha spogliato delle mondane ricchezze... Oh
obbedienza, che navighi senza fatica, e senza pericolo giungi a porto
di salute! Tu ti conformi col Verbo unigenito mio Figliuolo; tu sali
nella navicella della santissima croce, recandoti a sostenere, per non
trapassare l'obbedienza del Verbo ne` uscire dalla dottrina sua... Sei
grande con lunga perseveranza e si` grande che tieni dal cielo alla
terra, perche` con essa si disserra il cielo".
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22/10/2013 11:27
 
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ART. III. LA VIRTU` DELLA FORTEZZA 1075-1.

1075. La giustizia, integrata dalla religione e dall'ubbidienza,
regola le nostre relazioni col prossimo; la fortezza e la temperanza
regolano le relazioni con noi stessi. Tratteremo qui della fortezza,
descrivendone:
* 1^ la natura;
* 2^ le virtu` alleate che vi si connettono;
* 3^ i mezzi di praticarla.

sez. I. Natura della virtu` della fortezza.

Ne esporremo:
* 1^ la definizione;
* 2^ i gradi.

I. Definizione.

1076. Questa virtu`, che vien detta fortezza d'animo, forza di
carattere, o cristiana virilita`, e` una virtu` morale soprannaturale che
rinsalda l'anima nel perseguire un bene difficile, senza lasciarsi
scuotere dalla paura, neppure dal timor della morte.

A) Il suo oggetto sta nel reprimere le impressioni del timore che
tende a intorpidire gli sforzi per il bene, e nel moderare l'audacia
che, senza di lei, diverrebbe facilmente temerita`: "Et ideo fortitudo
est circa timores et audacias, quasi cohibitiva timorum et audaciarum
moderativa" 1076-1.

1077. B) I suoi atti si riducono a due principali: intraprendere e
sopportar cose difficili: ardua aggredi et sustinere.

a) La fortezza consiste prima di tutto nell'intraprendere e
nell'eseguire cose difficili: vi sono in fatti sul cammino della virtu`
e della perfezione molti ostacoli, difficili a vincersi, sempre
rinascenti. Non bisogna averne paura, anzi affrontarli e fare
animosamente lo sforzo necessario per superarli: e` il primo atto della
virtu` della fortezza.

Quest'atto suppone: 1) risolutezza, per accingersi prontamente a fare
il proprio dovere ad ogni costo; 2) coraggio, per fare sforzi
proporzionati alle difficolta`, generosita` via via crescente con
queste, viriliter agendo; 3) costanza, per continuare lo sforzo sino
alla fine, nonostante la persistenza e i contrattacchi del nemico.

b) Ma bisogna pure saper soffrire per Dio le molteplici prove e
difficili che egli ci manda, i patimenti, le malattie, gli scherni, le
calunnie di cui si e` vittima.

E` spesso cosa anche piu` difficile dell'operare: "sustinere difficilius
est quam aggredi," dice S. Tommaso 1077-1; e ne da` tre ragioni.

1) Il tener duro suppone che uno sia assalito da nemico superiore,
invece chi assale si sente superiore all'avversario; 2) chi sostiene
l'urto e` gia` alle prese con le difficolta` e ne soffre, chi assale
invece non fa che prevederle; ora un male presente e` piu` temibile di
quello che solo si prevede; 3) la resistenza suppone che uno rimanga
fermo e duro sotto l'urto, per un tempo notevole, per esempio quando
si e` inchiodati a letto da lunga malattia, o quando si provano
violente o lunghe tentazioni; chi invece intraprende una cosa
difficile fa uno sforzo momentaneo, che generalmente non dura poi cosi`
a lungo.
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II. Gradi della virtu` della fortezza.

1078. 1^ Gl'incipienti lottano animosamente contro le varie paure
che si oppongono all'adempimento del dovere:

1) La paura delle fatiche e dei pericoli, pensando che l'uomo ha beni
piu` preziosi della fortuna, della salute, della riputazione e della
stessa vita: i beni della grazia, preludio della felicita` eterna; onde
conchiudono che bisogna generosamente sacrificare i primi per
conquistare i beni imperituri. Si persuadono che il solo vero male e`
il peccato; male quindi che dev'essere schivato ad ogni costo, anche a
rischio di tollerar tutti i mali temporali che potessero rovesciarcisi
addosso.

1079. 2) La paura delle critiche o degli scherni, ossia il rispetto
umano, che ci porta a trascurare il nostro dovere per timore dei
giudizi sfavorevoli che si faranno contro di noi, delle canzonature
che si dovranno subire, delle minaccie che ci scaglieranno addosso,
delle ingiurie ed ingiustizie di cui saremo vittime. Quanti uomini,
intrepidi sul campo di battaglia, indietreggiano dinanzi a queste
critiche o a queste minaccie! E quanto importa educar la gioventu` al
disprezzo del rispetto umano, a quel maschio coraggio che sa
infischiarsi della pubblica opinione e seguir le proprie convinzioni
senza macchia e senza paura!

3) La paura di dispiacere agli amici, che e` talora piu` terribile di
quella d'incorrere la vendetta dei nemici. Eppure bisogna ricordarsi
che e` meglio piacere a Dio che agli uomini, che chi ci impedisce di
fare intieramente il nostro dovere e` un falso amico e, a voler piacere
a lui, si perderebbe la stima e l'amicizia di Nostro Signore Gesu`
Cristo: "Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non
essem". 1079-1 A piu` forte ragione non bisogna sacrificare il
dovere al desiderio di vana popolarita`: gli applausi degli uomini
passano; sola durevole, sola veramente degna di noi e` l'approvazione
di Dio, giudice infallibile. Concludiamo quindi con S. Paolo che
l'unica gloria da cercare e` quella che viene dalla fedelta` a Dio e al
dovere: "Qui autem gloriatur, in Domino glorietur. Non enim qui
seipsum commendat, ille probatus est, sed quem Deus
commendat" 1079-2.

1080. 2^ Le anime progredite nella virtu` praticano il lato positivo
della fortezza, sforzandosi d'imitar la forza d'animo onde Gesu` ci
diede esempio nel corso di sua vita.

1) Questa virtu` appare nella vita nascosta: fin dal primo istante
Nostro Signore si offre al Padre per sostituire tutte le vittime
dell'Antica Legge immolando se stesso per gli uomini. Ben sa che la
sua vita sara` cosi` un martirio; ma questo martirio egli liberamente
vuole. Abbraccia quindi con ardore fin dalla nascita la poverta`, la
mortificazione e l'obbedienza, si assoggetta alla persecuzione e
all'esilio, si chiude per trent'anni in un'intiera oscurita`, onde
meritarci la grazia di santificare le azioni piu` ordinarie e ispirarci
l'amore dell'umilta`; insegnandoci cosi` a praticar la fortezza e il
coraggio nelle mille piccole circostanze della vita comune.

2) Questa virtu` appare nella vita pubblica: nel lungo digiuno che Gesu`
s'impone prima di iniziare il suo ministero, nella vittoriosa lotta
che sostiene contro il demonio; nella predicazione, ove, affrontando i
pregiudizi ebraici, annunzia un regno tutto spirituale, fondato
sull'umilta`, sul sacrificio, sull'abnegazione e insieme sull'amor di
Dio; nel vigore con cui sferza gli scandali e condanna le casuistiche
interpretazioni dei Dottori della legge; nella premura onde fugge una
popolarita` di cattiva lega e rigetta la dignita` regale che gli si
vuole offrire; nel modo dolce insieme e forte con cui forma gli
apostoli, ne raddrizza i pregiudizi, ne corregge i difetti e da`
lezione a colui che scelse come capo del collegio apostolico; in
quello spirito di risolutezza onde sale l'ultima volta a Gerusalemme,
ben sapendo di andare incontro ai patimenti, all'umiliazione e alla
morte. Cosi` ci da` esempio di quel coraggio calmo e costante che
dobbiamo praticare in tutte le relazioni col prossimo.

3) Questa virtu` appare nella vita paziente: in quella dolorosa agonia
in cui, non ostante l'aridita` e la noia, non cessa di pregare a lungo
"factus in agonia prolixius orabat"; nella perfetta serenita` che
mostra al momento dell'ingiusta sua cattura, nel silenzio che serba in
mezzo alle calunnie e di fronte alla curiosita` di Erode; nel dignitoso
contegno davanti ai giudici; nella eroica pazienza di cui da` prova fra
i non meritati tormenti che gli infliggono, fra gli scherni onde lo
abbeverano; e soprattutto in quella calma rassegnazione con cui, prima
di spirare, s'abbandona nelle mani del Padre. Ci insegna cosi` la
pazienza fra le piu` dure prove.

Come si vede, c'e` qui ampia materia d'imitazione; e, a meglio
riuscirvi, dobbiamo supplicar Nostro Signore di venire a vivere in noi
con la pienezza della sua fortezza, "in plenitudine virtutis tuae". Ma
bisogna cooperare con lui alla pratica di questa virtu`,
esercitandovici non solo nelle grandi occasioni ma anche nelle mille
azioncelle che formano il minuto complesso della vita, memori che la
pratica costante delle piccole virtu` richiede pari, anzi maggiore
eroismo delle azioni strepitose.

1081. 3^ Le anime perfette coltivano non solo la virtu` ma anche il
dono della fortezza, come spiegheremo parlando della via unitiva.
Alimentano in se` quella generosa disposizione d'immolarsi per Dio e di
subire quel martirio a fuoco lento che consiste nello sforzo
continuamente rinnovato di far tutto per Dio e di tutto soffrire per
la sua gloria.
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sez. II. Le virtu` alleate della fortezza.

1082. Alla virtu` della fortezza si connettono quattro virtu`: due che
ci aiutano a far le cose difficili, cioe` la magnanimita` e la
magnificenza; e due che ci aiutano a ben soffrire, la
pazienza e la costanza. Come S. Tommaso insegna, sono
insieme parti integranti e parti annesse della virtu` della fortezza.

I. La magnanimita`.

1083. 1^ Natura. La magnanimita`, che si dice pure grandezza d'animo
o nobilta` di carattere, e` una nobile e generosa disposizione a
intraprendere grandi cose per Dio e per il prossimo. Differisce
dall'ambizione, che e` essenzialmente egoista e cerca d'inalzarsi sopra
gli altri con l'autorita` e con gli onori; carattere distintivo della
magnanimita` e` invece il disinteresse: e` virtu` che vuole prestar
servizio ad altrui.

a) Suppone quindi un'anima nobile, nutrita di alto ideale e di
generose idee; un'anima coraggiosa che sa mettere la vita in armonia
con le convinzioni.

b) Si manifesta non solo coi nobili sentimenti ma soprattutto con le
nobili azioni in tutti gli ordini: nell'ordine militare, con azioni
illustri; nell'ordine civile, con grandi riforme o grandi imprese
industriali, commerciali e simili; nell'ordine soprannaturale, con un
alto ideale di perfezione tenuto costantemente di mira, con sforzi
generosi per vincersi e superarsi, per acquistar sode virtu` e praticar
l'apostolato sotto tutte le forme, fondare e dirigere opere di
beneficenza, lavorare nel campo dell'azione cattolica; sempre senza
badare al danaro, alla salute, alla fama e neppure alla vita.

1084. 2^ Il difetto opposto e` la pusillanimita`, che, per eccessivo
timore di cattiva riuscita, nicchia e rimane inoperosa. Per scansar
passi falsi, si commette veramente la piu` grande delle minchionerie,
cioe` non si fa nulla o quasi nulla e cosi` si spreca la vita. O non e`
meglio esporsi a qualche sbaglio anziche` restare in perpetua inerzia?

II. La munificenza o magnificenza.

1085. 1^ Natura. Quando si ha anima nobile e gran cuore, si pratica
la magnificenza o munificenza, che ci porta a fare opere grandi e
quindi pure grandi spese richieste da tali opere.

a) L'orgoglio e l'ambizione ispirano talora coteste opere e allora non
e` virtu`. Ma quando si ha di mira la gloria di Dio o il bene del
prossimo, si rende soprannaturale il natural desiderio delle
grandezze, e in cambio di capitalizzar sempre i propri redditi, si
spende nobilmente il denaro in grandi e nobili imprese: opere d'arte,
monumenti pubblici, costruzioni di chiese, di ospedali, di scuole, di
Universita`, di tutto cio` insomma che giova al pubblico bene; ed e`
allora virtu`, che ci fa trionfare dell'attacco naturale al denaro e
del desiderio d'aumentare le rendite.

1086. b) Ottima virtu`, che bisogna raccomandare ai ricchi, mostrando
che il miglior uso delle ricchezze loro affidate dalla Provvidenza sta
nell'imitare la liberalita` e la magnificenza di Dio nelle sue opere.
Quante istituzioni cattoliche oggi languiscono per mancanza di danaro!
Non sarebbe questo un nobile impiego degli accumulati tesori e il
mezzo migliore di fabbricarsi una ricca dimora nel cielo? E quante
altre istituzioni non occorrerebbero! Ogni generazione porta sempre la
sua parte di bisogni nuovi: qui chiese e scuole da costruire, la`
ministri del culto da mantenere; talora miserie pubbliche da
alleviare; altre volte opere nuove da fondare, patronati, sindacati,
casse di previdenza e di pensioni, ecc. E` un vasto campo aperto a
tutte le attivita` e a tutte le borse.

c) Non occorre neppure essere ricchi per praticar questa virtu`.
S. Vincenzo de' Paoli non era ricco, eppure vi e` uomo che abbia
praticato piu` largamente e piu` saviamente di lui una magnificenza
veramente regale verso tutte le miserie del suo secolo? che abbia
fondato opere che sortirono cosi` durevole fortuna? Quando si ha
un'anima nobile, i denari si trovano nella pubblica carita`; e si
direbbe che la Provvidenza si metta al servizio di questi grandi
slanci di carita`, quando uno sa confidare in lei osservando le leggi
della prudenza o assecondando le ispirazioni dello Spirito Santo.

1087. 2^ I difetti opposti sono la spilorceria e lo scialacquo.

a) La spilorceria o grettezza comprime gli slanci del cuore, non sa
proporzionare le spese all'importanza dell'opera da intraprendere e
non fa che cose piccole e meschine. b) Lo scialacquo invece spinge a
fare spese eccessive, a prodigare il denaro senza misura, senza
proporzione con l'opera intrapresa, oltrepassando talora anche le
proprie facolta`. Questo vizio e` pur detto prodigalita`.

Spetta alla prudenza tener la via di mezzo tra questi due eccessi.

III. La pazienza. 1088-1

1088. 1^ Natura. La pazienza e` una virtu` cristiana che ci fa
sopportare con animo tranquillo, per amor di Dio e in unione con Gesu`
Cristo, i patimenti fisici o morali. Soffriamo tutti abbastanza da
farci santi se sapessimo soffrire da forti e per motivi
soprannaturali; molti invece soffrono lagnandosi, bestemmiando, e
talora anche maledicendo la Provvidenza; altri soffrono per orgoglio o
cupidigia, onde perdono il frutto della loro pazienza. Il vero motivo
che ci deve ispirare e` la sottomissione alla volonta` di Dio,
n. 487, e per indurvici, la speranza della ricompensa eterna che
coronera` la nostra pazienza, n. 491. Ma lo stimolo piu` efficace e`
la meditazione di Gesu` che patisce e muore per noi. Se Gesu`, che era
la stessa innocenza, sopporto` cosi` eroicamente tante torture fisiche e
morali, per amor nostro, per riscattarci e santificarci, non e` forse
giusto che noi, che siamo colpevoli e che fummo coi peccati nostri
causa dei patimenti suoi, consentiamo a patire con lui e cogli stessi
suoi intendimenti, con lui collaborando all'opera della nostra
purificazione e della nostra santificazione, onde parteciparne poi la
gloria dopo averne partecipato i patimenti? Le anima nobili e generose
vi aggiungono un motivo di apostolato: patiscono per dar compimento
alla passione del Salvatore Gesu`, lavorando cosi` alla redenzione delle
anime (n. 149). Qui sta il secreto [sic] della pazienza eroica
dei santi e dell'amor loro per la croce.

1089. 2^ I gradi della pazienza corrispondono ai tre stati della
vita spirituale.

a) A principio, si accetta il dolore come proveniente da Dio, senza
mormorazioni o rivolte, sorretti dalla speranza dei beni celesti; si
accetta per riparare le colpe e purificare il cuore, per padroneggiar
le cattive tendenze, specialmente la tristezza e lo scoraggiamento; si
accetta nonostante le ripugnanze della sensibilita`, e se si chiede che
il calice si allontani, si aggiunge pero` che si vuole, a qualunque
costo, sottomettersi alla divina volonta`.

1090. b) Nel secondo grado, si abbracciano i patimenti con ardore e
risolutezza, in unione con Gesu` Cristo, onde meglio conformarsi a
questo Capo divino. Si gode quindi di poter battere con lui la via
dolorosa da lui battuta dal presepio al Calvario; si ammira, si loda,
si ama in tutti i dolorosi stati per cui passo`: nella miseria a cui si
condanno` entrando nel mondo; nella rassegnazione dell'umile mangiatoia
che gli serve di culla, ove soffre ancor piu` della ingratitudine degli
uomini che del freddo della stagione; nei patimenti dell'esiglio;
[sic] negli oscuri lavori della vita nascosta; nei travagli, nelle
fatiche, nelle umiliazioni della vita pubblica; ma soprattutto nei
patimenti fisici e morali della lunga e dolorosa sua passione. Armato
di questo pensiero, "Christo igitur passo in carne, et vos ea^dem
cogitatione armamini" 1090-1, uno si sente piu` coraggioso di
fronte al dolore o alla tristezza; si stende amorosamente sulla croce
accanto a Gesu` e per suo amore: "Christo confixus sum
cruci"; 1090-2 quando i dolori si fanno piu` vivi, posa
compassionevole e amoroso lo sguardo su lui e ode dal suo labbro:
"Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam"; la speranza di
parteciparne la gloria in paradiso rende piu` sopportabile la
crocifissione con lui: "Si tamen compatimur ut et
conglorificemur" 1090-3. Si giunge persino, come S. Paolo, a
rallegrarsi delle miserie e delle tribolazioni, persuasi che il
soffrire con Cristo e` consolarlo e compierne la passione, e` amarlo piu`
perfettamente sulla terra e prepararsi a goderne maggiormente l'amore
nell'eternita`: "Libenter gloriabor in infirmitatibus meis, ut
inhabitet in me virtus Christi 1090-4... superabundo gaudio in
omni tribulatione nostra^" 1090-5.

1091. c) Il che conduce al terzo grado, il desiderio e l'amor del
soffrire, per Dio che si vuole cosi` glorificare, e per le anime alla
cui santificazione si vuol lavorare. Cosa che conviene ai perfetti, e
specialmente alle anime apostiloche, ai religiosi, ai sacerdoti e alle
anime elette. Tale disposizione aveva Nostro Signore nell'offrirsi al
Padre come vittima fin dal primo ingresso nel mondo, e la esprimeva
proclamando il desiderio d'essere battezzato col doloroso battesimo
della sua passione: "Baptismo habeo baptizari et quomodo coarctor
usquedum perficiatur? 1091-1"

Per amor suo e per meglio somigliarlo, le anime perfette abbracciano
gli stessi sentimenti: "perche`, dice S. Ignazio 1091-2, come i
mondani, che sono attaccati alle cose della terra, amano e cercano con
grande premura gli onori, la riputazione e la pompa tra gli uomini...
cosi` quelli che si avanzano nella via dello spirito e che seriamente
seguono Gesu` Cristo, amano e desiderano con ardore tutto cio` che e`
contrario allo spirito del mondo... cossiche`, [sic] se la cosa potesse
farsi senza offesa di Dio e senza scandalo del prossimo, vorrebbero
soffrire affronti, calunnie, ingiurie, essere considerati e trattati
da stupidi, senza pero` averci dato motivo, tanto vivo e` il desiderio
di rendersi in qualche modo simili a Nostro Signor Gesu` Cristo...
onde, con l'aiuto della grazia, ci studiamo d'imitarlo quanto ci sara`
possibile e di seguirlo in ogni cosa, essendo egli la vera via che
conduce gli uomini alla vita". E` chiaro che il solo amor di Dio e del
divin Crocifisso puo` fare amare in questa guisa le croci e le
umiliazioni.

1092. Si deve andar anche piu` oltre e offrirsi a Dio come vittima,
positivamente chiedendogli patimenti eccezionali, sia per ripararne la
gloria, sia per ottenere qualche insigne favore? Vi furono santi che
lo fecero, e oggi ancora vi sono anime generose che vi si sentono
ispirate. In generale pero` non si possono prudentemente consigliare
tali domande, prestandosi facilmente all'illusione ed essendo spesso
ispirate da generosita` irriflessiva che nasce da presunzione. "Si
fanno, dice il P. De Smedt 1092-1, in momenti di fervore
sensibile, e passato che sia quel fervore... uno si sente troppo
debole per eseguire gli eroici atti di sottomissione e di accettazione
fatti con tanta energia nell'immaginazione. Onde fierissime tentazioni
di scoraggiamento o anche mormorazioni contro la divina Provvidenza...
e fonte poi di molte noie e fastidi per i direttori di coteste anime".
Non bisogna quindi domandare da se` patimenti o prove speciali; chi vi
si senta ispirato, consultera` un savio direttore e nulla fara` senza la
sua approvazione.

IV. La costanza.

1093. La costanza nello sforzo consiste in lottare e soffrire sino
alla fine, senza cedere alla stanchezza, allo scoraggiamento o alla
sensualita`.

1^ L'esperienza infatti insegna che, dopo sforzi reiterati, uno si
stanca di fare il bene, e si annoia di star sempre con la volonta`
tesa; l'osservazione e` di S. Tommaso: Diu insistere alicui difficili
specialem difficultatem habet" 1093-1. Eppure la virtu` non e` soda
finche` non ha la sanzione del tempo, finche` non e` rinsaldata da
abitudini profondamente radicate.

Questo sentimento di stanchezza produce spesso lo scoraggiamento e la
sensualita`: la noia che si prova in rinnovare gli sforzi, allenta le
energie della volonta` e produce un certo abbattimento morale o
scoraggiamento; allora l'amor del godere e il dispiacere d'esserne
privi ripigliano il sopravvento, e uno s'abbandona alla corrente delle
cattive inclinazioni.

1094. 2^ Per reagire contro questa fiacchezza: 1) bisogna anzitutto
ricordarsi che la perseveranza e` dono di Dio, n. 127, che si
ottiene con la preghiera; dobbiamo quindi chiederla con insistenza,
unendoci a Colui che fu costante sino alla morte, e per intercessione
di colei che giustamente appelliamo la Vergine fedele.

2) Bisogna poi rinnovare il pensiero della brevita` della vita e della
durata infinita della ricompensa che coronera` i nostri sforzi: avendo
tutta l'eternita` per riposarci, si puo` ben fare qualche sforzo e
tollerare qualche noia sulla terra. Se, cio non ostante, ci sentiamo
fiacchi e vacillanti, e` il caso di istantemente [sic] chiedere la
grazi della costanza, di cui sentiamo si` vivo bisogno, ripetendo la
preghiera di Agostino: "Da, Domine, quod jubes, et jube quod vis".

3) Infine bisogna rifarsi coraggiosamente all'opera con novello
ardore, appoggiati all'onnipotente grazia di Dio, anche contro
l'apparente poco buon esito dei nostri tentativi, ricordandoci che Dio
non chiede la riuscita ma lo sforzo. Non dimentichiamo peraltro che
abbiamo talora bisogno di un certo sollievo, di riposo e di svago:
homo non potest diu vivere sine aliqua consolatione. Onde la costanza
non esclude il legittimo riposo: otiare quo melius labores; tutto sta
a prenderlo conforme alla volonta` di Dio, secondo le prescrizioni
della regola o d'un savio direttore.

sez. III. Mezzi di acquistare o di perfezionare la virtu` della fortezza.

Rimandiamo prima di tutto il lettore a quanto dicemmo sull'educazione
della volonta`, n. 811, aggiungendo alcune osservazioni che si
riferiscono piu` specialmente al nostro argomento.

1095. 1^ Il segreto della nostra fortezza sta nella diffidenza di
noi e nella assoluta confidenza in Dio. Incapaci di fare nulla di bene
nell'ordine soprannaturale senza l'aiuto della grazia, diventiamo
partecipi della forza stessa di Dio e riusciamo invincibili se
procuriamo di appoggiarci su Gesu`: "qui manet in me et ego in eo, hic
fert fructum multum 1095-1... Omnia possum in eo qui me
confortat" 1095-2. Ecco perche` riescono forti gli umili, quando
alla coscienza della propria debolezza associano la confidenza in Dio.
Questi due sentimenti bisogna quindi coltivar nelle anime. Se si
tratta di anime orgogliose e presuntuose, si insistera` sulla
diffidenza di se`; se si ha da fare con persone timide e pessimiste, si
insistera` sulla confidenza in Dio, spiegando quelle consolanti parole
di S. Paolo: "Infirma mundi elegit Deus ut confundat fortia,... et ea
qua non sunt, ut ea quae sunt destrueret: i deboli agli occhi del mondo
Dio sceglie per confondere i forti... cio` che non e` per annientare cio`
che e`" 1095-3.

1096. 2^ A questa doppia disposizione bisogna aggiungere profonde
convinzioni e abitudine di operare secondo queste convinzioni.

A) Convinzioni fondate sulle grandi verita`, in particolare sul fine
dell'uomo e del cristiano, sulla necessita` di sacrificar tutto per
conseguir questo fine; sull'orrore che deve ispirarci il peccato, solo
ostacolo al nostro fine; sulla necessita` di sottomettere la volonta`
nostra a quella di Dio onde schivare il peccato e conseguire il fine,
ecc. Sono coteste convinzioni che formano i principii direttivi della
nostra condotta, e i motori che ci danno lo slancio necessario a
trionfar degli ostacoli.

B) Ecco perche` importa molto abituarsi ad operare secondo queste
convinzioni; si badera` quindi a non lasciarsi trascinare
dall'ispirazione del momento, da subitaneo impulso della passione,
dall'abitudine o dal proprio interesse; ma prima di operare uno si
chiedera`: quid hoc ad aeternitatem? L'azione che io sto per fare
m'avvicina a Dio e all'eternita` beata? Se si`, la faro`; se no, me ne
asterro`. Cosi`, riconducendo tutto al fine ultimo, si vive secondo le
proprie convinzioni e si e` forti.

1097. 3^ A meglio superar le difficolta`, e` bene prevederle,
guardarle in faccia e armarsi di coraggio contro di loro; ma senza
esagerarle e facendo assegnamento sull'aiuto che Dio non manchera` di
darci a tempo opportuno. La difficolta` prevista e` mezzo vinta.

1098. 4^ Infine non si dimentichera` che nulla ci rende intrepidi
quanto l'amor di Dio: "fortis est ut mors dilectio" 1098-1. Se
l'amore rende animosa e forte una madre quando si tratta di difendere
i figli, che cosa non fara` l'amor di Dio quando e` profondamente
radicato nell'anima? Non e` l'amore che fece i martiri, le vergini, i
missionari, i santi? Quando Paolo narra per quali prove passo`, quali
persecuzioni, quali patimenti sostenne, uno pensa che cosa mai ne
reggesse il coraggio in mezzo a tante avversita`. Ce lo dice egli
stesso: l'amor di Cristo: Caritas enim Christi urget nos. 1098-2
Ecco perche` e` senza inquietudine per l'avvenire; chi potra` infatti
separarlo dall'amore di Cristo? "quis nos separabit a caritate
Christi?" Enumera le varie tribolazioni che puo` prevedere, aggiungendo
che: "ne` la morte, ne` la vita, ne` gli angeli... ne` le cose presenti,
ne` le cose future, ne` le potenze... ne` creatura alcuna potra` separarci
dall'amore di Dio in Gesu` Cristo Nostro Signore" 1098-3. Cio` che
diceva S. Paolo puo` essere ripetuto da ogni cristiano a patto che ami
sinceramente Dio; partecipera` allora alla forza stessa di Dio": quia
tu es, Deus, fortitudo mea" 1098-4.

ART. IV. LA VIRTU` DELLA TEMPERANZA 1099-1.

Se la fortezza e` necessaria a reprimere il timore, non meno necessaria
e` la temperanza a moderare quell'inclinazione al piacere che cosi`
facilmente ci allontana da Dio.

1099. La temperanza e` una virtu` morale soprannaturale che modera
l'inclinazione al piacere sensibile, massime ai diletti del gusto e
del tatto, contenendolo nei limiti dell'onesta`.

Il suo oggetto e` di moderare ogni diletto sensibile, ma specialmente
quello che accompagna le due grandi funzioni della vita organica: il
mangiare e il bere che conservano la vita dell'indiviuo; e gli atti
che hanno per fine la conservazione della specie. La temperanza ci fa
usar del piacere per un fine onesto e soprannaturale, moderandone
quindi l'uso secondo le prescrizioni della ragione e della fede. E
poiche` il piacere e` seducente e ci trascina facilmente oltre i giusti
limiti, la temperanza c'induce a mortificarci anche in certe cose
lecite, onde assicurar l'impero della ragione sulla passione.

Tali sono i principii con cui risolveremo le questioni particolari.

Avendo gia` sufficientemente parlato delle regole da seguire per
moderare il piacere annesso alla nutrione (n. 864), tratteremo
qui solo della castita` che regola il diletto unito alla propagazione
della specie. Parleremo appresso di due virtu` alleate della
temperanza, l'umilta` e la dolcezza.
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22/10/2013 11:28
 
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sez. I. Della Castita`. 1100-1

1100. 1^ Nozione. La castita` ha per fine di reprimere tutto cio` che
vi e` di disordinato nei diletti della volutta`. Ora questi diletti non
hanno che un solo fine, di propagar la specie umana trasmettendo la
vita con l'uso legittimo del matrimonio. Fuori di questo, ogni volutta`
e` strettamente proibita.

La castita` e` meritamente detta virtu` angelica perche` ci avvicina agli
angeli che sono puri per natura. E` virtu` austera, perche` non si giunge
a praticarla se non disciplinando e domando il corpo e i sensi con la
mortificazione. E` virtu` delicata, perche` ogni minima debolezza
volontaria l'appanna; e quindi pure difficile, perche` non si puo`
conservare se non lottando generosamente e costantemente contro la piu`
tirannica delle passioni.

1101. 2^ Gradi. 1) Ha molti gradi: il primo consiste nel badare
attentamente di non acconsentire a pensiero, immaginazione, sensazione
od azione contrari a questa virtu`.

2) Il secondo mira ad allontanare immediatamente ed energicamente ogni
pensiero, immagine, o impressione, che potesse offuscare lo splendore
di questa virtu`.

3) Il terzo, che generalmente non si acquista se non dopo lunghi
sforzi nella pratica dell'amor di Dio, consiste nell'essere talmente
padroni dei sensi e dei pensieri che, quando si e` obbligati a trattar
questioni riguardanti la castita`, si fa con tanta calma e tranquillita`
come se si trattasse di qualsiasi altro argomento.

4) Vi sono infine di quelli che, per un privilegio speciale, giungono
a non aver piu` alcun moto disordinato, come si narra di S. Tommaso
dopo la vittoria da lui riportata in una pericolosa circostanza.

1102. 3^ Specie. Vi sono due specie di castita`: la castita`
coniugale che conviene alle persone legittimamente coniugate, e la
continenza che conviene a quelle che non lo sono. Dopo aver
brevemente trattato della prima, ci fermeremo sulla seconda,
specialmente in quanto conviene alle persone vincolate dal celibato
religioso od ecclesiastico.

I. Della castita` coniugale.

1103. 1^ Principio. Gli sposi cristiani non devono mai dimenticare
che, secondo la dottrina di S. Paolo, il matrimonio cristiano e`
simbolo dell'unione santa che corre tra Cristo e la Chiesa: "Voi, o
uomini, amate le spose, come anche Cristo amo` la Chiesa e diede se
stesso per lei, a fine di santificarla" 1103-1. Devono quindi
amarsi, rispettarsi, santificarsi a vicenda. Il primo effetto di
quest'amore e` l'indissolubile unione dei cuori e quindi l'inviolabile
fedelta` dell'uno verso l'altro.

1104. 2^ Mutua fedelta`. a) Toglieremo qui ad imprestito le parole di
S. Francesco di Sales o ne compendieremo il pensiero 1104-1.

