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IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore Rito Ambrosiano (Anno C) (22/09/2013)

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2013 14:13
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21/09/2013 14:13
 
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IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (22/09/2013)
Vangelo: Pr 9, 1-6; 1Cor 10, 14-21; Gv 6, 51-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Gv 6,51-59)

Proverbi. 9, 1-6

Dopo aver sviluppato una lunga introduzione alla raccolta dei detti sapienziali, attribuiti a Salomone, re sapiente di Israele (sec X), incontriamo, a modo di parabola, due donne che rappresentano la Sapienza e la Follia.

Già in precedenza, l'autore ne ha parlato, ma qui colloca le due donne nella loro casa, aperta ad ogni persona, invitata ad incontrare colei che può dare felicità e gusto della vita.

Nel testo di oggi viene ricordata la casa ed il profilo della Sapienza. Un casa splendida con sette colonne che ricordano la stabilità e la perfezione: le colonne erano solo nelle case nobili per poter avere sale spaziose e protette, il numero sette richiama lo splendore e la completezza.

La tavola è imbandita e, dai punti più alti della città, viene proclamato il messaggio ad ogni persona. Le ancelle, poi, vanno per le strade ad incoraggiare gli inesperti e chi si rende contro di mancare di intelligenza e di preparazione nella vita. Perciò il messaggio e l'invito valgono per tutti, ma, prima di tutti, sono invitati quelli che hanno bisogno e sono poveri di comprensione.

Anche Donna Follia ha imbandito un banchetto (9,13-18). Essa però non va in cerca, ma "sta seduta alla porta di casa, su un trono in luogo alto della città" e invita gli stessi passanti, rintracciati dalle ancelle della Sapienza: "gli inesperti e i privi di senno". La Sapienza offre da mangiare il pane e da bere il vino.

La Follia non ha vino (il vino è la gioia messianica) ma acqua: "le acque furtive sono dolci" e il pane gustoso perché "preso di nascosto" ( si gioca sul gusto del proibito). La Sapienza incoraggia a istruire ed educare, tenendo presente che "principio della Sapienza è il Timore del Signore".

Timore del Signore non è la paura ma la consapevolezza che bisogna evitare il male, la stessa impressione che ci viene se sporchiamo il mondo, inquiniamo il terreno, mentre abbiamo maturato il rispetto del creato. Il timore di Dio è il timore di offendere, disgustare, rovinare, disprezzare ciò che vale.

In questi giorni l'inizio della scuola è un tempo importante per tutta la nostra comunità: qualcuno esperto in diverse materie si prende carico delle nuove generazioni e aiuta a superare l'inesperienza e la mancanza di sapienza. Ma se la conoscenza può essere data a scuola, la Sapienza è anche frutto di interventi diversi: la conoscenza, il saper valutare il valore di una cosa o di un'azione, il desiderio di costruire insieme, il coraggio di aiutare chi è in difficoltà, la forza di affrontare senza paura la fatica in vista di un progetto grande. Solo la scuola non riesce a dare la Sapienza ai giovani, se non ci sono gli altri contributi di soggetti vicini: in particolare, la famiglia, gli amici, la Comunità cristiana, gli stessi adulti vicini o gli adulti "modello". La conoscenza che si riceve a scuola ha bisogno di tanti altri collaboratori che, mentre la valorizzano, la stimano, la cercano, la promuovono in tutto il contesto in cui si vive.

La Sapienza è personificata, è donna che invita e richiama, è maestra che vuole istruire tutti, uomini e donne, chiamati ad essere suoi discepoli. Essa si preoccupa per loro, per il loro cammino e per il loro destino. Donna Sapienza ha di che preoccuparsi, perché in città si trova anche un'altra maestra, Donna Follia, che pure invita gli alunni alla sua anti-scuola, dove insegna il gusto del proibito e il fascino dell'insensato e, così facendo, conduce alla morte (9,13-18).

