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VANGELI IN RIMA

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2019 09:55
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09/09/2013 14:14
 
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DALLA FUGA IN EGITTO AL BATTESIMO NEL GIORDANO


Gesù soltanto, in ambito cristiano,
è stato il Verbo etereo e pre-esistente,
che si è incarnato poi in un corpo umano.

Nell’Induismo è fede ricorrente
Che l’anima sia eterna, e che pre-esista
Al corpo temporaneo e decadente.

Fra I Quattro, solo il quarto Evangelista
Fa proprio questo nobile argomento,
estrapolato forse, a prima vista,

dall’Enoc, libro apocrifo, al momento
in cui fu costituito dalla Chiesa
il canone del Nuovo Testamento;

ma che ebbe, in precedenza, larga presa:
sul mondo Esseno, prima, e poi cristiano.
Poi, divenuto il tempo dell’attesa,

da profezia auspicata, a quotidiano,
fu esplicitato nell’Annunciazione
l’avvento del Messia, Re sovrano;

ma nel silenzio della citazione
che l’inno di Giovanni, in sé sublima;
e se egli è tardo, nella narrazione,

la storia, il fatto, lo registra prima.
L’Annunciazione data da Matteo,
con quella che dà Luca, non collima:

Lui narra, primo Evangelista ebreo,
che, l’Angelo in persona, del Signore,
parlò, mentre era in braccio di Morfeo,
al pio Giuseppe, offeso nell’onore,
del Figlio della vergine Maria,
di cui fu il padre e non il genitore,

e gli annunziò che questi era il Messia
che avrebbe dato pace ad Israele:
E, detto questo, poi se ne andò via.

Per Luca, invece, l’Angelo Gabriele
Si mosse per incarico di Dio
E svolse due missioni parallele:

La prima, al Tempio, in fitto parlottìo,
per annunziare, al vecchio Zaccaria,
la nascita di un figlio casto e pio,

che avrebbe indotto a scegliere “la via”
il popolo ribelle e peccatore.
Sei mesi dopo, scese da Maria,

e le annunziò, con infinito amore,
che avrebbe avuto un figlio, in tutto degno
di essere l’eterno successore

del trono del re Davide e del Regno.
Maria e il Santo Spirito divino,
li aveva scelti Dio nel suo disegno.

Per Luca, poi, Maria e Gesù bambino,
col pio Giuseppe, andarono su al Tempio,
nel primo freddo albore di un mattino,

per essere al suo popolo d’esempio,
nel compiere la Legge del Signore,
di cui se ne faceva, a volte, scempio.

Non ha, Gesù, per Luca, alcun timore;
e lo descrive tra gli affetti e gli agi
per tutta la sua vita da minore,

appena superati quei disagi,
legati al lieto evento in una stalla.
Ma per Matteo, la visita dei Magi,

fa esplodere in Erode un’ira gialla;
per cui, da casa, fuggono in Egitto,
Giuseppe, con Maria e il bambino in spalla.

Qui termina l’intreccio, ed il conflitto;
ed anche se, non con la stessa idea,
così, come ciascuno di essi ha scritto,

Gesù lo fanno andare in Galilea.
Però, Gesù, non era il Nazareno,
ma un uomo della setta nazorea;

perciò Matteo non è sincero appieno
nel dargli questo improprio appellativo.
Può darsi pure, e qui si allenta il freno,

che sia un arricchimento successivo,
un caso, in sé, di pseudoepigrafia
di un posteriore scriba laudativo.

Fu ignota, a Luca, l’etimologia,
sia che scrivesse in greco, che in latino,
perché fa di Giuseppe e di Maria,

I “genitori” di Gesù bambino;
e, sia nel caso prima, che secondo,
confonde il padre umano, col divino.

Ciò segna qui un contrasto assai profondo
Con ciò che disse l’Angelo Gabriele,
nel giorno che rivide, in questo mondo,

la terra dove scorre latte e miele.
Gesù lasciò la terra Galilea,
ovvero, il Nord del Regno di Israele,

e si recò nel Regno di Giudea,
nei pressi della foce del Giordano,
in una zona detta la Perea,

laddove il fiume scorre lento e piano.
Qui, vide il pio Giovanni battezzare,
e gli mandò un saluto con la mano;

poi, si sedette in terra, ad aspettare.
E mentre tutto il popolo in costume,
si stava a rivestire e ad asciugare,

adagio, adagio, si inoltrò nel fiume,
in mezzo a uno scenario d’incantesimo;
e da Giovanni, che un eccelso nume,

pareva che esprimesse in sé medesimo,
chinò la fronte, in umiltà, e s’immerse,
e ricevette, in quella, il suo battesimo,

che dai peccati umani lo deterse.
Poi, rinnovato in sé, in quell’atmosfera,
dall’acque calme e limpide riemerse;

e, mentre era raccolto lì, in preghiera,
e con Giovanni che gli stava accanto,
si aprirono, su, in alto, I cieli, a schiera;

su Lui discese lo Spirito Santo,
in una forma, come di colomba,
e poi si udì una voce, unita a un canto,

ma forte come squillo di una tromba,
venire giù dal cielo, con l’effetto
che ha il tuono che si spande e che rimbomba.