"Serbate dunque, o mariti, un tenero, costante e cordiale amore verso
le vostre donne... Se volete che le vostre donne vi siano fedeli,
insegnateglielo voi col vostro esempio. Con qual fronte, dice
S. Gregorio Nazianzeno 1104-2, potete esigere pudicizia dalle
vostre spose, se voi vivete nell'impudicizia?" -- "Ma voi, o donne, il
cui onore e` inseparabilmente unito con la pudicizia e l'onesta`,
serbate gelosamente la vostra gloria e non permettete che alcuna
specie di dissolutezza offuschi il candore della vostra riputazione.
Paventate ogni specie di assalti per piccoli che siano, non tollerate
corteggiatori attorno a voi. Chiunque venga a lodare la vostra
bellezza o la vostra grazia, vi dev'essere sospetto... che se alla
vostra lode qualcuno aggiunge il disprezzo di vostro marito,
grandemente vi offende, essendo chiaro che non solo vi vuol rovinare,
ma che vi stima gia` mezzo perduta, perche` si e` gia` a mezza via col
secondo mercante quando si e` disgustati del primo".

b) Nulla garantisce meglio questa mutua fedelta` quanto la pratica
della vera devozione, specialmente poi la preghiera recitata in
comune.

"Quindi le donne devono disederare che i mariti siano confettati collo
zucchero della devozione, perche` l'uomo senza devozione e` un animale
severo, aspro e rozzo; e i mariti devono desiderare che le donne siano
devote, perche` senza la devozione la donna e` grandemente fragile e
soggetta a rovinare o ad offuscarsi nella virtu`.

c) "Del resto, la mutua sopportazione dell'uno per l'altro dev'essere
cosi` grande che tutt'e due non si corruccino mai insieme e
all'improvviso, affinche` non si veda in loro dissensione e contesa".
Se quindi uno dei due e` in collera, l'altro resti calmo, affinche`
torni al piu` presto la pace.

1105. 3^ Dovere coniugale. Gli sposi rispetteranno la santita` del
letto coniugale con la purita` dell'intenzione e l'onesta` delle
relazioni.

A) L'intenzione sara` quella del giovane Tobia quando sposo` Sara: "Voi
sapete, o Signore, che non gia` per soddisfare la passione io prendo in
isposa questa mia cugina, ma per il solo desiderio di lasciar figli
che benedicano il vostro nome in tutti i secoli" 1105-1. Tal e`
infatti il fine primordiale del matrimonio cristiano: aver figli che
vengano educati nel timore e nell'amore del Signore, che siano formati
alla pieta` e alla vita cristiana, onde riescano un giorno cittadini
del cielo. Il fine secondario e` di aiutarsi scambievolmente a
sopportare le pene della vita e trionfar delle passioni subordinando
il piacere al dovere.

1106. B) Si compira` quindi fedelmente e francamente il dovere
coniugale 1106-1; tutto cio` che giova alla trasmissione della
vita non solo e` lecito ma onorevole; ma ogni azione che ponesse
volontario ostacolo a questo fine primordiale, sarebbe colpa grave,
perche` andrebbe contro il fine primario del matrimonio. -- Si terra`
conto di questa raccomandazione di S. Paolo: "Non vi rifiutate l'un
con l'altro, se non forse di comune accordo per un po' di tempo,
affine di attendere all'orazione; e di nuovo tornate a stare insieme;
che` non abbia a tentarvi Satana per la vostra
incontinenza" 1106-2.

C) Nell'adempimento di questo dovere ci vuole moderazione come
nell'uso del nutrimento; vi sono anche casi in cui l'igiene e la
decenza richiedono che si pratichi per un dato tempo la continenza.
Non ci si riesce se non quando si e` presa l'abitudine di subordinare
il piacere al dovere e di cercare nel frequente uso dei sacramenti
rimedio ai violenti desiderii della consupiscenza. Si ricordi che
nulla e` impossibile e che con la preghiera si ottiene sempre la grazia
di praticare le virtu` anche piu` austere.
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22/10/2013 11:28
 
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II. Della continenza o del celibato.

1107. La continenza assoluta e` un dovere per tutte le persone che
non sono unite dai vincoli di legittimo matrimonio. Onde dev'essere
praticata da tutti prima del matrimonio come pure da coloro che si
trovano nel santo stato di vedovanza 1107-1. Ma vi sono inoltre
anime elette chiamate a praticar la continenza per tutta al vita, o
nello stato religioso o nel sacerdozio o anche nel mondo. E` bene
fissare a queste persone regole speciali per la conservazione della
perfetta purita`.

La castita` e` virtu` fragile e delicata che non puo` conservarsi se non e`
protetta da altre virtu`; e` una cittadella che per la sua difesa ha
bisogno di forti avanzati. Questi forti sono quattro:
* 1^ l'umilta`, che produce la diffidenza di se` e la fuga delle
occasioni pericolose;
* 2^ la mortificazione, che, combattendo l'amor del piacere,
coglie il male alla radice;
* 3^ l'applicazione ai doveri del proprio stato, che previene i
pericoli dell'ozio;
* 4^ l'amor di Dio, che, appagando il cuore, l'impedisce
d'abbandonarsi a pericolosi affetti.

Chiusa nel centro di questo quadrilatero, l'anima puo` non solo
respingere gli assalti del nemico ma anche perfezionarsi nella purita`.

1^ L'UMILTA` CUSTODE DELLA CASTITA`.

1108. Questa virtu` genera tre principali disposizioni che ci
francano da molti pericoli: la diffidenza di se` e la confidenza in
Dio; la fuga delle occasioni pericolose; la sincerita` in confessione.

A) La diffidenza di se` accompagnata dalla confidenza in Dio. Molte
anime infatti cadono nell'impurita` per la loro superbia e presunzione.
Lo nota S. Paolo parlando dei filosofi pagani, i quali, gloriandosi
della loro sapienza, scivolarono in ogni sorta di turpitudini:
"Propterea tradidit illos Deus in passiones ignominiae" 1108-1.

La qual cosa viene cosi` spiegata dall'Olier: "Dio che non puo` soffrire
la superbia in un'anima, la umilia fino in fondo; e sollecito di farle
conoscere la sua debolezza e mostrarle che non ha potere alcuno da se`
per resistere al male e mantenersi nel bene... permette che sia
travagliata da quelle orribili tentazioni e che talora vi soccomba
sino in fondo, essendo esse le piu` vergognose di tutte, e lasciando
maggior confusione. Quando invece si e` persuasi di non poter essere
casti da se`, si ripete a Dio quell'umile preghiera di S. Filippo Neri:
"O mio Dio, non vi fidate di Filippo, che altrimenti vi tradira`".

1109. a) Cotesta diffidenza dev'essere universale. 1) E` necessaria a
coloro che gia` commisero colpe gravi, perche` la tentazione tornera` e,
senza la grazia, sarebbero esposti a ricadere; e non meno necessaria e`
a coloro che serbarono l'innocenza, perche` un giorno o l'altro la
crisi verra`, tanto piu` formidabile in quanto che essi non hanno ancora
esperienza della lotta. 2) Deve perseverare sino alla fine della vita:
Salomone non era piu` giovane quando si lascio` vincere dall'amore delle
donne; vecchioni erano i due che tentarono la casta Susanna; il
demonio che ci assale nell'eta` matura e` tanto piu` terribile perche` si
credeva di averlo vinto; e l'esperienza insegna che, fino a tanto che
ci resta un pochino di calore vitale, il fuoco della concupiscenza,
che cova sotto la cenere, si riaccende talora con novello ardore. 3) E`
necessaria anche alle anime piu` sante: il demonio ha piu` brama di far
cader loro che non le anime volgari, e tende quindi piu` perfide
insidie. Lo noto` S. Girolamo 1109-1, concludendone che non
bisogna fidarsi ne` dei lunghi anni passati nella castita` ne` della
propria santita` o del proprio senno 1109-2.

1110. b) Diffidenza pero` che dev'essere accompagnata da assoluta
confidenza in Dio. Dio infatti non permettera` che siamo tentati sopra
le nostre forze; non ci chiede l'impossibile: a volte ci da`
immediatamente la grazia di resistere alle tentazioni, a volte la
grazia di pregare onde ottener grazia piu` efficace 1110-1.

Bisogna quindi, dice l'Olier 1110-2, "ritirarsi interiormente in
Gesu` Cristo, per trovare in lui la forza di resistere alla
tentazione... Egli vuole che siamo tentati, perche`, avvertiti cosi`
della nostra debolezza e del bisogno che abbiamo del suo aiuto, ci
ritiriamo in lui per attingervi la forza che ci manca". Se la
tentazione si fa piu` violenta, bisogna gettarsi in ginocchio e levando
le mani al cielo invocar l'assistenza di Dio: "Dico, aggiunge l'Olier,
che bisogna alzare le mani al cielo, non solo perche` questa positura e`
gia` una preghiera presso Dio, ma anche perche` bisogna dar per espressa
penitenza di non toccarsi mai durante questo tempo e di soffrire
piuttosto tutti i martirii interni e tutte le noie della carne e anche
del demonio, anziche` toccarsi".

Prese tutte queste precauzioni, si puo` fare infallibile assegnamento
sull'aiuto di Dio: "Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari
supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum". --
Onde non bisogna paventar troppo la tentazione prima che arrivi,
perche` sarebbe il mezzo di attirarla; ne` quando ci assale, perche`,
appoggiandoci su Dio, siamo invincibili.

1111. B) La fuga delle occasioni pericolose. a) La mutua simpatia
che corre tra le persone di diverso sesso, causa alle persone votate
al celibato occasioni pericolose; bisogna quindi sopprimere
gl'incontri inutili, e allontanarne i pericoli quando quest'incontri
sono necessari 1111-1. Ecco perche` la direzione spirituale delle
donne non deve farsi che in confessionale, come abbiamo gia` detto,
n. 546. -- Due cose dobbiamo tutelare: la nostra virtu` e la
nostra riputazione; l'una e l'altra esigono sommo riserbo.

b) I fanciulli che hanno esteriore grazioso, indole allegra e
affettuosa, possono essi pure riuscire occasione pericolosa: si
guardano volentieri, si accarezzano, e, se non si sta attenti, si
trascorre a familiarita` che turbano i sensi. E` avviso che non si deve
trascurare, e` una specie d'ammonimento che Dio ci da`, onde farci
capire che e` tempo di fermarci, e che si e` anzi gia` andati troppo
oltre. -- Rammentiamoci che questi fanciulli hanno angeli custodi che
contemplano la faccia di Dio; che sono tempii vivi della SS. Trinita` e
membra di Cristo. Sara` allora piu` facile trattarli con santo rispetto,
pur mostrando loro molto affetto.

1112. c) In generale l'umilta` ci fa schivare il desiderio di
piacere, causa, ahime! di molte cadute. Cotesto desiderio, che nasce
nello stesso tempo dalla vanita` e dal bisogno d'affetto, si manifesta
col culto esagerato della persona, con le minuziose cure del vestire,
con un contegno lezioso ed affettato, con un modo di parlare
sdolcinato, con sguardi carezzevoli, con l'abitudine di complimentar
le persone per le loro doti esteriori 1112-1. E` un fare che da`
subito nell'occhio, specialmente in un giovane chierico, in un
sacerdote o in un religioso. Ne va presto di mezzo la riputazione; e
Dio voglia che si corregga prima che ne vada anche la virtu`!

1113. C) L'umilta` poi ci da` pure verso il direttore quell'apertura
di cuore tanto necessaria per schivare i tranelli del nemico.

Nella regola tredicesima sul discernimento degli spiriti, S. Ignazio
giustamente dice che "quando il nemico della natura umana si fa con le
sue astuzie e coi suoi artifizi a ingannare un'anima giusta, vuole che
essa l'ascolti e che serbi il segreto. Ma se quest'anima svela tutto a
un illuminato confessore, o ad altra persona spirituale che conosca le
fallacie e le astuzie del nemico, ne resta assai dolente, perche` sa
che tutta la sua malizia restera` impotente, dacche` i suoi tentativi
vennero scoperti e messi in piena luce" 1113-1. Savio consiglio
che si applica soprattutto alla castita`: quando si e` solleciti di
svelare con candore ed umilta` le tentazioni al direttore, si viene
avvisati per tempo dei pericoli che si possono incorrere, si adoperano
i mezzi da lui suggeriti, e una tentazione svelata e` tentazione vinta.
Ma se, confidando nei propri lumi, non se ne dice nulla sotto pretesto
che non e` peccato, si cade facilmente nei tranelli del seduttore.
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22/10/2013 11:29
 
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2^ LA MORTIFICAZIONE CUSTODE DELLA CASTITA`.

Abbiamo gia` esposto la necessita` e le principali pratiche della
mortificazione, n. 755-790. Richiamiamo qui quanto piu`
direttamente si riferisce al nostro argomento. Poiche` il veleno
dell'impurita` s'insinua attraverso tutte le fessure, bisogna saper
mortificare i sensi esterni, i sensi interni, gli affetti del cuore.

1114. A) Il corpo, come abbiamo detto, n. 771 e ss., ha bisogno
d'essere disciplinato e occorrendo castigato per star sottomesso
all'anima: "castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte cum
aliis praedicaverim ipse reprobus efficiar".

Deriva da questo principio la necessita` della sobrieta`, talvolta anche
del digiuno o di qualche esercizio esteriore di penitenza; come pure
la necessita`, in certe occasioni, massime in primavera, di un regime
emolliente onde calmare l'ebollizione del sangue e gli ardori della
concupiscenza. Nulla dev'essere trascurato per assicurare il dominio
dell'anima sul corpo. -- Via il sonno troppo prolungato; in generale
non e` bene rimanere a letto il mattino, quando uno e` sveglio e non puo`
piu` ripigliar sonno.

Nel corpo ogni senso ha bisogno d'essere mortificato.

1115. a) Il santo uomo Giobbe aveva fatto patto cogli occhi di non
lasciarli correre su persone che gli potessero cagionar tentazioni:
"Pepigi foedus cum oculis meis, ut ne cogitarem quidem de
virgine" 1115-1. L'Ecclesiastico premurosamente raccomanda di non
fissar gli occhi sulle giovani e di stornare lo sguardo dalla donna
elegante: "perche` molti sono sedotti dalla sua bellezza e la passione
vi s'infiamma come il fuoco" 1115-2. Consigli molto ben fondati
in psicologia: lo sguardo eccita la fantasia e accende il desiderio,
il desiderio poi sollecita la volonta`, e se questa consente, il
peccato entra nell'anima.

1116. b) La lingua e l'udito si mortificano col riserbo nelle
conversazioni. Riserbo che spesso manca anche tra le persone
cristiane: l'abitudine di leggere romanzi e di frequentare il teatro
fa che si parli troppo liberamente di molte cose che si dovrebbero
tacere; si tien dietro volentieri ai piccoli scandali mondani; talora
si ride e si scherza su argomenti piu` o meno scabrosi. Una certa
morbosa curiosita` fa che si prenda gusto a queste storielle o
piacevolezze; la fantasia se ne pasce rappresentandosi minutamente le
scene descritte; i sensi si commuovono e spesso la volonta` finisce col
prendervi colpevole diletto. Ha dunque ragione S. Paolo di biasimare
le cattive compagnie come fonte di depravazione: "corrumpunt mores
bonos colloquia prava" 1116-1. Ed aggiunge: "Via le parole
disoneste, le buffonerie, gli scherzi grossolani, che son tutte cose
sconvenienti" 1116-2. L'esperienza infatti dimostra che anime
pure furono pervertite dalla morbosa curiosita` eccitata da
conversazioni imprudenti.

1117. c) Il tatto poi e` pericoloso in modo particolare, n. 879.

L'aveva ben capito il Perreyve, il quale scriveva: 1117-1 "piu`
che altro, o Signore, io vi consacro le mani; ve le consacro fino allo
scrupolo. Queste mani riceveranno fra tre giorni la consacrazione
sacerdotale. Fra quattro giorni, avranno toccato, tenuto, portato il
vostro corpo e il vostro sangue. Voglio rispettarle, venerarle come
gli strumenti sacri del vostro servizio e dei vostri altari"... Quando
infatti si pensa che il mattino si e` tenuto tra le mani il Dio d'ogni
santita`, si e` piu` disposti ad astenersi da tutto cio` che potrebbe
macchiarne la purita`. Grande riserbo dunque verso se stesso; verso gli
altri si usino pure le ordinarie cortesie, ma si badi a non metterci
alcun sentimento appassionato che tradisca disordinato affetto. A un
prete che chiedeva se convenisse toccare il polso a una moribonda,
S. Vincenzo rispose: "Bisogna guardarsi bene dall'usare questa
pratica, perche` lo spirito maligno se ne potrebbe servire per tentare
il vivo e anche la moribonda. Il diavolo in quei momenti fa strale
[sic] di ogni legno per assalire un'anima... Non v'immischiate mai di
toccar nessuna donna ne` nubile ne` maritata, sotto qualsiasi
pretesto" 1117-2.

1118. B) I sensi interni non sono meno pericolosi degli esterni, e
anche quando chiudiamo gli occhi, ricordi importuni e insistenti
immaginazioni continuano a perseguitarci. Se ne lamentava S. Girolamo
nella solitudine, dove, non ostante l'ardore del sole e la poverta`
della cella, si vedeva trasportato dalla fantasia in mezzo alle
delizie di Roma 1118-1. Onde raccomanda insistentemente di
scacciar subito queste immaginazioni: "Nolo sinas cogitationes
crescere... Dum parvus est hostis, interfice; nequitia, ne zizania
crescant, elidatur in semine" 1118-2. Bisogna soffocar il nemico
prima che diventi adulto e schiantar la zizzania prima che cresca;
altrimenti l'anima viene invasa e assediata dalla tentazione, e il
tempio dello Spirito Santo diventa covo di demoni: "ne post Trinitatis
hospitium, ibi daemones saltent et sirenae nidificent" 1118-3.

1119. A schivare queste pericolose immaginazioni, conviene lasciar
la lettura di quei romanzi e di quelle opere teatrali che vivamente e
realisticamente descrivono le passioni umane specialmente la passione
dell'amore. Coteste descrizioni non fanno che turbar la fantasia e i
sensi; e ritornano poi persistentemente dando alla tentazione forma
piu` viva e piu` seducente e talora strappano il consenso. Ora, come
osserva S. Girolamo, la verginita` si perde non solo con gli atti
esterni ma anche con gli interni: "Perit ergo et mente
virginitas" 1119-1.

I Santi ci esortano pure a mortificar le immaginazioni e le fantasie
inutili. Infatti l'esperienza insegna che nel vano fantasticare si
insinuano presto immagini sensuali e pericolose, onde, chi vuole
prevenirle, non deve volontariamente abbandonarcisi. Si riesce cosi` a
poco a poco a mettere l'immaginazione al servizio della volonta`.

Cosa particolarmente necessaria al sacerdote, che, in virtu` della
stessa sua professione, riceve confidenze su materie delicate. E` vero
che ha le grazie particolari del suo stato per non compiacervisi, ma a
patto che, uscito dal confessionale, non ritorni volontariamente su
cio` che ascolto`; altrimenti la sua virtu` subira` dura prova, e Dio non
si e` obbligato a soccorrere gl'imprudenti che vanno a cercare i
pericoli: "qui amat periculum in illo peribit" 1119-2.

1120. C) Il cuore ha pur bisogno di essere mortificato quanto la
fantasia. E` una delle piu` nobili ma anche delle piu` pericolose
facolta`. Coi voti o col sacerdozio consacriamo il cuore a Dio e
rinunziamo alle gioie della famiglia. Ma questo cuore resta aperto
agli affetti, e se abbiamo grazie speciali per ben disciplinarlo, sono
grazie di combattimento che richiedono da parte nostra vigilanza molta
e sforzi molti.

Oltre ai pericoli comuni il sacerdote ne trova di particolari
nell'esercizio del ministero. Senz'accorgersene uno si affeziona alle
persone a cui si fa del bene; e queste da parte loro si sentono
portate ad esprimerci la loro riconoscenza. Quindi mutui affetti, da
principio soprannaturali, ma che, se non stiamo in guardia, diventano
facilmente naturali, sensibili, invadenti. E` cosa facile l'illudersi:
"Spesso, dice S. Francesco di Sales, pensiamo di amare una persona per
Dio e invece l'amiamo per noi stessi; diciamo di amarla per Dio ma in
realta` l'amiamo per la consolazione che proviamo trattando con lei".
Un celebre testo, attribuito a S. Agostino, ci mostra i vari gradi
onde si passa dall'amore spirituali all'amore carnale: "Amor
spiritalis generat affectuosum, affectuosus obsequiosum, obsequiosus
familiarem, familiaris carnalem".

1121. A schivare tanta sventura, bisogna esaminarsi ogni tanto e
vedere se troviamo in noi qualcuno dei segni caratteristici di
amicizia troppo naturale e sensibile. Il P. di Valuy li compendia
cosi` 1121-1: "Quando il viso d'una persona comincia a cattivarsi
gli occhi o l'indole sua simpatica commuove e fa palpitare il cuore.
Saluti teneri, parole tenere, sguardi teneri, regalucci sempre
crescenti... Certi scambievoli sorrisi piu` eloquenti delle parole; un
certo fare libero che tende a poco a poco alla familiarita`; favori e
riguardi premurosi, offerte di servizio, ecc. Procurarsi conversazioni
segrete dove nessun occhio e nessun orecchio dia noia; continuarle a
lungo e ripeterle senza motivo. Parlar poco delle cose di Dio e molto
di se` e della mutua amicizia. -- Lodarsi, adularsi, scusarsi a
vicenda. -- Lagnarsi amaramente degli avvisi dei superiori, degli
ostacoli che mettono a quei colloqui, dei sospetti che pare che
abbiano... -- Nell'assenza della persona amica provare inquietudine e
tristezze. -- Nelle preghiere venir distratti dalla sua memoria,
raccomandarla talora a Dio con fervore straordinario, averne
l'immagine profondamente scolpita nel cuore, pensarci il giorno, la
notte, sognarla anche. -- Informarsi ansiosamente dov'e`, che cosa fa,
quando ritornera`, se non ha affetto per altri. -- Al suo ritorno
sentir trasporti di gioia straordinaria. -- Soffrire una specie di
martirio nel doversene di nuovo separare. Studiar mille astuzie per
aver l'occasione di rivederla".

Non si confidi troppo sulla pieta` delle persone con cui si e` legati
d'amicizia; perche` quanto piu` sono sante, tanto piu` sono attraenti,
"quo sanctiores sunt, eo magis alliciunt". D'altra parte queste
persone pensano che l'affetto verso un sacerdote non abbia nulla di
pericoloso e vi si abbandonano senza timore; bisogna quindi che il
sacerdote sappia tenerle a rispettosa distanza.
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22/10/2013 11:29
 
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3^ L'APPLICAZIONE AGLI STUDI E AI DOVERI DEL PROPRIO STATO.

1122. Una delle piu` utili mortificazioni e` la fuga dell'ozio,
applicandosi con ardore agli studi ecclesiastici e al fedele
adempimento dei doveri del proprio stato. Si rimuovono cosi` i pericoli
dell'ozio: multam malitiam docuit otiositas 1122-1. Se a tentare
chi e` occupato c'e` un demonio, a tentare chi e` ozioso ce ne sono
cento. Che si fa infatti quando non si e` utilmente occupati? Si va
fantasticando, si leggono libri leggeri, si fanno lunghe visite, si
tengono conversazioni piu` o meno pericolose, l'immaginazione si
riempie di vani fantasmi, il cuore s'abbandona ad affetti sensibili, e
l'anima, aperta a tutte le tentazioni, finisce col soccombere. Invece,
quando uno s'applica seriamente allo studio o alle opere del
ministero, la mente si riempie di buoni e salutari
pensieri 1122-2, il cuore si volge a nobili e casti affetti; non
si pensa che alle anime; e la stessa moltiplicita` delle occupazioni ci
mette nella fortunata necessita` di non avere alcuna intimita` con
questa o con quella persona. Se in un dato momento la tentazione si
presenta, la padronanza acquistata col lavoro assiduo sopra se stesso,
aiuta a voltarle presto le spalle; lo studio, il ministero ci
chiamano, onde si lasciano presto da parte le vane fantasie per
attendere a cose reali che occupano il meglio della nostra vita.

1123. Gran servizio si rende dunque ai seminaristi e ai sacerdoti
insegnando loro ad amare lo studio, a fuggir l'ozio anche durante le
vacanze, a sapere utilizzar tutti gli istanti della vita. Quando si
puo` aiutarli a farsi un programma di studi per il ministero, a
preparare un corso di istruzioni, a prendere interesse a qualche
questione speciale, si rende loro un buon servizio. Se non si ha un
programma formato prima, si corre pericolo di sciupare il tempo; con
un programma ben fatto uno si mette al lavoro con molto maggior ardore
e perseveranza.

4^ L'AMORE ARDENTE PER GESU` E PER LA SUA SANTA MADRE.

1124. Se il lavoro ci preserva la mente dai pericolosi pensieri,
l'amor di Dio ci preserva il cuore dagli affetti sensibili, e ci
risparmia cosi` molte tentazioni.

Il cuore dell'uomo e` fatto per amare; il sacerdozio o lo stato
religioso non ci toglie questo lato affettivo della nostra natura, ma
ci aiuta a renderlo soprannaturale. Se amiamo Dio con tutta l'anima,
se amiamo Gesu` sopra tutte le cose, sentiremo meno il desiderio
d'espanderci nelle creature. E` cio` che nota S. Giovanni Climaco:
"Virtuoso e` colui che ha talmente impresse nell'animo le celesti
bellezze da non degnarsi neppure di gettar lo sguardo sulle bellezze
della terra, onde non risente l'ardore di quel fuoco che infiamma il
cuore altrui" 1124-1.

1125. Ma per ottener questo effetto, l'amore di Gesu` dev'essere
ardente, generoso, predominante. Allora infatti produce un triplice
vantaggio: 1) riempie talmente la mente e il cuore che poco piu` si
pensa agli umani affetti; e se avviene talora che facciano capolino,
si mettono bellamente alla porta con quelle parole di S. Agnese: "Ipsi
sum desponsata cui Angeli serviunt, cujus pulchritudinem sol et luna
mirantur". E` chiaro che, di fronte a Colui che possiede la pienezza
della belta`, della bonta` e della potenza, tutte le creature scompaiono
e perdono ogni attrattiva. 2) Ma poi Gesu`, che non puo` soffrire idoli
nel nostro cuore, ci rimproverera` vivamente gli affetti naturali se
abbiamo la disgrazia di cadervi, e sotto la sferza dei suoi rimproveri
saremo piu` forti a combatterli. 3) Infine egli stesso protegge con
cura gelosa il cuore di coloro che si danno a lui; ci verra` quindi in
aiuto al momento della tentazione, porgendoci forza contro le
seduzioni delle creature.

Questo amore generoso per Gesu` si attinge nell'orazione, nelle
ferventi comunioni e nelle visite al SS. Sacramento; e vien reso
abituale e permanente con quella vita di intima unione con Nostro
Signore da noi descritta al n. 153.

1126. Vi si aggiunge grande devozione alla Vergine Immacolata; nome
che spira purita`, onde pare che il solo fiducioso invocarlo metta gia`
in fuga la tentazione. Se poi intieramente ci consacriamo a questa
Buona Madre (n. 170-176), allora ci vigila come cosa sua, come
sua proprieta`, e ci aiuta a respingere vittoriosamente anche le piu`
tempestose tentazioni. Recitiamo dunque volentieri la preghiera
O Domina tanto efficace contro le impure suggestioni, l'Ave maris
stella, principalmente la strofa:

Virgo singularis,
Inter omnes mitis,
Nos culpis solutos,
Mites fac et castos.

Che se mai restassimo vinti nella lotta, non dimentichiamo che
l'Immacolato Cuore di Maria e` nello stesso tempo sicuro rifugio dei
peccatori; che, invocandolo, troveremo la grazia del pentimento,
seguita dalla grazia dell'assoluzione; e che nessuno meglio della
Vergine fedele puo` garantirci la perseveranza.
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22/10/2013 11:30
 
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sez. II. L'Umilta` 1127-1.

L'umilta` potrebbe sotto certi aspetti connettersi colla giustizia,
perche` c'inclina a trattarci come meritiamo. Nondimeno viene
generalmente connessa colla virtu` della temperanza, perche` modera il
sentimento che abbiamo della propria eccellenza. Ne esporremo:
* 1^ la natura;
* 2^ i gradi;
* 3^ l'eccellenza;
* 4^ i mezzi di praticarla.

I. La natura.

1127. 1^ L'umilta` fu virtu` ignota ai pagani; umilta` indicava per
loro qualche cosa di vile, di abbietto, di servile o d'ignobile. Non
era cosi` presso i Giudei: illuminati dalla fede, i migliori tra essi,
i giusti, coscienti del loro nulla e della loro miseria, accettavano
con pazienza la prova come mezzo di espiazione; Dio allora si piegava
verso di loro per soccorrerli; esaudiva volentieri le preghiere degli
umili, e perdonava il peccatore contrito ed umiliato. Quindi, quando
Nostro Signore venne a predicar l'umilta` e la dolcezza, i Giudei erano
in grado di capirne il linguaggio. Noi poi lo intendiamo anche meglio
dopo aver meditato sugli esempi d'umilta` che egli ci diede nella vita
nascosta, nella pubblica, nella paziente, e che continua a darci nella
vita eucaristica.

Si puo` definir l'umilta`: virtu` soprannaturale, che, con la conoscenza
che ci da` di noi stessi, c'inclina a stimarci secondo il giusto valore
e a cercare il nascondimento e il disprezzo. Piu` brevemente
S. Bernardo la definisce: "virtus qua^ homo, verissima^ sui agnitione,
sibi ipsi vilescit" 1127-2. Definizione che s'intendera` meglio
quando avremo esposto il fondamento dell'umilta`.

1128. 2^ Fondamento. L'umilta` ha un doppio fondamento: la verita` e
la giustizia: la verita`, che ci porta a conoscerci quali veramente
siamo; la giustizia, che c'inclina a trattarci conforme a questa
conoscenza.

A) Per conoscerci bene, dice S. Tommaso, bisogna vedere cio` che in noi
appartiene a Dio e cio` che appartiene a noi; ora tutto cio` che vi e` di
bene viene da Dio e a lui appartiene, e tutto cio` che vi e` di male o
di difettoso viene da noi: "In homine duo possunt considerari,
scilicet id quod est Dei, et id quod est hominis. Hominis autem est
quidquid pertinet ad defectum; sed Dei est quidquid pertinet ad
salutem et perfectionem" 1128-1.

Onde la giustizia imperiosamente esige che si renda a Dio, e a Dio
solo, ogni onore e ogni gloria: "Regi saeculorum immortali, invisibili,
soli Deo honor et gloria 1128-2... Benedictio, et claritas, et
sapientie, et gratiarum actio, honor et virtus et fortitudo Deo
nostro" 1128-3.

Vi e` certamente in noi qualche cosa di bene: il nostro essere naturale
e soprattutto i nostri privilegi soprannaturali; l'umilta` non ci
proibisce di vederli e ammirarli, ma, come quando si ammira un quadro,
l'ossequio nostro va all'artista che l'ha dipinto e non gia` alla tela,
cosi` quando ammiriamo in noi i doni e le grazie di Dio, a lui e non a
noi deve volgersi la nostra ammirazione.

1129. B) D'altra parte la qualita` di peccatori ci condanna
all'umiliazione. In un certo senso non siamo da noi che peccato
perche`, nati nel peccato, conserviamo in noi la concupiscenza che ci
porta al peccato.

a) Entrando nel mondo, siamo gia` macchiati della colpa originale, da
cui la sola misericordia divina puo` purificarci. b) E quante colpe
attuali abbiamo commesso dal primo destarsi della ragione! Se avessimo
commesso anche un solo peccato mortale, meriteremmo gia` per questo
eterne umiliazioni. Ma quand'anche non avessimo commesso che colpe
veniali, dobbiamo pensare che la minima di esse e` offesa di Dio, e`
volontaria disubbidienza alla sua legge, e` atto di ribellione con cui
preferimmo la volonta` nostra alla sua; cosicche` un'intiera vita
passata nella penitenza e nell'umiliazione non basterebbe ad espiarla.
c) Inoltre conserviamo in noi, anche quando siamo rigenerati, profonde
inclinazioni al peccato, ad ogni sorta di peccati, cosicche`, come
insegna S. Agostino, se non siamo caduti in tutti i peccati del mondo,
lo dobbiamo alla sola grazia di Dio 1129-1.