1 Corinzi. 10, 14-21

Nella sua prima lettera ai Corinzi, Paolo unisce insieme verità di fede e suggerimenti pastorali. E' un attento osservatore dei fatti della vita quotidiana e suggerisce che i credenti si convertano alla vita e alla Parola di Gesù. La fede, infatti, comporta uno stile di vita coerente con le sue scelte ed obbliga ad una revisione non solo i pagani, che si sono convertiti, ma lo stesso popolo d'Israele, legato alla legge di Mosè. Un problema pastorale, per noi curioso, è già stato iniziato al cap.8: ci si interroga sul proprio comportamento in rapporto con la carne comprata al mercato o la carne utilizzata da parenti che non sono cristiani e che hanno invitato a mangiare a casa loro amici e parenti cristiani. Il problema si pone perché tutta la carne, anche quella in vendita sul mercato, proviene da sacrifici offerti agli idoli. Paolo sviluppa alcune riflessioni teologiche. In fondo gli dei pagani non esistono e quindi il mangiare carne offerta agli idoli è inoffensivo. Ma d'altro lato l'adesione a pratiche idolatre suppongono la fede non tanto in Dio ma ad un antagonista di Dio che perciò è un demonio. In conclusione, se i cristiani non debbono partecipare al culto degli idoli, tuttavia non sono obbligati ad indagare su eventuali operazioni cultuali precedenti, qualora siano stati invitati ad un banchetto. Se non sanno la provenienza della carne, non si preoccupino. Se invece ne sono consapevoli, allora se ne astengano, soprattutto se la segnalazione viene da un fratello o una sorella nella fede, per non offendere la debolezza della fede di qualcuno che potrebbe scandalizzarsi (10,23-32).

Ma, riprendendo la problematica del capitolo 8, Paolo si preoccupa che non si ritorni alla idolatria. Partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire una vicinanza con la divinità che l'idolo rappresenta: attraverso il cibo noi costituiamo un incontro, una presenza del divino nel fedele.

Viene ricordata l'Eucarestia con una formulazione già arcaica, che fa riferimento alle iniziali descrizioni sintesi, esistenti nella prima Comunità cristiana: sottolineano i tratti comunitari e la partecipazione: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane" (10,16-17). E' la sintesi dell'ultima Cena, maturata come adesione piena e totale con Gesù per cui diventiamo, con Lui, un solo corpo. E noi, insieme, siamo la Chiesa, presenza di Gesù nel mondo. In tal modo noi ritroviamo, a livello altissimo, un legame tra credenti e l'unità al Padre attraverso Gesù. Dall'idolatria come culto bisogna stare attenti poiché la si può vivere anche oggi come stile di vita e come metodo di scelte, quando la Parola di Gesù viene dimenticata nelle nostre scelte economiche, di convivenza, di rapporti sociali fino alle lacerazioni ideologiche che portano alla dissoluzione di condivisioni, alla violenza, alla distruzione della persona e dei popoli. E si vive come se Dio non esista.

Giovanni 6, 51-59

Leggiamo, oggi, un brano del lungo discorso che Gesù pronuncia nella sinagoga di Cafarnao, il giorno dopo che è stato spezzato il pane per 5000 persone al di là del lago. La gente ha tentato di sequestrarlo per farlo re, poiché hanno ritenuto che, miracolosamente, questo anonimo profeta Galileo possa risolvere con la sua potenza tutti i loro problemi. E' sfuggito loro di mano, l'hanno cercato tutta la notte, sono tornati alla riva opposta, a Cafarnao e lo trovano nella sinagoga il giorno dopo. La prima domanda che viene spontanea: "Rabbi, quando sei venuto qui?" E Gesù risponde chiarendo loro il senso della loro ricerca che è una ricerca ambigua e che debbono verificare la fede: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (6,26-27). Così tutto il capitolo è il tentativo di Gesù di aiutare a scoprire il segno che essi hanno visto nella potenza di sfamare ma che hanno equivocato. Essi, infatti, hanno bisogno di sfamarsi del pane vero.