“Tu sei il figliolo òio, il prediletto;
in te mi sono sempre compiaciuto”.
questo è poi l’evento che si è letto
nel libro, che alla Chiesa è dispiaciuto,
e che raccoglie tutti I Testamenti
dei XII Patriarchi, un dì perduto,

ma riaffiorato tra gli incartamenti
un tempo appartenuti al mondo essendo,
e in altri analoghi ritrovamenti.

Qui ci troviamo, dunque, senza meno,
di fronte ad un profetizzato evento,
che, con Gesù, si è realizzato appieno.

Bisogna adesso metter l’accento
Sull’alto incontro tra Gesù e Giovanni,
e a chi, di loro, spetti il sopravvento.

Gesù non ha, a quel tempo, chi lo osanni,
ed è il Battista a battezzare lui,
che è sulla scena già da alcuni anni,

rimasti invece, per Gesù, anni bui;
Giovanni nega di essere il Messia,
di fronte agli interrogatori altrui;

Gesù discende dalla dinastia
Che in Davide il più nobile esponente;
di Aronne, invece, e per la madre pia,

Giovanni è regolare discendente;
inoltre, il padre, il vecchio Zaccaria,
è sacerdote, al Tempio del Vivente;

Elisabetta, al pari di Maria,
l’ha amata il Santo Spirito fecondo;
ma nella scala della gerarchia,

Giovanni è il primo, ed è Gesù il secondo;
Giovanni è grande innanzi al Dio e Signore;
Gesù è più grande per il trono e il mondo:

Da queste note ricche di valore,
se esaminate senza ipocrisia,
si evince che è Giovanni il superiore.

E questa , in fondo, è poi la gerarchia
Che ritroviamo in ogni scritto essendo,
che fa riferimento ai due Messia.

Ma c’è qualcosa che convince meno.
Ed è l’atteggiamento del Battista
Che fa di sé la serpe del suo seno.

Secondo, infatti, il quarto Evangelista,
Giovanni, di sua sponte, arriva a dire:
“Gesù deve ora crescere alla vista;

io, invece, devo ormai diminuire”.
Leggendo le parole in controluce,
e in modo letterale, per capire,

con razionalità se ne deduce
che in un secondo tempo solamente,
il Cristo è diventato quella luce

che è il Verbo e il Figlio della Prima Mente.

CAPITOLO II

LA PREDICAZIONE DI GIOVANNI


Giovanni predicava nel deserto
Il suo battesimo di conversione,
e al popolo parlava a viso aperto

di solidarietà e condivisione.
Dotato di un carattere sanguigno,
manifestato nella sua missione,

svettava dal Giordano come un cigno;
e, in più, del cigno, aveva in sé il candore.
Pesavano assai più che di un macigno

Le sue parole di predicatore;
e in sé manifestava, come segno,
la grazia e la potenza del Signore.

Egli era portatore di un disegno
Che aveva preso il nome de “La via”,
formato dalla fede e dall’impegno

di un grande, tra I profeti: Isaia.
La forza gli era data dallo zelo
Di cui fu già dotato quell’Elia

Che dal Signore fu rapito in cielo,
perché non conoscesse mai la morte.
Col padre ebbe un percorso parallelo;

e, nella fede, fu con lui consorte.
Ma se da sempre, ne seguì l’esempio,
manifestò un fervore assai più forte.

Col padre, che era sacerdote al Tempio,
pregava sempre Dio con devozione
e riportò alla fede più di un empio.
Il giorno della sua circoncisione,
il padre, pieno di Spirito Santo,
profetizzò su lui, con precisione,

quel “Benedictus”, celebrato tanto.
Sua madre, la più santa delle donne,
pagò la vita con dolore e pianto,

né mai fu annoverata fra le nonne;
ma lui la ripagò col suo fervore.
Lei, era discendente pia di Aronne,

ed era beneamata dal Signore;
per lei, Gabriele inviò da Zaccaria.
E quando il Santo Spirito d’amore

Le penetrò la carne casta e pia,
profetizzò il “Magnificat” stupendo,
che poi la Chiesa attribuirà a Maria.

Giovanni stava allora diffondendo,
col suo carisma ruvido e spontaneo,
il rito del battesimo, in crescendo,

nel vasto mondo del Mediterraneo,
in cui Gesù restava un nome oscuro,
quantunque fosse suo contemporaneo.

Ma poi si ribaltarono, in futuro,
le loro posizioni, in tutto il mondo,
in un processo lento e duraturo,

così che il primo, diventò il secondo.
Qui và spiegata un po’ la loro storia
Per fare sì che emerga, dal profondo,

la verità, piuttosto che la gloria.
La trama dei Vangeli ha un punto certo,
o come inizio, o meta provvisoria:

il rito del battesimo, all’aperto,
che praticò Giovanni, nel Giordano,
ed anche nel limitrofo deserto.

La sua figura la preannuncia il brano
del libro, detto “Deutero-Isaia”,
però da quello greco, e ciò è assai strano.