Dobbiamo quindi per giustizia amar le umiliazioni e accettar tutti i
rimproveri: se ci dicono che siamo avari, disonesti, superbi, dobbiamo
convenirne, perche` portiamo in noi la tendenza a tutti questi vizi.
"Onde, conchiude l'Olier 1129-2, in ogni malattia, persecuzione,
disprezzo o qualsiasi altra afflizione, bisogna che ci mettiamo dalla
parte di Dio e contro di noi, riconoscendo che meritiamo quello e
molto di piu` ancora, che Dio ha diritto di servirsi di ogni creatura
per punirci, e adorando la grande misericordia che ora esercita su di
noi, memori che al tempo della giustizia ci dovra` trattare piu`
rigorosamente".

Ecco dunque il doppio fondamento dell'umilta`: essendo nulla da noi,
dobbiamo amare il nascondimento e l'obli`o: nesciri et pro nihilo
reputari; essendo peccatori, meritiamo tutti i disprezzi e tutte le
umiliazioni.
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22/10/2013 11:30
 
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II. I vari gradi di umilta`.

Vi sono varie classificazioni dell'umilta` secondo i vari aspetti sotto
cui uno la guarda. Ne indicheremo solo le principali, che possono
ridursi a quattro: quella di S. Benedetto, quella di S. Ignazio,
quella dell'Olier e quella di S. Vincenzo de' Paoli.

1130. 1^ I dodici gradi di S. Benedetto. Cassiano aveva distinto
dieci gradi nella pratica dell'umilta`: S. Benedetto ne compie la
divisione aggiungendovi due altri gradi. Per coglierne bene
l'ordinamento, bisogna sapere che S. Benedetto considera questa virtu`
come "un'abituale disposizione dell'anima che regola tutto il
complesso delle relazioni del monaco con Dio nella doppia sua qualita`
di creatura peccatrice e di figlio adottivo" 1130-1. E` fondata
sulla riverenza versi Dio e comprende, oltre l'umilta` propriamente
detta, l'obbedienza, la pazienza e la modestia. Di questi dodici gradi
sette si riferiscono agli atti interni e cinque agli esterni.

1131. Tra gli atti interni S. Benedetto pone:

1) Il timor di Dio che e` continuamente presente agli occhi della
nostra mente e ci fa praticare i comandamenti: prima timor dei
castighi poi timore riverenziale che si perfeziona nell'adorazione:
"timor Domini sanctus, permanens in saeculum saeculi" 1131-1.

2) L'obbedienza, o la sottomissione della volonta` nostra a quella di
Dio: infatti se abbiamo la riverenza e il timor di Dio, ne faremo la
volonta` in tutto: quest'obbedienza e` atto di vera umilta`, perche` e`
espressione della nostra dipendenza rispetto a Dio.

3) L'obbedienza ai Superiori per amor di Dio, pro amore Dei; e` cosa
piu` difficile sottomettersi ai Superiori che a Dio, occorrendo maggior
spirito di fede per veder Dio nei superiori; e abnegazione piu`
perfetta, perche` questa obbedienza s'applica a un maggior numero di
cose.

4) L'obbedienza paziente anche nelle cose piu` difficili, sopportando
le ingiurie senza lagnarsi, tacita^ conscientia^, soprattutto quando
l'umiliazione viene dai Superiori; per riuscirvi si pensa alla
ricompensa celeste e ai patimenti ed umiliazioni di Gesu`.

5) La confessione delle colpe segrete, compresi i pensieri, al
superiore 1131-2 fuori della sacramentale confessione: atto di
umilta` che diventa freno gagliardo, perche` il pensiero di dover
palesare le colpe anche piu` segrete trattiene spesso sul pendi`o
dell'abisso.

6) L'accettazione cordiale di tutte le privazioni e vili occupazioni,
considerandosi impari al proprio ufficio.

7) Credersi sinceramente, dal fondo del cuore, l'ultimo di tutti gli
uomini: "si omnibus se inferiorem et viliorem intimo cordis credat
affectu". E` grado raro: i Santi ci arrivano pensando che, se gli altri
avessero avuto tante grazie quante loro, sarebbero migliori.

1132. Com'e` naturale, questi atti interni si manifestano con atti
esterni, di cui i principali sono:

8) La fuga della singolarita`: non far nulla di straordinario,
contentandosi di cio` che e` permesso dalla regola comune, dagli esempi
degli antichi e dalle legittime consuetudini; infatti voler fare il
singolare e` segno di superbia o di vanita`.

9) Il silenzio: saper tacere finche` non si sia interrogati o non si
abbia buona ragione di parlare, porgendo altrui occasione di
discorrere: vi e` infatti molta vanita` a voler sempre prendere la
parola.

10) Il riserbo nel ridere: S. Benedetto non condanna il riso quando e`
espressione di gioia spirituale, ma solo il riso di cattiva lega, il
riso grossolano o il riso beffardo, o la disposizione a ridere
facilmente e rumorosamente, segno di poco rispetto alla presenza di
Dio e di poca umilta`.

11) Il riserbo nelle parole: quando si parla, farlo dolcemente e
umilmente, senza scatti o scoppi di voce, ma con la gravita` e la
sobrieta` del savio.

12) La modestia nel contegno: camminare, sedersi, star ritto,
guardare, modestamente, senza affettazione, col capo leggermente
inclinato, pensando a Dio e riflettendo che si e` indegni di alzar gli
occhi al cielo: Domine, non sum dignus ego peccator levare oculos meos
ad caelum".

Spiegati i diversi gradi d'umilta`, S. Benedetto aggiunge che conducono
all'amor di Dio, a quell'amore perfetto che esclude il timore: "Ergo
his omnibus humilitatis gradibus ascensis, monachus mox ad caritatem
Dei perveniet illam quae perfecta foris mittit timorem": l'amor di Dio,
ecco dunque il termine a cui conduce l'umilta`: aspra e` la via, ma la
vetta a cui mena sono le sublimita` dell'amor divino.

1133. 2^ I tre gradi di S. Ignazio. Verso la fine della seconda
settimana degli Esercizi, prima delle regole sulla retta elezione
delle cose, S. Ignazio propone a chi fa gli esercizi tre gradi
d'umilta`, che in fondo sono tre gradi d'abnegazione.

1) Il primo "consiste nell'abbassarmi e nell'umiliarmi quanto piu` mi
sara` possibile e quanto mi e` necessario per obbedire in tutto alla
legge di Dio, nostro Signore; di modo che, quand'anche mi si offrisse
la signoria di tutto il mondo, o mi si minacciasse della vita, io non
metta neppure in deliberazione la possibilita` di trasgredire un
comandamento di Dio o degli uomini che mi obblighi sotto pena di
peccato mortale". Questo grado e` essenziale per ogni cristiano che
voglia conservare lo stato di grazia.

2) Il secondo grado di umilta` e` piu` perfetto del primo. "Consiste nel
sentirmi in un'intiera indifferenza di volonta` e di affetto tra le
ricchezze e la poverta`, l'onore e il disprezzo, vita lunga o vita
breve, quando ne provenga uguale gloria a Dio e uguale vantaggio
all'anima mia. Cosi` pure che quand'anche si trattasse di guadagnar
l'intiero universo o di sottrarmi alla morte, io non ponga neppure in
deliberazione il pensiero di commettere un solo peccato veniale". E`
disposizione gia` molto perfetta, a cui non pervengono che ben poche
anime.

3) Il terzo grado d'umilta` e` perfettissimo. "Inchiude i due primi e
vuole di piu` che, supponendo eguali la lode e la gloria della divina
Maesta`, ad imitare piu` perfettamente Gesu` Cristo, Nostro Signore, e
rendermi veramente piu` simile a lui, io preferisca ed abbracci la
poverta` con Gesu` Cristo povero, anziche` le ricchezze; i disprezzi con
Gesu` Cristo saziato di obbrobri, anziche` gli onori; il desiderio di
esser tenuto per uomo inutile e stolido, per amor di Cristo che volle
primo passar per tale, anziche` esser tenuto per uomo savio e prudente
agli occhi del mondo". E` il grado dei perfetti, e` l'amor della croce e
dell'umiliazione in unione con Cristo e per amor suo; giunti a questo
punto, si e` nella via della santita`.

1134. 3^ I tre gradi di umilta` secondo l'Olier. Esposta nel
catechismo cristiano la necessita` dell'umilta` e il modo di combattere
l'orgoglio, l'Olier spiega nell'Introduzione i tre gradi di umilta`
interiore che convengono alle anime gia` fervorose.

a) Il primo e` di compiacersi nella vera conoscenza di se`, della
propria vilta` e bassezza, dei difetti e peccati propri. La sola
conoscenza delle proprie miserie non e` umilta`; vi sono di quelli che
rilevano i propri difetti ma attristandosene e cercando in se` qualche
perfezione che li salvi dalla confusione che provano: il che e` effetto
di superbia. Ma quando uno si compiace nella conoscenza delle proprie
miserie, quando si ama la propria vilta` ed abbiezione, si e` veramente
umili.

Se si ebbe la disgrazia di commettere un peccato, si deve certamente
detestarlo, ma nello stesso tempo amare la vilta` a cui si e` ridotti
per il peccato. A potersi compiacere delle proprie miserie, bisogna
pensare che questo sentimento onora Dio, appunto perche` la piccolezza
nostra fa risaltare la sua grandezza, e i peccati nostri la sua
santita`. L'anima protesta cosi` la sua nullita` e la sua incapacita` di
fare il bene da se stessa, e che tutto viene da Dio, tutto dipende da
lui, tutto dev'essere in noi da lui operato.

b) Il secondo grado e` di amare di essere conosciuto per vile, per
abietto, per nulla e peccato, e di passar per tale nella mente di
tutti. Infatti se, conoscendo ed amando la nostra miseria, volessimo
essere stimati dagli uomini, saremmo ipocriti, desiderando di apparir
migliori di quello che siamo.

E` questa, ahime`! la nostra tendenza: di qui nasce il dispiacere che
proviamo quando si scoprono le nostre imperfezioni; di qui lo studio
di riuscire nelle nostre imprese e di acquistar la stima degli uomini.
Ora desiderar questa stima e` essere ladro e furfante, perche` si
desidera di appropriarsi cio` che appartiene soltanto all'Essere
Supremo. L'anima umile invece non bada a cio` che si pensi di lei;
soffre in sentirsi lodata e preferirebbe l'affronto alla lode, essendo
quello fondato sulla verita` e questa sulla menzogna.

c) Il terzo grado e` di voler essere non solo conosciuti ma trattati da
vili, abbietto, spregevoli; e` di ricevere lietamente tutti i disprezzi
e tutte le confusioni possibili; e` insomma desiderare di essere
trattati secondo il merito. Ora qual disprezzo non e` dovuto al nulla,
che non ha in se` cosa degna di stima, e soprattutto qual disprezzo non
e` dovuto al peccato, che ci allontana dal bene vero che e` Dio?

Quindi, quando Dio ci manda aridita`, abbandoni interiori e ripulse,
dobbiamo prendere le parti di Dio contro di noi e confessar che ha
ragione di rigettare le opere nostre e le nostre persone. Parimenti,
se siamo maltrattati dai superiori, dagli eguali e anche dagli
inferiori, dobbiamo rallegrarcene come della cosa piu` giusta, piu`
vantaggiosa per noi e piu` conforme al desiderio di Gesu` Cristo. Non si
deve neppure per superbia aspirare ad alto seggio in paradiso; si deve
certamente volere amar Dio quanto egli desidera, e renderci a lui
fedeli per giungere a quel grado di gloria e di felicita` che ci
prepara, ma quanto al posto che occuperemo in paradiso, bisogna
abbandonarsi nelle mani di Dio.

"Si e` allora nel vero annientamente, e Dio solo vive e rgena in noi".

1135. 4^ I tre gradi di umilta` secondo S. Vincenzo de' Paoli.
S. Vincenzo de' Paoli e` noto nella Chiesa di Dio come il santo della
carita`; ma dalla sua vita risulta che forse la sua umilta` supero` anche
la sua carita`. E` bene quindi conoscere la dottrina di questo santo
intorno all'umilta`, dottrina che egli attinse dallo studio assiduo ed
amoroso della vita e degli insegnamenti di Gesu` Cristo.

L'umilta`, secondo lui, ha tre gradi o, com'egli si esprime, esige
queste tre condizioni "tres has conditiones exigit: 1135-1

a) La prima condizione o il primo grado e` "stimarsi con ogni sincerita`
degno del disprezzo degli uomini: se hominum vituperio dignum cum omni
sinceritate reputare". b) Il secondo grado e` "godere che gli altri
vedano le nostre imperfezioni e quindi ci disprezzino: gaudere quod
alii imperfectum nostrum videant et nos deinde contemnant". c) Il
terzo grado e` "se il Signore operi qualche cosa o in noi o per mezzo
nostro, cercare di occultarlo, se e` possibile, al pensiero della
propria vilta`; se poi cio` non e` possibile, attribuir tutto alla
misericordia divina e ai meriti altrui: Si Dominus per nos aut in
nobis aliquid operetur, illud, si fieri possit, occultare ad aspectum
propriae vilitatis: sin autem id fieri non possit, totum divinae
misericordiae et aliorum meritis tribuere".

"Questa umilta`, conchiude S Vincenzo, e` il fondamento di tutta la
perfezione evangelica e il nodo di tutta la vita spirituale; chi
possedera` quest'umilta`, acquistera` pure con lei tutti i beni; chi poi
ne sara` privo, perdera` anche quel bene che ha e sara` agitato da
continue angustie: Et hoc est universae evangelicae perfectionis
fundamentum, nodusque totius spiritualis vitae: ei qui humilitatem
istam possidebit, omnia bona venient pariter cum illa^; qui vero ea^
carebit, etiam quod habet boni auferetur ad eo, continuisque
agitabitur angustiis". 1135-2

Conclusione. Ognuno dei quattro aspetti dell'umilta` da noi esposti
secondo l'insegnamento di S. Benedetto, di S. Ignazio, dell'Olier e di
S. Vincenzo de' Paoli, ha le sue buone ragioni: sta al direttore a
consigliar quello che meglio corrisponde alle condizioni spirituali
del penitente.

III. L'eccellenza dell'umilta`.

A intendere bene il linguaggio dei Santi su questo argomento, bisogna
distinguere tra umilta` in se` e umilta` come fondamento delle altre
virtu`.

1136. 1^ Considerata in se`, l'umilta`, dice S. Tommaso 1136-1, e`
inferiore alle virtu` teologali, che hanno Dio per oggetto diretto;
inferiore anche a certe virtu` morali, come la prudenza, la religione,
la giustizia legale che riguarda il bene comune; ma e` superiore alle
altre virtu` morali (eccetto forse l'ubbidienza), pel suo carattere
universale e perche` ci assoggetta all'ordine divino in ogni cosa.

1137. 2^ Ma, considerando l'umilta` come chiave che apre i tesori
della grazia e fondamento delle virtu`, e`, al dire dei Santi, una delle
piu` eccellenti virtu`.

A) E` la chiave che apre i tesori della grazia: "humilibus autem dat
gratiam" 1137-1. a) Dio infatti sa che l'anima umile non si
compiace delle grazie che le da`, che non ne trae motivo di vanita`, ma
che ne riferisce a Dio tutta la gloria; onde puo` effondere in lei la
copia dei suoi favori, perche` cosi` la sua gloria ne sara` aumentata. Al
contrario si vede costretto a togliere la sua grazia ai superbi "Deus
superbis resistit" 1137-2, perche` essi la sfruttano per se` e se
ne fanno un titolo di gloria; il che Dio non puo` tollerare: "Gloriam
meam alteri non dabo" 1137-3.

b) E poi l'umilta` ci vuota l'anima di amor proprio e di vana gloria,
preparando cosi` ampia capacita` che Dio s'affretta a riempire; perche`,
come dice S. Bernardo, vi e` stretta affinita` tra la grazia e l'umilta`:
"Semper solet esse gratiae divinae familiaris virtus
humilitas" 1137-4.

1138. B) E` anche il fondamento di tutte le virtu`; se non ne e` la
madre, ne e` almeno la nutrice; per doppia ragione: perche` senza di lei
non si da` virtu` soda, e con lei tutte le virtu` diventano piu` profonde
e piu` perfette.

1) Essendo la superbia il grande ostacolo alla fede, e` certo che
l'umilta` rende la fede piu` pronta, piu` facile, piu` ferma, e anche piu`
illuminata: "Abscondisti haec a sapientibus et revelasti ea parvulis".
Quanto e` piu` facile piegar l'intelletto all'autorita` della fede,
quando si e` persuasi della dipendenza nostra da Dio! "in captivitatem
redigentes omnem intellectum in obsequium Christi". A sua volta la
fede, mostrandoci l'infinita perfezione di Dio e il nostro nulla, ci
rassoda nell'umilta`.

2) Lo stesso e` della speranza: il superbo confida in se` e presume
troppo delle proprie forze; non pensa gran fatto a chiedere il divino
aiuto; l'umile invece mette tutta la speranza in Dio, perche` diffida
di se`. La speranza a sua volta ci rende piu` umili, mostrandoci che i
beni celesti sono talmente sopra le nostre forze che, senza
l'onnipotente aiuto della grazia, non potremmo conseguirli.

3) La carita` ha per nemico l'egoismo; onde solo nell'anima vuota di se`
cresce l'amor di Dio; e questo a sua volta rende piu` profonda
l'umilta`, sentendoci lieti di scomparire dinanzi a Colui che amiamo.
Quindi S. Agostino giustamente dice che non vi e` nulla di piu` sublime
della carita`, ma che solo gli umili la praticano: "Nihil excelsius via^
caritatis, et non in illa^ ambulant nisi humiles" 1138-1.
Parimenti per praticar la carita` verso il prossimo, non c'e` mezzo piu`
sicuro dell'umilta`, la quale stende un velo sui suoi difetti e ce ne
fa compatir le miserie in cambio di sdegnarci contro di lui.

1139. 4) La religione e` tanto meglio praticata quanto piu`
chiaramente si vede che tutto deve annientarsi e sacrificarsi per Dio.

5) La richiede la prudenza; perche` gli umili riflettono volentieri e
prendono volentieri consiglio prima di operare.

6) La giustizia non si puo` praticar senza l'umilta`, perche` il superbo
esagera i suoi diritti a scapito di quelli del prossimo.

7) La fortezza del cristiano, venendo non da lui ma da Dio, si trova
veramente solo in coloro che, coscienti della propria debolezza,
s'appoggiano su Colui che solo puo` renderli forti.

8) La temperanza e la castita`, come abbiamo visto, suppongono
l'umilta`. La dolcezza e la pazienza non si praticano bene se non
quando si sanno accettare le umiliazioni.

Si puo` quindi dire che senza umilta` non vi e` soda e duratura virtu` e
che con lei invece tutte le virtu` crescono e si radicano piu`
profondamente nell'anima. Onde possiamo conchiudere con S. Agostino:
"Vuoi elevarti? Comincia con l'abbassarti. Pensi di costruire un
edificio che tocchi il cielo? Pensa prima a porre il fondamento
dell'umilta`. Quanto piu` alto vuol sorgere l'edifizio, tanto piu`
profondo dev'esserne il fondamento: Magnus esse vis? A minimo incipe.
Cogitas magnam fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius
cogita humilitatis" 1139-1.
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22/10/2013 11:31
 
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IV. La pratica dell'umilta`.

1140. Gl'incipienti, come abbiamo indicato ai n. 838-844,
combattono soprattutto l'orgoglio. I proficienti si studiano d'imitar
l'umilta` di Nostro Signore.

1141. 1^ Si studiano di attirare in se` i sentimenti di Gesu` umile. E`
quello che dice S. Paolo: "Hoc enim sentite in vobis quod et in
Christo Jesu: qui, cum in forma^ Dei esset... exinanivit
semetipsum..." 1141-1. "La vita di Nostro Signore, commenta
S. Vincenzo de' Paoli 1141-2, fu come un continuo atto di stima e
di affetto del disprezzo; il suo cuore ne era cosi` pieno che, se se ne
fosse fatta anatomia (come si fece di certi santi che vennero aperti
per vedere che cosa avevano nel cuore, ove spesso si trovarono i segni
di cio` che avevano maggiormente amato in vita), si sarebbe certamente
trovato nell'adorabile cuore di Gesu` che la santa umilta` vi era in
particolar modo scolpita, e forse non direi troppo affermando che vi
era scolpita a preferenza di tutte le altre virtu`. -- O mio Salvatore,
quanto eravate innamorato di questa virtu`! E perche` abbandonarvi a
cosi` estremi avvilimenti? Egli e` che voi conoscevate bene l'eccellenza
delle umiliazioni e la malizia del peccato contrario, il quale non
solo aggrava gli altri peccati ma rende viziose le opere che di per se`
non sarebbero cattive, anzi quelle stesse che son buone e perfino le
piu` sante". Bisogna quindi meditar spesso, ammirare e sforzarsi di
imitare gli esempi di umilta` datici da Gesu` nella vita nascosta, nella
vita pubblica, nella vita sofferente e che continua a darci nella vita
eucaristica.

A) Nella vita nascosta Gesu` pratica specialmente l'umilta` di
nascondimento. a) La pratica prima di nascere, col chiudersi per nove
mesi nel seno di Maria, ove nasconde i divini suoi attributi nel modo
piu` completo: "exinanivit semetipsum"; col sottomettersi all'editto di
Cesare "exiit edictum a Caesare" 1141-3; col soffrire senza
lagnarsi le ripulse fatte a sua madre: "non erat eis locus in
diversorio" 1141-4; specialmente col tollerar l'ingratitudine
degli uomini che non pensano a preparargli un posto nel loro cuore:
"in propria venit et sui eum non receperunt" 1141-5. b) La
pratica nella nativita`, ove ci appare come povero bambino, avvolto
nelle fasce, posto in una mangiatoia, steso sopra poca paglia:
"invenietis infantem, pannis involutum, positum in
praesepio" 1141-6. Eppure questo bambinello e` il Figlio di Dio,
l'Eguale del Padre, la Sapienza increata!

c) La pratica in tutte le circostanze che seguono alla sua nascita:
viene circonciso e riscattato a prezzo di due tortorelle come fosse un
bambino comune; e` obbligato a fuggire in Egitto per scansar la
persecuzione di Erode, egli che con una parola sola poteva ridurre in
polvere quel crudele tiranno! d) E qual nascondimento nella vita di
Nazareth! Sepolto in un paesucolo della Galilea, aiuta la madre nelle
faccende domestiche, garzone e operaio; passa trent'anni a obbedire,
egli, Padrone del mondo, "et erat subditus illis" 1141-7. Or si
capisce l'esclamazione di Bossuet: 1141-8 "O Dio, io rimango di
nuovo attonito! Vieni, o orgoglio, e muori dinanzi a questo
spettacolo! Gesu`, figlio d'un falegname, falegname egli stesso, noto
da questo mestiere, senza che si parli d'alcun altro impiego ne`
d'alcun'altra azione".

1142. B) Nella vita pubblica Gesu` continua a praticar l'obli`o di se`,
fin dove e` compatibile con la sua missione. E` obbligato, e` vero, a
proclamar colle parole e coi fatti di esser Figlio di Dio; ma lo fa in
modo discreto, misurato, con sufficiente chiarezza perche` gli uomini
di buona volonta` possano capire, ma senza quel fulgore che sforza
l'assenso. La sua umilta` appare in tutta la sua condotta.

a) Si circonda di apostoli ignoranti, poco colti e quindi poco
stimati: alcuni pescatori e un pubblicano! Mostra spiccata preferenza
per quelli che il mondo disprezza: i poveri, i peccatori, gli
afflitti, i fanciulli, i disereditati di questo mondo. Vive di
limosine e non ha casa propria. b) Semplice e` il suo insegnamento,
alla portata di tutti; i suoi paragoni e le sue parabole sono tolti
dalla vita comune; non cerca di farsi ammirare ma di istruire e di
muovere i cuori. c) Raramente opera miracoli, spesso raccomandando ai
guariti di non dir nulla ad alcuno. Non affettate austerita`: mangia
come gli altri, assiste alle nozze di Cana e ai banchetti a cui viene
invitato. Fugge la popolarita`, ne` teme di disgustare anche i discepoli
(durus est hic sermo); 1142-1 e, quando vogliono farlo re, si
dilegua. d) Se entriamo nei piu` intimi suoi sentimenti, vediamo che
vuol vivere in dipendenza dal Padre suo e dagli uomini: nulla giudica
da se` ma prende consiglio dal Padre: "Ego non judico
quemquam" 1142-2; non parla che per esporre la dottrina di Colui
che l'ha mandato: "A meipso non loquor 1142-3... Mea doctrina non
est mea, sed ejus qui misit me" 1142-4; nulla fa da se` ma
unicamente per deferenza al Padre: "Non possum a meipso facere
quidquam... Pater autem in me manens ipse facit opera" 1142-5.
Non cerca quindi la gloria sua ma quella del Padre; non visse sulla
terra che per glorificarlo: "Ego non quaero gloriam meam 1142-6...
Ego te clarificavi super terram" 1142-7. Anzi, egli, Padrone del
mondo, si fa servo degli uomini: "Non venit ministrari sed
ministrare" 1142-8. In una parola, dimentico di se`, si sacrifica,
costantemente per Dio e per gli uomini.

1143. C) Il che appare anche piu` nella vita sofferente, in cui
pratica l'umilta` di abiezione.

Gesu`, che e` la stessa santita`, volle caricarsi del peso delle nostre
iniquita` e subirne la pena, come se fosse stato colpevole: "Eum, qui
non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit" 1143-1. a) Onde
quei sentimenti di tristezza, di abbattimento, di noia provati nel
giardino degli Ulivi, vedendosi coperto dei nostri peccati: "coepit
pavere, taedere, maestus esse... Tristis est anima mea usque ad
mortem" 1143-2.

b) Quindi gl'insulti onde fu ricolmo: tradito da Giuda, ha pur sempre
per lui accenti d'amicizia: Amice, ad quid huc venisti 1143-3;
abbandonato dagli apostoli, continua ad amarli; catturato, legato come
un malfattore, guarisce Malco ferito da Pietro. Dato in bali`a del
servidorame, ne tollera i vituperii senza lagnarsi; ingiustamente
calunniato, non si giustifica, e non apre bocca che per rispondere
allo scongiuro del sommo sacerdote in cui rispetta l'autorita` di Dio;
sa che la sua risposta gli fruttera` la pena di morte, ma dice la
verita` a qualunque costo. Trattato da pazzo da Erode, non dice parola,
non fa miracoli per vendicare il suo onore. Il popolo, da lui tanto
beneficato, gli preferisce Barabba, e Gesu` continua a soffrire per la
sua conversione! Ingiustamente condannato da Pilato, tace, si lascia
flagellare, coronare di spine, vilipendere da re da burla; accetta
senza lamento la pesante croce caricatagli sulle spalle e si lascia
crocifiggere senza dir parola. Ai sarcasmi dei nemici risponde
pregando per loro e scusandoli presso il Padre. Privo di celesti
consolazioni, abbandonato dai discepoli, ferito nella dignita` d'uomo,
nella fama, nell'onore, subi`, si puo` dire, tutte le umiliazioni
immaginabili, onde puo` ripetere con maggior ragione del salmista: "Sum
vermis et non homo, opprobrium hominum et abjectio
plebis" 1143-4. Per noi peccatori, in vece nostra, tollero` Gesu`
cosi` eroicamente tutti quegli insulti senza lamento: "Qui cum
malediceretur, non maledicebat; cum pateretur, non comminabatur;
tradebat autem judicanti se injuste" 1143-5. Come dunque potremmo
lagnarci noi che siamo tanto colpevoli, anche se in qualche
circostanza fossimo accusati ingiustamente?

1144. D) La sua vita eucaristica ripete questi vari esempi d'umilta`.

a) Gesu` vi e` nascosto piu` ancora che nel presepio, piu` che sul
Calvario: "in cruce latebat sola deitas, at hic latet simul et
humanitas" 1144-1. Eppure e` lui che, dal fondo del tabernacolo, e`
causa prima e principale di tutto il bene che si fa nel mondo, lui che
ispira, fortifica, consola i missionari, i martiri, le vergini... E
vuole star nascosto, nesciri, pro nihilo reputari.

b) E quanti affronti, quanti insulti non riceve nel sacramento
dell'amore, non solo da parte degli increduli che rifiutano di
crederne la presenza, degli empi che ne profanano il sacro corpo, ma
anche dei cristiani che, per debolezza e vilta`, fanno comunioni
sacrileghe, e perfino delle anime a lui consacrate che talora lo
dimenticano lasciandolo solo nel tabernacolo: "non potuistis una^ hora^
vigilare mecum?" 1144-2. E in cambio di lagnarsi, non cessa di
ripeterci: "Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego
reficiam vos" 1144-3.

Si`, la` vi sono veramente tutti gli esempi di cui abbiamo bisogno per
sorreggerci e fortificarci nella pratica d'ogni genere di umilta`; e
riflettendo che ci ha nello stesso tempo meritato la grazia
d'imitarlo, come esitare a seguirlo?

1145. 2^ Vediamo dunque in che modo possiamo a suo esempio praticar
l'umilta` verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi.

A) Verso Dio l'umilta` si manifesta specialmente in tre modi:

a) Con lo spirito di religione, che onora in Dio la pienezza
dell'essere e della perfezione. Lo facciamo riconoscendo
affettuosamente e lietamente il nostro nulla e il nostro peccato,
godendo di proclamare cosi` la pienezza e la santita` dell'essere
divino. Di qui nascono i sentimenti d'adorazione, di lode, di timor
filiale e di amore; di qui quel grido del cuore: Tu solus Sanctus, tu
solus Dominus, tu solus Altissimus. Sentimenti che ci sgorgano dal
cuore non solo quando preghiamo, ma anche quando contempliamo le opere
di Dio: opere naturali ove si riflettono le perfezioni del Creatore,
opere soprannaturali ove l'occhio della fede ci scopre una vera
somiglianza, una partecipazione della vita divina.

1146. b) Con lo spirito di riconoscenza, che vede in Dio la fonte di
tutti i doni naturali e soprannaturali che ammiriamo in noi e negli
altri. Allora noi, come l'umile Vergine e con lei, glorifichiamo Dio
per tutto il bene messo in noi: "Magnificat anima mea Dominum... Fecit
mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus". Cosi`, invece di
insuperbirci di questi doni, ne riferiamo a Dio tutti l'onore,
riconoscendo che ne abbiamo spesso usato male.

1147. c) Con lo spirito di dipendenza, che ci fa confessar la nostra
incapacita` a far nulla di bene da soli. In tal persuasione non
cominciamo mai un'azione senza metterci sotto l'influsso e la
direzione dello Spirito Santo e senza implorarne la grazia che sola
puo` rimediare alla nostra incapacita`. E` quello che fanno specialmente
i direttori di anime, i quali, nell'esercizio del delicato loro
ufficio, in cambio di prevalersi della confidenza mostrata loro dalle
anime dirette, confessano ingenuamente la propria incapacita` prendendo
quindi consiglio da Dio prima di dare i propri avvertimenti.

1148. B) Verso il prossimo il principio che deve guidarci e` questo:
vedere in lui cio` che Dio vi ha posto di bene tanto sotto l'aspetto
naturale come soprannaturale; ammirarlo senza invidia e senza gelosia;
stendere invece un velo sui suoi difetti scusandoli per quanto e`
possibile, ogni volta almeno che per dovere del nostro stato non siamo
obbligati a correggerli.

In virtu` di questo principio: a) si gode delle virtu` e dei buoni
successi del prossino, essendo cose che glorificano Dio, "dum omni
modo... Christus annuntietur" 1148-1. Si puo` certamente
desiderarne le virtu`, ma allora bisogna rivolgersi allo Spirito Santo
che si degni darcene una partecipazione; onde sorge una nobile
emulazione: "consideremus invicem in provocationem caritatis et
bonorum operum" 1148-2.

b) Vedendo il prossimo cadere in qualche fallo, in cambio di
sdegnarsene, si prega per la sua conversione; pensando sinceramente
che, senza la grazia di Dio, noi saremmo caduti in falli anche
peggiori, n. 1129.

1149. c) Onde uno viene a considerarsi come inferiore agli altri,
"in humilitate superiores sibi invicem arbitrantes" 1149-1. Si
puo` infatti considerar principalmente, se non esclusivamente, cio` che
vi e` di bene negli altri e cio` che vi e` di male in noi.

Ecco il consiglio che dava S. Vincenzo de' Paoli au suoi
discepoli 1149-2: "Se ci studiamo di conoscerci bene, vedremo che
in tutto cio` che pensiamo, diciamo e facciamo, sia nella sostanza come
nelle circostanze, siamo pieni e circondati di motivi di confusione e
di disprezzo; e se non vogliamo illuderci, ci vedremo non solo piu`
cattivi degli altri uomini, ma peggiori in qualche modo dei demonii
dell'inferno: perche`, se questi sciagurati spiriti avessero a loro
disposizione le grazie e i mezzi largiti a noi per diventar migliori,
ne farebbero mille e mille volte miglior uso di noi".