E Gesù vuol fare loro capire la sua identità, presentandosi come "pane della vita, disceso dal cielo (6,33-35). A questo punto ci si ritrova con una reazione abbastanza scontata, frutto della loro delusione e della loro sorpresa: "Chi credi di essere?" (6,42) Gesù non aggiusta la sua risposta sulle attese o sulla comprensione dei suoi interlocutori ma carica la dose: "Il pane da mangiare non è solo la sua dottrina ma la sua carne". Nella Bibbia "il Dio che si fa carne" (Gv1,14) significa che si deve riconoscere la sua povertà e limitatezza e che si rivela attraverso un galileo, vissuto in una famiglia semplice e conosciuta, figlio di Giuseppe il carpentiere. Ma la domanda continua sconcertata: "Come possiamo mangiare una persona?" Gesù parla anche di "bere il suo sangue" (6,52). In Israele è severamente proibito bere il sangue di una animale perché la vita degli animali e ancor più la vita delle persone è nel sangue e la vita dell'uomo e degli animali appartiene a Dio (Lev17,10-11). L'incontro con Gesù si completa in un gesto misterioso: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv. 6,54). Nessuno lo può capire a Cafarnao né lo capiscono gli apostoli che tuttavia, a parte qualche reazione spesso bloccata da Gesù, sanno fidarsi di Lui e della sua verità. Sarà dopo l'ultima Cena e quindi dopo la Pentecoste (l'immersione nello Spirito santo) che riusciranno a cogliere il significato di quelle parole di Cafarnao nel "segno": ritrovarsi insieme e ripetere le parola di Gesù sul pane e sul vino. Essi, allora, colgono la possibilità del segno (sacramento) che è mistero e rivelazione della presenza particolare di Gesù tra i suoi. Così ce lo hanno trasmesso, allo stesso modo, e con la stessa fede che hanno di domenica in domenica celebrato.

L'Eucarestia richiama la fede di Gesù ed una particolare presenza nella sua Chiesa. Quando ci si raduna e si celebra il segno della sua cena, noi celebriamo la presenza di Gesù che muore, per noi e per tutti. "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (6,51), poiché Gesù dà la vita per il mondo.

L'Eucarestia è assoluta e indispensabile? E chi non può accostarvisi? "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (6,54) e corrisponde al versetto detto poco prima sulla fede: "Chi crede ha la vita eterna" (6,47). Questo significa che pur quelle tante comunità, che non hanno la messa la domenica, per scarsità di preti, e che tuttavia si radunano a leggere e a meditare la Parola del Signore, raggiungono lo stesso risultato per la presenza dello Spirito di Gesù. E così quelli che non escono di casa, i malati, i separati, i divorziati che non possono ricevere l'Eucarestia. Allora la Messa che significato ha? E' l'incontro della pienezza per la Chiesa: essa accoglie questo dono. Ci fosse solo una la messa del mondo, ci sarebbe tra noi il miracolo della presenza di Gesù. Così nella messa sempre si legge prima la Parola di Dio e poi si celebra il gesto di Gesù che segna la garanzia che ci ha voluto dare per crescere, per maturare. Ed è una identificazione straordinaria, meravigliosa, questa presenza del Signore Gesù in noi, nel nostro corpo perché noi ci assimiliamo in Lui mentre Egli si assimila in noi.

Certamente la comunione non va presa come una pillola che guarisce né il fare molte comunioni ci rende più santi. Non è scritto nei Vangeli di fare tante comunioni. C'è scritto di mangiare la carne di Gesù e di bere il suo sangue. Con tutti i significati che propone nei suoi segni ogni volta accettiamo di accoglierlo, di far propri i sentimenti e le scelte di Gesù, di imparare a spezzare il pane come viene significato prima della comunione, di assumerci il bisogno di perdono avendo ascoltato la Parola di Gesù che non ci permette più di dire: "non ho peccati sulla coscienza", di offrire pane e vino, e cioè il lavoro quotidiano e la vita di tutti i giorni perché diventino segni di amore per tutti, pur nella nostra povertà e insignificanza.

Allora Gesù è la nuova e vera Sapienza che offre una banchetto e invita tutti, si preoccupa che ognuno abbia la possibilità di scoprirlo e invita ognuno di noi ad essere una persona che invita al banchetto come le ancelle al convito della signora Sapienza
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