Infatti, Dio ispirò la profezia
In lingua ebraica, e ad un profeta ebreo,
sia pure sotto pseudo-epigrafia.

Tradotto poi, in un greco da ateneo,
cambiò significato e religione,
in modo, si può dire, manicheo,

nel senso propio dell’affermazione.
La Bibbia scritta in canone cristiano
Presenta, nella sua composizione,

due sensi alterni dello stesso brano:
nel Vecchio, e poi nel Nuovo Testamento.
Ma ciò che più di tutto suona strano,

è che, di entrambi I brani in argomento,
si dice che è “Parola del Signore”.
Si nota quindi che ogni cambiamento

Che viene fatto al testo di un Autore,
redatto un tempo, sotto ispirazione,
è attribuito anch’esso al Salvatore.

Giovanni è un uomo di predicazione,
profeta della profezia biblistica,
che annuncia l’Uomo della salvazione.

Per la comune fonte Evangelistica,
è: “Voce di chi grida nel deserto”.
Ma sorge una dicotomia ateistica

Se in lingua ebraica è letto questo inserto,
in cui lo stesso Isaia confida,
se lo si legge in modo chiaro e aperto,

poiché, egli fa di sé: “Una voce grida:
spianate, nel deserto, a Dio, la via.
E’ a questa stessa voce che si affida

Il mondo esseno, erede di Isaia.
Costui è dunque un doppio annunciatore:
di Dio, dapprima, nell’ebraica scia;

poi di Gesù, nel greco innovatore.
La fede, veda, l’uso che si fa,
di quella che è “Parola del Signore”,

con questa doppia e ambigua verità.
D’altronde, l’uso stesso di ragione,
ci svela questa semplice ovvietà:

La profezia si fa da ispirazione,
e vale per un’unica figura;
non può tornare nuova a ogni stagione,

così come la frutta, che matura,
un anno dopo l’altro, sulla pianta,
finché la pianta è buona, e finché dura.

Ma spunta una questione sacrosanta,
così come il rossore della brace
affiora dalla cenere, se è tanta.

Giovanni, mentre predicava in pace,
apostrofava gli uomini e le genti
con una breve formula mordace,

cioè: “Razza di vipere” e “Serpenti”.
Matteo e Luca, affermano concordi,
che sono stati usati questi accenti,

che uscivano a Giovanni dai precordi,
il giorno del battesimo a Gesù.
Da questo punto in poi sono discordi;

e Luca, infatti, non ne parla più.
Matteo, invece, per due volte ancora
riporta questa formula tabù.

Ma a questo punto, un grosso dubbio affiora:
fù Gesù Cristo a fare suo quel detto,
e fù lui stesso a pronunciarlo allora,

oppure, nel Vangelo del predetto,
un tempo era Giovanni il primo Attore,
più tardi relegato dentro un ghetto?

E dentro I brani in cui, l’animatore,
pronuncia questa formula in questione,
c’è Gesù Cristo, nostro Salvatore,

o c’è Giovanni, in punta di ragione?
Può darsi, che nel testo di Matteo,
si sia invertito il ruolo alle persone?

Giovanni era un profeta, ed era ebreo,
legato, forse, ancora, al mondo esseno ,
e come lui lo era il Galileo;

aveva un largo seguito terreno,
che Gesù Cristo ancora non aveva,
di quattro o cinquemila, più o meno,

e battezzava chi glielo chiedeva,
purché mostrasse di essere credente;
e, come dai Vangeli si rileva,

fù Gesù Cristo, allora, il richiedente.
In Luca, poi, c’è un ordine preciso
Sul primo e sul secondo, in sé evidente.

Per precedenza, come Dio ha deciso,
c’è prima Elisabetta, e poi Maria.
Rifatto qui un riepilogo conciso,

torniamo a quella coppia di Messia,
di cui si è detto prima, di sfuggita,
nonché alla pertinente analogia,

che, di due parti, fà una storia unita
L’idea del messianismo tardo-esseno,
rimasta a lungo morta e seppellita,

in numerose grotte, e nel terreno,
riemerge alla ribalta della storia,
a illuminarci di sé stessa, appieno.

Duemila anni e più, di moratoria,
di fatto, hanno permesso al nostro mondo,
di cancellare in pieno la memoria

del loro credo, rigido e fecondo,
e di negare quante religioni
proliferò il suo ceppo moribondo.

Nei loro libri è espressa, in più occasioni,
l’attesa di figure parallele;
cioè, di due Messia, nei tempi buoni:

di Aronne, il primo; l’altro di Israele.
Se noi teniamo a mente, a questo punto,
le cose dette in Luca da Gabriele,

vediamo finalmente ricongiunto
lo spirito Evangelico ed esseno .
Ciò può creare qualche disappunto

in chi vorrebbe forse fare a meno
di riscontrare questa concordanza,
che appare dimostrata in modo pieno;

ma chi, la verità, la osserva a oltranza,
e la sostiene in tutto, e non la nega,
dovrà affrancarsi dalla sudditanza

che lo relega a un uso di bottega.
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