A chi chiedesse come si possa giungere a questa persuasione, che in
se`, obiettivamente, non e` sempre conforme alla verita`, si puo` prima di
tutto rispondere che si trova in tutti i santi, onde deve avere un
sodo fondamento. E il fondamento e` questo: di fronte a se` l'uomo e`
giudice, e quando si conosce a fondo, vede chiaramente che e` molto
colpevole e che per di piu` ci sono in lui molte tendenze cattive; onde
conchiude che deve disprezzarsi. Ma di fronte agli altri non e`
giudice, ne` puo` esserlo, perche` non ne conosce le intenzioni, che sono
uno degli elementi piu` essenziali per giudicarne la condotta; come non
conosce la misura di grazia che Dio loro distribuisce e di cui bisogna
tenere pur conto nel giudizio della loro condotta. Giudicando dunque
severamente se`, e gli altri giudicando con benignita`, si giunge alla
persuasione pratica che, tenendo conto di tutto, dobbiamo porci al di
sotto di tutti.

1150. C) Verso noi stessi ecco il principio da seguire: pur
riconoscendo il bene che e` in noi per ringraziarne Dio, dobbiamo
soprattutto considerare cio` che abbiamo di difettoso, il nostro nulla,
la nostra incapacita`, i nostri peccati, a fine di tenerci abitualmente
in sentimenti di umilta` e di confusione.

Con l'aiuto di questo principio, si pratichera` piu` facilmente
l'umilta`, che deve estendersi a tutto l'uomo: alla mente, al cuore,
all'esteriore.

a) L'umilta` di mente comprende principalmente quattro cose:

1) Una giusta diffidenza di se`, che induce a non esagerare i propri
talenti ma ad umiliarsi per aver trafficato cosi` male i doni ricevuti
da Dio. E` il consiglio del Savio: "Non cercare cio` che e` troppo
difficile per te e non scrutare cio` che oltrepassa le tue forze:
altiora te ne quaesieris"; 1150-1 ed e` pure cio` che raccomandava
S. Paolo ai Romani: "Dico dunque, in virtu` della grazia che mi fu
data, a ognuno che e` tra voi di non troppo sentire di se`, oltre quel
che deve sentirne, ma sentirne modestamente, ognuno secondo la misura
della fede compartitagli da Dio: "non plus sapere quam oportet, sed
sapere ad sobrietatem" 1150-2.

2) Nell'uso che si fa dei propri talenti, non cercar di brillare e di
farsi stimare, ma di essere utile e far del bene.

Tal era la raccomandazione di S. Vincenzo de' Paoli ai suoi missionari
e aggiungeva: 1150-3 "Fare altrimente sarebbe un predicar se
stesso e non Gesu` Cristo; e una persona che predica per farsi
applaudire, lodare, stimare, fare parlar di se`, che cosa fa questa
persona?... Un sacrilegio, si`, un sacrilegio! Ecche`? servirsi della
parola di Dio e delle cose divine per acquistare onore e riputazione!
si`, e` un sacrilegio!"

1151. 3) Praticar la docilita` intellettuale, non solo
sottomettendosi ai decreti ufficiali della Chiesa ma accettando pure
cordialmente le direzioni pontificie, anche quando non sono
infallibili, memori che in queste prescrizioni vi e` maggior saviezza
che nei nostri giudizi.

4) Cotesta docilita` fara` schivare l'ostinazione nelle proprie idee in
punti controversi. Si ha certo il diritto, nelle cose liberamente
discusse, di abbracciare il sistema che ci pare piu` fondato; ma non e`
pur giusto lasciare la stessa liberta` anche agli altri?

1152. b) L'umilta` di cuore vuole che, invece di desiderare e di
cercare la gloria e gli onori, uno si contenti dello stato in cui e` e
preferisca la vita nascosta agli uffici appariscenti: ama nesciri et
pro nihilo reputari. Va anzi piu` oltre: nasconde, come nota
S. Vincenzo de' Paoli nel terzo grado di umilta`, tutto cio` che puo`
farci amare e stimare, e desidera l'ultimo posto non solo nei gradi
sociali ma anche nella stima degli uomini: "recumbe in novissimo
loco" 1152-1. Desidera perfino che la nostra memoria perisca
intieramente sulla terra.

Ascoltiamo S. Vincenzo de' Paoli: 1152-2 "Non dobbiamo mai posar
gli occhi ne` fissarli su cio` che e` di bene in noi, ma studiarci di
conoscere cio` che vi e` di male e di difettoso: gran mezzo e` questo per
conservar l'umilta`. Il dono di convertir le anime e tutti gli altri
talenti esteriori che sono in noi, non sono per noi, noi non ne siamo
che i facchini, e possiamo con tutti questi doni bravamente dannarci.
Onde nessuno deve gonfiarsi o compiacersi di se` ne` concepire di se`
alcuna stima, vedendo che Dio opera grandi cose per mezzo suo; ma deve
tanto piu` umiliarsi, riconoscendosi un meschino strumento di cui Dio
si degna servirsi".

1153. c) L'umilta` esteriore non dev'essere che la manifestazione dei
sentimenti interiori; si puo` peraltro osservare che gli atti esterni
d'umilta` reagiscono sulle interne disposizioni per rassodarle e
intensificarle. Onde non bisogna trascurarli ma accompagnarli con veri
sentimenti d'umilta`, abbassando l'anima nell'abbassare il corpo.

1) Un'abitazione povera, vesti modeste, mezzo logore e rattoppate,
purche` siano pulite, inclinano all'umilta`; un'abitazione e vesti
ricche suggeriscono facilmente sentimenti contrari a questa virtu`.

2) Il contegno, l'andatura, la fisionomia, il modo di fare modesto ed
umile, senza affettazione, aiutano a praticar l'umilta`; 1153-1 le
umili occupazioni, come il lavoro manuale, il rammendarsi le vesti,
producono lo stesso effetto.

3) Lo stesso vale della condiscendenza che si mostra verso gli altri,
dei segni di deferenza e di cortesia.

4) Nelle conversazioni, l'umilta` ci porta a far parlare gli altri
delle cose che li interessano e a parlar poco noi. Impedisce
specialmente che parliamo di noi e di tutto cio` che ci riguarda:
bisognerebbe essere santo per poter parlare male di se` senza secondi
fini 1153-2; parlar bene di se` e` millanteria. -- Non bisogna
pero`, sotto pretesto d'umilta`, fare delle stranezze. "Se, come dice
S. Francesco di Sales 1153-3, vi furono grandi servi di Dio che
si finsero pazzi a fine di rendersi piu` abietti agli occhi del mondo,
bisogna ammirarli ma non imitarli, perche` per tali eccessi essi ebbero
motivi tanto speciali e straordinari che nessuno deve trarne
conseguenza per conto proprio".

L'umilta` e` dunque virtu` molto pratica e molto santificante, che
abbraccia tutto l'uomo, e ci aiuta a praticar le altre virtu`,
pricipalmente la dolcezza.

sez. III. La mansuetudine o dolcezza 1154-1.

1154. Nostro Signore giustamente associa la dolcezza o mansuetudine
all'umilta`; perche` questa non puo` praticarsi senza di quella.
Tratteremo:
* 1^ della natura;
* 2^ della eccellenza;
* 3^ della pratica della dolcezza.
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I. Natura della virtu` della dolcezza.

1155. 1^ I suoi elementi. La dolcezza e` una virtu` complessa che
comprende tre elementi principali: a) una certa padronanza di se` che
previene e modera i movimenti della collera: e` l'aspetto per cui si
connette colla temperanza; b) la sopportazione dei difetti del
prossimo, che esige la pazienza e quindi pure la virtu` della fortezza;
c) il perdono delle ingiurie e la benevolenza verso tutti, anche verso
i nemici; onde include la carita`. Come si vede, e` un complesso di
virtu` anziche` un'unica virtu`.

1156. 2^ Quindi si puo` definirla: una virtu` morale soprannaturale
che previene e modera la collera, sopporta il prossimo non ostante i
suoi difetti e lo tratta con benignita`.

La dolcezza non e` dunque quella debolezza di carattere che dissimula,
sotto apparenze bonarie, in profondo risentimento. E` virtu` interna che
risiede nello stesso tempo nella volonta` e nella sensibilita` per farvi
regnare la calma e la pace, ma che si manifesta al du fuori nelle
parole e nei gesti e nell'affabilita` dei modi 1156-1. Si pratica
verso il prossimo, ma anche verso se stesso, e verso gli esseri
animati o inanimati.

II. L'eccellenza della dolcezza.

La dolcezza e` virtu` eccellente in se` e negli effetti.

1157. 1^ In se`, e`, dice l'Olier 1157-1, "la perfezione del
cristiano; perche` presuppone in lui l'annientamento di tutto cio` che e`
proprio e la morte di ogni proprio interesse".

Quindi, aggiunge, "la vera e perfetta dolcezza non s'incontra quasi
mai che nelle anime innocenti in cui Gesu` Cristo ha fatto continua
dimora dopo la santa rigenerazione". Nei penitenti non si trova nella
sua perfezione che raramente, perche` sono ben pochi quelli che
lavorano con tanta energia e costanza da distruggere i difetti che
hanno contratto. Onde Bossuet dice che "il vero segno dell'innocenza
conservata o ricuperata e` la dolcezza" 1157-2.

1158. 2^ il grande vantaggio della dolcezza e` di far regnare la pace
nell'anima, pace con Dio, col prossimo, con se stesso.

a) Con Dio, perche` ci fa accettare tutti gli avvenimenti, anche piu`
disgustosi, con calma e serenita`, come mezzi di progredire nelle
virtu`, e soprattutto nell'amor di Dio: "Sappiamo infatti, dice
S. Paolo, che ogni cosa concorre al bene di quelli che amano Dio:
diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum" 1158-1.

b) Col prossimo: perche`, prevenendo e reprimendo i moti di collera, ci
fa sopportare i difetti del prossimo e ci fa stare con lui in buona
relazione, o almeno non ci lascia internamente turbare se altri
s'adira contro di noi.

c) Verso se stesso: quandi si e` commesso qualche errore o preso
qualche abbaglio, uno non si impazienta ne` si irrita, ma si corregge
con tranquillita`, con compassione, senza stupirsi dei suoi falli,
giovandosi dell'acquistata esperienza per stare piu` vigilante. Onde di
scansa il difetto di coloro che, "essendosi lasciati andare alla
collera, si corrucciano poi di essersi corrucciati, si appenano di
essersi appenati e s'indispettiscono di essersi
indispettiti". 1158-2 Cosi` si conserva la pace, che e` uno dei
beni piu` preziosi.
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III. Pratica della virtu` della dolcezza.

1159. 1^ Gl'incipienti la praticano combattendo la collera e il
desiderio di vendetta, come tutti i moti disordinati dell'anima,
n. 861-863.

1160. 2^ Le anime progredite si sforzano d'attirare in se` la
dolcezza di Gesu`, dolcezza da lui mirabilmente insegnataci con le
parole e con gli esempi 1160-1.

A) Tanta importanza da` Gesu` a questa virtu`, da volere che fosse
annunziata dai profeti come uno dei caratteri del Messia e che gli
Evangelisti ne notassero l'adempimento 1160-2.

1161. B) Ci si offre come modello di questa dolcezza, invitandoci ad
essere suoi discepoli, perche` egli e` dolce ed umile di
cuore 1161-1.

a) Attua perfettamente l'ideale della dolcezza tracciato dai profeti.
Predica il Vangelo, non con alterchi, animosita`, acredine, ma con
calma e serenita`.

Non sfuriate, non grida inutili, non parole rabbiose: il chiasso passa
senza fare del bene. I suoi modi saranno cosi` dolci che non spezzera`
la canna mezzo infranta ne` spegnera` il lucignolo ancor fumante, vale a
dire la piccola scintilla di fede e di amore che resta nell'anima del
peccatore. Per attirar gli uoini non sara` ne` triste ne` turbolento:
tutto in lui spirera` amabilita` e invitera` i travagliati a venirsi a
riposare in lui.

1162. b) Verso gli apostoli: 1) la sua condotta e` piena di dolcezza:
ne sopporta i difetti, l'ignoranza, la rozzezza; procede con riguardo,
non rivelando la verita` se non a gradi, nella misura che la possono
sopportare, e lasciando allo Spirito Santo la cura di compiere l'opera
sua.

Li difende dalle ingiuste accuse dei Farisei che li rimproverano di
non digiunare; ma li riprende quando mancano di dolcezza verso i
fanciulli che stringono attorno a lui, o quando vogliono trar fuoco
del cielo su un borgo della Samaria. Quando Pietro ferisce Malco di
spada, Gesu` ne lo rimprovera; ma nello stesso tempo gli perdona il
triplice rinnegamento, facendoglielo espiare con triplice professione
d'amore.

2) Consiglia poi la dolcezza agli operai apostolici: avranno la
semplicita` della colomba insieme con l'astuzia del serpente; saranno
come agnelli in mezzo ai lupi; non resisteranno al male ma
presenteranno la guancia sinistra a chi li percuote sulla destra;
cederanno il mantello e la tunica anziche` ricorrere ai tribunali; e
pregheranno per i persecutori.

1163. c) Anche ai piu` colpevoli peccatori perdona volentieri appena
vede in loro in minimo segno di pentimento.

Con qual delicatezza induce a confessione e a conversione la
Samaritana, e perdona alla peccatrice e al buon ladrone, essendo
venuto a chiamare a penitenza non i giusti ma i peccatori! Come un
buon pastore, va a cercare la smarrita pecorella riconducendola
all'ovile sulle spalle; da` perfino la vita per le pecorelle. -- Se
parla talora severamente agli Scribi e ai Farisei, e` perche` impongono
al prossimo un giogo insopportabile, impedendolo cosi` di entrare nel
regno di Dio.

d) Perfino i nemici tratta con dolcezza: Giuda, che pur lo tradisce,
riceve ancora il dolce nome d'amico; e sulla croce Gesu` prega per i
suoi carnefici chiedendo al Padre di perdonarli per la loro ignoranza.

1164. C) Ad imitar Nostro Signore: a) eviteremo gli alterchi, i
gridi`i, le parole e gli atti offensivi o sgarbati, per non allontanare
i timidi. Baderemo a non rendere mai male per male; a non rompere o
spezzar nulla per avventatezza; a non parlare quando siamo in collera.

b) Ci studieremo invece di trattar con riguardo quelli che ci si
avvicinano; di aver per tutti viso allegro ed affabile, anche quando
ci tornino noiosi e pesanti; di accogliere con bonta` particolare i
poveri, gli afflitti, gli infermi, i peccatori, i timidi, i fanciulli;
di addolcire con qualche buona parola le riprensioni che siamo
costretti a fare; di mostrarci santamente premurosi di rendere
servizi, facendo talora anche di piu` di quanto ci si domanda, e
soprattutto facendolo con grazia. Pronti, se occorresse, a sopportare
uno schiaffo senza restituirlo, e a presentar la guancia sinistra a
chi ci percuote la destra.

1165. 3^ I perfetti si sforzano d'imitare la dolcezza stessa di Dio,
come nota l'Olier 1165-1: "Dio e` la dolcezza per essenza, e
quando vuol parteciparla all'anima, si stabilisce talmente in lei, che
ella non ha piu` nulla della carne ne` di se` stessa, ma e` tutta perduta
in Dio, nel suo essere, nella sua vita, nella sua sostanza, nelle sue
perfezioni; di modo che tutto cio` che fa lo fa con dolcezza; e anche
quando opera con zelo, e` sempre con dolcezza, l'amarezza e l'acredine
non trovando piu` posto in lei come non lo trovano in Dio".

1166. Conclusione. Terminiamo qui, per non dilungarci di troppo,
l'esposizione delle virtu` cardinali. a) Esse disciplinano,
indociliscono e perfezionano tutte le nostra facolta`, assoggettandole
all'impero della ragione e della volonta`. Si ristabilisce cosi` a poco
a poco nell'anima l'ordine primitivo: la sottomissione del corpo
all'anima e delle facolta` inferiori alla volonta`.

b) Fanno ancora di piu`: non solo sopprimono gli ostacoli all'unione
divina ma iniziano gia` quest'unione. Perche` la prudenza che
acquistiamo e` gia` una partecipazione della sapienza di Dio, la
giustizia nostra una partecipazione della giustizia sua; la nostra
fortezza viene da Dio e a lui ci unisce; la nostra temperanza ci fa
partecipare al bello equilibrio e all'armonia che regna in lui. Quando
ubbidiamo ai Superiori, ubbidiamo a Dio; la castita` e` un mezzo per
accostarci alla perfetta sua purita`; l'umilta` non fa il vuoto
nell'anima se non per riempirla di Dio; e la nostra dolcezza e` una
partecipazione della dolcezza di Dio.

Preparata cosi` dalle virtu` morali, quest'unione con Dio si verra`
perfezionando con le virtu` teologali, che hanno Dio stesso per
oggetto.
_________________________________________________________________

998-1 S. Tommaso, Ia. IIae, q. 55-67; IIa. IIae, q. 48-170; Suarez,
Disput. metaphys., XLIV; De Passionibus et habitibus, De fide, etc.;
Johannes a S. Thoma, Cursus theol., Tr. de Passionibus, habitibus et
virtutibus, ec.; Alvarez de Paz, t. II, lib. III, de adeptione
virtutum; Phil. a SS. Trinit., P. II, tr. II, dis. I, II;
P. Rodriguez, Perfezione crist., i vari trattati; S. Fr. di Sales, La
Filotea; J. J. Olier, Introd. a` la vie et aux vertus chre't.; Mgr Gay,
Della vita e delle virtu` cristiane, tr. VI, VII, IX, X, XI; Ribet, Les
vertus et les dons; P. de Smedt, Notre vie surnaturelle, t. II.

998-2 S. Tommaso, Ia. IIae, q. 62-63; Suarez, De passionibus et
habitibus, diss. III; J. a S. Thoma, op. cit., disp. XVI; L. Billot,
De virt. infusis; P. Janvier, Quaresimale 1906 (Marietti, Torino);
P. Garrigou-Lagrange, Perfect. chre't. et contemplation, p. 62-75.

999-1 Op. cit., p. 64.

1001-1 Sum. theol., IIa. IIae, q. 63, a. 4; H. Noble, Vie
spirituelle, Nov. 1921, p. 103-104.

1008-1 Cf. S. Agostino, Lettera 167 a Girolamo, P. L., XXXIII,
735.

1008-2 S. Gregorio, Moral., l. XXII, c. I.

1016-1 Cassiano, Confer. II; S. G. Climaco, La scala, XXVI;
S. Tommaso, IIa. IIae, q. 47-56; C. De Smedt, Notre vie surnaturelle,
t. II, p. 1-33; P. Janvier, Quaresimale 1917 (Marietti, Torino).

1016-2 Rom., VIII, 6-8.

1016-3 Matth., XVI, 26.

1017-1 "Prudentia est et vera et perfecta quae ad bonum finem
totius vitae recte consiliatur, judicat et praecipit". (S. Tommaso, IIa.
IIae, q. 47, p. 73).

1018-1 Ideo necesse est quod prudens et cognoscat universalia
principia rationis et cognoscat singularia, circa quae sunt
operationes" (S. Tommaso, IIa. IIae, q. 47, a. 3).

1024-1 Ephes., V, 15.

1031-1 Per non tornare piu` volte sulle stesse virtu`, indichiamo,
per quanto e` possibile, di ogni virtu` il grado che corrisponde alle
varie tappe della perfezione.

1033-1 Joan., XVI, 12.

1033-2 Matth., VI, 33; X, 16.

1033-3 Marc., XIII, 33.

1035-1 Jac., III, 13-18.

1037-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 56-122: Dom. Soto, De justitia et
jure; Lessius, De justitia; Ad. Tanquerey, Synopsis theol. moralis, t.
III, De virtute justitiae, con i numerosi autori citati; P. Janvier,
Quaresimale, 1918 (Marietti, Torino).

1037-2 Matth., V. 6.

1038-1 E` cio` che osserva Bossuet nel Sermone sulla giustizia:
"Quando nomino la giustizia, nomino nello stesso tempo il vincolo
sacro dell'umana societa`, il freno necessario della licenza... Quando
regna la giustizia, nei trattati si trova la fede, l'onesta` negli
affari, l'ordine nella politica, la terra e` in pace, e anche il cielo,
per cosi` dire, c'illumina lietamente e ci manda piu` dolci influssi".

1040-1 Synopsis theol. moralis, t. III, De virtute justitiae.

1043-1 Joan., VIII, 7.

1045-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 84; Suarez, De virtute et statu
religionis, t. I, l. II; Bouquillon, De virtute religionis;
J. J. Olier, Introd. a` la vie et aux vertus chre't.; Mgr. d'Hulst,
Quaresimale 1893, Conf. I (Marietti, Torino); C. De Smedt, op.
cit., pag. 35-104; Ribet, Les vertus, c. XXI.

1048-1 I Petr., II, 5.

1049-1 Ps. XVIII, 2.

1049-2 Ps. XCIX, 3.

1050-1 Rom., XI, 36; XIV, 7-8.

1050-2 I Cor., VI, 20.

1051-1 Hebr., V, 1.

1051-2 Hebr., V, 7.

1055-1 Introd. a` la vie et aux vertus chre't., c. I.

1057-1 S. G. Climaco, La scala, IV; S. Tommaso, IIa. IIae,
q. 104-105; S. Cat. da Siena, Dialogo; S. Fr. di Sales, La Filotea,
P. 3a., c. XI; Conferenze X-XI; Rodriguez, P. III, tr. V.
Dell'obbedienza; J. J. Olier, Introd., c. XIII; Tronson, De
l'obe'issance; S. Alfonso, La vera sposa, c. VII; Mgr Gay, Virtu` et
vita ecc., tr. XI, L'obbedienza; C. De Smedt, Notre Vie surnat.,
t. II, p. 124-151; Ribet, Vertus, c. XXIX; D. C. Marmion, Le Christ
ide'al du moine, Conf. XII.

1058-1 Ps. CXVIII, 91.

1058-2 Phil., II, 8.

1058-3 I Cor., VI, 20.

1059-1 Rom., XIII, 2.

1059-2 Rom., XIII, 1.

1059-3 Luc., X, 16.

1060-1 Si veda l'Enciclica di Leone XIII, Rerum novarum, e il
nostro Tratt. De justitia, ove ne diamo il commento.

1061-1 Act., V, 29.

1061-2 Tal e` dottrina di S. Fr. di Sales, Trattenimenti spir., c.
XI, p. 170-171: "Molti si sono grandemente ingannati... credendo che
l'obbedienza consistesse nel fare a diritto e a torto tutto cio` che ci
potesse venir comandato, fosse pure contro i comandamenti di Dio e
della Santa Chiesa; nel che errarono grandemente... perche` in tutto
cio` che riguarda i comandamenti di Dio, non avendo i Superiori potere
alcuno di far mai precetto contrario, gl'inferiori non hanno mai
obbligo d'ubbidire in tal caso, anzi se ubbidissero peccherebbero".

1063-1 Luc., I, 51.

1063-2 Serm. de diversis, XXXV, 4.

1064-1 Lettera CXX, trad. Brouix, 1870, p. 464.

1064-2 S. Ignazio, Costituzioni, VI, sez. I, reg. 36.

1065-1 Ephes., VI, 5-9.

1065-2 Lettere CXX.

1066-1 Trattenimenti spirituali, c. XI, p. 170.

1066-2 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 104, a. 3, ad 3.

1066-3 Veri ["Vedi"?] Trattenimenti spirituali, c. XI, p. 191.

1067-1 Ibid., p. 178.

1067-2 Sermo de diversis, XLI, 7; e` da leggersi tutto questo
sermone sull'ubbidienza.

1067-3 Matth., V, 18.

1067-4 S. Fr. di Sales, Conf. spirituali, c. XI, 182.

1067-5 II Cor., IX, 5.

1068-1 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 104, a. 3.

1069-1 S. Gregorio, Moral., l. XXV, c. 10.

1069-2 Luc., XXII, 42.

1069-3 I Reg., XV, 22.

1070-1 De Civit. Dei, l. XIV, c. 12.

1070-2 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 104, a. 3.

1070-3 I Joan., II, 5.

1070-4 I Joan., XIV, 15.

1071-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 104, a. 3, ad 2.

1071-2 Lettera citata, p. 231-236.

1071-3 Citato da S. Fr. di Sales, Trattenimenti spirituali, l. c.

1072-1 S. Bernardo, Sermo III in tempore paschali, 3.

1074-1 Il Dialogo, edizione Gigli, 1726.

1075-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 123-140; e i suoi commentatori,
specialmente il Gaietano e G. di S. Tommaso; P. Janvier, Quaresimale
1920 (Marietti, Torino); Ribet, Vertus, c. XXXVII-XLII; C. De Smedt,
Notre vie surnat., t. II, p. 210-267.

1076-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 123, a. 3.

1077-1 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 123, a. 6, ad 1.

1079-1 Gal., I, 10

1079-2 II Cor., X, 17-18.

1088-1 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IIIa., c. III; J. J. Olier,
Introd., c. IX; J. Faber, Progressi, c. IX; D. V. Lehodey, Le saint
abandon, P. IIIa., c. III-V.

1090-1 I Petr., IV, 1.

1090-2 Galat., II, 19.

1090-3 Rom., VIII, 17.

1090-4 II Cor., XII, 9.

1090-5 II Cor., VII, 4.

1091-1 Luc., XII, 50.

1091-2 Constit. Soc. Jesu, Esam. generale, c. IV, n. 44.

1092-1 Notre vie surnat., t. II, p. 260. -- Il P. Capelle che
fece studi speciali sopra tal questione (Les Ames ge'ne'reuses, 1920, P.
3a., c. IV-VII) compendia la sua dottrina in tre proposizioni: 1) E`
Gesu` Cristo stesso che sceglie le sue vittime; 2) le avvisa prima di
quanto dovranno soffrire; 3) ne chiede il libero consenso.

1093-1 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 137, a. 1.

1095-1 Joan., XV, 5.

1095-2 Phil., IV, 13.

1095-3 I Cor., I, 27-28.

1098-1 Cant., VIII, 6.

1098-2 II Cor., V, 14.

1098-3 Rom., VIII, 38-39.

1098-4 Ps. XLII, 2.

1099-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. 141-170; Scaramelli, Direttorio
ascetico, Tr. III, art. 4; Ribet, Vertus, c. XLIII-XLVIII; C. de
Smedt, t. II, p. 268-342; P. Janvier, Quaresimale 1921 e 1922
(Marietti, Torino).

1100-1 Cassiano, Conf. XII; S. G. Climaco, Scala, gradino XV;
S. Tommaso, IIa. IIae, q. 151-156; Rodriguez, P. III, tr. IV, Della
castita`; S. Fr. di Sales, La Filotea, P. III, c. XII, XIII;
J. J. Olier, Introd., c. XII; S. Alfonso, Selva, P. II, Istruzione
IIIa., Castita` del sacerdote; Mgr Gay, Vita e virtu`, tr. X; Valuy,
Vertus religieuses, Chastete'; P. Desurmont, Charite' sacerdotale,
sez. 77-79; Mgr Lelong, Le saint Pre^tre, Conf. 12a..

1103-1 Ephes., V, 25.

1104-1 La Filotea, P. IIIa., c. XXXVIII.

1104-2 Oraz. XXXVII, 7.

1105-1 Tob., VIII, 9.

1106-1 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IIIa., c. XXXIX.

1106-2 I Cor., VII, 5.

1107-1 Si vedano gli ottimi consigli di S. Fr. di Sales alle
vedove, La Filotea, P. IIIa., c. XL.

1108-1 Rom., I, 26.

1109-1 Epistola XXII, ad Eustochium, P. L., XXII, 396.

1109-2 Ep. LII, ad Nepotianum, P. L., XXII, 531-532: "Nec in
praeterita^ castitate confidas; nec David sanctior, nec Salomone potes
esse sapientior. Memento semper quod paradisi colonum de possessione
sua^ mulier ejecerit".

1110-1 "Nam Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et
facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possis".
(Trident., sess. VI, c. II, Denz., 804).

1110-2 Introd., c. XII.

1111-1 E` quello che raccomandava gia` S. Girolamo al suo caro
Nepoziano: "Hospitiolum tuum aut raro aut nunquam mulierum pedes
terant... Si propter officium clericatus, aut vidua a te visitatur,
aut virgo, nunquam solus introeas. Tales habeto socios quorum
contubernio non infameris... Solus cum sola^, secreto et absque arbitro
vel teste, non sedeas... Caveto omnes suspiciones, et quidquid
probabiliter fingi potest, ne fingatur, ante devita. (Epist. LII,
P. L., XXII, 531-532).

1112-1 S. Girolamo descrive molto bene queste stranezze: "Omnis
his cura de vestibus, si bene oleant, si pes, laxa^ pelle, non folleat.
Crines calamistro vestiglio rotantur; digiti de annulis radiant: et ne
plantas humidior via aspergat, vix imprimunt summa vestigia. Tales cum
videris, sponsos magis aestimato quam clericos". (Epist. XXII, P. L.,
XXII, 414).

1113-1 Esercizi spirituali.

1115-1 Job, XXXI, 1.

1115-2 Eccli., IX, 5, 8, 9: "Virginem ne conspicias ne forte
scandalizeris in decore illius... Averte faciem tuam a muliere compta^,
et ne circumspicias speciem alienam. Propter speciem mulieris multi
perierunt, et ex hoc concupiscentia quasi ignis exardescit".

1116-1 I Cor., XV, 33.

1116-2 Ephes., V, 4.

1117-1 Meditazioni sui SS. Ordini, p. 105, ed. 1874.

1117-2 Saint Vincent de Paul, Correspondance, Entretiens,
Documents, par Pierre Coste, Tom. II, p. 523, Paris, Lecoffre et
Gabalda, 1921.

1118-1 "O quoties ego ipse in eremo constitutus, et in illa^ vasta^
solitudine quae exusta solis ardoribus, horridum monachis praestat
habitaculum, putabam me Romanis interesse deliciis".

1118-2 Epist. XXII, n. 7. P. L., XXII, 398.

1118-3 S. Hieronymi, Epist. XXII, n. 6, P. L., 398.

1119-1 Epist. cit. n. 5.

1119-2 Eccli., III, 27.

1121-1 Vertus religieuses, p. 73, 74.

1122-1 Eccli., XXXIII, 29.

1122-2 Ama scientiam Scripturarum et carnis vitia non amabis...
Facito aliquid operis, ut te semper diabolus inveniat occupatum".
S. Girolamo, Lettera CXXV, P. L., XXII, 1078.

1124-1 La Scala, Scalino XV, 7.

1127-1 Cassiano, Conf. XVIII, c. XI; S. G. Climaco, Scala, XXV;
S. Bernardo, De Gradibus humilitatis et superbiae; S. Tommaso, IIa. IIae,
q. 161; Rodriguez, P. II, Tr. III, Dell.umilta`; S. Fr. di Sales, La
Filotea, P. IIIa., c. IV-VII; J. J. Olier, Introd., c. V; L. Tronson,
Tr. de l'humilite'; Scaramelli, Direttorio Ascetico, tr. III. art. XI;
S. Alfonso, La vera sposa, c. XI; Mgr Gay, Vita e Virtu`, tr. VI;
V. Libermann, Ecrits spirit., Dell'umilta`; Beaudenom, Formation a`
l'humilite'; C. De Smedt, Notre vie surnat., t. II, p. 305-342;
D. Col. Marmion, Le Christ ide'al du moine, XI, p. 277-333.

1127-2 De gradibus humilitatis, c. I, n. 2.

1128-1 IIa. IIae, q. 161, a. 3.

1128-2 I Tim. I, 17.

1128-3 Apoc., VII, 12.

1129-1 Gratiae tuae deputo et quaecumque non feci mala: quid enim
non facere potui, qui etiam gratuitum facinus amavi? Et omnia mihi
dimissa esse fateor; et quae mea^ sponte feci mala, et quae, te duce, non
feci. (Confess., l. II, c. 7, P. L., XXXII, 681).

1129-2 Cate'ch. chre'tien, P. Ia., lez. XVIII.

1130-1 D. Columba Marmion, Le Christ, ide'al du moine, 1922,
p. 299.

1131-1 Ps. XVIII, 10.

1131-2 Secondo il Codice, can. 530, i Superiori religiosi non
possono piu` in nessun modo obbligare gli inferiori a manifestar loro
la coscienza; ma, aggiunge il Codice, "e` bene che i religiosi
ricorrano ai Superiori con filiale confidenza, esponendo anche, se i
Superiori sono sacerdoti, i dubbi e la angustie della loro coscienza".

1135-1 Regula seu Constitutiones Comm. Congreg. Missionis, C. 2,
n. 7.

1135-2 La dottrina di S Vincenzo de' Paoli sull'umilta` e quella
dell'Olier sono molto affini; il che non deve far maraviglia, chi
pensa che l'Olier fu il diletto amico e spirituale discepolo di
S. Vincenzo il quale pure amorosamente lo assistette in punto di
morte.

1136-1 IIa. IIae, q. 161, a. 4

1137-1 I Petr., V, 5.

1137-2 I Petr., V, 5.

1137-3 II Cor., X, 5.

1137-4 Super Missus est, homil. IV, 9.

1138-1 Enarrat. in Ps. CXLI, c. 7.

1139-1 Sermo 10 de Verbis Domini.

1141-1 Philip., II, 5-7.

1141-2 Saint Vincent de Paul, edizione Coste, Tomo XII, p. 199,
200.

1141-3 Luc., II, 1.

1141-4 Luc., II, 7.

1141-5 Joan., I, 11.

1141-6 Luc., II, 12.

1141-7 Luc., II, 51.

1141-8 Elevazioni, XXa. settimana, elev. 8a..

1142-1 Joan., VI, 61.

1142-2 Joan., VIII, 15.

1142-3 Joan., XIV, 10.

1142-4 Joan., VII, 16.

1142-5 Joan., V, 30; XIV, 10.

1142-6 Joan., VIII, 50.

1142-7 Joan., XVII, 4.

1142-8 Matth., XX, 28.

1143-1 II Cor., V, 21.

1143-2 Marc., XIV, 33, 34.

1143-3 Matth., XXVI, 50.

1143-4 Ps. XXI, 7.

1143-5 I Petr., II, 23.

1144-1 Inno Adoro te di S. Tommaso.

1144-2 Matth., XXVI, 40.

1144-3 Matth., XI, 28.

1148-1 Phil., I, 18.

1148-2 Hebr., X, 24.

1149-1 Phil., II, 3.

1149-2 Maynard, Virtu` e dottrina spirit. di S. Vincenzo.

1150-1 Eccli., III, 22.

1150-2 Rom., XII, 3.

1150-3 Maynard, Vertus et doctr., p. 214.

1152-1 Luc., XIV, 10.

1152-2 Maynard, Vertus et doctrine, p. 218.

1153-1 Lo spiega molto bene Monsignor Gay in Vita e virtu`
cristiane, T. 1 Dell'umilta`: "Vi e` un abito di esterna umilta` in cui
l'anima sinceramente umile serba sempre il corpo. E qualche cosa di
contenuto, di riserbato, di calmo, che da` a tutta la fisionomia e a
tutto il contegno quella bellezza ineffabile, quell'armonia, quella
grazia che viene espressa dalla parola modestia. Modesto e` lo sguardo,
modesta la voce, modesto il riso, modesti sono tutti i movimenti.
Nulla e` piu` lontano dall'affettazione quanto la vera modetia. San
Paolo diceva (Phil. IV, 5): la vostra modestia sia nota a tutti,
perche` il Signore e` vicino! Sta qui infatti il segreto di questo
incantevole e santo contegno. Dio e` vicino a questa anima e
quest'anima non lo dimentica mai: vive alla sua presenza ed opera
sotto i suoi occhi, in compagnia degli angeli buoni".

1153-2 "Diciamo tante volte che siamo nulla, che siamo la stessa
miseria e la spazzatura del mondo; ma ci dorrebbe assai se ci
prendessero in parola e ci pubblicassero per tali quali noi ci
diciamo. Facciamo finta di fuggire e di nasconderci, perche` ci si
corra dietro e ci vengano a cercare: facciamo sembiante di voler
essere gli ultimi a sedere in fondo alla tavola, ma lo scopo e` di
riuscir piu` facilmente ad essere posti in capo ad essa. La vera umilta`
non fa sembiante d'esserlo e non dice molte parole d'umilta`"...
(S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IIIa., c. V.)

1153-3 La Filotea, l. c., c. V.

1154-1 S. G. Climaco, La Scala, XXIV; S. Fr. di Sales, La
Filotea, P. IIIa., c. VIII; J. J. Olier, Introd., c. X; Card. Bona,
Manuductio, c. XXXII; Ribet, Asce'tique, c. L; Ve'n. A. Chevrier, Le
ve'ritable disciple, p. 345-354.

1156-1 San Girolamo la descrive molto bene nel Commento della
Lettera ai Galati, V, 22: "La benignita`, dice S. Girolamo, e` una virtu`
soave, tranquilla, dal parlare dolce, affabile nei costumi, felice
misto di ogni buona qualita`. Molto vicina ne e` la bonta`, perche`
anch'essa cerca di far piacere; ma se ne distingue in questo che la
bonta` e` meno attraente e di aspetto piu` severo e che e` pronta a far
del bene e a rendere servizi ma senza quella graziosita` e quella
soavita` che guadagna i cuori".

1157-1 Introd., c. X.

1157-2 Medit. sul Vangelo, Sermone, giorno III^.

1158-1 Rom., VIII, 28.

1158-2 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IIIa., c. IX.

1160-1 P. Chevrier, Le disciple, p. 345-354.

1160-2 Isaia, XLII, 1-4; Matth., XII, 17-21.

1161-1 Matth., XI, 29.

1165-1 Introduzione, c. X.
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24/10/2013 12:58
 
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO II
La via illuminativa
o lo stato delle anime proficienti
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CAPITOLO III.

Le virtu` teologali.

1167. 1^ San Paolo parla delle tre virtu` teologali, raggruppandole
tutte e tre insieme come tre elementi essenziali della vita cristiana
e facendone risaltare la superiorita` sulle virtu` morali 1167-1.
Esorta quindi i Tessalonicesi a indossare l'usbergo della fede, e
della carita`, e l'elmo della speranza 1167-2, e loda in essi
l'opera della fede, la sollecitudine della carita`, e la costanza della
speranza 1167-3. Al contario dei carismi che sono temporanei nella
Chiesa, la fede, la speranza e la carita` stabilmente
rimangono 1167-4.

1168. 2^ Il loro ufficio e` di unirci a Dio per mezzo di Gesu` Cristo
e farci partecipare alla vita divina. Onde sono nello stesso tempo
unificanti e trasformanti.

a) La fede ci unisce a Dio, verita` infinita, facendoci entrare in
comunione col pensiero divino, perche` ci fa conoscere Dio come si e`
rivelato egli stesso, e cosi` ci prepara alla visione beatifica.

b) La speranza ci unisce a Dio, beatitudine suprema, facendocelo amare
come bene per noi; per lei fermamente e sicuramente aspettiamo la
felicita` del cielo, come pure i mezzi necessari per giungervi; per lei
ci prepariamo gia` al pieno possesso della beatitudine eterna.

c) La carita` ci unisca a Dio, bonta` infinita, facendocelo amare come
infinitamente buono ed amabile in se` e formando tra lui e noi una
santa amicizia che ci fa vivere fin d'ora della sua vita, perche`
cominciamo ad amarlo come egli ama se stesso.

Questa virtu` comprende sempre, sulla terra, le due altre virtu`
teologali, di cui e` per cosi` dire l'anima, la forma, la vita, tanto
che la fede e la speranza sono imperfette, informi, morte, senza la
carita`. Onde la fede non e` intiera, al dire di S. Paolo, se non quando
si manifesta coll'amore e colle opere, "fides quae per caritatem
operatur" 1168-1; la speranza non e` perfetta se non quando ci da
una pregustazione della celeste felicita` col possesso della grazia
santificante e della carita`.

ART. I. LA VIRTU` DELLA FEDE 1169-1.

Tre cose ne esporremo:
* 1^ La natura;
* 2^ l'efficacia santificatrice;
* 3^ la pratica progressiva.
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24/10/2013 12:59
 
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I. Natura della fede.

Richiamiamo qui brevemente quanto abbiamo esposto nella nostra
Teologia dogmatica e morale.

1169. 1^ Significato nella Sacra Scrittura. La parola fede significa
per lo piu` un'adesione dell'intelletto alla verita` ma fondata sulla
confidenza; del resto, per credere a qualcuno, bisogna pure aver
fiducia in lui.

A) Nel Vecchio Testamento la fede e` presentata come virtu` essenziale,
da cui dipende la salute o la rovina del popolo: "Credete in Yaweh
vostro Dio e sarete salvi" 1169-2; "se non credete, sarete
distrutti" 1169-3. Questa fede e` assenso alla parola di Dio, ma
accompagnato da confidenza, da abbandono e da amore.

B) Nel Nuovo Testamento, la fede e` cosa talmente essenziale che
credere vale professare il cristianesimo, e non credere vale non
essere cristiani: "Qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit;
qui vero non crediderit condemnabitur" 1169-4. La fede e`
l'accettazione del Vangelo predicato da Gesu` Cristo e dagli Apostoli,
onde suppone la predicazione: "fides ex auditu" 1169-5. Questa
fede non e` dunque ne` un'intuizione del cuore, ne` una visione diretta
"videmus nunc per speculum, in aenigmate" 1169-6; e` un'adesione
alla testimonianza divina, adesione libera e illuminata, perche` da un
lato l'uomo puo` ricusare di credere, e dall'altro non crede senza
ragioni, senza l'intima convinzione che Dio ha rivelato 1169-7.
Questa fede e` accompagnata dalla speranza e si perfeziona con la
carita`: "fides quae per caritatem operatur" 1169-8.

1170. 2^ Definizione. La fede e` una virtu` teologale che inclina
l'intelletto, sotto l'influsso della volonta` e della grazia, a dare
fermo assenso alle verita` rivelate, fondandosi sull'autorita` di Dio
rivelante.

A) E` quindi prima di tutto un atto dell'intelletto, perche` si tratta
di conoscere una verita`. Ma non essendo questa verita` intrinsicamente
evidente, la nostra adesione non puo` farsi senza l'influsso della
volonta` che ordina all'intelletto di studiare le ragioni di credere,
e, quando queste sono convincenti, le comanda pure di darvi l'assenso.
Trattandosi poi di un atto soprannaturale, vi deve intervenire la
grazia, sia per illuminar l'intelletto, sia per aiutare la volonta`.
Onde la fede diventa un atto libero, soprannaturale e meritorio.

B) L'oggetto materiale della fede e` il complesso delle verita`
rivelate, sia quelle che la ragione non puo` in nessun modo scoprire,
sia quelle che puo` conoscere da se` ma che conosce anche meglio colla
fede.

Tutte queste verita` si concentrano intorno a Dio e a Gesu` Cristo: a
Dio, uno nella natura e trino nelle persone, nostro primo principio e
nostro ultimo fine; a Gesu` Cristo, nostro redentore e mediatore, che e`
Figlio eterno di Dio fatto uomo per salvarci; e quindi all'opera sua
redentrice e a tutto cio` che vi si riferisce. Crediamo insomma cio` che
un giorno vedremo chiaramente in paradiso: "Haec est autem vita aeterna,
ut cognoscant te solum Deum verum et quem misisti Jesum
Christum" 1170-1.

1171. C) L'oggetto formale, o cio` che comunemente si dice motivo
della fede, e` l'autorita` divina che ci si manifesta dalla rivelazione
e ci comunica alcuni dei secreti [sic] di Dio. Onde la fede e` virtu`
tutta soprannaturale nell'oggetto come nel motivo, che ci fa entrare
in comunione col pensiero divino.

D) Spesso la verita` rivelata ci viene autenticamente proposta dalla
Chiesa, istituita da Gesu` Cristo come interprete ufficiale della sua
dottrina; questa verita` si dice allora di fede cattolica; se non v'e`
definizione autentica della Chiesa, e` semplicemente di fede divina.

E) Nulla e` piu` fermo dell'adesione della fede: avendo piena fiducia
nell'autorita` divina assai piu` che nei nostri lumi, con tutta l'anima
crediamo alla verita` rivelata, il che facciamo con tanto maggior
sicurezza in quanto che la grazia divina viene ad agevolare e
fortificare il nostro assenso. Ecco perche` l'adesione della fede e` piu`
viva e piu` ferma dell'adesione alle verita` razionali.
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24/10/2013 12:59
 
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II. Efficacia santificatrice della virtu` della fede.

1172. E` chiaro che la fede cosi` spiegata deve avere una parte
importante nella nostra santificazione: facendoci partecipare al
pensiero divino, e` il fondamento della vita soprannaturale, e ci
unisce intimissimamente a Dio.

1173. 1^ E` il fondamento della nostra vita soprannaturale. Abbiamo
detto che l'umilta` viene considerata come il fondamento delle virtu` e
abbiamo spiegato in che senso (n. 1138); ora la fede e` il
fondamento dell'umilta`, che, come si e` detto, fu virtu` ignota ai
pagani, onde viene ad essere in modo anche piu` profondo il fondamento
di tutte le virtu`.

A farlo ben capire, non abbiamo che da commentar le parole del
Concilio di Trento, il quale afferma che la fede e` il principio, il
fondamento, la radice della giustificazione e quindi della
santificazione: "humanae salutis initium, fundamentum et radix totius
justificationis".

A) Ne e` il principio: perche` e` il mezzo misterioso adoprato da Dio per
iniziarci alla sua vita e al modo con cui conosce se stesso; e` da
parte nostra la prima disposizione soprannaturale, senza cui non si
puo` ne` sperare ne` amare; e`, a cosi` dire, la presa di possesso di Dio e
delle cose divine. Per impossessarsi del soprannaturale e viverne,
bisogna prima di tutto conoscerlo "nil volitum quin praecognitum"; ora
noi lo conosciamo con la fede, luce novella aggiunta a quella della
ragione, che ci fa penetrare in un mondo nuovo, il mondo
soprannaturale. E` come il telescopio che ci fa scoprire le cose
lontane che non possiamo vedere ad occhio nudo; il paragone per altro
e` molto imperfetto, perche` il telescopio e` strumento esterno, mentre
la fede penetra nel piu` intimo del nostro intelletto aumentandone
l'acume e il campo d'azione.

1174. B) E` anche in fondamento della vita spirituale: questa
similitudine ci dice che la santita` e` come un edificio vastissimo ed
altissimo, di cui la fede e` il fondamento. Ora, in un edifizio, quanto
piu` ampie e profonde sono le fondamenta tanto piu` puo` l'edifizio
sorgere in altezza senza nulla perdere in solidita`. Conviene quindi
rassodar bene la fede delle persone pie, e principalmente dei
seminaristi e dei sacerdoti, onde possa su questo incrollabile
fondamento sorgere il tempio della cristiana perfezione.

C) E` finalmente la radice della santita`. Le radici vanno a cercare nel
suolo i succhi necessari a nutrire e far crescere l'albero; cosi` la
fede, che affonda le radici nel piu` intimo dell'anima e vi si nutre
delle divine verita`, somministra alla perfezione dovizioso alimento.
Le radici, quando sono profonde, danno pure sodezza all'albero che
reggono; cosi` l'anima, rassodata nella fede, resiste alle spirituali
bufere. Nulla dunque di piu` importante, chi voglia giungere ad alta
perfezione, quanto una fede profonda.

1175. 2^ La fede ci unisce a Dio e ce ne fa partecipare il pensiero
e la vita; e` la conoscenza con cui Dio conosce se stesso parzialmente
comunicata all'uomo: "per lei, dice il Gay, 1175-1 la luce di Dio
diventa luce nostra; la sapienza sua sapienza nostra, la scienza sua
scienza nostra, la mente sua mente nostra, la vita sua vita nostra".

Direttamente la fede unisce il nostro intelletto alla divina sapienza;
ma non potendosi l'atto di fede fare senza l'intervento della volonta`,
anche questa ha la sua parte nei preziosi effetti che la fede produce
nell'anima. Onde si puo` dire che la fede e` fonte di luce per
l'intelletto, e` forza e consolazione per la volonta`, e` principio di
meriti per l'anima tutta.

1176. A) E` luce che illumina l'intelletto e distingue il cristiano
dal filosofo, come la ragione distingue l'uomo dall'animale. Vi e` in
noi una triplice conoscenza: la conoscenza sensitiva, che si ha con i
sensi; la conoscenza razionale, che si acquista con l'intelletto; la
conoscenza spirituale o soprannaturale, a cui si perviene colla fede.
Quest'ultima conoscenza e` di molto superiore alle altre due.

a) Allarga il campo delle nostre cognizioni su Dio e sulle cose
divine: ben poco conosciamo colla ragione della natura di Dio e della
sua vita intima; con la fede impariamo che e` un Dio vivente, che da
tutta l'eternita` genera un figlio, e che dal mutuo amore del Padre e
del Figlio scaturisce una terza persona, lo Spirito Santo; che il
Figlio si fece uomo per salvarci e coloro che credono in lui diventano
figli adottivi di Dio; che lo Spirito Santo viene ad abitare nelle
anime nostre, a santificarle e dotarle di un organismo soprannaturale
che ci abilita a fare atti deiformi e meritori. Ed e` questa solo una
parte delle rivelazioni fatteci.

b) Ci aiuta ad approfondire le verita` gia` conosciute con la ragione.
Quanto piu` precisa e piu` perfetta e` infatti la morale evangelica
paragonata colla morale naturale!

Si rilegga il Sermone del monte: Nostro Signore fin dal principio
proclama francamente beati i poveri, i miti, i perseguitati; vuole dai
discepoli che amino i nemici, preghino per loro e facciano loro del
bene. La santita` da lui predicata non e` la santita` legale od
esteriore, ma una santita` interiore, fondata sull'amor di Dio e
sull'amor del prossimo per Dio. A stimolare il nostro ardore, ci
propone l'ideale piu` perfetto: Dio e le sue perfezioni; e poiche` Dio
par lontano da noi, il Figlio di Dio discende dal cielo, si fa uomo,
e, vivendo la nostra vita, ci offre un esempio concreto della vita
perfetta che dobbiamo condurre sulla terra. A darci la forza e la
costanza necessarie a tale impresa, non si contenta di camminare alla
nostra testa, ma viene a vivere in noi con le sue grazie e le sue
virtu`. Non possiamo dunque addurre a scusa la nostra debolezza, perche`
e` egli stesso la forza nostra e la nostra luce.

1177. B) Che la fede sia un principio di forza viene bellamente
dimostrato dall'autore dell'Epistola agli Ebrei 1177-1.

La fede infatti ci da` convinzioni profonde che invigoriscono in modo
singolare la volonta`: a) Ci mostra quanto Dio ha fatto e continua a
fare per noi, in che modo vive e opera nell'anima nostra per
santificarla, come Gesu` ci incorpora a se` e ci fa partecipare alla sua
vita, n. 188-189; onde noi, con lo sguardo fisso sull'autore della
nostra fede, il quale al gaudio e alla gloria preferi` la croce e
l'umiliazione, "proposito sibi gaudio, sustinuit crucem, confusione
contempta^" 1177-2, ci sentiamo animo a portar valorosamente la
croce dietro a Gesu`.

b) Ci mette continuamente dinanzi agli occhi la ricompensa eterna che
sara` il frutto dei temporanei patimenti: "momentaneum et leve
tribulationis nostrae aeternum gloriae pondus operatur in
nobis" 1177-3; onde diciamo con S. Paolo: "Penso che i patimenti
del tempo presente non hanno proporzione con la gloria ventura: non
sunt condignae passiones hujus temporis ad futuram gloriam" 1177-4;
ci allietiamo anzi, come lui, in mezzo alle tribolazioni 1177-5,
perche` ognuna di esse, pazientemente tollerata, ci fruttera` un grado
piu` alto nella visione e nell'amore di Dio.

c) Se sentiamo talora la nostra debolezza, la fede ci rammenta che,
essendo Dio stesso la nostra forza e il nostro sostegno, nulla abbiamo
da temere quand'anche il mondo e il demonio si alleassero contro di
noi: "Et haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra" 1177-6.

La qual cosa si vede nella mirabile trasformazione operata dallo
Spirito Santo nell'anima degli Apostoli; armati ormai della forza di
Dio, essi, che prima erano timidi e codardi, affrontano animosamente
prove di ogni sorta, flagelli, prigionie, perfino la morte, lieti di
soffrire pel nome di Gesu`: "ibant gaudentes... quoniam digni habiti
sunt pro nomine Jesu contumeliam pati".

1178. C) La fede e` pure fonte di consolazione, non solo in mezzo
alle tribolazioni e alle umiliazioni ma anche nelle dolorose perdite
di parenti e di amici. Noi non siamo di quelli che si contristano
senza speranza; sappiamo che la morte non e` che un sonno, presto
seguito dalla risurrezione, e che scambiamo una dimora provvisoria con
una permanente citta`.

Cio` che specialmente ci consola e` il domma della Comunione dei Santi:
nell'attesa di riunirci a quelli che ci hanno lasciati, restiamo loro
intimissimamente uniti in Cristo Gesu`; preghiamo per abbreviarne il
tempo della purificazione e affrettarne l'ingresso in paradiso; ed
essi da parte loro, sicuri ormai della propria salvezza, pregano
ardentemente perche` possiamo andare un giorno a raggiungerli nel
cielo.

1179. D) E` finalmente fonte di numerosi meriti: a) l'atto stesso di
fede e` molto meritorio, perche` assoggetta alla divina autorita` quanto
vi e` di meglio in noi, l'intelletto e la volonta`. Fede tanto piu`
meritoria in quanto che e` oggi esposta a piu` numerosi assalti, e
coloro che apertamente la professano vanno incontro, in certi paesi, a
maggiori scherni e persecuzioni.

b) Ed e` pur la fede che rende meritori gli altri nostri atti: essi
infatti non possono essere tali senza un'intenzione soprannaturale e
senza l'aiuto della grazia (nn. 126, 239); ora e` la fede che,
dirigendo l'anima verso Dio e Nostro Signore Gesu` Cristo, ci abilita
ad operare in tutte le cose con mire soprannaturali; e` lei pure che,
palesandoci l'impotenza nostra e l'onnipotenza divina, ci fa pregare
con ardore per ottenere la grazia.
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24/10/2013 13:00
 
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III. Pratica della virtu` della fede.

1180. Essendo la fede nello stesso tempo dono di Dio e libera
adesione dell'anima, e` chiaro che, per farvi progresso, bisogna
appoggiarsi sulla preghiera e sui nostri sforzi. Sotto questa doppia
efficacia, la fede diverra` piu` illuminata e piu` semplice, piu` ferma e
piu` operosa.

Applicheremo questo principio ai vari gradi della vita spirituale.

1181. 1^ Gl'incipienti si sforzeranno di rassodarsi nella fede.

A) Ringrazieranno con tutto il cuore Dio di questo gran dono, che e` il
fondamento di tutti gli altri, ripetendo le parole di S. Paolo:
"Gratias Deo super inenarrabili dono ejus" 1181-1. E tanto piu` lo
ringrazieranno al vedersi attorno gran numero di increduli.
Pregheranno quindi per aver la grazia di conservare questo gran dono
non ostante tutti i pericoli che li circondano; e penseranno pure a
implorar l'aiuto di Dio per la conversione degl'infedeli, degli
eretici e degli apostati.

1182. B) Reciteranno con umile sottomissione e con ferma convinzione
gli atti di fede, dicendo con gli Apostoli: "adauge nobis
fidem" 1182-1. Ma alla preghiera uniranno lo studio e la lettura
di libri atti a illuminare e rinvigorire la fede; oggi si legge molto,
ma quanto pochi sono quelli, anche tra i cristiani intelligenti, che
leggano libri seri di religione e di pieta`! O non e` questa
un'aberrazione? Si vuol saper tutto fuorche` l'unico necessario.

1183. C) Scanseranno tutto cio` che potrebbe inutilmente turbare la
fede: a) vale a dire certe letture imprudenti, in cui sono assalite,
derise o messe in dubbio le verita` della fede.

La maggior parte dei libri che oggi si pubblicano, non solo fra i
libri dottrinali ma anche fra i romanzi e le opere teatrali,
contengono assalti ora aperti ora palliati contro la fede. Se non si
sta attenti, si beve a poco a poco il veleno dell'incredulita`, si
perde almeno la verginita` della fede, onde viene il momento che,
scossa da esitazioni e da dubbi, la fede non sa piu` come difendersi.
Bisogna rispettare su questo punto le savie prescrizioni della Chiesa
che forma un indice di libri cattivi o pericolosi, e non disprezzarlo
col pretesto che si e` sufficientemente premuniti contro i pericoli.
Veramente uno non lo e` mai abbastanza: il Balmes, ingegno cosi`
profondo e cosi` ben equilibrato, e che cosi` abilmente difese la
Chiesa, obbligato a leggere libri eretici per confutarli, diceva agli
amici: 1183-1 "Voi sapete se i sentimenti e le dottrine cattoliche
siano in me ben radicate; eppure non mi accade mai di adoperare un
libro proibito, senza sentire poi il bisogno di ritemprarmi nella
lettura della Bibbia, dell'Imitazione o di Luigi di Granata. Or che
sara` di questa insensata gioventu` che osa leggere di tutto senza
preservativi e senza esperienza? Ne sono atterrito al solo pensarvi".
Per lo stesso motivo dobbiamo, com'e` chiaro, fuggire le conversazioni
degli increduli o le loro conferenze.

b) Schivano pure quell'orgoglio intellettuale che vuole abbassar tutto
al proprio livello e non accettare se non cio` che capisce. Rammentano
che c'e` sopra di noi uno Spirito infinitamente intelligente che vede
cio` che la debole nostra ragione non puo` comprendere e che ci fa
grand'onore a manifestarci il suo pensiero. Accertatici che abbia
parlato, l'unico contegno ragionevole e` di accogliere con riconoscenza
questo supplemento di luce: se c'inchiniamo davanti a un uomo di genio
che benevolmente ci comunichi alcune delle sue cognizioni, con quanta
maggior confidenza non dobbiamo inchinarci davanti alla Sapienza
infinita?

1184. D) Quanto alle tentazioni contro la fede, bisogna distinguere
tra quelle che sono vaghe e quelle che battono su un punto
determinato.

a) Quando sono vaghe, come questa: Chi sa se saranno poi cose vere?
bisogna scacciarle come si fa con le mosche importune.

1) Siamo in possesso della verita`, i nostri titoli di proprieta` sono
in buona e debita forma; e questo ci basta. 2) Abbiamo del resto altre
volte chiaramente veduto che la nostra fede si reggeva sopra sodi
fondamenti; questo ci basta; non si puo` rimettere ogni giorno in
dubbio cio` che e` stato una volta sodamente provato; nelle cose della
vita ordinaria non si bada a questi dubbi e a queste pazze idee che
passano per la mente; si tira avanti e la certezza ritorna. 3) E poi
altri, piu` intelligenti di me, credono queste verita` e sono convinti
del valore delle loro prove: io accetto il loro giudizio, che e` assai
piu` assennato di quello di certa gente che prende maligno diletto a
rendersi singolare con lo scalzar dalla base tutti i fondamenti della
certezza. A queste ragioni di buon senso si aggiunge la preghiera:
"Credo, Domine, adjuva incredulitatem meam" 1184-1.

1185. b) Se sono invece determinate e si riferiscono a punti
particolari, si continua a credere fermamente, essendo in possesso
della verita`; ma uno si vale della prima occasione per chiarire la
difficolta`, sia col proprio studio se si ha ingegno e i necessari
documenti, sia consultando persone istruite che possano aiutarci a
risolvere piu` facilmente il problema. Allo studio si associa la
preghiera e la docilita` alla leale investigazione, e ordinariamente
non si tarda a trovare la soluzione.

Bisogna per altro ricordarsi che questa soluzione non fara` sempre
dileguare ogni difficolta`. Vi sono talora obiezioni storiche,
critiche, esegetiche che non possono essere risolte se non dopo lunghi
anni di studio. Si pensi allora che, quando una verita` e` provata da
buoni e sodi argomenti, prudenza vuole che si continui ad aderirvi
fino a che la piena luce possa dissipar tutte le nubi: la difficolta`
non distrugge il valor delle prove, mostra soltanto la debolezza del
nostro ingegno.

1186. 2^ Le anime progredite praticano non solo la fede, ma lo
spirito di fede o la vita di fede: "Justus autem ex fide
vivit" 1186-1.

A) Leggono amorosamente il Santo Vangelo, liete di seguire a passo a
passo Nostro Signore, di gustarne le massime, di ammirarne gli esempi
per imitarli. Gesu` comincia a diventar centro dei loro pensieri: lo
cercano nelle letture e nei lavori, bramose di meglio conoscerlo per
meglio amarlo.

1187. B) Si avvezzano a guardare e giudicare tutto secondo la fede:
cose, persone, eventi. 1) Vedono in tutte le opere divine la mano del
Creatore e le sentono ripetere: "ipse fecit nos et non ipsi
nos" 1187-1; Dio quindi ammirano dovunque. 2) Le persone che hanno
attorno sono per loro come immagini di Dio, figli dello stesso Padre
celeste, fratelli in Gesu` Cristo. 3) Gli eventi, che per gl'increduli
sono talora cosi` oscuri, vengono da loro interpretati alla luce di
quel gran principio che tutto e` ordinato a vantaggio degli eletti, che
i beni e i mali vengono distribuiti con la mira alla nostra
santificazione e all'eterna nostra salute.

1188. C) Ma si studiano specialmente di regolarsi in tutto secondo i
principii della fede: 1) i giudizi sono fondati sulle massime del
Vangelo e non su quelle del mondo; 2) le parole sono ispirate dallo
spirito cristiano e non dallo spirito del mondo, perche` conformano le
parole ai giudizi, trionfando cosi` del rispetto umano; 3) le azioni si
accostano quanto piu` e` possibile a quelle di Nostro Signore, che
volentieri riguardano come modello, onde evitano di lasciarsi
trascinare dagli esempi dei mondani. Vivono insomma vita di fede.

1189. D) In fine si sforzano di propagare intorno a se` la fede di
cui sono animate: 1) con la preghiera, chiedendo a Dio che mandi
operai apostolici ad evangelizzare gli infedeli e gli eretici: "Rogate
ergo Dominum messis ut mittat operarios in messem suam" 1189-1;
2) con gli esempi, praticando si` bene i doveri del proprio stato da
indurre i testimoni della loro vita ad imitarli; 3) con le parole,
confessando schiettamente e senza rispetto umano che trovano nella
fede forze a fare il bene e consolazioni in mezzo alle pene; 4) con le
opere, contribuendo con generose largizioni, con sacrifici e con
l'opera all'istruzione e all'educazione morale e religiosa del
prossimo.

3^ I perfetti, coltivando i doni della scienza e dell'intelletto,
perfezionano vie piu` la loro fede, come spiegheremo trattando della
via unitiva.
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24/10/2013 13:00
 
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ART. II. LA VIRTU` DELLA SPERANZA.

Ne descriveremo:
* 1^ la natura;
* 2^ l'efficacia santificatrice;
* 3^ il modo di praticarla.

I. Natura della speranza 1190-1.

1190. 1^ Vari significati: A) Nell'ordine naturale la speranza
indica due cose: una passione e un sentimento.

a) La speranza e` infatti una delle undici passioni, n. 787; ed e`
allora un moto della sensibilita` che tende a un bene sensibile
assente, possibile a conseguire ma non senza difficolta`. b) E` pure uno
dei piu` nobili sentimenti del cuore umano che tende a un bene onesto
assente, non ostante le difficolta` che ne ostacolano l'acquisto.
Questo sentimento ha larga parte nella vita umana: e` quello che
sostiene l'uomo nelle imprese difficili, il contadino quando semina,
il marinaio quando salpa per lontano viaggio, il mercante e
l'industriale quando avviano un affare.

B) Ma vi e` pure una speranza soprannaturale che sorregge il cristiano
in mezzo alle difficolta` della eterna salvezza e della perfezione. Ha
per oggetto tutte le verita` rivelate che si riferiscono alla vita
eterna e ai mezzi di pervenirvi; fondandosi sulla potenza e sulla
bonta` divina, possiede incrollabile fermezza.

1191. 2^ Elementi essenziali. Analizzando questa virtu`, vi scorgano
tre elementi principali:

a) L'amore e il desiderio del bene soprannaturale, vale a dire di Dio,
suprema nostra beatitudine.

Ecco la genesi di questo sentimento: il desiderio della felicita` e`
universale; ora la fede ci mostra che Dio solo puo` costruir la nostra
felicita`; onde noi l'amiamo come fonte della nostra felicita`. E` amore
interessato ma soprannaturale, perche` si volge a Dio conosciuto per
fede. Essendo questo bene di difficile acquisto; onde, a trionfar di
questo timore, interviene un secondo elemento: la fondata speranza di
ottenerlo.

E` chiaro che cosiffatta speranza non si fonda sulle nostre forze, che
sono radicalmente insufficienti a conseguir questo bene, ma su Dio,
sulla soccorrevole sua onnipotenza. Da lui aspettiamo tutte le grazie
necessarie per acquistare la perfezione in questa vita e la salvezza
nell'altra.

c) Ma la grazia richiede la nostra collaborazione: onde un terzo
elemento: un certo slancio, uno sforzo serio di tendere a Dio e
adoprare i mezzi di salute messi a nostra disposizione. Sforzi che
devono essere tanto piu` energici e costanti quanto piu` alto e`
l'oggetto della nostra speranza.

1192. 3^ Definizione. Da quanto abbiamo detto, la speranza si puo`
definire: una virtu` teologale che ci fa desiderar Dio come supremo
nostro bene, e aspettare con ferma confidenza, fondata sulla bonta` e
onnipotenza divina, la beatitudine eterna e i mezzi di conseguirla.

A) L'oggetto primo ed essenziale della nostra speranza e` Dio stesso in
quanto beatitudine nostra, e` Dio eternamente posseduto nella chiara
visione beatifica e nel perfetto amore. Perche`, come dice Nostro
Signore, la vita eterna e` la conoscenza o la visione di Dio e di Gesu`
Cristo da lui inviato: "Haec est vita aeterna: ut cognoscant te solum
Deum verum, et quem misisti Jesum Christum" 1192-1. Ma, non
potendo noi conseguir quest'oggetto senza l'aiuto della grazia, la
speranza abbraccia pure tutti gli aiuti soprannaturali necessari a
schivare il peccato, a vincere le tentazioni, ad acquistare le
cristiane virtu`, ed anche i beni di ordine temporale in quanto siano
utili o necessari alla nostra perfezione e all'eterna nostra salute.

1193. B) Il motivo su cui si fonda la speranza, dipende dall'aspetto
sotto cui si considera questa virtu`: a) se, con Scoto, se ne mette in
rilievo l'atto principale che e` il desiderio o l'amor di Dio
considerato come nostra felicita`, il motivo sara` la sua bonta` rispetto
a noi; b) se si pensa, con S. Tommaso, che la speranza consiste
essenzialmente nell'aspettazione di quel bene difficile a conseguire
che e` il possesso di Dio, il motivo sara` la soccorrevole onnipotenza
di Dio che solleva le anime, le distacca dai beni della terra e le
porta verso il cielo. Le promesse divine vengono solo a confermare la
certezza di questo aiuto.

Si puo` dunque dire che il motivo adeguato e` nello stesso tempo la
bonta` di Dio e la sua potenza.
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24/10/2013 13:01
 
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II. Efficacia della speranza nella nostra santificazione.

La speranza contribuisce alla nostra santificazione in tre modi
principali:
* 1^ unendoci a Dio;
* 2^ dando efficacia alle nostre preghiere;
* 3^ costituendo un principio di feconda operosita`.

1194. 1^ Ci unisce a Dio staccandoci dai beni della terra. Noi siamo
attratti dai sensibili diletti, dalle soddisfazioni dell'orgoglio e
dal fascino delle ricchezze, e poi dai naturali ma piu` puri diletti
della mente e del cuore. Ora la speranza, fondata su una fede viva, ci
mostra che tutti questi terreni godimenti mancano di due elementi
essenziali alla felicita`, la perfezione e la durata.

A) Nessuno di questi beni e` abbastanza perfetto da appagarci:
procuratici alcuni momenti di gaudio, ci cagionano presto sazieta` e
nausea. Il nostro cuore e` cosi` grande, ha aspirazioni cosi` vaste, cosi`
alte, che non puo` contentarsi dei beni materiali, che sono puri mezzi
per giungere a un fine piu` nobile. Neppure i beni naturali della mente
e del cuore ci bastano: l'intelletto non si appaga che nella
conoscenza della causa prima; e il cuore, che cerca un amico perfetto,
non lo trova che in Dio: Dio solo e` la pienezza dell'essere, pienezza
di bellezza, di bonta`, di potenza; Dio, che basta pienamente a se`,
basta pure, com'e` chiaro, alla nostra felicita`. Tutto sta a poterlo
ottenere; ed e` appunto la speranza che ce lo mostra chino verso di noi
per darsi tutto a noi; persuasici di queste verita`, il cuore si
distacca dai beni della terra per volgersi a lui, come il ferro si
volge alla calamita.

1195. B) Quand'anche i beni della terra ci appagassero appieno, sono
beni effimeri che presto ci sfuggono. Cosa che noi ben sappiamo e che
ce ne turba il godimento anche quando li possediamo: Dio invece sta in
eterno, e la morte che ci separa da tutto non fa che unirci piu`
perfettamente a lui; onde, non ostante l'orrore naturale che c'ispira,
la guardiamo fiduciosamente in faccia quando si avvicina, in virtu`
della speranza che abbiamo di essere uniti per sempre a Colui che solo
puo` renderci felici.

1196. 2^ E` pur la speranza quella che, associata all'umilta`, da`
efficacia alle nostre preghiere ottenendoci tutte le grazie di cui
abbiamo bisogno.

A) Come son tenere le premurose esortazioni della S. Scrittura alla
confidenza in Dio! L'Ecclesiastico compendia in questi termini la
dottrina dell'Antico Testamento: "Chi spero` mai nel Signore e rimase
deluso? Chi l'invoco` e fu da lui negletto? Dio e` pur sempre pietoso e
compassionevole: Scitote quia nullus speravit in Domino et confusus
est. Quis enim permansit in mandatis ejus et derelictus est; aut quis
invocavit eum et despexit illum? Quoniam pius et misericors est Deus,
et remittet in die tribulationis peccata" 1196-1.

B) Ma specialmente nel Nuovo Testamento sfolgora l'efficacia della
confidenza in Dio.

Nostro Signore opera i miracoli in favor di coloro che hanno fiducia
in lui: si pensa al contegno tenuto col centurione; 1196-2 col
paralitico che, non potendo avvicinare il Maestro, si fa calare dal
tetto; 1196-3 coi ciechi di Gerico; 1196-4 con la
Cananea 1196-5 che, respinta tre volte, non si stanca di ripetere
l'umile preghiera; con la donna peccatrice; 1196-6 col lebbroso
che torna indietro a ringraziar chi lo guari`. 1196-7 Ma poi come
non aver confidenza quando Nostro Signore stesso autorevolmente ci
afferma che tutto cio` che chiederemo al Padre in nome suo ci sara`
concesso? "Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine
meo, dabit vobis" 1196-8. Ecco il segreto della nostra forza:
quando preghiamo in nome di Gesu`, vale a dire confidando nei suoi
meriti e nelle sue soddisfazioni, il suo sangue perora piu`
eloquentemente per noi che non le povere nostre preghiere.

C) Del resto nulla onora tanto Dio quanto la confidenza; perche` e` un
proclamarne la potenza e la bonta`, onde Dio, che non si lascia vincere
in generosita`, risponde a questa confidenza con copiosa effusione di
grazie. Conchiudiamo dunque col Concilio di Trento che dobbiamo tutti
porre in Dio incrollabile confidenza: "In Dei auxilio firmissimam spem
collocare et reponere omnes debent" 1196-9.

1197. 3^ La speranza e` finalmente principio di feconda operosita`.
a) Produce infatti santi desideri, specialmente il desiderio del
cielo, il desiderio di posseder Dio. Ora il desiderio da` all'anima lo
slancio, il movimento, l'ardore necessario a conseguire il bene
bramato, e regge gli sforzi fino a tanto che ci sia dato di pervenire
alla desiderata me`ta.

b) Ci aumenta le energie con la promessa di una ricompensa che
oltrepassera` di molto i nostri sforzi. Se le persone del mondo
lavorano con tanto ardore per procacciarsi periture ricchezze, se gli
atleti si condannano a cosi` penosi esercizi d'allenamento, fanno
sforzi disperati per guadagnare una corona corruttibile, quanto piu`
non dobbiamo faticare e soffrire noi per una corona immortale? "Omnis
autem qui in agone contendit ab omnibus se abstinet. Et illi quidem ut
corruptibilem coronam accipiant, nos autem incorruptam" 1197-1.

1198. c) Ci da` quel coraggio e quella resistenza che provengono
dalla certezza della riuscita. Se nulla maggiormente disanima quanto
il lottare senza speranza di vittoria, nulla invece infonde tanta
forza quanto la sicurezza del trionfo. Ora tale certezza ci vien data
dalla speranza. Deboli da soli, abbiamo potenti alleati: Dio, Gesu`
Cristo, la Vergine Santissima e i Santi (n. 188-189).

Ora se Dio e` con noi, chi dunque sara` contro di noi? Si Deus pro
nobis, quis contra nos 1198-1? Se Gesu`, che vinse il mondo e il
demonio, vive in noi e ci comunica la divina sua forza, non siamo
forse sicuri di trionfar con lui? Se la Vergine immacolata, che
schiaccio` il serpente infernale, ci sostiene con la sua potente
intercessione, non otterremo forse tutti gli aiuti desiderati? Se gli
amici di Dio pregano per noi, tante suppliche non ci danno forse
un'assoluta sicurezza? E se siamo sicuri della vittoria,
indietreggeremo dinanzi ai pochi sforzi necessari a conquistar
l'eterno possesso di Dio?
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24/10/2013 13:01
 
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III. Pratica progressiva della speranza.

1199. 1^ Principio generale. A progredire in questa virtu`, bisogna
renderla piu` salda nei fondamenti e piu` feconda nei risultati.

A) A renderla piu` salda, conviene meditar spesso sui motivi che ne
sono il fondamento: la potenza di Dio, unita alla sua bonta` e alle
magnifiche promesse che ci ha fatte, n. 1193. Se occorresse
qualche cosa di piu` per rinsaldar la nostra confidenza, basterebbe
richiamare la parola di S. Paolo 1199-1: "Dio, che non risparmio`
il proprio Figlio ma lo diede a morte per tutti noi, come non ci dara`
con lui anche ogni cosa? Chi accusera` gli eletti di Dio? E` Dio che li
giustifica! Chi li condannera`? Cristo Gesu` e` quegli che mori` e che poi
risuscito` ed e` ora alla destra di Dio e intercede per noi!" Quindi da
parte di Dio la speranza e` assolutemente certa. Da parte nostra
abbiamo pero` ragione di temere, perche` purtroppo non corrispondiamo ne`
sempre ne` bene alla grazia di Dio. Onde ogni nostro sforzo deve mirare
a rendere la nostra speranza piu` ferma rendendola piu` feconda.

1200. B) A conseguir questo fine bisogna collaborare con Dio
all'opera della nostra santificazione: "Dei enim sumus
adjutores" 1200-1. Dio, largendoci la sua grazia, non vuole
sostituire l'azione sua alla nostra, vuole semplicemente supplire alla
nostra insufficienza. Dio e` certamente causa prima e principale, ma
non intende sopprimere la nostra attivita`, vuole anzi provocarla,
stimolarla, renderla piu` efficace.

Quseto aveva ben compreso S. Paolo: "Per la grazia di Dio, egli
diceva, sono quello che sono, e la grazia sua verso di me non riusci`
vana, ma piu` di tutti io faticai: non io pero`, ma la grazia di Dio che
e` con me: Gratia^ Dei sum id quod sum, sed gratia ejus in me vacua non
fuit; sed abundantius illis omnibus laboravi" 1200-2. Ed esortava
gli altri a far cio` che faceva lui: "Adjuvantes autem exhortamur ne in
vacuum gratiam Dei recipiatis" 1200-3; premurosa raccomandazione
che rivolgeva specialmente al caro discepolo Timoteo: "Labora sicut
bonus miles Christi Jesu" 1200-4; perche` doveva lavorare non solo
alla santificazione propria ma anche all'altrui. Ne` altrimenti parla
S. Pietro, rammentando ai discepoli che sono certamente chiamati alla
salute, ma che devono assicurar la loro vocazione coll'esercizio delle
opere buone: "Quapropter fratres, magis satagite ut per bona opera
certam vestram vocationem et electionem faciatis" 1200-5.

Bisogna dunque essere ben convinti che, nell'opera della nostra
santificazione, tutto dipende da Dio; ma si deve pure operare come se
tutto dipendesse da noi soli; Dio infatti non ci ricusa mai la sua
grazia, onde in pratica non dobbiamo occuparci che dei nostri sforzi.

1201. 2^ Applicazioni ai vari gradi della vita spirituale. E` facile
vedere in che modo l'esposto principio si applichi alle varie tappe
della vita cristiana.

A) Gl'incipienti baderanno primieramente a scansare i due eccessi
contrari alla speranza: la presunzione e la disperazione.

a) La presunzione consiste nell'aspettarsi da Dio il paradiso e le
grazie necessarie per arrivarvi senza voler prendere i mezzi da lui
prescritti. Talora si presume della divina bonta` dicendo: Dio e` cosi`
buono che non mi vorra` dannare e intanto se ne trascurano i
comandamenti. E` un dimenticare che, se Dio e` buono e` pero` anche giusto
e santo, e che odia l'iniquita`: "Iniquitatem odio habui" 1201-1.
Altre volte si presume troppo delle proprie forze per superbia,
cacciandosi in mezzo ai pericoli e alle occasioni di peccato; si
dimentica in tal caso che chi si espone al pericolo, vi soccombe.
Nostro Signore ci promette la vittoria ma a patto che sappiamo
vigilare e pregare: "Vigilate et orate ut non intretis in
tentetionem" 1201-2; S. Paolo, cosi` fidente nella grazia di Dio,
pure ci avverte che bisogna operare la nostra salvezza con timore e
tremore: "Cum metu et tremore vestram salutem operamini" 1201-3.

b) Altri, al contrario, sono esposti allo scoraggiamento e talora alla
disperazione. Spesso tentati e qualche volta vinti nella lotta o
torturati dagli scrupoli, si disanimano, pensando di non poter
riuscire a correggersi, e cominciano a disperare della propria
salvezza. E` disposizione pericolosa contro cui bisogna premunirsi; si
ricordi quindi che S. Paolo, tentato egli pure e persuaso che da solo
non avrebbe potuto resistere, s'abbandonava fiducioso nella grazia di
Dio: "gratia Dei per Jesum Christum" 1201-4. Ad esempio dunque
dell'Apostolo, preghiamo e saremo liberati.

1202. B) Scansati questi scogli, resta a praticare il distacco dai
beni terreni onde pensare spesso al paradiso e desiderarlo. Tanto
vuole da noi S. Paolo: "Si consurrexistis cum Christo, quae sursum sunt
quaerite, ubi Christus est in dextera^ Dei sedens, quae sursum sunt
sapite, non quae super terram" 1202-1. Risorti con Gesu` Cristo,
nostro capo, non dobbiamo piu` cercare e gustare le cose della terra,
ma quelle del cielo, ove Gesu` ci aspetta. Il cielo e` la patria, la
terra non e` che un esilio; il cielo e` il nostro fine e la vera nostra
felicita`, mentre la terra non puo` darci che effimeri diletti.

1203. 3^ I proficienti praticano non solo la speranza ma la filiale
confidenza in Dio, appoggiandosi su Gesu` Cristo, divenuto centro della
loro vita.

A) Incorporati a questo capo divino, aspettano con invincibile
confidenza quel paradiso ove Gesu` prepara loro un posto "quia vado
parare vobis locum" 1203-1, e dove sono gia` in isperanza nella
persona del Salvatore "spe enim salvi facti sumus" 1203-2.
a) L'aspettano anche tra le avversita` e le prove della vita, ripetendo
col Salmista: "Non timebo mala, quoniam tu mecum es" 1203-3.
Infatti Nostro Signore, che vive in loro, viene a confortarli con le
parole dette gia` altra volta agli Apostoli: "Pax vobis, ego sum,
nolite timere" 1203-4.

Se le molestie vengono da intrighi e da persecuzioni, richiamiamo alla
mente cio` che S. Vincenzo de' Paoli diceva ai suoi: "Quand'anche tutta
la terra ci si levasse contro per perderci, non avverra` se non cio` che
piacera` al Signore, in cui abbiamo riposto la nostra
speranza" 1203-5. Se subiscono perdite temporali, ripetono con lo
stesso santo: "Tutto cio` che Dio fa, lo fa pel nostro meglio, onde
dobbiamo sperare che questa perdita ci sara` giovevole, perche` viene da
Dio" 1203-6. Se patiscono dolori fisici o morali, li considerano
come benedizioni divine destinate a farci comprare il paradiso a
prezzo di qualche passeggero dolore.

1204. b) Sanno pure, con questa confidenza, sfuggire alla stretta
dei diletti e dei mondani trionfi, che e` ancor piu` pericolosa di
quella del dolore. "Quando pare che la vita sorrida alle nostre
terrene speranze, e` cosa dura rigettar queste lusinghiere promesse che
ci prendono dal lato debole; e` cosa dura sottrarsi agli amplessi del
piacere e dire alla felicita` che ci si offre: "tu non mi potresti
bastare" 1204-1. Ma il cristiano rammenta che i mondani diletti
sono fallaci, che son fatti per soffocar lo slancio verso Dio; onde, a
sfuggirne la stretta, si da` alla pratica di mortificazioni positive e
soprattutto va a cercare in una piu` intima amicizia con Nostro Signore
diletti piu` puri e piu` santificativi: "esse cum Jesu dulcis
paradisus" 1204-2.

c) Se si sentono inquieti per il sentimento delle proprie miserie ed
imperfezioni, meditano le parole di S. Vincenzo de' Paoli:

"Voi mi parlate delle vostre miserie. Ahime`! e chi non ne e` pieno?
Tutto sta nel conoscerle e nell'amarne l'abiezione, come fate voi,
senza fermarvisi che per fissarvi il saldo fondamento della confidenza
in Dio, perche` allora l'edifizio e` fabbricato sulla roccia, per guisa
che, al venir della tempesta, rimane fermo" 1204-3. Le nostre
miserie infatti chiamano la misericordia di Dio quando noi la
invochiamo con umilta`, e non fanno che metterci nella disposizione
migliore per ricevere le grazie divine. S. Vincenzo aggiungeva che,
quando Dio ha cominciato a fare del bene a una creatura, glielo
continua sino alla fine, se essa non se ne rende troppo indegna.
Quindi le misericordie passate sono un pegno delle future.

1205. B) La speranza ci fa vivere abitualmente con lo spirito nel
cielo e per il cielo. Secondo la bella preghiera che la Chiesa ci fa
recitare il giorni dell'Ascensione, noi con lo spirito dobbiamo gia`
abitare nel cielo: "ipsi quoque mente in caelestibus habitemus"; il che
vuol dire che dobbiamo volgere il desiderio e il cuore: "ut inter
mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda ubi vera sunt gaudia".
Ed essendo le delizie della santa comunione un saggio della felicita`
del cielo, la` andremo a cercare le vere consolazioni di cui il cuore
ha bisogno.

1206. C) Questo pensiero ci fara` chiedere spesso con fidente
preghiera il dono della perseveranza finale, che e` il piu` prezioso di
tutti i doni. E` vero che non possiamo meritarlo, ma possiamo ottenerlo
dalla divina misericordia; al che basta del resto ce ci uniamo alle
preghiere onde la Chiesa ci fa chiedere la grazia d'una buona morte,
per esempio l'Ave Maria, che recitiamo cosi` spesso, ove imploriamo la
protezione speciale della Madonna per l'ora della morte "et in hora
mortis nostrae."

4^ I perfetti praticano la confidenza in Dio col santo abbandono che
descriveremo trattando della via unitiva.
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24/10/2013 13:02
 
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ART. III. LA VIRTU` DELLA CARITA` 1207-1.

1207. La virtu` della carita` rende soprannaturale e santifica il
sentimento dell'amore, amore verso Dio, amore veri il prossimo. Fatte
alcune osservazioni preliminari sull'amore, tratteremo:
* 1^ della carita` verso Dio;
* 2^ della carita` verso il prossimo;
* 3^ del Sacro Cuore di Gesu`, modello dell'una e dell'altra.

Osservazioni preliminari.

1208. 1^ L'amore in generale e` un moto, una tendenza dell'anima
verso il bene. Se il bene a cui tendiamo e` sensibile e percepito
dall'immaginazione come dilettevole, l'amore sara` anch'esso sensibile;
se il bene e` onesto e conosciuto dalla ragione come degno di stima,
l'amore sara` razionale; se il bene e` soprannaturale e percepito per
mezzo della fede, l'amore sara` cristiano.

Come si vede, l'amore suppone la conoscenza, ma non sempre e` a lei
proporzionato, come altrove spiegheremo.

Nell'amore, quale che sia, si possono distinguere quattro elementi
principali: 1) una certa simpatia per l'oggetto amato, che nasce dal
vedere una proporzione o corrispondenza tra noi e lui: corrispondenza
che non importa intiera somiglianza tra i due amici, ma una
proporzione tale che l'uno e` di compimento all'altro; 2) un moto o
slancio dell'anima verso l'oggetto amato, per avvicinarsi a lui e
goderne la presenza; 3) una certa unione o comunione delle menti e dei
cuori per comunicarsi i beni che si possiedono; 4) un sentimento di
gaudio, di piacere o di felicita` che si prova nel possesso
dell'oggetto amato.

1209. L'amore cristiano e` l'amore fatto soprannaturale nel
principio, nel motivo, nell'oggetto.

a) E` fatto soprannaturale nel principio con la virtu` infusa della
carita` che risiede nella volonta`: virtu` che, mossa dalla grazia
attuale, trasforma l'amore onesto elevandolo a grado superiore.

b) La fede ci porge allora un motivo soprannaturale per santificare i
nostri affetti: dirigendoli primieramente verso Dio, in cui mostra il
bene supremo, infinito, che solo risponde a tutte le legittime nostre
aspirazione; e poi verso le creature, che ci presenta come riflesso
delle divine perfezioni, tanto che amandole amiamo Dio stesso.

c) Onde anche l'oggetto del nostro amore diviene cosi` soprannaturale:
il Dio che amiamo non e` il Dio astratto della ragione ma il Dio
vivente della fede, il Padre che da tutta l'eternita` genera un Figlio
e che ci adotta per figli; il Figlio, uguale al Padre, che
incarnandosi diventa nostro fratello; lo Spirito Santo, mutuo amore
del Padre e del Figlio, che viene a effondere nelle anime nostre la
divina carita`. Le stesse creature non ci appaiono piu` nel loro essere
naturale, ma quali ce le mostra la rivelazione; cosi` gli uomini sono
per noi figli di Dio, comune nostro Padre, fratelli in Gesu` Cristo,
tempii viventi dello Spirito Santo. Tutto e` dunque soprannaturale
nell'amore cristiano.

Secondo S. Tommaso 1209-1, la carita` aggiunge all'amore l'idea di
una certa perfezione che proviene da grande stima per l'oggetto amato.
Quindi ogni carita` e` amore, ma non ogni amore e` carita`.

1210. 3^ Si puo` definire la carita`: una virtu` teologale che ci fa
amar Dio come egli ama se`, sopra ogni cosa, per se stesso, e il
prossimo per amor di Dio.

Questa virtu` ha dunque un doppio oggetto: Dio e il prossimo; due
oggetti pero` che ne fanno un solo, perche` non amiamo le creature se
non in quanto sono espressione e riflesso delle divine perfezioni; Dio
quindi amiamo in loro; onde, come aggiunge S. Tommaso 1210-1,
amiamo il prossimo perche` Dio e` in lui o almeno perche` sia in lui.
Ecco perche` la virtu` della carita` e` una sola.
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24/10/2013 13:03
 
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sez. I. Dell'amor di Dio.

Ne esporremo:
* 1^ la natura;
* 2^ l'efficacia santificatrice;
* 3^ il modo progressivo di praticarlo.

I. La natura.

1211. Primo oggetto della carita` e` Dio: essendo la pienezza
dell'essere, della bellezza e della bonta`, egli e` infinitamente
amabile. E` Dio considerato in tutta l'infinita realta` delle sue
perfezioni, non questo o quell'attributo divino in particolare. Del
resto anche la considerazione di un attributo solo, come sarebbe la
misericordia, ci conduce facilmente alla considerazione di tutte le
divine perfezioni. Non e` poi necessario conoscerle tutte
distintamente; le anime semplici amano il signore quale ce lo porge la
fede, senza analizzarne gli attributi.

Par chiarire la nozione dell'amor di Dio, spiegheremo il precetto
che ce l'impone, il motivo su cui si fonda e i vari gradi con
cui giungiamo al puro amore.

1212. 1^ Il precetto. A) Espresso gia` nel Vecchio Testamento, venne
rinnovato da Nostro Signore e da lui proclamato come compendio della
Legge e dei Profeti: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta l'anima tua, con tutte le tue forze, con tutta la tua
mente". Vale a dire che dobbiamo amar Dio sopra tutte le cose e con
tutte le facolta` dell'anima.

Il che viene molto bene spiegato da S. Francesco di Sales 1212-1:
"E` l'amore che deve prevalere su tutti i nostri amori e regnare su
tutte le nostre passioni; questo Dio richiede da noi: che tra tutti i
nostri amori il suo sia il piu` cordiale, che signoreggi tutto il
nostro cuore; il piu` affettuoso, che occupi tutta la nostra anima; il
piu` generale, che adopri tutte le nostre facolta`; il piu` nobile, che
riempia tutta la nostra mente; e il piu` fermo, che eserciti ogni
nostra forza e vigore". E conchiude con un magnifico slancio d'amore:
"Sono vostro, o Signore, e non devo essere che vostro; vostra e`
l'anima mia e non deve vivere che per voi; vostra e` la mia volonta` e
non deve amare che per voi; vostro e` il mio amore e non deve tendere
che a voi. Io vi devo amare come primo mio principio, perche` sono da
voi; vi devo amare come mio fine e mio riposo, perche` sono destinato a
voi; vi devo amare piu` dell'essere mio, perche` il mio essere sussiste
per voi; vi devo amare piu` di me stesso, perche` sono tutto per voi e
in voi".

1213. B) Il precetto della carita` e` dunque molto esteso: in se` non
ha limiti, perche` la misura d'amar Dio e` d'amarlo senza misura; onde
ci obbliga a tendere continuamente alla perfezione, n. 353-361, e
la nostra carita` deve crescere sempre sino alla morte. Secondo la
dottrina di S. Tommaso 1213-1, la perfezione della carita` e`
comandata come fine, onde si deve volerla ottenere; ma, osserva il
Gaetano, "appunto perche` e` fine, basta, per non mancare al precetto,
porsi in condizione da poter giungere un giorno a questa perfezione,
fosse pur nell'eternita`. Onde chiunque possiede, anche in minimo
grado, la carita` e cammina verso il cielo, e` nella via della carita`
perfetta, perche` cammina verso quella patria dove questa carita` sara`
perfetta". E cosi` si evita la trasgressione del precetto, la cui
osservanza e` necessaria alla salute.

Nondimeno le anime che mirano alla perfezione non si contentano del
primo grado, ma salgono sempre piu` in alto, studiandosi d'amar Dio non
solo con tutta l'anima ma anche con tutte le forze. Al che del resto
ci porta il motivo della carita`.

1214. 2^ Il motivo della carita` non e` il bene che uno ha ricevuto o
che aspetta da Dio, ma l'infinita perfezione di Dio, almeno come
motivo sostanzialmente predominante. Altri motivi vi si possono quindi
aggiungere: di timore salutare, di speranza, di riconoscenza, purche`
il motivo indicato sia veramente predominante. Onde l'amor di se`,
subordinato che sia all'amor di Dio, si concilia con la carita`. Quando
dunque i santi condannano si vivamente l'amor di se` o l'amor proprio,
intendono dell'amor disordinato.

1215. A) Ma non si puo` ammettere l'opinione del Bolgeni, il quale
pretende che la sola carita` possibile ed obbligatoria sia quella che
ha per motivo la bonta` di Dio verso di noi, perche`, egli dice, noi non
possiamo amare se non cio` che percepiamo come conforme ai nostri
bisogni e alle aspirazioni nostre. L'autore confuse cio` che e` previa
condizione col vero motivo della carita`. E` vero che l'amore suppone di
per se` che l'oggetto amato sia corrispondente alla nostra natura e
alle nostra aspirazioni, ma il motivo per cui l'amiamo, non e` questa
convenienza, si` l'infinita perfezione di Dio amata per se stessa.

Anche qui S. Francesco di Sales espone bene la retta
dottrina 1215-1: "Se, per ipotesi impossibile, vi fosse una bonta`
infinita con cui non avessimo alcuna sorta di relazione ne` potessimo
con lei in modo alcuno comunicare, noi la stimeremmo certamente piu` di
noi stessi, ma, propriamente parlando, non l'ameremmo, perche` l'amore
mira all'unione; carita` e` amicizia e l'amicizia non puo` essere che
reciproca, avendo per fondamento la comunicazione e per fine
l'unione".

1216. B) Si e` fatta la questione se basti il motivo della
riconoscenza per la carita` perfetta. Qui bisogna distinguere: se la
riconoscenza non va oltre il beneficio ricevuto e non s'inalza allo
stesso benefattore, non basta come motivo di carita`, perche` rimane
interessata; ma se dall'amore del beneficio si passa all'amore del
benefattore, amandolo per l'infinita sua bonta`, questo motivo si
confonde con quello della carita`.

Infatti, la riconoscenza conduce agevolmente all'amor puro, perche` e`
sentimento nobilissimo; ond'e` che la Scrittura e i Santi ci propongono
spesso i benefici di Dio per eccitarci all'amor di carita`. Cosi`
S. Giovanni, dopo aver detto che l'amor perfetto bandisce il timore,
ci esorta ad amar Dio, "perche` Dio ci amo` per il primo: quoniam Deus
prior dilexit nos" 1216-1. Quante anime infatti impararono ad amar
Dio col piu` puro amore, ripensando all'amore mostratoci da lui da
tutta l'eternita` e meditando sull'amor di Gesu` per noi nella Passione
e nell'Eucarestia?

Chi volesse un criterio per distinguere l'amor puro dall'amor
interessato, si puo` dire che il primo consiste nell'amar Dio perche` e`
buono e nel voler del bene a lui; e il secondo consiste nel amar Dio
in quanto e` buono per noi e nel voler del bene a noi.

1217. 3^ Rispetto ai gradi dell'amore, S. Bernardo ne distingue
quattro 1217-1: 1) L'uomo prima ama se` per se stesso; perche` e`
carne e incapace di gustare altra cosa fuori di se`. 2) Poi, sentendo
la propria insufficienza, comincia a cercar Dio con la fede e ad
amarlo come aiuto necessario; in questo secondo grado ama Dio non
ancora per Dio ma per se stesso. 3) Ma presto, a forza di coltivare e
di frequentar Dio come aiuto necessario, vede a poco a poco quanto
dolce e` Dio e comincia ad amar Dio per Dio. 4) Infine l'ultimo grado,
a cui ben pochi pervengono sulla terra, e` di amar se` unicamente per
Dio, e quindi amar Dio esclusivamente per Dio.

Lasciando da parte il primo grado, che non e` se non amor proprio,
restano tre gradi di amor di Dio, che corrispondono ai tre gradi di
perfezione gia` da noi esposti, nn. 340; 624 e 626.

II. Efficacia santificatrice dell'amor di Dio.

1218. 1^ La carita` e` in se` la piu` eccellente e quindi la piu`
santificante delle virtu`; l'abbiamo gia` provato dimostrando che
costituisce l'essenza stessa della perfezione, che comprende tutte le
virtu` e loro conferisce speciale perfezione, facendone convergere gli
atti verso Dio amato sopra ogni cosa (n. 310-319).

E` quello che in lirici accenti dichiara S. Paolo: 1218-1 "Se
nelle lingue degli uomini io parli e degli angeli, ma non ho la
carita`, riesco bronzo risonante o timpano fragoroso. E se ho profezia
e sappia i misteri tutti e tutto lo scibile, e se ho tutta la fede
cosi` da trasportar montagne, ma non ho la carita`, niente sono. E se in
cibo io dispensi tutte le mie sostanze, e se abbandono il mio corpo ad
essere arso, ma non ho carita`, non mi val nulla.

La carita` e` paziente, e` benigna; la carita` non invidia; la carita` non
si vanta, non si gonfia, non e` ambiziosa, non cerca il suo, non
s'irrita, non imputa il male, non gioisce dell'ingiustizia ma
congioisce con la verita`: tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto
sopporta.

La carita` non viene mai meno... Restano dunque la fede, la speranza,
la carita`: queste tre. Maggiore pero` di tutte la carita`".

1219. La carita` infatti e` piu` unificante e trasformante della altre
virtu`:

a) L'anima intiera ella unisce a Dio con tutte le sue facolta`: la
mente, con la stima e col frequente pensiero di Dio; la volonta`, con
la sottomissione perfetta alla divina volonta`; il cuore, subordinando
tutti gli affetti all'amor di Dio; le forze, mettendole tutte a
servizio di Dio e delle anime.

b) Unendo l'anima intieramente a Dio, la trasforma: l'amore ci fa
uscire da noi stessi, ci eleva fino a Dio, ci induce ad imitarlo e a
ritrarre in noi le divine sue perfezioni; si brama infatti somigliare
alla persona amata, perche` e` stimata come modello, e con
l'assomigliarle di piu` si vuole entrare piu` addentro nella sua
intimita`.

1220. 2^ Negli effetti, la carita` contribuisce molto efficacemente
alla nostra santificazione.

a) Forma tra l'anima nostra e Dio una certa simpatia o connaturalita`
che ci fa meglio capire e gustare Dio e le cose divine; la mutua
simpatia e` quella per cui gli amici s'intendono, s'indovinano e si
uniscono sempre piu` intimamente. Molte anime ignoranti, ma accese
d'amor di Dio, gustano e praticano meglio dei sapienti le grandi
verita` cristiane: e` effetto della carita`.

1221. B) Centuplica le forze per il bene, comunicandoci indomabile
vigore a superar gli ostacoli e indurci ai piu` esimii atti di virtu`;
perche` "l'amore e` forte come la morte, fortis est ut mors
dilectio" 1221-1. Che intrepida vigoria non da` alla madre l'amore
pel suo bambino!

Nessuno forse descrisse meglio dell'autore dell'Imitazione i mirabili
effetti dell'amor di Dio: 1221-2 allevia i dolori e i pesi: "nam
onus sine onere portat et omne amarum dulce ac sapidum efficit"; ci
inalza a Dio, perche` e` nato da Dio: "quia amor ex Deo natus est, nec
potest nisi in Deo quiescere"; c'impenna l'ali per volar lietamente
agli atti piu` perfetti e al dono totale di noi: "amans volat, currit
et laetatur... dat omnia pro omnibus"; ci stimola quindi a grandi cose
facendoci mirare al piu` perfetto: "amor Jesu nobilis ad magna operanda
impellit, et ad desideranda semper perfectiora excitat"; vigila
continuamente, non si lagna delle fatiche ne` si lascia turbar dal
timore; ma, come fiamma vivace, si spinge sempre piu` in alto e,
superando ogni difficolta`, va oltre securo: "amor vigilat... fatigatus
non lassatur, territus non conturbatur, sed sicut vivax flamma...
sursum erumpit secureque pertransit".

1222. c) Produce pure gaudio grande e allargamento di cuore: e`
infatti il possesso iniziale del Sommo Bene, inchoatio vitae aeternae in
nobis; possesso che empie l'anima di gaudio: "dans vera cordis
gaudia" 1222-1.

Quindi, riprende l'Imitazione, nulla e` piu` dolce, nulla e` piu`
giocondo, nulla e` migliore ne` in cielo ne` in terra: "Nihil dulcius est
amore... nihil jucundius, nihil plenius nec melius in caelo et in
terra^". La causa principale di tal gaudio sta in questo, che
cominciamo a prendere piu` viva coscienza della presenza di Gesu` e
della presenza di Dio in noi: "Esse cum Jesu dulcis
paradisus 1222-2... Te siquidem praesente, jucunda sunt omnia, te
autem absente fastidiunt cuncta" 1222-3.

1223. d) A questo gaudio tien dietro una pace profonda: quando si e`
persuasi che Dio e` in noi e che esercita su noi opera e sollecitudine
paterna, uno gli si abbandona con dolce confidenza sicuramente
affidandogli la cura di tutti i suoi interessi, onde gode pace e
serenita` perfetta: "Tu facis cor tranquillum et pacem magnam
laetitiamque festivam" 1223-1. Ora non v'e` disposizione piu`
favorevole al progresso spirituale come la pace interiore: in silentio
et quiete proficit anima devota.

Quindi, da qualunque lato si consideri la carita`, in se` o negli
effetti, e` la piu` santificante di tutte le virtu`; e` veramente il
vincolo della perfezione. Vediamo ora come si pratica.
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24/10/2013 13:03
 
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III. La pratica progressiva dell'amor di Dio.

1224. Principio generale. Essendo l'amore dono di se`, il nostro
amore per Dio sara` tanto piu` perfetto quanto piu` perfettamente ci
daremo a lui, senza riserva e senza ripresa: ex tota^ anima^, ex toto
corde, ex totis viribus. E poiche` sulla terra uno non puo` darsi senza
sacrificarsi, il nostro amore sara` tanto piu` perfetto quanto piu`
generosamente praticheremo lo spirito di sacrifizio per amor di Dio
(n. 321).

1225. 1^ Gl'incipienti praticano l'amor di Dio sforzandosi di
schivare il peccato, massime il peccato mortale e le sue cause.

a) Praticano quindi l'amor penitente, amaramente deplorando di avere
offeso Dio e di avergli rubata la gloria (n. 743-745).

Quest'amore produce due effetti: 1) ci separa vieppiu` dal peccato e
dalle creature a cui il diletto ci aveva attaccati; 2) ci reconcilia e
ci unisce a Dio, non solo rimovendo il peccato che e` il grande
ostacolo all'unione divina, ma mettendoci in cuore questi sentimenti
di contrizione e di umilta` che sono gia` un principio d'amore, e che,
sotto l'azione della grazia, si trasformano talora in amore perfetto.
"Perche`, come dice S. Francesco di Sales, l'amore imperfetto desidera
Dio e lo invoca, la penitenza lo cerca e lo trova, l'amore perfetto lo
tiene e lo stringe". In ogni caso i peccati ci sono rimessi tanto piu`
intieramente quando [sic] piu` intenso e` l'amore.

1226. b) Praticano pure il primo grado dell'amore di conformita` alla
divina volonta`, osservando i comandamenti di Dio e quelli della
Chiesa, e sopportando valorosamente le prove che la Provvidenza loro
manda per aiutarli a purificarsi (n. 747.)

c) E presto il loro amore diventa riconoscente. Vedendo che, non
ostante i loro peccati, Dio continua a colmarli di benefici, e che,
appena si pentono, largisce cosi` liberale perdono, glie ne esprimono
sincera e viva riconoscenza, ne lodano la bonta` e si sforzano di trar
maggior profitto dalle sue grazie. E` nobile sentimento, e` ottima
preparazione al puro amore: ci e` facile inalzarci dal beneficio
ricevuto all'amor del benefattore e desiderare che la sua bonta` sia
riconosciuta e lodata per tutta la terra: e siamo cosi` all'amore di
carita`.

1227. 2^ I proficienti praticano l'amor di compiacenza, di
benevolenza, di conformita` alla volonta` di Dio, onde giungono
all'amore di amicizia.

A) L'amor di compiacenza 1227-1 nasce dalla fede e dalla
riflessione. a) Per fede sappiamo e con la meditazione ci convinciamo
che Dio e` la pienezza dell'essere e della perfezione, della sapienza,
della potenza, della bonta`. Ora, per poco che siamo ben disposti, non
possiamo non compiacerci di questa perfezione infinita; godiamo di
vedere che il nostro Dio e` cosi` ricco in tutti i beni, ci sentiamo piu`
lieti del piacere di Dio che del nostro, e questa allegrezza
manifestiamo con atti di ammirazione, di approvazione e di
congratulazione.

b) Attiriamo cosi` in noi le perfezioni della divinita`: Dio diventa il
nostro Dio; ci alimentiamo delle sue perfezioni, della sua bonta`,
della sua dolcezza, della sua vita divina perche` il cuore si nutre
delle cose in cui si diletta; onde ci arricchiamo delle divine
perfezioni che l'amore rende nostre compiacendovisi.

1228. c) Ma, attirando in noi le divine perfezioni, vi attiriamo
anche Dio e ci diamo intieramente a lui, come spiega molto bene
S. Francesco di Sales: 1228-1

"Col santo amore di compiacenza noi godiamo dei beni che sono in Dio
come se fossero nostri; ma, essendo le perfezioni divine piu` forti del
nostro spirito, entrando in lui, a loro volta lo possedono; onde noi
diciamo solo che Dio e` nostro per ragione di questa compiacenza, ma
anche che noi siamo suoi". Percio` l'anima nel sacro suo silenzio
assiduamente grida: "Mi basta che Dio sia Dio, che la sua bonta` sia
infinita, che la sua perfezione sia immensa; poco m'importa che io
muoia o che io viva, perche` il caro mio Diletto vive eternamente di
una vita tutta trionfante... Basta all'anima amante che colui che ama
piu` di se stessa sia ricolmo di beni eterni, perche` ella vive piu` in
Dio che ama che nel corpo che anima".

1229. d) Quest'amore si trasforma in compassione e condoglianza
quando contempla Gesu` paziente. L'anima devota, vedendo quell'abisso
di tristezze e di angoscie in cui questo divino amante e` immerso, non
puo` non partecipare il santamente amoroso dolore. E` cio` che attiro` su
S. Francesco d'Assisi le stimate e su S. Caterina da Siena le piaghe
del Salvatore, poiche` la compiacenza cagiona la compassione e la
compassione produce ferita simile a quella dell'oggetto amato.

1230. B) Dall'amore di compiacenza nasce l'amore di benevolenza,
vale a dire un desiderio ardente di glorificare e far glorificare la
persona amata. Il che si puo` praticare in due modi rispetto a Dio.

a) Rispetto alla sua perfezione interna, non lo possiamo praticare che
in modo ipotetico, dicendo per esempio: O mio Dio, se, per ipotesi
impossibile, io potessi procurarvi qualche bene, lo vorrei desiderare
a costo anche della mia stessa vita. Se, essendo quello che siete, voi
poteste ricevere qualche aumento di bene, io ve lo desidererei con
tutto il cuore.

1231. b) Ma rispetto alla sua gloria esterna, desideriamo in modo
assoluto di accrescerla in noi e negli altri; e quindi di conoscere
meglio e meglio amarlo noi, per farlo conoscere meglio e meglio amare
dagli altri. Onde poi quest'amore non sia puramente speculativo,
c'industriamo di studiare distintamente le bellezze e le perfezioni
divine, per lodarle e farle benedire, sacrificandovi studi ed
occupazioni piu` geniali.

Pieni allora di stima e di ammirazione per Dio, desideriamo che il
santo suo nome sia benedetto, esaltato, lodato, onorato, adorato per
tutta la terra. Ed essendo incapaci di farlo perfettamente da noi,
invitiamo tutte le creature a lodare e benedire il Creatore:
Benedicite omnia opera Domini Domino; 1231-1 saliamo in ispirito
in cielo per unirci ai cori degli Angeli e dei Santi e cantar con
loro: "Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus"... Ci uniamo pure alla
SS. Vergine, che, inalzata sopra gli Angeli, rende piu` lode a Dio che
tutte le creature, e ripetiamo con lei: Magnificat anima mea Dominum.
Ma ci uniamo soprattutto al Verbo Incarnato, il grande Religioso del
Padre, che, essendo Dio e uomo, offre alla SS. Trinita` lodi infinite.

Finalmente ci uniamo a Dio stesso, vale a dire alle tre divine persone
che mutuamente si lodano e si applaudono. "E allora esclamiamo: Gloria
al padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Onde poi si sappia che non
e` la gloria essenziale ed eterna ch'egli ha in se`, per se` e da se`,
aggiungiamo: Come era nel principio, ora e sempre... quasi che il
nostro augurio volesse dire: Sia Dio sempre glorificato della gloria
che aveva prima della creazione nell'infinita sua eternita` ed eterna
infinita`" 1231-2.

Specialmente i Religiosi e i Sacerdoti si sentono obbligati, in virtu`
dei voti o del sacerdozio, a promuovere cosi` la gloria di Dio:
divorati dal desiderio di glorificarlo, non cessano, anche in mezzo
alle occupazioni, di benedirlo e lodarlo; e nel ministero hanno una
sola ambizione, quella di estendere il regno di Dio e fare eternamente
lodare Colui che amano come unica loro eredita`.

1232. C) L'amor di benevolenza si manifesta con l'amore di
conformita`: per ampliare in profondita` il regno di Dio, non v'e` nulla
di piu` efficace che il farne la santa volonta`: fiat voluntas tua sicut
in caelo et in terra. L'amore infatti e` prima di tutto unione e fusione
di due volonta` in una sola: unum velle, unum nolle; ora essendo la
volonta` di Dio la sola buona e sapiente, e` chiaro che dobbiamo esser
noi a conformare la volonta` nostra alla sua: "non mea voluntas, sed
tua fiat" 1232-1.

Questa conformita` comprende, come abbiamo esposto, n. 480-492,
l'obbedienza ai comandamenti, ai consigli, alle ispirazioni della
grazia; e l'umile, affettuosa sottomissione agli eventi
provvidenziali, lieti o tristi che siano, ai cattivi successi, alle
umiliazioni, alle prove di ogni specie, che ci sono inviate solo per
la santificazione nostra e per la gloria di Dio. Tale conformita`
produce a sua volta la santa indifferenza per tutto cio` che non e` di
servizio di Dio: persuasi che Dio e` tutto e che la creatura e` nulla,
noi non vogliamo che Dio e la sua gloria, restando con la volonta`
indifferenti a tutto il resto. Non e` stoica insensibilita`, perche`
continuiamo a sentire inclinazione alle cose che ci dilettano, ma e`
indifferenza di stima e di volonta`. Non e` neppure la noncuranza dei
Quietisti, perche` non siamo indifferenti alla nostra eterna salute,
desiderandola ardentemente, ma desiderandola in conformita` alla divina
volonta`.

Questo santo abbandono cagiona una pace profonda: si sa che nulla ci
accadra` che non sia utile alla nostra santificazione: "diligentibus
Deum omnia cooperantur in bonum" 1232-2, ond'e` che si abbracciano
lietemente le prove e le croci per amor del divin Crocifisso e per
meglio assomigliarlo.

Quindi la perfetta conformita` alla volonta` di Dio, dice
Bossuet, 1232-3 "fa che ci adattiamo volentieri alla gioia come
al dolore, secondo che piace a Colui che conosce cio` che ci torna
bene. Ci fa trovar riposo non nel piacere nostro ma in quello di Dio,
pregandolo di fare a suo grado e disporre sempre di noi come meglio
gli talenta".

1233. D) Cotesta conformita` ci conduce all'amicizia con Dio.
L'amicizia include, oltre alla benevolenza, la reciprocita` o il mutuo
darsi degli amici l'uno all'altro. Il che si avvera nella carita`.

E` una vera amicizia, dice S. Francesco di Sales 1233-1 "perche` e`
reciproca, avendo Dio da tutta l'eternita` amato ogni cuore che nel
tempo amo`, ama e amera` lui; e` mutuamente dichiarata e riconosciuta,
atteso che Dio non puo` ignorare l'amore che abbiamo per lui, dandocelo
egli stesso, e neppur noi non possiamo ignorare quello che egli ha per
noi, avendolo egli tanto pubblicato,... e finalmente siamo in perpetua
comunicazione con lui, che ci parla continuamente al cuore con
ispirazioni, attrattive e sante mozioni". Ed aggiunge: "Quest'amicizia
non e` amicizia semplice, ma amicizia di predilezione con cui facciamo
scelta di Dio per amarlo di particolare amore".

1234. Tale amicizia consiste nel dono che Dio fa di se` a noi e in
quello che noi facciamo della nostra persona a lui. Vediamo dunque che
cos'e` l'amor di Dio per noi, per intendere quale dev'essere l'amor
nostro per lui.

a) L'amor suo per noi e`: 1) eterno: "in caritate perpetua^ dilexi
te" 1234-1; 2) disinteressato, perche`, bastando pienamente a se`,
Dio non ci ama che per farci del bene; 3) generoso: perche` si da`
intieramente, venendo egli stesso ad abitare amichevolmente nell'anima
nostra, n. 92-97; 4) preveniente, perche` non solo ci ama per il
primo, ma sollecita e mendica il nostro amore, come se avesse bisogno
di noi: "Le mie delizie sono di stare coi figli degli uomini,...
figlio mio, dammi il tuo cuore: deliciae meae esse cum filiis hominum...
praebe, fili, cor tuum mihi" 1234-2. Chi avrebbe mai potuto
immaginare tanta delicatezza di sentimenti!

1235. b) Dobbiamo quindi corrispondere a cosi` fatto amore col piu`
perfetto amore possibile: "sic nos amantem quis non redamaret"?

1) Amore che sara` ognor progressivo: non avendo potuto amar Dio da
tutta l'eternita`, ne` potendolo mai amare quanto si merita, dobbiamo
almeno amarlo ogni giorno piu`, non ponendo limite alcuno al nostro
affetto per lui, non ricusandogli alcuno dei sacrifizi che ci chiede,
e cercando sempre di tornargli graditi: "quae placita sunt ei facio
semper" 1235-1. 2) Sara` generoso: esprimendosi non solo in pii
affetti, in frequenti orazioni giaculatorie, in atti semplicissimi
d'amore: Vi amo con tutto il cuore; ma anche con le opere e
soprattutto col dono totale di noi. Bisogna che Dio sia il centro del
nostro essere: del nostro intelletto con voli frequenti a lui; della
nostra volonta`, con l'umile sottomissione ai minimi suoi desideri;
della nostra sensibilita`, non lasciando correre il cuore ad affetti
che siano d'ostacolo all'amor di Dio; di tutte le nostre azioni,
sforzandoci di farle per piacere a lui. 3) Sara` disinteressato:
ameremo lui assai piu` che i doni suoi; onde l'ameremo nelle aridita`
come nelle consolazioni, ripetendogli spesso che vogliamo amarlo e
amarlo per se stesso. Ci studieremo cosi`, nonostante la nostra
impotenza, di corrispondere alla sua amicizia.
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24/10/2013 13:03
 
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sez. II. Della carita` verso il prossimo.

Esposta la natura di questa virtu` e l'efficacia
santificatrice, indicheremo il modo di praticarla.

I. Natura della carita` fraterna.

1236. Anche la carita` fraterna e`, come abbiamo detto, una virtu`
teologale, purche` nel prossimo si ami Dio, o in altre parole si ami il
prossimo per Dio. Se amassimo il prossimo unicamente per lui o per i
servizi che ci puo` prestare, non sarebbe carita`.

A) Dio dunque bisogna vedere nel prossimo. Vi si manifesta con i doni
naturali, che sono una partecipazione dell'essere suo e dei suoi
attributi; e coi doni soprannaturali, che sono una partecipazione
della sua natura e della sua vita, n. 445. Essendo la carita`
virtu` soprannaturale, son queste soprannaturali qualita` quelle che
dobbiamo guardare come motivo della nostra carita`; se quindi
consideriamo anche le sue qualita` naturali, dobbiamo farlo con
l'occhio della fede, in quanto sono dalla grazia rese soprannaturali.

1237. B) A cogliere meglio il vero motivo della carita` fraterna,
possiamo analizzarlo, considerando gli uomini nelle loro relazioni con
Dio; allora ci appariranno come figli di Dio, membri di Gesu` Cristo,
coeredi dello stesso regno celeste, (n. 93, 142-149).

Anche se non sono in istato di grazia o non hanno la fede, resta
sempre che sono chiamati a possedere questi doni soprannaturali, ed e`
nostro dovere di contribuire, almeno con la preghiera e con l'esempio,
alla loro conversione. Quale potente motivo per farceli amare come
fratelli e quanto piccola cosa e` il diverso modo di vedere che ci
separa da loro di fronte a tutto cio` che ci unisce!

II. Efficacia santificatrice della carita` fraterna.

1238. 1^ Non essendo l'amore soprannaturale del prossimo che un modo
di amar Dio, bisognerebbe ripetere qui quanto gia` dicemmo sui mirabili
effetti dell'amor di Dio.

Ci basti citare qualche testo di S. Giovanni: "Chi ama il suo fratello
sta nella luce e non vi e` in lui ragione di caduta. Ma chi odia il suo
fratello e` nelle tenebre" 1238-1. Ora lo stare nella luce, nello
stile di S. Giovanni, vale stare in Dio, fonte di ogni luce, ed essere
nelle tenebre vale essere nello stato di peccato. E prosegue:
"Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perche` amiamo i
fratelli... Chiunque odia il proprio fratello e` omicida" 1238-2.
E conchiude cosi`: "Carissimi, amiamoci l'un l'altro: perche` la carita`
e` da Dio, e chi ama e` nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha
conosciuto Dio, perche` Dio e` carita`... Se ci amiamo l'un l'altro, Dio
abita in noi, e la carita` di lui e` in noi perfetta... Dio e` amore; e
chi sta nell'amore sta in Dio e Dio e` in lui... Se uno dice: io amo
Dio e odiera` il suo fratello, e` mentitore. Infatti chi non ama il suo
fratello che vede, come puo` amare Dio che non vede? E questo
comandamento abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio
fratello" 1238-3. Non si puo` piu` esplicitamente affermare che
amare il prossimo e` amar Dio e godere di tutti i privilegi annessi
all'amor di Dio.

1239. 2^ D'altra parte Gesu` ci dice che considera come fatto a se`
ogni servizio reso al minimo dei suoi: "Amen dico vobis, quamdiu
fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi
fecistis" 1239-1. Ora e` evidente che Gesu` non si lascia vincere
in generosita` e che rende centuplicato, con ogni sorta di grazie, il
minimo servizio che gli si rende nella persona dei suoi fratelli.

Quanto consolante e` questo pensiero per coloro che praticano la carita`
fraterna e fanno l'elemosina corporale o spirituale al prossimo! e
molto piu` ancora per coloro che la vita intiera consacrano alle opere
di carita` o all'apostolato! Costoro rendono ad ogni istante servizio a
Gesu` nella persona dei fratelli; e quindi ad ogni istante pure Gesu` ne
lavora l'anima per ornarla e santificarla.
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24/10/2013 13:04
 
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III. Pratica della carita` fraterna.

1240. Il principio che ci deve costantemente guidare e` di veder Dio
o Gesu` nel prossimo 1240-1: "in omnibus Christus"; e di rendere
cosi` la nostra carita` piu` soprannaturale nei motivi e nei mezzi, piu`
universale nell'estensione, piu` generosa e piu` attiva nell'esercizio.

1241. 1^ Gl'incipienti mirano principalmente a schivare i difetti
contrari alla carita` e praticarne gli atti di precetto.

A) Schivano quindi attentamente per non contristare Gesu` e il
prossimo:

a) I giudizi temerari, le maldicenze e le calunnie contrarie alla
giustizia e alla carita`, n. 1043; b) le antipatie naturali, che,
se acconsentite, sono spesso causa di mancanze di carita`; c) le parole
aspre, canzonatorie, sprezzanti, atte solo a generare o ad acuire
inimicizie; ed anche le spiritosita` sul conto del prossimo che causano
spesso cocenti ferite; d) le contese e le dispute aspre e superbe in
cui ognuno vuol far trionfare il proprio parere e umiliare il
prossimo; e) le rivalita`, le discordie, le false relazioni, fonte di
screzi e dissensioni tra i membri della grande famiglia cristiana.

1242. A star lontano da tutte queste colpe cosi` contrarie alla
carita`, nulla e` piu` efficace della meditazione di quelle parole che
S. Paolo rivolgeva ai primi cristiani: "Vi scongiuro dunque, io
prigioniero pel Signore, a procedere in modo degno della vocazione a
cui foste chiamati... sopportandovi gli uni gli altri in carita`,
solleciti di conservare l'unita` dello spirito nel vincolo della pace.
Un sol corpo e un solo Spirito, come anche foste chiamati a una sola
speranza della vocazione vostra... Un solo Dio e Padre di tutti. Saldi
nella verita` e nella carita`, continuiamo a crescere per ogni verso in
colui che e` il capo, Cristo" 1242-1... Ed aggiunge: "Se vi e`
dunque qualche consolazione in Cristo, se qualche conforto nella
carita`... rendete perfetto il mio gaudio: abbiate un solo pensiero, un
solo amore, una sola anima, un solo sentimento. Non fate nulla per
spirito di parte ne` per vana gloria; ma con umilta` l'uno reputi
l'altro dappiu` di se`, mirando ognuno non ai propri interessi ma agli
altrui" 1242-2.

Chi non si sente commosso a queste suppliche dell'Apostolo? Dimentico
delle catene che l'opprimono, non pensa che a reprimere le discordie
che turbavano la comunita` cristiana, rammentando che, avendo tanti
vincoli che li uniscono, bisogna lasciar da parte tutto cio` che li
divide. Dopo venti secoli di cristianesimo, questo premuroso invito
non e` pur sempre opportuno per noi tutti?

1243. Vi e` poi un male che bisogna ad ogni costo evitare, lo
scandalo, vale a dire tutto cio` che probabilmente potrebbe indurre
altri al peccato. Ed e` cio` tanto vero che bisogna diligentemente
astenersi anche da quello che, indifferente o permesso in se`, puo` per
le circostanze diventare altrui occasione di peccato. E` il principio
che S. Paolo inculca a proposito delle carni offerte agli idoli:
l'idolo essendo un nulla, quelle carni in se` non sono proibite; ma
poiche` molti cristiani sono convinti del contrario, l'Apostolo vuole
che i piu` istruiti tengano conto degli scrupoli dei fratelli: perche`
altrimenti "il debole, il fratello per cui mori` Cristo, verrebbe a
perdersi per la tua scienza. Onde, peccando contro i fratelli con
scandalizzarne la debole coscienza, pecchereste contro Cristo. Se
quindi un cibo scandalizza il mio fratello, io, per non
scandalizzarlo, non mangero` carne in eterno" 1243-1.

Parole che anche oggidi` dovrebbero essere ben meditate. Vi sono
cristiani e cristiane che si fanno lecite [illecite?] letture,
spettacoli, balli piu` o meno indecenti, col pretesto che non ne
ricevono danno. Si potrebbe mettere in dubbio questa loro asserzione,
perche` molti, ahime! che parlano a questo modo, sono spesso
nell'illusione. Ma, in ogni caso, perche` non pensare allo scandalo che
ne viene alle persone di servizio, e al pubblico che ne toglie
pretesto di abbandonarsi, con maggior pericolo, a divertimenti anche
piu` pericolosi?

1244. B) Gl'incipienti non solo fuggono queste colpe ma praticano
anche cio` che e` comandato, massime la sopportazione del prossimo e il
perdono delle ingiurie.

a) Sopportano il prossimo, non ostante i suoi difetti.

Non abbiamo anche noi i nostri che il prossimo deve pur sopportare? E
poi e` facile che esageriamo questi difetti, specialmente se si tratta
di persona antipatica. Dovremmo invece attenuarli, pensando che non
spetta a noi a notare la pagliuzza nell'occhio del vicino, quando
abbiamo forse una trave nel nostro. In cambio dunque di condannare i
difetti altrui, esaminiamoci se non ne abbiamo noi di simili e forse
di piu` gravi; e pensiamo prima di tutto a correggerci: medice, cura te
ipsum.

1245. b) Altro dovere e` quello di perdonare le ingiurie e
riconciliarsi coi nemici, con coloro dai quali abbiamo ricevuto o ai
quali abbiamo fatto qualche dispiacere. Cosi` urgente e` cotesto dovere
che Nostro Signore non esita a dire: "Se, mentre stai per far
l'offerta all'altare, ti viene in mente che il tuo fratello ha qualche
cosa contro di te, lascia l'offerta avanti all'altare e va prima a
riconciliarti col fratello" 1245-1.

Perche`, secondo l'osservazione di Bossuet, 1245-2 "il primo dono
che si deve offrire a Dio e` un cuore puro da ogni freddezza e da ogni
inimicizia col fratello". Aggiunge che non bisogna neppure aspettare
il giorno della comunione, ma mettere in pratica cio` che dice
S. Paolo: "Non tramonti il sole sulla vostra collera"; perche` "le
tenebre ci aumentano il cruccio; la collera ci tornerebbe in mente
svegliandoci e diverrebbe piu` acre". Non stiamo dunque a pensare se il
nostro avversario abbia forse piu` torti di noi e se non tocchi quindi
a lui a muoversi per il primo: dissipiamo alla prima occasione ogni
malinteso con una franca spiegazione. Se il nostro nemico ci presenta
per primo le scuse, affrettiamoci a perdonare: "perche`, se voi
perdonate agli uomini le offese loro, il vostro Padre celeste
perdonera` pure a voi; ma se voi non predonate loro, il Padre celeste
non perdonera` neppure a voi i vostri peccati" 1245-3. E` giusto:
perche` chiediamo a Dio di rimettere a noi le offese nostre come noi le
rimettiamo a coloro che offesero noi.

1246. 2^ I proficienti si sforzano d'attirare in se` le cosi`
caritatevoli disposizioni del Cuore di Gesu`.

A) Memori che il precetto della carita` e` il precetto suo e che la sua
osservanza dev'essere il distintivo dei cristiani: "Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro, come io ho amato voi:
ut diligatis invicem sicut dilexi vos" 1246-1.

E` comandamento nuovo, dice Bossuet, 1246-2 perche` Gesu` Cristo vi
aggiunge questa importante circostanza, di amarci gli uni gli altri
come egli amo` noi. Ora egli ci prevenne col suo amore, quando noi non
pensavamo a lui; si mosse per il primo verso di noi; non si aliena da
noi per le nostre infedelta` e per le nostre ingratitudini; ci ama per
farci santi, per renderci felici, senza interesse, non avendo bisogno
di noi ne` dei nostri servizi". La carita` sara` il distintivo dei
cristiani: "da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli altri" 1246-3.

1247. B) Onde i proficienti si studiano di imitare gli esempi del
Salvatore.

a) La sua e` carita` preveniente: ci amo` per il primo, quando noi
eravamo suoi nemici, "cum adhuc peccatores essemus" 1247-1; venne
a noi, che eravamo peccatori, persuaso che gli infermi abbisognano del
medico; la sua grazia preveniente va a cercare la Samaritana, la donna
peccatrice, il buon ladrone per convertirli: A prevernire e guarire le
nostre pene ci volge quel tenero invito: "Venite a me, voi tutti che
siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorero`: venite ad me omnes
qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos" 1247-2.

Queste divine cortesie dobbiamo imitare, movendi incontro ai fratelli
per conoscere le miserie e alleviarle, come fanno quelli che visitano
i poveri per soccorrerne i bisogni; e i peccatori per ricondurli a
poco a poco alla pratica della virtu` senza lasciarsi disanimare dalle
prime loro resistenze.

1248. b) La sua fu carita` compassionevole. Vedendo che il popolo che
l'aveva seguito nel deserto stava per soffrire la fame, moltiplica
pani e pesci per nutrirlo; ma specialmente al vedere le anime prive di
alimento spirituale, s'impietosisce della loro sorte e vuole che si
chiedano a Dio operai apostolici a lavorare nella messe: "rogate ergo
Dominum messis ut mittat operarios in messem suam" 1248-1.
Lasciando per un momento le novantanove pecorelle fedeli, corre dietro
a quella che s'era smarrita e, caricandosela sulle spalle, la
riconduce all'ovile. Appena un peccatore da` segno di pentimento,
s'affretta a perdonarlo. Pieno di compassione per i deboli e
gl'infermi, li guarisce in gran numero, e spesso rende nello stesso
tempo la salute dell'anima, perdonandone i peccati.

Ad esempio di Nostro Signore, dobbiamo aver grande compassione per
tutti gli sventurati, soccorrendoli secondo che le sostanze ce lo
permettono, ed esaurite che siano, facciamo almeno l'elemosina di un
po' di tempo, di una buona parola, di una cortesia. Non ci ributtino i
difetti dei poveri; aggiungiamo anzi all'elemosina corporale qualche
buon consiglio, che tosto o tardi portera` buon frutto.

1249. c) La sua fu carita` generosa: acconsente per amor nostro a
penare, a soffrire, a morire: dilexit nos et tradidit semetipsum pro
nobis" 1249-1.

Dobbiamo quindi essere pronti a rendere servizio ai fratelli anche a
costo di penosi sacrifici, pronti a curarli nelle malattie, anche
ributtanti, e a far per loro sacrifici pecuniari. E sara` carita`
cordiale e simpatica: perche` il modo di dare vale piu` ancora di cio`
che si da`. Sara` intelligente, dando ai poveri non solo un tozzo di
pane ma, se e` possibile, anche i mezzi per campare onestamente la
vita. Sara` apostolica, facendo del bene alle anime colla preghiera e
coll'esempio, e talvolta, ma con prudenza, con savi consigli. Zelo
cosiffatto si richiede soprattutto dai sacerdoti, dai religiosi e da
tutti i migliori cristiani; memori sempre "che chi fara` che un
peccatore si converta dal suo traviamento, salvera` l'anima di lui
dalla morte e coprira` la moltitudine dei peccati" 1249-2.

1250. 3^ I perfetti amano il prossimo sino all'immolazione di se`:
"Avendo Gesu` dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dar la vita pei
fratelli" 1250-1.

a) E` cio` che fanno gli operai apostolici: non versano il sangue pei
fratelli, ma danno la vita a goccia a goccia, lavorando senza tregua
per le anime, immolandosi nella preghiera, nello studio, nelle
ricreazioni stesse, lasciandosi divorare, come soleva dire il
P. Chevrier, espressione che e` in sostanza la traduzione della parola
di S. Paolo: "Io volentierissimo daro` e sopraddaro` me stesso per le
anime vostre: quand'anche piu` singolarmente amandovi, dovessi esser
meno da voi amato" 1250-2.

1251. b) Fu questa l'idea che mosse santi sacerdoti a fare il voto
di servitu` rispetto alle anime; obbligandosi cosi` a considerare il
prossimo come un superiore che ha diritto di esigere servizi, e a
soddisfarne tutti i legittimi desideri.

c) Questa carita` si manifesta pure con una santa premura di prevenire
i minimi desideri del prossimo e rendergli tutti i servizi possibili;
talvolta anche con la cordiale accettazione d'un servizio offerto,
essendo infatti questo il mezzo di render lieto chi l'offre.

d) Si manifesta finalmente con un specialissimo amore ai nemici, che
vengono allora considerati come esecutori delle divine vendette sopra
di noi, venerandoli come tali, pregando in modo particolare per loro e
beneficandoli in ogni occasione, secondo il consiglio di Nostro
Signore: "Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano;
e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano" 1251-1.
Cosi` assomigliamo a Colui che fa splendere il suo sole tanto sui buoni
come sui cattivi.

sez. III. Il Sacro Cuore di Gesu` modello e fonte di carita` 1252-1.

1252. 1^ Osservazioni preliminari. A conclusione di quanto abbiamo
detto sulla carita`, non possiamo far di meglio che invitare i lettori
a cercare nel Sacro Cuore di Gesu` la fonte e il modello della carita`
perfetta; nelle litanie approvate ufficialmente dalla Chiesa, noi
l'invochiamo infatti come ardente fornace di carita`, e pienezza di
bonta` e d'amore: "fornax ardens caritatis... bonitate et amore
plenum".

Vi sono infatti nella devozione al Sacro Cuore di Gesu` due elementi
essenziali: un elemento sensibile, il cuore di carne ipostaticamente
unito alla persona del Verbo; e un elemento spirituale simboleggiato
dal cuore materiale, l'amore del Verbo Incarnato per Dio e per gli
uomini. Questi due elementi non ne fanno che uno solo come sono una
cosa sola il segno e la cosa significata. Ora l'amore significato dal
Cuore di Gesu` e` certamente l'amore umano, ma anche l'amor divino,
perche` in Gesu` le operazioni divine e le umane sono unite e
indissolubili. E` l'amor suo per gli uomini: "Ecco quel Cuore che tanto
amo` gli uomini"; ma e` pure l'amor suo per Dio, perche`, come abbiamo
dimostrato, la carita` verso gli uomini deriva dalla carita` verso Dio,
da questa traendo il suo vero motivo.

Possiamo quindi considerare il Cuore di Gesu` come il piu` perfetto
modello dell'amor verso Dio e dell'amore verso il prossimo, e anche
come modello di tutte le virtu`, perche` la carita` le contiene e le
perfeziona tutte. Avendoci nel corso della vita mortale meritata la
grazia d'imitarne le virtu`, Gesu` e` pure la causa meritoria e la fonte
delle grazie che ci fanno amar Dio e i fratelli e praticare tutte le
altre virtu` 1252-2.

1253. 2^ Il Cuore di Gesu` fonte e modello dell'amore verso Dio.
L'amore e` il dono totale di se`; quanto non e` quindi perfetto l'amore
di Gesu` per il Padre! Fin dal primo istante dell'Incarnazione, si
offre e si da` come vittima per riparare la gloria di Dio oltraggiata
dai nostri peccati.

Rinnova l'offerta nella nativita` e nella presentazione al Tempio.
Nella vita nascosta, mostra l'amore per Dio obbedendo a Maria e a
Giuseppe, in cui vede i rappresentanti della divina autorita`; e chi ci
potrebbe dire gli atti di puro amore che dalla casetta di Nazaret
s'innalzavano continuamente all'adorabile Trinita`? Nel corso della
vita pubblica, non cerca che il beneplacito e la gloria del Padre:
"Quae placita sunt ei facio semper 1253-1... Ego honorifico
Patrem" 1253-2; nell'ultima Cena puo` affermare di aver
glorificato il Padre in tutta la vita: "Ego te clarificavi super
terram"; e il domani portava il dono di se` sino all'immolazione del
Calvario: "factus obediens usque ad mortem, mortem autem Crucis". Chi
potra` mai numerare gli interni atti d'amore che incessantemente gli
sgorgava dal Cuore, onde l'intiera sua vita fu un continuo atto di
carita` perfetta?

1254. Ma soprattutto chi potrebbe esprimere la perfezione di tal
amore?

"E`, dice S. G. Eudes, 1254-1 amore degno d'un tal Padre e d'un
tal Figlio; e` amore che pareggia perfettissimamente le ineffabili
perfezioni del prediletto suo oggetto; e` un Figlio infinitamente
amante che ama un Padre infinitamente amabile; e` un Dio che ama un
Dio... In una parola, il divin Cuore di Gesu`, considerato secondo la
sua divinita` o secondo la sua umanita`, e` infinitamente piu` infiammato
d'amore per il Padre e l'ama in ogni momento infinitamente piu` che non
possano amarlo insieme tutti i cuori degli Angeli e dei Santi in tutta
l'eternita`".

Ora quest'amore noi possiamo farlo nostro unendoci al Sacro Cuore di
Gesu` e offrirlo al Padre, dicendo con S. G. Eudes: "O mio Salvatore,
io mi do a Voi per unirmi all'amore eterno, immenso ed infinito che
portate a vostro Padre. O Padre adorabile, io vi offro tutto l'amore
eterno, immenso, infinito del vostro Figlio Gesu` come amore che mi
appartiene... Io vi amo come vi ama il vostro Figlio".

1255. 3^ Il Cuore di Gesu` fonte di amore per gli uomini. Abbiamo
detto, n. 1247, quanto Gesu` li amo` sulla terra; ci resta da
spiegare come continua ad amarli ora che e` in cielo.

a) E` l'amore che lo induce a santificarci coi sacramenti: i sacramenti
infatti sono, come dice S. Giovanni Eudes 1255-1, "tante fonti
inesauribili di grazia e di santita` che hanno la loro sorgente
nell'oceano immenso del Sacro Cuore del nostro Salvatore; e tutte le
grazie che ne procedono sono come tante fiamme di questa divina
fornace".

1256. b) Nell'Eucaristia poi ci da` il massimo segno di amore.

1) Da venti secoli Gesu` e` notte e giorno con noi, come un padre che
non puo` lasciare i figli, come un amico che trova le sue delizie nello
stare con gli amici, come un medico che sta costantemente al capezzale
dei suoi ammalati. 2) E vi e` sempre operoso, adorando, lodando,
glorificando il Padre per noi; ringraziandolo continuamente di tutti i
beni che continuamente ci largisce, amandolo per noi, offrendo i suoi
meriti e le sue sodisfazioni per riparare i nostri peccati, e
assiduamente chiedendo nuove grazie per noi "semper vivens ad
interpellandum pro nobis". 1256-1 3) Rinnova sempre sull'altare
il sacrifizio del Calvario, lo fa un milione di volte al giorni,
dovunque e` un sacerdote per consacrare, e lo fa per amor nostro, per
applicare a ognuno di noi i frutti del suo sacrifizio,
n. 271-273; e non pago d'immolarsi, si da` tutto intiero a ogni
comunicante per farlo partecipe delle sue grazie, delle sue
disposizioni e delle sue virtu`, n. 277-281.

Ora questo Cuore divino vivamente desidera di comunicarci i suoi
sentimenti di carita`: "Il divino mio cuore, diceva Gesu` a
S. Margherita Maria, e` cosi` appassionato d'amore per gli uomini, e per
te in particolare, che, non potendo piu` contenere in se` le fiamme
del'ardente sua carita`, e` costretto a diffonderle per mezzo tuo, e a
manifestarsi loro per arricchirli dei preziosi suoi
tesori" 1256-2. E fu allora che Gesu` le chiese il cuore per
unirlo al suo e mettervi una scintilla del suo amore. Cio` che fece in
modo miracolosa per la santa, lo fa in modo ordinario per noi nella
santa comunione, e ogni volta che uniamo il nostro cuore al suo;
perche` venne sulla terra e portare il fuoco sacro della carita` e
null'altro maggiormente brama che accenderlo nei nostri cuori: "ignem
veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur?" 1256-3

1257. Il Cuore di Gesu` fonte e modello di tutte le virtu`. Nella
S. Scrittura il cuore indica spesso tutti i sentimenti interni
dell'uomo in opposizione agli atti esterni: "L'uomo non vede se non
cio` che apparisce al di fuori, ma Dio vede il cuore: Homo videt ea quae
parent, Deus autem intuetur cor" 1257-1. Quindi il cuore di Gesu`
simboleggia non solo l'amore ma tutti i sentimenti interni dell'anima
sua. Tale fu l'aspetto sotto cui considerarono la devozione al Sacro
Cuore i grandi mistici del Medio Evo, e dopo di loro S. Giov. Eudes.
Lo stesso fece S. Margherita Maria; e` vero che insiste principalmente,
e con ragione, sull'amore di cui questo divin Cuore e` ripieno. Ma nei
vari suoi scritti, ci mostra questo Cuore come modello di tutte le
virtu`; e il Padre de la Colombie`re, suo confessore e suo interprete,
ne compendia il pensiero in un atto di consacrazione che si trova alla
fine del Ritiri spirituali 1257-2.

"Quest'offerta si fa per onorare questo Cuore divino, sede di tutte le
virtu`, fonte di tutte le benedizioni e rifugio di tutte le anime
sante. Le principali virtu` che si intende di onorare in lui sono:
primieramente, l'amore ardentissimo a Dio Padre, unito a un
profondissimo rispetto e alla piu` grande umilta` che fosse mai; in
secondo luogo, la infinita pazienza nelle tribolazioni, il sommo
dolore per i peccati di cui si era caricato, la confidenza per le
nostre miserie, e, non ostante tutti questi affetti, la calma
inalterabile causata da conformita` cosi` perfetta alla volonta` di Dio,
da non poter essere turbata da alcun evento".

Del resto, derivandi tutte le virtu` dalla carita` e trovando in lei
l'ultima loro perfezione, n. 318-319, il Cuore di Gesu`, che e`
fonte e modello della divina carita`, lo e` pure di tutte le virtu`.

1258. Con cio` la devozione al Sacro Cuore s'accosta alla devozione
alla Vita Interiore di Gesu` esposta dall'Olier e praticata a
S.-Sulpizio. Questa vita interiore, egli dice, consiste "in queste
disposizioni e interni sentimenti rispetto a tutte le cose: per
esempio, nella sua religione verso Dio, nel suo amore verso il
prossimo, nel suo annientamento verso se stesso, nel suo orrore
rispetto al peccato, e nella sua condanna rispetto al mondo e alle sue
massime." 1258-1

Ora queste disposizioni si trovano nel Sacro Cuore di Gesu`, e la` si
devono attingere. Quindi a una pia persona che si ritirava volentieri
nel Cuore di Gesu`, l'Olier scriveva: "Inabissatevi mille volte il
giorno nell'amabile suo Cuore a cui vi sentite cosi` potentemente
attratta... E` la parte scelta il Cuore del Figlio di Dio; e` la pietra
preziosa dello scrigno di Gesu`; e` il tesoro di Dio stesso in cui versa
tutti i suoi doni e comunica tutte le sue grazie... In questo sacro
Cuore e in quest'adorabile Interiore si operarono primieramente tutti
i misteri... Arguite da cio` a quale grandezza vi chiami Nostro Signore
aprendovi il suo Cuore, e quanto profitto dovete trarre da questa
grazia che e` una delle piu` grandi che abbiate ottenuta nella vostra
vita. Le creature non vi traggano mai da questo luogo di delizie, e
rimanetevi inabissata per il tempo e per l'eternita` con tutte le sante
spose di Gesu`" 1258-2. Altrove aggiunge 1258-3: "Che cuore
il Cuore di Gesu`! Che oceano d'amore vi si raccoglie e ribocca su
tutta la terra! O feconda e inesausta sorgente d'ogni amore! O
profondo e inesauribile sorgente d'ogni religione! O centro divino di
tutti i cuori!... O Gesu`, permettete che io vi adori nel vostro
interno, che io adori l'anima vostra benedetta, che io adori il Vostro
Cuore che ho visto ancora questa mattina. Vorrei descriverlo, ma non
posso, tanto e` incantevole. L'ho visto come un cielo tutto pieno di
luce, d'amore, di riconoscenza e di lode. Esaltava Dio e ne esprimeva
le grandezze e le magnificenze". Per l'Olier, l'Interno di Gesu` e` una
cosa sola col sacro suo Cuore; e` il centro di tutte le sue
disposizioni e delle sue virtu`, e` il santuario dell'amore e della
religione, in cui Dio e` glorificato e dove le anime fervorose si
ritirano volentieri.

1259. Conclusione. Affinche` la devozione al Sacro Cuore produca
questi santi effetti, deve consistere in due atti essenziali: amore e
riparazione.

1^ L'amore e` il primo e il principale di questi doveri, secondo
Sta Margherita Maria come pure secondo S. Giovanni Eudes.

Rendendo conto al P. Croiset della seconda grande apparizione,
l'Alacoque gli scrive 1259-1: "Mi fece vedere che il gran
desiderio da lui sentito di esere amato dagli uomini e di ritrarli
dalla via della perdizione, gli aveva fatto concepire il disegno di
manifestare il suo Cuore agli uomini con tutti i tesori d'amore, di
misericordia, di grazia, di santificazione e di salute, affinche`
quelli che volessero rendergli e procurargli tutto l'onore, l'amore e
la gloria che fosse in loro potere, ei li potesse arrichire con
copiosa profusione dei divini tesori del Cuore di Dio che ne e` la
sorgente". E in una lettera a Suor de la Barge, conclude cosi`: "Amiamo
dunque quest'unico amore delle anime nostre, perche` egli ci amo` per il
primo e ci ama ancora con tanto ardore, che ne arde continuamente nel
SS. Sacramento. Basta amare questo Santo dei Santi per diventar santi.
Chi dunque c'impedira` di esserlo, avendo noi cuori per amare e corpi
per patire...? Non c'e` che il suo puro amore che ci faccia fare tutto
cio` che gli piace; non c'e` che questo perfetto amore che ce lo faccia
fare come a lui piace: e non ci puo` essere che questo amore perfetto
che ci faccia fare ogni cosa quando a lui piace" 1259-2.

1260. 2^ Il secondo di questi atti e` la riparazione; perche` l'amore
di Gesu` e` oltraggiato dalle ingratitudini degli uomini, come Nostro
Signore stesso dichiara nella terza grande apparizione:

"Ecco quel Cuore che tanto amo` gli uomini e che nulla risparmio` sino a
esaurirsi e consumarsi per dimostrar loro il suo amore; e, per
ricompensa, io non ricevo dalla maggior parte di loro che
ingratitudine per le irriverenze e i sacrilegi e per le freddezze e i
disprezzi che hanno per me in questo sacramento d'amore". E le chiede
quindi di riparare queste ingratitudini col fervor del suo amore:
"Figlia mia, io vengo nel cuore che t'ho dato, affinche` tu col tuo
ardore ripari le ingiurie che ho ricevute dai cuori tiepidi e codardi
che mi disonorano nel Santo Sacramento".

1261. Questo due atti grandemente contribuiranno a santificarci:
l'amore, unendoci intimamente al sacro Cuore di Gesu`, ci fara`
partecipare alle sue virtu` e ci dara` il coraggio di praticarle, non
ostante tutte le difficolta`; la riparazione, associandoci ai patimenti
di Gesu`, stimolera` vie piu` il nostro fervore e ci indurra` a sopportar
coraggiosamente per amore tutte le prove che si degnera` mandarci.

Cosi` intesa, la devozione al Sacro Cuore non avra` nulla di sdolcinato,
nulla di effeminato; sara` lo spirito stesso del cristianesimo, un
felice misto d'amore e di sacrificio, accompagnato dalla pratica
progressiva delle virtu` morali e teologali. Sara` come una sintesi
della via illuminativa e un'ottima iniziazione alla via unitiva.
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1167-1 P. Prat, La The'ologie de S. Paul, t. II, p. 401-402 (La
Teologia di S. Paolo, Salesiana, Torino).

1167-2 I Thess., V, 8.

1167-3 I Thess., I, 3.

1167-4 I Cor., XIII, 13.

1168-1 Galat., V, 6.

1169-1 S. Agostino, Enchiridion de Fide, Spe et Caritate;
S. Tommaso, IIa. IIae, q. I-XVI; Giov. di S. Tommaso, De fide; Suarez,
De fide; J. de Lugo, De virtute fidei divinae; Salmanticenses, De fide;
Scaramelli, Direttorio ascetico,
t. IV, art. I; Card. Billot, De virtutibus infusis, th. IX-XXIV;
Banivel, La foi et l'acte de foi; Hugon, La lumie`re e la foi; Mgr Gay,
Vita e virtu`, t. I, tr. III; C. de Smedt, Notre vie surnat., t. I, p.
170-271; Mgr d'Hulst, Care^me 1892; P. Janvier, Quaresimale, 1911-1912
(Marietti, Torino); P. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, t. I, c.
XIV-XV; S. Harent, Dic. de The'ol., al vocabolo Foi.

1169-2 II Paral., XX, 20.

1169-3 Isa., VII, 9.

1169-4 Marc., XVI, 16.

1169-5 Rom., X, 17.

1169-6 I Cor., XIII, 12.

1169-7 Phil., III, 8-10.; I Petr., III, 15.

1169-8 Gal., V, 6.

1170-1 Joan., XVII, 3.

1175-1 De la vie et des vertus... t. I, p. 150.

1177-1 Hebr., XI.

1177-2 Hebr., XII, 2.

1177-3 II Cor., IV, 17.

1177-4 Rom., VIII, 18.

1177-5 Rom., V, 3-5.

1177-6 I Joan., V.

1181-1 II Cor., IX, 15.

1182-1 Luc., XVII, 5.

1183-1 A. de Blanche-Raffin, Balme`s, p. 44.

1184-1 Marc., IX, 23.

1186-1 Rom., I, 17.

1187-1 Ps. XCIX, 3.

1189-1 Matth., IX, 38.

1190-1 S. Tommaso, IIa. IIae, q. XVII-XXII, e i suoi Commentatori,
specialmente il Cajetano e Giov. di S. Tommaso; Suarez, De Spe;
S. Fr. di Sales, Teotimo, l. II, c. XV, XVII; Scaramelli, op.
cit., art. II; Card. Billot, op. cit, th. XXV-XXX; Mgr Gay, t. I,
tr. V; C. de Smedt, op. cit., t. I, p. 272-364; Mgr d'Hulst,
Quaresimale 1892; P. Janvier, Quaresimale 1913 (Marietti, Torino).

1192-1 Joan., XVII, 3.

1196-1 Eccli., II, 11-12.

1196-2 Matth., VIII, 10-13.

1196-3 Matth., IX, 2.

1196-4 Matth., IX, 29.

1196-5 Matth., XV, 28.

1196-6 Luc., VII, 50.

1196-7 Luc., XVII, 19.

1196-8 Joan., XVI, 23.

1196-9 Trident., sess. VI, c. 13.

1197-1 I Cor., IX, 25.

1198-1 Rom., VIII, 31.

1199-1 Rom., VIII, 32-44.

1200-1 I Cor., III, 9.

1200-2 I Cor., XV, 10; Phil., III, 13, 14.

1200-3 II Cor., VI, 1.

1200-4 II Tim., II, 3.

1200-5 II Petr., I, 10.

1201-1 Ps. CXVIII, 163.

1201-2 Marc., XIV, 38.

1201-3 Phil., II, 12.

1201-4 Rom., VII, 24-25.

1202-1 Col. III, 1-2.

1203-1 Joan., XIV, 2.

1203-2 Rom., VIII, 24.

1203-3 Ps., XXII, 4.

1203-4 Luc., XXIV, 36.

1203-5 Maynard, Virtu` e dottrina etc., p. 10.

1203-6 Idibem.

1204-1 Mgr d'Hulst, Quaresimale 1892, (Marietti, Torino).

1204-2 De Imitat., l. II, c. 8.

1204-3 Maynard, Virtu` e dottrina etc.

1207-1 S. Bernardo, De diligendo Deo; S. Tommaso IIa. IIae, q.
23-44; Salmanticenses, tr. XIX; De caritate theologica;
S. Fr. di Sales, Teotimo; Massoulie', Tr. de l'amour de Dieu;
Scaramelli, op. cit., art. III; Card. Billot, op. cit., th.
XXXI-XXXV; Mgr Gay, op. cit., t. II, tr. XII; C. de Smedt,
op. cit., t. I, p. 365-493; Mgr d'Hulst, Quaresimale, 1892;
P. Janvier, Quaresimale, 1915 e 1916 (Marietti, Torino);
P. Garrigou-Lagrange, Perfect. chre't., t. I, ch. III.

1209-1 S. Tommaso, Sum. Theol., IIa. IIae, q. 27, a. 2.

1210-1 "Sic enim proximus caritate diligitur, quia in eo Deus est
vel ut in eo Deus sit" (qq. disp, de Caritate, a. 4.)

1212-1 Il Teotimo o Trattato dell'amor di Dio, l. X, c. VI, X
(Salesiana, Torino).

1213-1 Sum. Theol., IIa. IIae, q. 184, a. 3; Comment. del Gaetano
su questo articolo; Cardin. Mercier, La vita interiore, (Fiorentina,
Firenza); P. Garrigou-Lagrange, Perfect. chre't.,
t. I, p. 217-227.

1215-1 Il Teotimo o Trattato dell'amor di Dio, l. X, c. X
(Salesiana, Torino).

1216-1 I Joan., IV, 19.

1217-1 De diligendo Deo, c. XV; epist. XI, n. 8.

1218-1 I Cor., XIII, 1-13. Cfr. Prat, op. cit., t. II, p.
404-408.

1221-1 Cant., VIII, 6.

1221-2 Imitazione, l. III, c. V.

1222-1 Inno della festa del SS. Nome di Gesu`.

1222-2 Imitazione, l. II, c. VIII.

1222-3 Imit., l. III, c. XXXIV.

1223-1 Imit., l. III, c. XXXI.

1227-1 S. Fr. di Sales, Il Teotimo, l. V, c. I-V.

1228-1 Il Teotimo o Trattato dell'amor di Dio, l. V, c. I-V
(Salesiana, Torino).

1231-1 Dan., III, 57.

1231-2 S. Fr. di Sales, Il Teotimo o Trattato ecc., l. V, c. XII,
(Salesiana, Torino).

1232-1 Luc., XXII, 42.

1232-2 Rom., VIII, 28.

1232-3 Ele'vations, Sett. XIIIa., elev. 7a..

1233-1 Il Teotimo o Trattato dell'amor di Dio, l. II, c. XXII
(Salesiana, Torino).

1234-1 Jerem., XXXI, 3.

1234-2 Prov., VIII, 31; XXIII, 26.

1235-1 Joan., VIII, 29.

1238-1 I Joan., II, 10-11.

1238-2 I Joan., III, 14-15.

1238-3 Joan., IV, 7, 8, 12, 16, 20, 21.

1239-1 Matth., XXV, 40.

1240-1 E` bene spiegato da S. Giov. Eudes in < di Gesu` ecc., P. 2a., sez. 35,>> (Marietti, Torino): < in Dio e Dio nel prossimo: ossia guardatelo come uscito dal cuore e
dalla bonta` di Dio, come partecipazione di Dio, come creato per
ritornare in Dio, per essere collocato nel seno di Dio, per
glorificarlo eternamente, e in cui Dio sara` di fatti eternamente
glorificato o con la misericordia o con la giustizia.>>

1242-1 Ephes., IV, 1-16.

1242-2 Phil., II, 1-4.

1243-1 Cor., VIII, 13.

1245-1 Matth., V, 23-24.

1245-2 Medit., XIV^ giorno.

1245-3 Matth., VI, 14-15.

1246-1 Joan., XIII, 34.

1246-2 Meditazioni, La Cena, P. Ia., 75^ giorno.

1246-3 Joan., XIII, 35.

1247-1 Rom., V, 8.

1247-2 Matth., XI, 28.

1248-1 Matth., IX, 38.

1249-1 Ephes., V, 2.

1249-2 S. Jac., V, 20.

1250-1 I Joan., III, 16.

1250-2 II Cor., XII, 15.

1251-1 Matth., V, 44.

1252-1 S. G. Eudes, Le coeur admirable de la T. S. Me`re de Dieu,
l. IV, e l. XII; Croiset, La devozione al S. Cuore; S. M.-Maria
Alacoque, Opere, ed. Gauthey; P. De Gallifet, Excellence de la
de'votion au S. Coeur; Dalgairns, Devozione al S. Cuore; Manning, Le
Glorie del Sacro Cuore; J. B. Terrien, La de'votion au S. Coeur;
P. Le Dore', Les Sacre's Coeurs et le V. J. Eudes; Le Sacre' Coeur;
Bainvel, La devozione al S. Cuore, dottrina e storia; (Libreria Vita e
Pensiero, Milano); L. Garriguet, Le Sacre' Coeur, expose' historique et
dogmatique.

1252-2 In questa breve esposizione, senza insistere sulle
differenze accessorie tra la devozione insegnata da S. G. Eudes e
quella di Paray-le-Monial, ci studiamo di conciliare cio` che vi e` di
comune in queste due forme d'una medesima devozione.

1253-1 Joan., VIII, 29.

1253-2 Joan., VIII, 49.

1254-1 Le Coeur admirable, l. XII, c. II.

1255-1 Ibid., c. VII. Non facciamo qui quasi altro che
compendiarne il pensiero.

1256-1 Hebr., VII, 25.

1256-2 Nella prima delle grandi rivelazioni, 1673.

1256-3 Luc., XII, 49.

1257-1 I Reg., XVI, 7.

1257-2 OEuvres comple`tes, Grenoble, 1901, VI, p. 124.

1258-1 Cate'ch. chre'tien, P. 1a., lez. 1a..

1258-2 Lettres, t. II, lettera 426.

1258-3 Esprit de M. Olier, t. I, 186-187, 193.

1259-1 Lettres ine'dites, IV, p. 142.

1259-2 Lettre CVIII, t. II, p. 227.
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PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO II
La via illuminativa
o lo stato delle anime proficienti
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CAPITOLO IV.

I contrattacchi del nemico.

1262. Mentre noi stiamo lavorando all'acquisto delle virtu`, i nostri
nemici spirituali non stanno inoperosi ma tornano di soppiatto
all'assalto, sia ridestando in noi, sotto forma piu` attenuata i sette
vizi capitali; sia portandoci alla tiepidezza.

ART. I. RISVEGLIO DEI VIZI CAPITALI.

1263. S. Giovanni della Croce descrive molto bene questi vizi
capitali, quali si trovano in quelli che egli chiama incipienti, vale
a dire in coloro che stanno per entrare nella contemplazione con la
notte dei sensi 1263-1. Non faremo quasi altro che condensarne la
fine analisi psicologica.

I. Dell'inclinazione all'orgoglio.

1264. Quest'inclinazione negl'incipienti si manifesta in sei modi
principali:

1) Mirando al fervore e fedeli agli esercizi, questi incipienti si
compiacciono nelle loro opere e hanno eccessiva stima di se`;
presuntuosi, vanno formando molti disegni e non ne mettono quasi
nessuno in esecuzione.

2) Parlano di cose spirituali piu` per dar lezioni altrui che per
metterle in pratica loro; onde condannano aspramente quelli che non
approvano il loro genere di spiritualita`.

3) Ce n'e` pure di quelli che non possono tollerar rivali; e se per
caso se ne presenta qualcuno, lo condannano e lo screditano.

4) Cercano di cattivarsi la stima e l'intimita` del direttore, e se
questi non ne approva lo spirito, vanno da un altro che sia piu`
favorevole. A meglio riuscirvi, attenuano le proprie colpe, e, se
cadono in qualche fallo piu` grave, vanno a confessarlo ad altro
confessore e non al direttore ordinario.

5) Se accade che commettano un peccato grave, si sdegnano contro di se`
e si scoraggiscono, indispettiti di non essere ancora santi.

6) Godono di fare i singolari con esterne dimostrazioni di pieta`, e
raccontano volentieri agli altri le buone loro opere e i loro buoni
successi.

Dall'orgoglio nasce l'invidia, che si manifesta con sentimenti di
dispiacere vedendo il bene spirituale altrui; si patisce a sentirli
lodare, si prova tristezza della loro virtu`, e occorrendo si aguzza il
dente a morderli e denigrarli.
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II. Dei peccati di sensualita`.

1265. A) La golosita` spirituale si palesa in due modi:

a) Coll'eccessivo gusto delle consolazioni: si cercano perfino nelle
austerita`, per esempio nella disciplina, e si importuna il direttore
per ottenere il permesso di mortificarsi nella speranza di averne
consolazioni.

b) Per la stessa ragione, vi sono persone che fanno sforzi di testa
nell'orazione e nella comunione onde procurarsi devozione sensibile,
oppure desiderano confessarsi spesso per trovare consolazioni in tale
esercizio. Spesso questi sforzi e questi desideri restano vani, e
allora lo scoraggiamento invade tali anime piu` attaccate alle
consolazioni che a Dio.

1266. B) La lussuria spirituale si presenta sotto due forme
principali: a) si cercano amicizie sensibili o sensuali sotto pretesto
di devozione, e non ci si vuole rinunziare, perche` si pretende che
tali relazioni giovino a fomentar la pieta`. b) Talora le consolazioni
sensibili provate nell'orazione o nella comunione cagionano in persone
di indole dolce e affettuosa sensazioni d'altro genere, che possono
diventare fonte di tentazione o di inquietudine 1266-1.

1267. C) L'accidia porta: a) ad annoiarsi negli esercizi spirituali
quando non vi si prova gusto sensibile, ad abbreviarli o sopprimerli;
b) a lasciarsi abbattere quando si ricevono dal superiore o dal
direttore ordini o consigli che paiono troppo penosi: vorremmo una
spiritualita` piu` condiscendente, che non ci turbasse i comodi e non ci
guastasse i piccoli disegni.
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III. L'avarizia spirituale.

1268. Quest'avarizia e` cosi` descritta da San Giovanni della
Croce 1268-1:

a) "Vi sono incipienti che non si saziano mai di ascoltare consigli e
precetti spirituali e di avere e leggere quantita` di trattati
speciali, consumando piuttosto il tempo in questo che in mortificarsi
ed esercitarsi nel perfetto spogliamento interiore dello spirito.
b) Si caricano inoltre di immagini, di rosari, di croci molto curiose
e costose. Ora lasciano queste e prendendo quelle; ora fanno baratti e
li disfanno; le vogliono cosi` e cosi`; attaccandosi piu` a questa che a
quella, perche` piu` curiosa e preziosa". Tutto questo e` apertamente
contrario allo spirito di poverta`, e mostra nello stesso tempo che si
da` troppa importanza all'accessorio, trascurando cio` che e` principale
nella devozione.

1269. Conclusione. E` chiaro che tali imperfezioni sono di gran danno
al progresso spirituale. Ecco perche`, dice S. Giovanni della Croce,
Dio, per correggerli, li introduce nella notte oscura di cui presto
diremo. Le anime poi che non vi sono introdotte si studieranno di
liberarsi da questi impacci, praticando quanto abbiamo detto sul modo
di trar profitto dalle consolazioni e dalle aridita`, n. 921-923;
sull'obbedienza, sulla fortezza, sulla temperanza, sull'umilta` e sulla
dolcezza, nn. 1057, 1076, 1127, 1154.
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